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05th Nov2020

Marco Vorabbi & Le Dovute Precauzioni – Verranno I Tempi Migliori

by Paolo Tocco
Purtroppo, e dico purtroppo, capita in un momento di grossa e grassa polemica questo disco. Lo avvio durante un giorno macchiato di discussioni benevoli e portatrici sane di confronti costruttivi. Soltanto non sono ancora giunto personalmente ad una soluzione e quindi, tutto quel che seguirà, sarà arricchito da un doverosissimo forse…concedetemi il beneficio del dubbio insomma. Il titolo del confronto era: ma serviranno tutti questi dischi che escono oggi, ogni giorno? Ma non è che, come al solito, da ottimi paraculi quali siamo, in nome di una libertà ormai di moda da osannare, si liberalizza la voce di tutti? E questa non ha tanto la faccia di essere “anarchia” dentro cui finisce “laqualunque” che dà alle stampe dischi che sinceramente…boh…servono? Con questo animoso acido in corpo metto in play un disco dal titolo speranzoso (soprattutto oggi) che è Verranno I Tempi Migliori di Marco Vorabbi & le dovute precauzioni. Ironia sicuramente ma anche tantissimo lifestyle di provincia nelle 11 tracce inedite che dipingono la vita quotidiana dei piccoli centri di periferia. Va bene. Ci piace. Mah? Sfacciato il rimando a De Andrè, anche lirico e anche nella scelte di certe rime e certe parole…ma anche ad un più dannato Piero Ciampi con quella monotona cadenza frustrata e poi quel piglio vocale che quasi ricorda il buon The André che a lui faceva il verso per mestiere d’arte e un po’ ricorda anche quel Lorenzo Kruger che sempre a loro fa sempre il verso. (E se Marco Voraci fosse The Andrè? Apriamo il gossip…).

Insomma, di personalità, di novità, di tratti che rimandano a qualcuno di preciso neanche l’ombra. Un disco che mette assieme tante cose di altri e si sviluppa così, senza neanche la capacità di generare un motivo che sia estetico o concettuale per farsi sottolineare. Questo disco potrebbe essere il disco di tanti o un collage di tanti dischi altrui…dunque chi sia questo Marco Vorabbi e quali siano le sue “dovute precauzioni” sinceramente non riesco a capirlo. Sicuramente ha il piglio di scrivere cose intelligenti e argute, sicuramente ha la voce che lo aiuta molto nel cadere dentro un preciso cliché…per quanto spesso fuori tono nelle chiuse delle melodie…sicuramente ha idee partigiane e popolari che restituiscono quella dimensione “quotidiana” di quartiere alle canzoni, soluzione popolare sempre vincente. Ma sinceramente non trovo un senso, un motivo, un qualcosa che mi faccia dire: ecco il disco di Marco Vorabbi & Le Dovute Precauzioni! In altre parole: se a lui sostituisco mille altri come lui, se alle sue melodie sostituisco mille altre soluzioni come questa, sinceramente non riconosco l’origine e la differenza.

Sono spietato? Eh sì, forse sto esagerando…sicuramente è uno scrivere figlio della conversazione di oggi. Ma, a voler essere davvero sinceri, potete biasimarmi? Ed io non sono uno che deve per forza cercare l’originalità. I nostri grandi cantautori italiani tutto erano tranne che originali. Ma dentro cliché ampiamente copiati ed importati c’era la loro anima assolutamente riconoscibile. Tra Guccini, De André, De Gregori eccetera ci sono abissi infiniti nonostante tutti stanno dentro forme per niente originali. Eppure un pezzo di Ciampi lo riconosco prima ancora di sentire la sua voce. Questo intendo: ha senso fare un disco privo di personalità affidandosi soltanto all’impalcatura estetica di una canzone? Impalcatura che poi non è neanche così capace di sfoggiare forza e bellezza. Sia chiaro anche questo…ci fosse almeno il pezzo del secolo dentro.

Un sommario “boh” dopo l’ascolto di questo disco, magari accetterete le mie scuse, magari rifletteremo assieme, magari domani avrò maturato un pensiero totalmente opposto a questo. Di sicuro questo titolo vince su tutto: arriveranno i tempi migliori.

Band: Marco Vorabbi & Le Dovute Precauzioni Titolo Album: Verranno I Tempi Migliori
Anno: 2020 Casa Discografica: Beta Produzioni, Artist First
Genere musicale: Cantautorale Voto: 4
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/Marco-Vorabbi-e-le-dovute-precauzioni-109507340485902
Membri band:
Marco Vorabbi – voce, chitarra
Roberto Penna – basso
Pietro Galvani – batteria
Roberto Galvani – violino, viola
Alex Magnani – banjo, bouzouki, mandolino, fisarmonica
Marco Barosi – cori
Giacomo Senatore – cori
Tracklist:
1. 10mila Birre
2. Giulia
3. Mezcal
4. Giuseppe
5. Freddy
6. Pugni D’euro
7. Bio Parco
8. Irpef
9. Il Disco Di Bob Marley
10. Io Mento
11. Il Gentleman
Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
1 Comm
23rd Gen2020

Senna – Sottomarini

by Paolo Tocco
Perché vogliamo le ali di una rondine se poi voliamo nella grandine? Una domanda semplice e complessa, visionaria quanto basta per farmi capire che l’equilibrio tra l’ingenuità poetica e il peso sociale è stato raggiunto… appena, forse manca poco… ma è stato raggiunto. Che poi voglio sottolineare una cosa: questo suono tanto decantato analogico, non è quel famoso abito che realizza il monaco. Insomma capiamoci bene: Sottomarini è un disco che nasce dal cuore e non dal suono, nasce dall’urgenza e non dalla tecnica, nasce dallo spirito di essere e non dalla moda di apparire. E oggi, tornare vintage, tra vinili e lo-fi è una moda abusata senza troppo gusto e mestiere. E in questo i nostri Senna peccano a loro modo restituendo video che usano filtri banali per sembrare antichi, facendo il verso agli anni 80 ma senza curarsi di particolari importanti come la nuova Panda al distributore di benzina. Errori che portano il dialogo fuori la coerenza…almeno così l’ho letta io, chiedendo scusa se ho usato una cattiva codifica.

