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21st Set2017

Giovanni Succi – Con Ghiaccio

by Paolo Tocco

Giovanni Succi - Con GhiaccioAvevo paura di doverci vomitare su rabbia e furore. Avevo paura di sentire l’ennesima incoerenza da finto rivoluzionario. Avevo davvero paura di dovermi pronunciare sull’ennesima prova “indie” controculturale che poi alla fine come sempre puzza di latte e spala chili di nebbia amatoriale su idee trite e ritrite vendibili come nuove invenzioni solo perché per anni sono passate inermi portate a spalla dalla sovrana indifferenza. Avevo paura…e invece alla fine vorrei prendere questo disco e farlo ascoltare a gente indie come Giovanni Truppi e a tutta la schiera di professori del mondo controculturale italiano. E qui direi che ci addentriamo a pieno in una delle chiavi di lettura di quest’opera prima di inediti di Giovanni Succi e in particolare sarebbe da citare la fumosa Bukowski. A furia di nutrirci di ignoranza e finte mode culturali, finiremo per “arrivare in pedalò” sulla rive del futuro. Ma veniamo a noi. Quando andai ad Ala Bianca per fargli ascoltare il mio demo ricevetti in risposta un commento simile: “un bel disco Paolo ma in fondo niente di nuovo”. Ora Giovanni Succi, con Ala Bianca, pubblica questo Con Ghiaccio. Premo play e capisco all’istante cosa volesse dire quel commento.

Che si prenda del sano kraut rock, si inondi di fumo notturno di bassofondo e di locale di provincia, che ci si ubriachi appena e che si faccia ammenda degli scritti della beat generation tradotta senza cut-up fino agli anni ’80…che si prenda una voce teatrale come quella di Giovanni Succi e la si tenga ferma quasi sempre in un mood intimo e a lume di candela, immersa in un vecchio Bourbon d’annata, sigaretta e qualche spillo ficcato nel fianco che da proprio al cazzo. Leggetevi Factotum di Bukowski e non Musica Per Organi Caldi. Leggete Miller e Ginsberg, leggetevi Blake e forse sarete pronti per capire le sfumature di questo disco che regala solo e soltanto visioni. E non è affatto poco. Si tenga presente anche una metrica assai fascinosa nel dire/cantare le cose come il pop di Silvestri delle volte sfoggia ma lasciate da parte l’Italia dei commerci tutti uguali: piuttosto date retta alle lamiere di Tom Waits. Con Ghiaccio è un disco di un equilibrio magico e sorprendente oltre che di un fascino letterario che richiede, anzi pretende, l’attenzione del silenzio attorno. Un impasto melodico che si ripete quasi in ogni dove del disco, dove Satana sfoggia un ricamo alla western maniera, dove Elegantissimo si impreziosisce di un background di pad alla Mokadelic, dove la società di Tutto Subito sembra estratta da un dipinto di Tom Waits (appunto)…dove l’ombra di Cohen gioca a carte con ognuno di noi che può rivedersi ovunque in questo disco.

E via dicendo si dipanano 11 inediti che l’indie maniera si sogna. Ecco come prendere l’originalità di un mood, il temperamento e il carattere forte, testi che non fanno sconti alla fantasia e alla scaltrezza di nessuno e poi l’ingrediente che più di tutti mi stupisce: la capacità che ha avuto di racchiudere in questi 11 brani nello scheletro pressoché figli della stessa matrice, mondi assai lontani e distanti, ricchi di tratti unici e inconfondibili, decisamente vincenti nella maggior parte dei casi. Ecco cosa significa dosare il mestiere, modellare, cucire, raffinare i dettagli. Ecco cosa significa far bene le cose e non sputare a vanvera concetti populisti di moda in suoni straziati e mal prodotti tanto per dire che si è rivoluzionari. Eppure questo lavoro ha distorsioni, momenti di puro istinto e casualità acustiche, questo disco è sporco di ruggine e di passione. E nonostante ciò suona come dovrebbe suonare un disco e non come una demo fatta in garage che “tanto noi siamo artisti indie”!

Con Ghiaccio è anche una biografia cantata nell’omonimo singolo su cui punto il dito come esempio cardine di quanto ho provato ad esprimere: in una distesa omogenea di scenari tendenti alla psichedelia, di una melodia che reitera la stessa soluzione, Giovanni Succi è stato capace di generare un ritornello e un sound che resta alla memoria senza doversi vendere al commercio delle forme, alle mode degli schemi e alle parole banali degli imbecilli finti intellettuali. Punto e a capo.