Ma non è di video che dobbiamo parlare, visto che in questa direzione non mi hanno conquistato. Mi affascina invece Sottomarini per com’è, per come si presenta, per la voce che mostra e per la liquida semplicità della scrittura. Disponibile anche in vinile, di cui spero a breve di poterne realizzare un focus, perché questo lavoro merita attenzione. I Senna vengono da Ostia, dal mare, dal lido famoso e da lì ci restituiscono un bellissimo disco di metropolitana abitudine alla provincia, di nebbie finissime, di amori che si inseguono, di leggerezze spirituali che sono proprie degli adolescenti. Ma non è un disco di adolescenti. È un disco di provincia e per parlare di provincia si dev’essere uomini già maturi dentro. Correndo verso la notte, perché la provincia vive di notte senza fare rumore sfacciato. Misurandosi in sigarette e sperando che la California sia il profilo umano di questa nostra Italia. Bellissimo questo dolcissimo planare delle linee di batterie che sono vellutati ingredienti del tutto, sono appoggi che si fanno sostegni, sono caratteri silenziosi che si fanno colonne portanti. Belle le linee di pianoforte che ricoprono di gusto italiano il pop che sono nel DNA dei brani. E le voci corali che inevitabilmente ci riportano alle trame solipsistiche di Simon & Garfunkel – con tanto di cappello per le differenze dovute, s’intenda – sono vere pitture quotidiane di questa Italia che ancora una volta vuol rimestare il passato visto che al futuro non è che ci si conti poi tanto.

L’inciso di Addio Alla Città è il momento più americano del disco secondo me, ma anche un momento mio tutto italiano in cui riesco a guardare i vicoli soleggiati di una domenica pomeriggio in cui ho solo bisogno di evasione e posso anche permettermi il lusso di perdermi ovunque. E se proprio vogliamo parlare di suono vintage allora, cari Senna, dovevate lasciarlo più libero e meno prodotto questo suono del disco: mi arriva invece composto, senza sbavature, con troppi ricami che non penso abbiate curato con taglierino e collante per nastri magnetici. Poi magari mi sbaglio ed ecco qui le mie scuse. Ma temo che da qualche parte l’uso dei computer, quantomeno a raffinare il prodotto, debba venir fuori. E lo sento molto raffinato. Da un lavoro così vero, così sincero, così trasparente, mi sarei aspettato più quello sporco del cortile che riporti a casa dopo una partita a calcetto che qualche alone sistematico che hai sempre quando compri un condizionatore industriale. Brani come Mignolo sono tremendamente TheGiornalisti vecchia maniera che tutto hanno tranne che un suono analogico. Quel synth anni 80 probabilmente dovevate evitarlo per non ricadere nelle somiglianze per niente edificanti. E la bellissima Le Cose A Metà inevitabilmente mi rimandano ai Modà delle fragole quando vogliono fare i romantici. Solo che loro non ci riescono…voi ci avete messo meno di 4 minuti. Ed è la chiusa affidata a Uguale E Diverso che mi fa capire quanto vi sia naturale unire melodia e sentimento, musica e normalità. E non servono troppe impalcature.

Nessun mito e niente supereroi. Siamo lontani dai grandi dischi che cambiano la vita. Ma Sottomarini è un lavoro che affiora con l’umiltà di uno sguardo da ragazzino nel mezzo del frastuono patinato dei tanti “artisti” modaioli che si fingono cantautori. Sottomarini è un disco di quel cantautorato semplice, leggero (parola chiave per questo disco…e non solo per rendersi galleggianti), che suona come suona un pensiero privato che, se proprio dobbiamo confidarlo a qualcuno, usiamo quel tono di voce a malapena sussurrato, che quasi ci si deve nascondere. È un disco che vuol svelare segreti e sceglie una domenica pomeriggio per farlo. Almeno penso che sia domenica. La notte in provincia, amici delle grandi città, è qualcosa che non potrete mai capire, presi come siete ad ammazzare la noia. Sottomarini è un bel disco e che si fottano gli sperimentatori nostrani che cercano la novità. La maggior parte di voi non è neanche capace di far funzionare le basi.

Autore: Senna Titolo Album: Sottomarini
Anno: 2019 Casa Discografica: Roma 10
Genere musicale: Cantautorato, Indie Voto: 7
Tipo: CD Sito web: www.facebook.com/sennacomeilfiume
Membri band:
Carlo Senna – voce, pianoforte, piano elettrico, chitarra classica, acustica ed elettrica, sintetizzatori, drum machine, rumori ambientali
Simone Senna – voce, basso elettrico
Valerio Meloni – voce, batteria, shaker, tamburello, chitarra acustic
Tracklist:
1.(Punto E A Capo)
2. Giulia
3. Agosto
4. Addio Alla Città
5. Mignolo
6. Le Cose A Metà
7. Fiume
8. (Riavvolgi)
9. Italifornia
10. Uguale E Diverso
Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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18th Lug2019

Anèdone – La Superficie Delle Cose

by Paolo Tocco
Ho sempre amato il silenzio e la luce soffusa delle piccole stanze. L’ho amata da sempre. Perché in qualche modo mi ha sempre raccontato qualcosa di me che non conoscevo, ha fatto più di quanto ogni sogno ed ogni esperienza possa fare. Mi racconta di quel desiderio di sgusciare fuori da ogni sistema calcolato, da ogni momento omologato e che diventi una moda per individui fragili e senza potere critico. L’ho sempre amata quell’attesa di cose che neanche io sapevo bene che faccia avessero. Si resta sospesi nel silenzio, quello sereno e senza troppe ombre in movimento…si resta sospesi, ma non come fossimo appesi – che sembra più un vezzo di morte. Direi che somiglia più ad una fluttuazione tra polvere fine e luce di candela. Si resta sospesi e con le braccia a nuotare un poco ci si muove, si galleggia, come nelle cittadine di una provincia nuvolosa di una domenica anonima nel bel mezzo del giallo autunnale e anche i suoni galleggiano a farci caso. Ed è in questo stato di cose che amo osservare quel che corre d’intorno e pensarlo e poi alla fine farlo mio…è da questa codifica che nasce la mia personale repulsione per l’immonda superficie delle cose.

Trovo che questo primo disco personale di Francesco “Franz” Martinello sia una puntuale e salvifica fotografia di questo stato d’animo che più mi rappresenta, che più amo. Il progetto lo ha titolato Anèdone, che rappresenta – ci spiega – la primigenia sensazione che riconduce l’individuo maturo a qualcosa di puro del suo percorso su questa terra. Banalmente, per modo di dire, “anèdone” è il primo sapore di casa, il primo bacio, la prima ricerca personale, il primo esserci consapevolmente. Divenuto poi un progetto in trio con Francesca “Meggie” Covre alle doppie voci e chitarre e Giacomo “Jacu” Iacuzzo alle percussioni e altri “giocattoli”, eccovi finalmente un disco che non ha canali digitali e violenti streaming gratuiti, non l’ho trovato in rete e non l’ho cercato più di tanto. L’ho lasciato girare nello stereo ed è quello che continuerò a fare per parecchio vista la profondità che suscita questo lavoro dal titolo, ahimè troppo didascalico, La Superficie Delle Cose”. Ed il suono galleggia in bilico tra belle sensazioni di melodica psichedelia, dolce e senza acide incomprensioni; le chitarre spesso sanno solo di dialoghi acustici e mai di muri disturbanti, il drumming è deciso dal gustoso suono di rullante e cassa o nelle percussioni che a tratti richiamano scenari world sempre ancorati ad una fluttuante urbanizzazione. Il tutto ha un corpo che non ha presunzione e pretesa di inventare soluzioni rivoluzionarie ma resta tutto fermo in una coerenza “pop” evanescente, che spesso altera con buon gusto la classica forma strofa-ritornello ricordando in più parti il Battiato dei momenti più ispirati anche grazie ai disegni melodici che fa la voce. In questa chiave l’omaggio a De Gregori cade a pennello con Babbo In Prigione così rappresentante e colpisce – per chi la ama – Chiodi e quel ritrovarsi sfacciatamente in quella poesia di Agota Kristof, brano che più di tutti rende incisivo il lavoro di suono sulla sezione ritmica.

Quasi si ritorna con i piedi a terra nella sottaciuta Giorni Di Ottobre, di questa introduzione che riporta alla scena indie, con il suo incedere spesso corale e quella forma canzone che mi riporta ai Siberia soprattutto quando usa parole come betulle…ma sono solo impressioni, sia chiaro. E non a caso la grafica di questo lavoro ha colori di nuvole all’orizzonte e crepe di superficie nella pietra. Ed è suggestivo in questo tempo di nuvole ritrovarsi ad ascoltare come in Sogno gli Anèdone danno musica a quel discorso che la storia non dimenticherà mai, di quando il 28 agosto 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington Martin Luther King Jr. parlò del suo popolo, del popolo di tutti, di un sogno americano che non ha colori sulla pelle. La Superficie Delle Cose è un disco che non appare, che va ascoltato, che ha ricerca e personalità, ha quel sapore che prescinde dal volere popolare e verso esso si muove per l’incontro di gusto e di dialogo senza svendersi e senza mai scendere a compromessi. Un disco che va misurato a gocce piccole e puntuali…e in questa era storica in cui anche i ragazzi non capiscono più un testo scritto, temo che opere simili restino destinate al buio delle caverne o di quelle stanze intime in cui soltanto chi ha voglia di scardinare l’uscio e spegnere i cellulari può darsi la possibilità di arricchirsi e di ritrovarsi tra le scritture di Francesco “Franz” Martinello e degli Anèdone. Io ci penserei due volte prima di usare questo disco come sottofondo per i vostri cocktail a bordo piscina…maledetta superficialità che ovunque imperi nella mente di queste pecore belanti.

“L’immonda superficie delle cose, è come ghiaccio nero, come acqua col veleno”.

Autore: Anèdone Titolo Album: La Superficie Delle Cose
Anno: 2019 Casa Discografica: Schiavetti Records
Genere musicale: Cantautorale Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/anedone2019/
Membri band:
Francesca Covre – chitarra, cori
Francesco Martinello – voce, chitarra, bouzouki
Giacomo Iacuzzo – percussioni, campionamenti, batteria
Tracklist:
1.La Superficie Delle Cose
2.Giorni Di Ottobre
3.Chiodi
4.Babbo In prigione
5.Un Profilo Sbiadito
6.Sogno
7.La Veglia
Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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13th Giu2019

Orizzonte Delle Genti – Come Un Gregge

by Paolo Tocco
Caro Massimiliano Piantini voglio raccontarti una mia piccola recentissima storia di vita vissuta. Spero che basti questo per dare una forma al mio pensiero, per quel che vale, sul tuo disco d’esordio. Mi scrivo con una ragazza che non conosco. Entriamo in contatto su facebook a seguito di ricerche di altre persone. Parlando del più e del meno si arriva a trattare di argomenti inerenti al mio lavoro, dunque mi dice: “Wow, io adoro la musica e adoro parlarne”. Io le rispondo: “A me no, odio parlarne, mi annoia…c’è solo un mare di ignoranza e di superficialità”. Così lei un po’ colta di sorpresa, un po’ quasi a raccogliere una sfida e un po’ perché quando ci dicono frasi simili subito dobbiamo dimostrare che gli ignoranti e i superficiali sono sempre gli altri, quelli che parlano a vanvera, mi fa domande e vuole ascoltare la mia musica. Io le lascio un link a youtube. Ti riporto di seguito la conversazione del giorno dopo:

Bella Luna Nera mi piace molto. Complimenti.
Oh grazie mille. E cosa ti è piaciuto in particolare?
Beh il ritmo, il mood. In genere non amo i cantautori quindi ritieniti fortunato.
Grazie ancora. Ma quindi di quella canzone cosa ti è piaciuto?
Te l’ho detto… mi piace l’atmosfera che crea.
E secondo te di cosa parla?
In che senso?
La canzone dico…di cosa parla?
Beh dimmelo tu…
Io so di cosa parla. Visto che sei un’ascoltatrice di musica, visto che è la canzone di un cantautore, visto che ho lavorato quasi un anno per quel testo… sono curioso di sapere da te di cosa parla, che messaggio ti ha lasciato.

Non ha più risposto. Dunque, caro Massimiliano Piantini, capiamoci. Ma oggi che siamo sommersi di una superficialità che ha metastasi incurabili anche nel banalissimo rapporto tra le persone, oggi che addirittura non abbiamo neanche più educazione nel comportarci oltre che nella cultura e nella curiosità, oggi che il mainstream osanna Calcutta, Motta, Truppi e compagnia cantando…tu, mio caro Massimiliano Piantini, a chi pensi sia arrivato questo disco? Io penso a nessuno, facendo eccezione (forse) di ragazza, moglie, sorella, fratello, madre, padre e una ristrettissima cerchia di persone immediatamente confinante con il tuo vissuto privato. E attenzione: io trovo che sia questo uno dei più grandi complimenti che possa farti. Hai scritto un disco importante, di liriche importanti, di quella scrittura partigiana che inevitabilmente mi ha riportato dal grande Lolli (che ho avuto la fortuna di conoscere e di ammirare da vicino). Mi riporti nella danza sarcastica e intelligente di Gaber con quella preziosa Valzer Dei Precari (complimenti davvero), mi hai condotto per mano in una fotografia italiana che un Pasolini avrebbe certamente apprezzato…lo hai fatto con una non forma canzone che ormai annoia e distrae (loro) perché non si ha (loro sempre) più il cervello capace di concentrarci per più di qualche secondo e i tuoi ritornelli – semmai possiamo chiamarli così – non arrivano mai… ma sei pazzo o cosa? Anche questa recensione, dopo 3 righe è andata perduta, pattumiera che leggeranno solo gli idioti come noi o i facenti parte di quella cerchia di cui sopra, noi che possiamo considerarci (per loro sempre) irrimediabili falliti al cospetto delle estetiche di plastica industriale (osannate da loro sempre). E sono sicuro che non sei manco uno che sa farsi i selfie… sei un pazzo!!! Ma siamo in due…almeno di questo ne sono certo.