Autore: Giovanni Succi

Titolo Album: Con Ghiaccio

Anno: 2017

Casa Discografica: Ala Bianca Group, La Tempesta

Genere musicale: Cantautore, Kraut

Voto: 8,5

Tipo: CD

Sito web: https://soundcloud.com/giovannisucci

Membri band:

Giovanni Succi – voce, chitarra, basso, piano, tamburo

Ivan Rossi – drum machine, synth, cori, loop

Tristan Martinelli – basso, piano, percussioni, cori

Enrico Chicco Di MArzo – batteria, cori

Federico Lagomarsino Bandiani – batteria

Cosimo Franz Francavilla – sax

Tracklist:

  1. Artista Di Nicchia

  2. Rem

  3. Bukowski

  4. Sipario

  5. Il Giro

  6. Tutto Subito

  7. Satana

  8. Salva Il Mondo

  9. Arriveremo In Pedalò

  10. Elegantissimo

  11. Con Ghiaccio

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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20th Lug2017

Sawara – L’Eccitante Attesa

by Paolo Tocco

Sawara - L'Eccitante AttesaPolvere. Di polvere ce ne sta proprio tanta. E si poggia e si infila dietro la ruggine di queste travi di ferro che servivano all’impalcature del vecchio porco di questo palazzo di periferia, a due passi dalla campagna che ha un taglio al centro di cemento che porta dritto in città. E la ruggine e la polvere ti finiscono in gola e aspetto solo che arrivi sera con quel venticello e una bottiglia pesante da consumare sul terrazzo di casa. Ho preso questa casa che guarda la campagna dritto negli occhi e vaffanculo alle spalle. Qualcuno arriva prima o poi dalla città. Prima o poi. Io intanto mi metto in attesa. Sahara mi ha regalato un ascolto che avrei colorato di bianco anche io nella grafica. L’immagine di copertina è perfetta. Ma più di tutto è il suono che ha questo disco ad essere alchemico, dosato come in laboratorio per un mantecato spirituale direi assolutamente intelligente e ricco di significato. Fabio Agnesina pubblica il suo terzo disco e lo fa crudo come gli pare, scarno come gli pare, essenziale. Si intitola L’Eccitante Attesa (guarda caso) che si apre con un pezzo che merita i vertici della scena indie del cantautorato dissonante e distorto con l’unica – direi anche stupida quanto insignificante – differenza che Sawara è intonato con un timbro di voce che cade a pennello in questo dialogo coerente di un agrodolce che mescola il sottile sgusciare di una chitarra elettrica (impolverata e arrugginita) con una colorazione noir della timbrica cavernosa. Torch-song a portata di mano, riflessioni di un suo personalissimo breviario.

Si apre l’ascolto, dicevo, con il brano a mio avviso più importante di tutta l’opera: È Bello Anche Aspettarti. Penso sia l’unico brano del disco che ha in sé tutto: trasgressione, intimità. scrittura musicale di melodie importanti, intonazione poco smielata e soluzioni assai semplici. Fabio Agnesina lo dimostra ancora una volta: la semplicità è tutto. Il disco continua con altre sei fotografie di vita in attesa che raramente affondino gli artigli in un fascino estetico che ricordo facilmente ma pur sempre arrivando dritti all’obiettivo. Ananda che quasi nell’intro somiglia ad un This Must Be The Place e poi la voce non rompe l’atmosfera ma crudamente la trascina a sé. Ancora polvere Sawara. EA poi ha del deserto dentro e non c’è via di fuga se non qualche palazzo di cemento grezzo disabitato qua e là. Sul finale inatteso mood alla Lynkyn Skynyrd troppo distorti ma ci siamo…altroché se ci siamo. Non spolvero tutto il disco ma ve lo lascio scoprire perché merita. Devo ancora far pace con le liriche e le parole, durano fatica ad entrarmi dentro…le capirò presto, promesso. In un brano come Io Deludo per esempio la parola è l’unica cosa che resta a sbucar da sotto la polvere ferma immobile. Alba Ad Alba che chiude la lista degli inediti prima di dare spazio al remix della prima traccia (tra dub e urban e elettronica berlinese), è l’unico momento che un poco al volo mi fa pensare ai Placebo e un poco al grunge dei Nirvana e un altro poco ai deliri di Lindo Ferretti.