Ma sei mai andato in giro a chiedere alla gente perché si festeggia il 2 giugno? Qua siamo tutti bravi ad offenderci…ma ti prego, fallo e poi riporta su un blog le risposte. E tu ci hai scritto anche una canzone? Le scarpe chiodate, tra le gambe un fucile, ordini scritti, un copione da dire e sbatte i tacchi al regime… mah, chiedo scusa a tutti voi, sarà che sono in un cattivo periodo, ma trovo che oggi cotanta grazia partigiana, tra forza poetica e gusto melodico, sia solo polvere da scansare per evitare che si copra lo schermino glitterato del nostro magico “aifon” con cui dobbiamo fotografarci il bel culo (speriamo sodo) per dire che siamo al mare. Dunque: Massimiliano Piantini, in questo progetto che si chiama Orizzonte Delle Genti, pubblica un primo EP dal titolo Come Un Gregge. Lasciate perdere (voi, cioè i loro di prima): è canzone impegnata politicamente, socialmente, è canzone lunga anche di 6 minuti, è una canzone che pretende ascolto, cultura e attenzione. Quindi mio caro Massimiliano Piantini, se già la mia forma canzone decisamente pop è data in pasto al niente, figuriamoci un disco come il tuo, che imbecilli come me considerano prezioso…pensa tu! Che poi la tua voce gioca un ruolo importante nel richiamare quel periodo, anni 70 e contestazione proletaria, che poi non ti sei neanche piegato ad arrangiamenti banali, mi piacciono i frequenti cambi di scena che introduci, rimodulazioni del periodo e quello spezzare il flusso cosciente come accade per esempio in Ballata Per Ennedue dove alla “strofa” ostinata si accoppia una grazia distesa di “fisarmonica provenzale”…e ciò accade con eleganza, senza soluzione di continuità.

Sarà che sono legato a quella scena di musica, sarà che ho i dischi dei Cantacronache, di Amodei, di Profazio, sarà che penso che i “vari Calcutta” siano la celebrazione del niente e del vano, sarà che quando ho letto riferimenti a Le Luci Della Centrale Elettrica ho pensato ad una svista enorme, sarà quel che sarà, ma trovo che questo sia davvero un disco di arte artigiana di cantautore che ha qualcosa – finalmente – da dire. E ora voi altri offendetevi pure, datemi del presuntuoso e minacciatemi sui social. Il fatto però resta e quello non lo potete contestare: un disco come questo resterà a prendere la polvere mentre la banalità della scena indie mainstream – ma banalità bieca e ignorante – riempie le piazze di gente che “come il gregge” ripete a pappagallo versi banalissimi di cui manco ha capito granché e lo fa con il cellulare in mano per fare foto da postare sui social e dire a tutti gli altri omologati del gregge che “io c’ero”. Ascoltatevi 9 Dicembre…Apparenza. Schiavi e vittime di apparenza. Burattini, questo siamo diventati. E questo disco se ne fotte e vi volta la faccia e la schiena e pure il cuore. Se avete fegato, spegnete l’ “aifon” e provate ad ascoltare. Ascoltare…che strana parola questa! La usavano i nostri nonni. Bravo Massimiliano Piantini.

Autore: Orizzonte Delle Genti Titolo Album: Come Un Gregge
Anno: 2019 Casa Discografica: Zenith Recordings
Genere musicale: Cantautore Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: https://www.facebook.com/orizzontedellegenti/
Membri band:
Massimiliano Piantini – voce, chitarra, tastiere
Simone Sonatori – basso, chitarra
Alessandro Matteucci – tastiere, fisarmonica
Frank Andiver – batteria in 9 Dicembre
Paolo Palopoli – chitarra in Ballata Per Ennedue
Tracklist:
1. 9 Dicembre
2. Ballata Per Ennedue (Uomini E No)
3. Come Un Gregge
4. 2 Giugno 2004
5. Assolata Noia
6. Valzer Dei Precari
Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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08th Apr2019

Iacampo – Fructus

by Sara Fabrizi
Marco Iacampo, cantautore veneto già ben piazzato nel circuito cantautorale nostrano, né troppo mainstream tantomeno indie, un anno fa ha pubblicato un album, Fructus, che si pone come l’apice ideale di una trilogia iniziata nel 2012 con Valetudo e proseguita nel 2015 con Flores. Sonorità folk e pop inteso come popolare. Contaminazioni etniche, mediterranee e tropicali (brasiliane), forte della collaborazione con Leziero Rescigno (La Crus, Amor Fou) e Gui Amabis (artista e produttore brasiliano). Ne risulta un album pieno, rotondo. Non scarno ma ricco di suggestioni, pur nella sua apparente essenzialità. La sua scrittura è immediata, fresca e parla dritta all’anima. Innestata su melodie non prevedibili ma complesse e variegate. Un disco folk, quindi, ma raffinato e caldo, a tratti tenero. La varietà strumentale e i cori femminili (si sente anche la voce di una bimba) conferiscono un tono ancora più caldo ad un lavoro già molto solare. Tematiche che variano da quelle più positive a quelle meno, mantenendo sempre un piglio propositivo e ottimista.

11 tracce che si susseguono e rincorrono con l’aria di un concept album ma di tipo circolare. Più che di una evoluzione track by track potremmo parlare di una circolarità appunto, di un continuo rimando. Melodie delicate che si fanno via via più complesse e composite per poi colorarsi di soul e suggestioni geograficamente lontane. Ma senza perdere di vista la leggerezza di una scrittura sempre elegante, mai tediosa, dritta, efficace. Popolare, ma con classe. Davvero un bell’album che sa di buono, di vero, di autentico.