Basta così Sawara. Hai fatto un bel disco. Ora resta solo capire quanta voglia abbiamo noi di avventurarci tra le pieghe di quello che non hai detto. Perchè alla fine sembra essere tutto lì il segreto di questo tuo terzo disco. E per questo popolo dedito alle cazzate della televisione che tutto dice nel più banale dei modi in un tempo così piccolo che non è dato da ricordare, direi che è uno sforzo più sovrumano del superuomo. Invece di bruciare i boschi, cari piromani, bruciate i burattini della televisione.

Autore: Sawara

Titolo Album: L’Eccitante Attesa

Anno: 2017

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Cantautorale

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/Sawaramusic

Membri band:

Fabio Agnesina – voce, chitarra

Matteo De Capitani – chitarra, voce

Fabrizio Ratti – piano, chitarra, voce

Max Di Stefano – basso

Davide Galbusera – batteria

Tracklist:

  1. È Bello Anche Aspettarti

  2. Ananda

  3. EA

  4. Vedo Chiaro

  5. Io Deludo

  6. Corry Johnny

  7. Il Soffitto

  8. Alba Ad Alba

  9. È Bello Anche Aspettarti

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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22nd Giu2017

Eugenio In Via Di Gioia – Tutti Su Per Terra

by Paolo Tocco

Eugenio In Via Di Gioia - Tutti Su Per TerraL’ironia della sorte. Anzi delle evidenze. Ve la racconto esattamente com’è andata. Come sempre il primo ascolto di un nuovo disco è volutamente distratto e casuale. Parte (scoprirò dopo) La Punta Dell’iceberg e tra me e me penso: ecco un altro clone dei cloni di chi per ultimo ha pensato di clonare chi per primo si è inventato un sano modo di evitare di far bene il mestiere del musicista e cantautore. Ecco un altro pezzo drammaticamente uguale ad uno dei tanti (tanto sono tutti uguali) de Lo Stato Sociale. Bene. Poi il lettore, come spesso capita ha pescato random dalla libreria ed è finito proprio su Lo Stato Sociale. Vi giuro. Ero distratto, certamente, ma non stavo cuocendo le melanzane o facendo le tracce al muro. Ero a lavoro accanto allo stereo. E non ho notato la differenza di questo passaggio. Ciò significa due o forse tre cose. La prima: non conosco affatto Lo Stato Sociale tanto da non poterli riconoscere. La seconda: l’impronta di questo disco è davvero molto aderente a quel tipo di folk scanzonato che è più parlato che cantato. Terzo: che insomma dovevo fare attenzione. Chiudo ciò che stavo facendo, do fuoco alle mie B&W e mi metto in ascolto.

Eugenio In Via Di Gioia (bellissimo nome tra l’altro) sforna un secondo disco dal titolo Tutti Su Per Terra. Gioca con le parole e, ad attenzion facendo, ci sa giocare bene. I torinesi che sono un poco (anzi a guardar bene lo erano più prima) figli di un Rino Gaetano dell’era a risparmio energetico e un poco aderenti a questo maledettissimo mood indie che si parla più che cantare, sfornano 9 inediti che sinceramente mordono l’anima solo in pochissimi tratti (e per i miei gusti direi che è già un buon risultato). La prima traccia Giovani illuminat” oltre a corredarsi di un grandissimo video (ragazzi correte subito a vederlo) è davvero “il pezzo” del disco. Un bellissimo testo che non insegna ma racconta, che non educa ma invita alla riflessione. Siamo figli tutti di un presente che diventa futuro in cui il risparmio energetico non è solo nelle batterie a basso consumo ma anche nella sterile voglia che si dedica alla propria curiosità, al proprio progresso, al proprio diventare. Bravi. Un brano da condividere. Poi arriva proprio La Punta Dell’iceberg” che si…Lo Stato Sociale…ma a far bene l’attenzione si sente più cura, un pizzico di melodia in più, quel saccente modo di raccontare  il presente e poi…non riesco a farmela piacere questa formula, non c’è niente da fare. Chiedo umilmente perdono. Dalla vostra avete un ritmo tribale che un poco rimanda al “rotolamento verso sud” dei Negrita…e quindi fa figo e fa estate, ma insomma, così come Sette Camice che mi presenta un irriverente ed ironico teatro canzone sempre e soltanto sulla vita quotidiana.