Autore: Iacampo Titolo Album: Fructus
Anno: 2018 Casa Discografica: Ala Bianca Group, Urtovox rec
Genere musicale: Cantautorato Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.iacampo.net
Membri band:
Marco Iacampo – voce, chitarra
Enrico Milani – violoncello
Filippo Zonta – percussioni, voce
Leziero Rescigno – cajon, percussioni, tastiere
Sergio Marchesini – fisarmonica
Gui Amabis – campionamenti
Marco Penzo – basso, contrabbasso
Tracklist:
1. Il Frutto Del Deserto
2. La Vita Nuova
3. Le Mie Canzoni
4. Dormi Fino Ad Un Giorno Nuovo
5. Dividi Il Pane
6. Così Buono
7. Un Giorno Splendido
8. Fiore Di Campo
9. I Demoni
10. Riva
11. Anni Luce
Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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08th Apr2019

Esposito – Biciclette Rubate

by Cristian Danzo
Diego Esposito, il cui nome d’arte è semplicemente il cognome, rilascia Biciclette Rubate, il suo secondo lavoro due anni dopo il debutto E’ Più Comodo Se Dormi Da Me. Ha dietro di sé un background di tutto rispetto: una apparizione ad X-Factor, una al tradizionale concerto del 1° Maggio, oltre ad avere vinto per due anni di fila (2016-2017) Area Sanremo ed avere rappresentato il cantautorato italiano all’ambasciata italiana di Pechino. Quindi un artista che ha già un ricco curriculum alle sue spalle. Partiamo subito con l’analisi di ciò che non ci piace di Biciclette Rubate. Due pezzi, Voglio Stare Con Te e Solo Quando Sei Ubriaca tentano un accattivante mix tra lo stile dell’autore ed un suono catchy e radiofonico di facile presa. In effetti, per quanto riguarda la seconda affermazione, Solo Quando Sei Ubriaca riesce appieno nel suo intento. Il problema è che si snatura tutto e l’album si sfilaccia non poco con questi due pezzi che sfociano totalmente nel pop più orecchiabile, la cui presenza nel mercato musicale è già sostanziosa, e che nulla ha da dire.

C’é anche un terzo pezzo che tenta questa via ed è, al contrario, pienamente riuscito. Diego, infatti, mantiene vive tutte le caratteristiche stilistiche di Esposito senza andare a perdersi in qualcosa di scontato. Lo stile del cantato è molto particolare in quanto Esposito declama dietro il microfono le sue liriche quasi senza respiro o pause, e senza urlare è come se lo facesse. Sembra che in lui ci sia un’urgenza di esprimere frasi, pensieri ed arrabbiature sbattendole con violenza in faccia al mondo. Ma lo fa con delicatezza, rendendo questo effetto di contrasto veramente azzeccato. I pezzi che primeggiano in Biciclette Rubate sono la opener Bollani, la chiosa di Le Viole, La Casa Di Margò e Marina Di Pisa.

Album molto ben prodotto e suonato che aprirà nuove vie a questo ragazzo. Possiamo dire che, se mieterà successo e consenso, sarà per dei veri meriti e perché la sua proposta la troviamo valida e per nulla scontata.

Autore: Esposito Titolo Album: Biciclette Rubate
Anno: 2019 Casa Discografica: iCompany/luovo
Genere musicale: Cantautoriale Voto: 7
Tipo: Digitale Sito web: https://www.facebook.com/DiegoEspositoOfficial/
Membri band:
Diego Esposito – voce
Tracklist:
1. Bollani
2. Voglio Stare Con Te
3. Biciclette Rubate
4. La Casa Di Margò
5. Solo Quando Sei Ubriaca
6. Le Canzoni Tristi
7. Diego
8. L’Amore Cos’è
9. Marina Di Pisa
10. Le Viole
Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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07th Mar2019

Martino Adriani – È In Arrivo La Tempesta

by Paolo Tocco
Non si fa così direttore. Vorrei di cuore tornare a stroncare i dischi. Posso? E quando me lo gira un disco da stroncare? Perché ad ascoltarlo bene devo salvare dalle mie taniche di napalm anche questo nuovo disco di Martino Adriani. Devo farlo…sarei ipocrita se dicessi che non mi piace. Eppure veste a pieno (o quasi) il cliché del cantautore indie di oggi, formula e cocktail che vi giuro non riesco a sopportare. Però qui, quasi da subito, si respira altro che porta fuori strada e, lasciando la statale degli indie futuristici di questo benamato c…o, si scoprono vedute assai interessanti. Perché poi alla fine non c’è storia che tenga: la semplicità, il valore delle piccole cose, la cura per ogni parola fa di un disco il vero cuore pulsante che gli fa meritare un plauso e un’ode. È In Arrivo La Tempesta come trovo tra le strofe di Bottiglia Di Chianti, il “mio” brano del disco. E la voce di Martino sia sottile come piace a me, ma non annegata di effetti che la facciano sembrare ovvia…e i suoni di questo disco sono trattati tantissimo ma neanche esageratamente pensando di lasciare evidente la corda di una chitarra, il bel tappeto di qualche sintetizzatore o le pelli dei tom e del rullante come in Per Mezz’ora Del Tuo Sguardo – bellissimo cortometraggio di 5 minuti in bilico tra tinte persiane e quel certo modo di fare dell’amore una visione nebulosa.

Le dissonanze armoniche di Paolo Conte Nello Stereo con questa melodia lirica che si fa pop e altrettanto sognante. E l’estro metropolitano di Paranoic Village che quasi richiama la Marina Marina di Rocco Granata si tinge di queste chitarre elettriche che un poco mi ricordano i REM di quel Kenneth lì. E se il singolo Ariel ha quel sapore surf che un poco tanto ricorda la bellissima Every Morning di Sugar Ray, e se Sorriso ha quel piglio metrico sulla circolare “libera – liberati” (a cui forse dobbiamo associare il bel pensiero di Finardi quando voleva liberalizzare le droghe), allora Lulù e Demoni ci fa tornare nella bellissima pittura d’autore italiana: la prima con la delicatezza delle visioni romantiche di città, la seconda con quel rock di provincia. Se mi si concede l’appunto lo farei volentieri: qui sinceramente l’effetto di voce mi piace davvero poco, butta fuori la voce dal mix e quasi rompe senza alcun preavviso quel torpore di nebbia e provincia (appunto) che tanto rende fascino al brano.

Un disco che ora dovrò misurare testi facendo, parola per parola ma da subito si percepisce quel piglio quotidiano e coerente, quella voglia di ascoltare gli altri e agli altri parlare. Martino Adriani non si inventa sacerdote e non cambia il mondo (e non lo vuole cambiare). Questo è un disco semplice ma che tradisce uno spessore che in tempi di persone meno piccole e impegnate sul nulla sarebbe divenuto un bel momento di condivisione e un bel disco di cui aver conto. Peccato che mancano ancora quelle soluzioni vincenti per il gusto e per il comun sentire che farebbero di canzoni come Bottiglie Di Chianti dei veri gioielli…per la nicchia, sempre che sia chiaro.

Caro Martino e caro direttore, se questo disco fosse anche in vinile lo farei girare con un bel bicchiere di vino nel momento in cui qualcuno mi chiede se c’è qualcosa di nuovo che sia pop, che sia cantautore, che sia assai poco convenzionale e dedito al rispetto dei cliché, che invece di chiudere le melodie in modo tradizionale le apre cercando anche di visitare altre tradizioni, che invece di usare parole d’amore usa l’amore per scrivere le parole. Semplice. Come la tempesta che quando arriva cambia le cose. Ora manca il passo successivo, ma dai suoni scorsi, questo ragazzo sembra proprio in corsa per la crescita. E ciao.

Autore: Martino Adriani Titolo Album: È In Arrivo La Tempesta
Anno: 2019 Casa Discografica: Alka Record Label
Genere musicale: Cantautore Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/MartinoAdrianiCantautore/
Membri band:
Martino Adriani – voce, chitarra
Tracklist:
1. Ariel
2. Lulù
3. Sorriso
4. Demoni
5. Bottiglie Di Chianti
6. Per Mezz’ora Del Tuo Sguardo
7. Paolo Conte Nello Stereo
8. Paranoic Village
9. Il Mio Mondo

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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31st Gen2019

Magora – Frenologia

by Paolo Tocco
Quando l’amico e illustre giornalista (ma illustre sul serio) Donato Zoppo mi fece conoscere l’opera prima, solitaria e individuale, di Roberto Fedriga ho pensato, senza mitizzare nessuno sia chiaro, di star ascoltando un gran disco: finalmente un lavoro fiero di personalità riconoscibile, di identità e di unicità in questo mare di copie su copie di scopiazzanti professionisti di formule chimiche e sonore capaci di restare nel mercato corrente. Amen. Roberto Fedriga ha saputo affascinarmi già da quell’esordio eponimo del 2014: questa voce che sull’istinto del pensiero rimanda a Daniele Groff, se non fosse che quest’ultimo ha una timbrica che apre più verso regioni squillanti e quella del Nostro si fa più roca e appena velata di nebbia, intensa nel restare comoda senza mostrarsi particolarmente invadente. E poi colpiva la scrittura che sapeva rintracciare melodie che restavano resistenti alla memoria fin dal primo ascolto, seducenti al gusto ed eleganti di semplicità. Insomma, un esordio efficace che conservo con molto interesse.

Cosa aspettarsi di diverso ora che Fedriga lascia i panni del solista e si fa band? Eccovi l’esordio pop cantautorale dei Magora dal titolo Frenologia. Questo filo conduttore che si arrampica sul concetto dei primi anni ‘800 chiamato frenologia dagli studi di Franz Joseph Gall secondo il quale il nostro caro cervello sarebbe suddivisibile o costituito da 27 zone, ognuna responsabile di specifiche funzioni psicofisiche dell’individuo. Sinceramente il filo conduttore con questo tema lo rintraccio poco e lo trovo poco utile al fine del lavoro. Diversamente sento che Frenologia abbia 10 inediti indipendenti, individuali e decisamente efficaci dalla scrittura ricca di rimandi e di innesti che si rincorrono tra le loro stesse melodie, quasi a richiamarsi a vicenda. Rimandi e assonanze. Ecco: assonanze è più corretto. Quindi assonanze velate tra la bellissima apertura Sabbia O Caffè o il singolo Damnatio Memoriae come anche sembrano apparire ombre simili nella chiusa Anice e nell’elegantissimo noir Digiuno Opportuno. Ma sono solo ombre di qualcosa che torna a caratterizzare una scrittura che si fa unica, a prescindere. Ed ecco la parola regina di questa mia piccola recensione: unicità. Niente di nuovo s’intenda, niente di rivoluzionario e niente che cambi il giro della giostra.

Voglio però sottolineare che la scrittura dei Magora (e di Fedriga nello specifico), bella o brutta che arrivi al vostro ascolto, è oggettivamente manifesto di una personalità matura e solida, che valorizza le sue naturali caratteristiche e che ne fa soluzione melodica e testuale oltre che una bellissima estetica di canto e di forma, cose preziose che in assoluto sanno imprimersi e rendersi personali. Uniche. E i Magora sanno farlo senza cercare chissà quale invenzione balorda che poi alla fine risulterà essere l’ennesima copia mal fatta delle precedenti ancora peggiori. E finalmente ho tra le man un disco “suonato”, che pare un orrore doverlo dire ma ahimè tanto è il fondo in cui siamo caduti. Altrettanto eleganti e vellutati i contributi di sax di Guido Bombardieri ma decisamente sfacciati, forse troppo, a quei R.E.M. di What’s The Frequency Kenneth – momento topico per la formazione di Stipe che pareva essere tornata a quel rock grezzo prima maniera. Pareva. E pareva male purtroppo. Ecco, forse è questa l’unico pegno che potrei far pagare ai Magora: perché in tanta personale composizione ben riuscita andare a ficcarci dentro arrangiamenti e timbriche di chitarre così decisamente caratteristiche di altri (in questo caso grandissimi altri)? Perché non cercare il proprio anche in questa direzione? Avete fatto 30…distava così tanto il 32?

La band di Athens ha dato molto all’ispirazione dei nostri a quanto pare, persino i tamburelli e gli arpeggi di I Ricordi Nel Legno sono soluzioni che hanno marchiato la loro discografia per almeno 10 anni. E nei miei immani deliri di similitudini sia fisiche che sonore, come non potrei rintracciare Begin The Begin tra le trame sottili di Piedi Umidi? Ovviamente l’estetica va appena capovolta e smussata negli angoli, stuccare via il buco lasciato dal celebre stop con riff di chitarra di Buck e tirare dritti… ma, l’istinto e il primo acchito mi rimandano a quel tempo. Non ci posso fare niente e lo so: sono un folle visionario. Ma ascoltate bene e senza pregiudizi e poi ne riparliamo. Insomma, lasciando da parte questi santi REM (pace alla musica loro), i Magora hanno sfornato un disco davvero importante che, come al solito, verrà ignorato perché dentro c’è quel tanto che serve per scomodare l’ascolto del pubblico a cercare e anzi ricercare se stessi e a perdurare fatica nel confrontarsi con qualcosa che, con mestiere e gusto, sa slittare fuori dai cliché omologati e dalle piste battute dai burattini e dai burattinai di questo santo commercio. Di fronte alla personalità ci vuole altrettanta personalità per reggere il confronto. E avere personalità, ad oggi almeno, significa emarginazione. E lo diceva Pasolini almeno mezzo secolo fa. Gran bel disco. Bravi. Per quel che può contare il mio piccolo parere.