In momenti come Silenzio invece torna a far capolino la canzone propriamente detta, tra l’altro dimostrando che quando ci si mettono tirano fuori suoni e soluzioni assai interessanti o come Chiodo Fisso (altro bellissimo video) che parla di un chiodo e se ne fa poi metafora di vita (se non ho letto male tra le righe o forse è così che mi piace raffigurare certi simboli) con una melodia che aprendosi pian piano sul finale mi riporta in una pop song internazionale, una di quelle che in inglese vedresti bene in una pubblicità di telefonia mobile con queste voci corali che si rimpallano ruoli e momenti. Scivola è forse la forma canzone classica di questo disco, di matrice beatlessiana o comunque inglese nel DNA, un retrogusto di soul con questi fiati restituiscono un sapore assai gradevole, pop nel più gustoso ed elegante significato. Selezione Naturale ospita il rapper “Willie Pelote” e la formula un poco urban e un poco pop si disegna nel più classico dei modi quando si ospita un artista che abbisogna di avere spazio e metriche forzate. Ed il suo intervento che nasce come comoda prosecuzione della melodia portante poi si sviluppa in un crescendo fino ad uno stop di massima tensione e giù a caduta libera sul ritornello finale. Lo feci anni fa con Caparezza e gli U’papun. Si fa così da anni. Il disco si chiude con La Prima Pace Mondiale – ancora un bel gioco di parole per questo mondo sottosopra – ancora un altra prova a Lo Stato Sociale, ancora un miscuglio di andamenti un poco tribali ed un poco soul, un brano molto aderente al mitico Ed Sheeran…però mi pare, dico mi pare, che questo sia prodotto con minore qualità rispetto al resto del disco soprattutto sulla coda del brano con questo suono che vuole sembrare gigante e la voce (ovviamente parlata) che vien fuori dalle “macerie” di un cumulo di bellezza…che però pare un poco tanto confusa.

In conclusione, questo disco se avesse avuto tutti brani del tipo di Giovani illuminati, e seconde scelte come Scivola o Silenzio credo proprio poteva giocarsela su larga scala. A parte questi momenti purtroppo mi mancano gli spunti, quelli veri, quelli importanti per fermare l’ascolto e la memoria. Come sempre mancano le idee…e non basta metter su un bel gioco lessicale quando poi è l’arredo estetico che viene a mancare. Ecco: ho proprio avuto l’impressione che troppo spesso la musica fosse un corredo alla canzone e non canzone stessa. Ma questo è sempre il mio umile quanto inutile parere. Però facciamo questo gioco, con sincerità, un gioco che sempre ci torna utile: fate ascoltare questo disco a qualcuno e d’improvviso chiedetegli di fischiettare un qualsiasi passaggio. Non avvisatelo prima altrimenti lui si prepara ed il risultato sarà forzato. Fatelo d’improvviso. Sono curioso della risposta…anche se penso di prevederla…forse…

Autore: Eugenio In Via Di Gioia Titolo Album: Tutti Su Per Terra
Anno: 2017 Casa Discografica: Libellula Music
Genere musicale: Pop, Cantautorale Voto: 6
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/EugenioInViaDiGioia/
Membri band:

Eugenio Cesaro – voce, chitarra, ukulele

Emanuele Via – pianoforte, fisarmonica, cori

Paolo Di Gioia – batteria, cajon, percussioni, cori

Lorenzo Federici – basso, cori

Tracklist:

  1. Giovan Illuminati
  2. La Punta Dell’iceberg
  3. Chiodo Fisso
  4. Sette Camicie
  5. Silenzio
  6. Obiezione
  7. Scivola
  8. Selezione Naturale (feat. Willie Peyote)
  9. La Prima Pace Mondiale
Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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15th Giu2017

Unòrsominòre – Una Valle Che Brucia

by Paolo Tocco

Unòrsominòre - Una Valle Che BruciaIeri notte ho terminato di rispondere ad una delicata intervista che ho accettato di fare. Mi rendo conto direttore che non è istituzionalmente corretto rimandare ad altri magazine ma per onor di cronaca e bellezza di contenuto ti sfido a farlo. Curo una rubrica assai accattivante dal titolo Roccia Ruvida: qualche domanda davvero balorda ad artisti più o meno noti del panorama italiano, domande cattive per invitare il malcapitato a rispondere senza filtri, per dire davvero quello che pensa. Bene: all’indomani delle nomination al Club Tenco, il buon Susa mi ha proposto di fare l’intervista sapendo che avrei avuto tante cose da dire. Perché ve ne parlo? Beh perché innanzitutto Emiliano Merlin – ovvero Unòrsominòre – sarà assolutamente d’accordo su ogni virgola che troverà scritta. E poi perché mi propongo con questo contenuto per dare ampio ed esaustivo completamento a quanto si possa dire di questo bellissimo disco dal titolo Una Valle Che Brucia. Il sound mi piace tantissimo: crudo, minimale, antiestetico…di sicuro niente che possa interessare l’alta borghesia delle orecchie fintamente fini, di sicuro niente che possa capire chi è abituato a fare della musica un perfetto oggetto di marketing, di sicuro niente che possa affascinare chi suona e concepisce un disco nell’assoluta perfezione dei suoni come prodotti di una catena di montaggio.