Ah dimenticavo, a proposito di folli quanto indemoniate similitudini che vivono nella mia testa. Grazie per Qualche Morso In Più: bella di suo e niente altro da dire ma, sempre nelle mie scellerate visioni da invasato, mi avete riportato alla mente la bellissima Down River di Gravenhurst, brano di un disco memorabile per la mia vita, disco che ho perduto un giorno e che giuro, ma lo giuro seriamente, ora corro a ricomprare.

Autore: Magora Titolo Album: Frenologia
Anno: 2018 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Cantautorale Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.magora.it
Membri band:
Roberto Fedriga – voce
Andrea Lo Furno – chitarra, voce
Luca Finazzi – batteria
Alberto Lazzaroni – basso
Tracklist:
1. Sabbia O Caffè
2. Le Mani Non Dimenticano
3. Damnatio Memoriae
4. Qualche Morso In Più
5. I Ricordi Nel Legno (feat. Guido Bombardieri)
6. Piedi Umidi
7. Lara (feat. Guido Bombardieri)
8. Foce (feat. Boris Savoldelli)
9. Digiuno Opportuno (feat. Guido Bombardieri)
10. Anice
Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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19th Lug2018

Garbato – Anima Sensoriale

by Paolo Tocco

Garbato - Anima SensorialeSe dovessi assistere alla chiusura di una fabbrica di vinili penso che impazzirei. Ci sono più vinili nella mia vita che errori. Che poi un intero reparto della mia libreria è dedicata al prog. Quello verace, quello antico, quello anni ’60 e ’70. Il fottuto prog italiano e non solo…ovviamente. E nel complesso, mi lascio trasportare dalle sensazioni alchiliche di questi dischi ma dirvi di averci carpito qualche buona chiave di lettura, no…non ci sono troppo riuscito. E allora lascio da parte la didattica e penso al bello che la musica mi fa arrivare fin dentro le ossa. E ascoltando questo nuovo lavoro dei Garbato sinceramente duro fatica a digerirne le trame. Parliamo di rock e di progressive, parliamo di quella matrice lì e non si scappa per quanto in Lei Non C’è i toni si fanno decisamente acustici (quasi fosse la More Than Words in un disco degli Extreme) oppure anche in Voci Dalle Finestre si fa decisamente pop nonostante tinteggiature in stile. Per il resto questo disco dei Garbato che si intitola Anima Sensoriale non guarda in faccia alle mode del momento e va ripescando i grandi pilastri di quello che un tempo era considerato il “pop”.

Un disco di rock progressivo all’italiana maniera, figlio di questi anni moderni, suonato e niente computer (almeno non di quei computer che prendono il posto dei musicisti) e poiana voce che si pone a metà strada tra il Di Giacomo e il Di Cioccio. La sensazione, perché è una carta importante che mi posso giocare, non è positiva: mi arriva forte quel senso di chi sa e vuole celebrare il passato ma senza restituire a pieno quel sapore, quell’atmosfera. Si sente che il disco è scritto oggi, si sente che è debole di estetiche, di baroccamenti vari, non basta annientare la forma canzone dalle consuete strutture di strofe e ritornelli incollando i momenti assieme con le tipiche volute di scale elettriche. Certo, ci vuole anche questo e i Garbato sanno farlo anche molto bene senza mai esagerare troppo, anzi! Manca però quel pizzico di sale, di gusto antico, di equilibrio estetico. Una voce troppo pop anche nel mix che forse avrei preferito si amalgamasse di più nel contesto. Suoni troppo pop, troppo rigidi di bellezza. Peraltro vi segnalo che la tracklist ha un master poco convincente soprattutto nel momento in cui sbalzano avanti e indietro i volumi (si ascolti in sequenza Sento – Lei Non C’è – Voci Dalle Finestre).

Un genere di musica che certamente non cerca l’estetica da cassetta o da radio ma pone la sua personalità proprio in quel sentore alchemico e psichedelico che arriva dalla commistione del tutto. Qui sento troppi personaggi protagonisti e slegati tra loro, sento un suono pop che parla un genere prog, una voce pop che cerca l’attorialità di lunghe liriche ricche di messaggio. Si perde un poco l’attenzione, si mescolano i sensi e alla fine quasi non riesco ad orientarmi, non capisco qual è il “pesce” e quale la “carne”. Il mestiere c’è e gli ingredienti pure. Manca forse la mano per saperli mettere assieme. Il risultato non è malvagio ma se dopo l’ascolto di un disco come Ys io porto a casa personalità, riconoscibilità, storia narrata e identità, qui non accade. Accade che chiudo l’ascolto cercando di inseguire qualche buona scusa per ricordarmi dei Garbato. C’è tanto, forse troppo, anche fatto bene nel complesso ma mescolato assieme in modo poco convincente. Ma questo per carità, è sempre e solo il mio piccolo ed inutile pensiero. Seduto a bordo fiume.

Autore: Garbato

Titolo Album: Anima Sensoriale

Anno: 2018

Casa Discografica: (R)esisto

Genere musicale: Rock, Cantautorale

Voto: 5

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/ale.gabanotto

Membri band:

Gian Paolo Todaro – chitarra

Valentino Favotto – organo, piano, hammond, moog

Stefano Andreatta – basso, flauto traverso

Mauro Gatto – batteria, voce

Alessandro Gabanotto – voce

Tracklist:

  1. Riflessioni

  2. Tarocchi

  3. Stretti In Un’anima

  4. Sento

  5. Lei Non C’è

  6. Voci Dalla Finestra

  7. 1000 All’ora

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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03rd Mag2018

Paoloparòn – Vinacce (Canzoni Per Inadeguati)

by Paolo Tocco

Paoloparòn - Vinacce (Canzoni Per Inadeguati)Facciamo una premessa poco spirituale ma assai basica…eh già, anche le premesse basiche vanno fatte perché al 2018 il futuro è ancora lontano. Le mie piccole recensioni, per quel che possono valere, sono semplici e genuini punti di vista. Il mio punto di vista. Non hanno da insegnare niente a nessuno. Ma soprattutto, non sono manifesti di ira o di rivalsa vigliacca nei confronti di terzi. Ok?! Nel 2018 siamo capaci di fidarci di questo concetto? Siamo figli e fantocci di questo circo di critici, professori, recensioni, esperti di questo o di quel beato “sottuttoioevoinonsieteuncazzo”. Ed io non sono da meno. Eccomi a far la parte del saccente professore del “sottuttoiovoinonsieteuncazzo”. Ma per carità amici! Dico la mia. Sono chiamato a farlo e lo faccio con semplicità e sincerità assumendomi tutte le responsabilità per ogni stupidaggine che scrivo. Ok che viviamo in provincia, ok che anche Roma ormai è un passetto di provincia, ma proviamo a pensare che delle volte si può anche andare oltre a queste dinamiche assai – come dire – primitive. Ed ora veniamo al disco. Un disco che non mi piace. E ora provo a dirvi perché non mi piace.

Bellissimo e antimoda quando il testo che vive e vegeta nel teatro poi fa le valige, impacchetta le quinte e le luci della ribalta e si trasferisce nella forma canzone. Belle atmosfere di non omologazione, di libertà, di espressione randagia. Bellissimo in questo Vinacce (Canzoni Per Inadeguati) quel senso di disordine come fosse l’appartamento di un pittore francese, con libri e tele sparse ovunque. Bello questo suono poco curato, lasciato cadere un po’ dove vi pare. Bella la voce che se ne fotte della scena industriale delle perfezioni, stona con gusto ma lo fa con una espressione teatrale tale che sinceramente ci sta benissimo e mi piace. Bello infine quando il disco diventa “noir” un po’ ubriaco e un po’ di quartiere. Dunque? Beh signori, dai maestri del teatro canzone arriva sì il teatro ma arriva anche la canzone. Qui invece il disordine delle cose è il solo protagonista che distrae, disorienta, per lunghi tratti annoia e alla fine confonde senza lasciarmi niente da ricordare, né testo né melodia. Dicevo che ha fascino questo disordine ma il disordine poi deve essere esteticamente affascinante, quantomeno comunicativo. C’è differenza tra il disordine dei libri accatastati nella polvere e una stanza di panni sparsi ovunque. Sempre disordine è, ma…

Così in questo disco: le metriche come le strutture sono (ovviamente) irrispettose di qualsiasi cliché, ci sta. Ma Paoloparòn purtroppo le mescola e le agita nella totale anarchia. Un disco anarchico direi. Dunque io perdo il filo, perdo il fascino, perdo l’interesse. Addirittura le parole divengono inafferrabili. Fare Teatro e fare Canzone assieme significa sì irriverenza ed anarchia ma ci vuole mestiere negli arrangiamenti che devono dare spazio al teatro della parola e prendersi spazio per dare significato e fascino alla melodia della canzone. Qui è tutto gettato alla rinfusa. Gli arrangiamenti non hanno rispetto della voce e la voce non ha alcun rispetto della canzone. Rispetto poi per modo di dire, sia chiaro… forse è esagerato usare la parola rispetto. Ma ci siamo capiti. Infatti quando il disco diventa “noir” prende una piega meravigliosa, perché Paoloparòn ha belle carte da giocarsi e se solo avesse seguito una direzione artistica migliore probabilmente avrebbe dato grande resa a tutti i brani. Prendiamo la bellissima Ai Tempi Delle Chat. Ci sono tutti gli ingredienti di cui sopra. Ma qui, visto che c’è solo una chitarra (e quindi non si può fare confusione più di tanto) ecco che il brano raggiunge un livello di bellezza importante: il testo si celebra, la voce ha spazio anche per affascinarmi negli errori, ho aria per capire quanto è bella la registrazione che mi valorizza anche la saliva, la chitarra ha tempo e modo di disegnare un fuoripista mal riuscito ma bello perché il teatro è anche questo…e così via. E questo per me vale anche nei momenti di Vinacce (i vari attori della scena qui stanno al loro posto), oppure nella prima parte di Amleto 1999.

Nell’altrove del disco Paoloparò fa del pop con quel piglio progressive di anarchia melodica dove, non so spiegarvi troppo bene perché, ma sembra che tutto diventi confuso. La registrazione nelle dinamiche spinte perde di fascino, quel senso di disordine diviene troppo casuale, i libri non sono più messi in pile ma gettati dove capita. Poveri libri. Perchè Paoloparòn ha bei libri davvero. Ma a casa sua non mi viene voglia di ammirarli, piegandomi in dodici parti per non smuoverli da dove sono tanto sono fighi dove sono. Manco ci penso a che libri sono: qui l’istinto mi viene da prenderli e rimetterli in ordine. Ecco cosa mi capita ascoltando questo disco. Questo è il senso che mi arriva. Per carità… è il mio parere ci mancherebbe. In genere raramente questo genere di musica riesce a far bella mostra di sé, soprattutto in forma fredda e definitiva come la registrazione. E’ un genere che richiedono il teatro, quindi il live. E parliamo di teatro in senso esteso…in qualche misura anche un Claudio Lolli fa teatro canzone. E a meno di non scomodare i grandi vecchi, sono pochi i nomi che mi viene da fare a paragone. Forse – con molto meno pizzico teatrale in senso estetico ma con una bellissima gestione dell’anarchia strutturale – penserei a Giacomo Toni. Alcuni capitoli dei Nobraino sono degni d’esser citati in questa sede. E poi boh…

Ma se penso alle pagine di grande teatro canzone allora penso a quanto grande teatro è servito per farci sentire delle grandi canzoni. E qui, in questo disordine, non capisco se manca l’una o l’altra cosa. Ma questo lo penso io…e posso anche andare bellamente a fanculo prima che pensiate voi che questa “recensione” sia l’ennesimo attacco a certi artisti e chi ci lavora dietro. Su via. Abbiamo 40 anni amici miei. E’ solo il mio piccolo e semplicissimo pensiero. Nulla di più. Nulla di meno. Amen.

Autore: Paoloparòn

Titolo Album: Vinacce (Canzoni Per Inadeguati)

Anno: 2018

Casa Discografica: Toks Records, Music Force

Genere musicale: Cantautorale

Voto: 4,5

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/paoloparonmusic/

Membri band:

Paolo Paron – voce, chitarra, tastiere

Roberto Amadeo – basso, contrabasso

Stefano Bragagnolo – batteria, percussioni

Jvan Moda – effetti

Alice Gaspardo – trombone

Denis Bosa – violino

Luca Marian – viola

Giacomo Franzon – contrabasso

Tracklist:

  1. Mani Adatte

  2. L’allegro Caos Dello Scolapiatti

  3. Un Disegno

  4. Amleto 1999

  5. La Domenica Del Supermercato

  6. Le Ore D’estate

  7. Vinacce

  8. Lo Chiedo A Te

  9. Ai Tempi Delle Chat

  10. Via Bertaldia Blues

  11. Seasons (A Silly Indie Song)

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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