Il disco di Unòrsominòre suona meravigliosamente sincero, naturale e senza ermetismi filosofici. La prima traccia che apre l’ascolto ha tutto quello che serve al resto del disco per diventare quello che poi ascoltiamo. Un piano malandato, una batteria secca di pelli ruvidi, una chitarra elettrica. Meraviglioso il solo che spezza la quiete e l’equilibrio…ho sempre sognato di fare qualcosa di simile nei miei pezzi e il rimando mio personale è inequivocabile: mi trovo alla prima scena di This Must Be The Place, dentro il centro commerciale, quando la band di mocciosi suona e il solo si scolla con quella ferocia stilistica che paradossalmente non squassa alcun tipo di amalgama e di equilibrio. Ci siamo. Unòrsominòre è riuscito a pieno in questo compito. Il video che ne fa da corredo forse lo trovo monotono e troppo referenziale, troppo “pop” nella facciata. Avrei preferito polvere e distorsioni anche nelle immagini. Ed è proprio questo che adoro di questo disco: scenari psichedelici, torch-song desertiche come il monolite di 7 minuti di Uomini Contro che ascolterei in un pomeriggio afoso di rarissime ombre stando disteso sul muro di cinta della strada che porta al cimitero. Altro monolite che non annoia ma cattura: i 6 minuti di Cinofilia che presentano una chitarra acustica leggera, decisa, di carattere forte e umilissima nella sua scrittura. Con un inciso che cresce e torna circolare in un sound che si apre e quasi quasi diventa di colore Sigur Ros.

Lascio calare una mannaia di noia e di assoluta ridondanza per il brano Mattatoio: al di là del tema trattato direi che la pesantezza della postura sacerdotale che Unòrsominòre vuole avere mi pare assolutamente fuori posto. Caro Emiliano sei rimasto per tutto il disco su quel meraviglioso filo sottile di equilibrio in cui non vuoi insegnare niente a nessuno ma lanci messaggi su cui tutti dovremmo riflettere…e invece su questo brano ti lasci andare anche con raffigurazioni assai retoriche e facilmente popolari ad interpretare il Salvatore della patria che dall’alto della sua vita fa la morale a tutti. Almeno questo mi è giunto. Mattatoio a parte, il disco non scorre con trasparenza ma con estremo acume e intelligenza, anche nei momenti più “pesanti” riesce a tenermi incollato sul testo e mi trasporta nella polvere e nel vento delle sue melodie. Resta una chiusa dal titolo 18 Aprile che si fa notturno, in punta di piedi, assolutamente ispirato di sensazioni visive fluttuanti…una voce armonica che recita un “messale” poggiandosi su trame eteree di ermetici eremiti. E se Giovanni Truppi sa solamente cantilenare stonando un autocompiacimento di sé, Unòrsominòre in Canzone Del Partigiano Giovanni, Pt.1 fa storia e cultura usando (se non ho capito male) la figura del partigiano Giovanni Pesce per raccontare quanto “inutile” è stata la sua morte per un’Italia oggi che, ipocrisie a parte, sta andando alla deriva culturale e sociale. Un brano che a dire la verità si somiglia a quello di Truppi ma fortunatamente qui c’è musica e c’è contenuto.

Per il resto in tutto il disco si rintraccia quella negatività di Brondi che però, a differenza di Vasco che per un disco copia e incolla lo stesso accordo sulla stessa melodia per tutte le canzoni di tutti i suoi dischi, Unòrsominòre realizza un lavoro eterogeneo, altamente ispirato, di contenuti “contro-culturali” e di sicuro non la manda a dire. Dunque lavatevi di dosso le ipocrisie e le maschere di perbenismi sociali, facciamo per una volta quelli che si dicono la verità e mettiamo su questo disco. Restate in ascolto. Si ok, non ci sono i ritornelli ruffiani di Levante o dei TheGiornalisti, ma nella vita ricordatevi che ci sono anche gli artisti!

Autore: Unòrsominòre

Titolo Album: Una Valle Che Brucia

Anno: 2017

Casa Discografica: diNotte Records

Genere musicale: Cantautorale

Voto: 7,5

Tipo: CD

Sito web: http://www.unorsominore.it

Membri band:

unòrsominòre – voce, musica

Tracklist:

  1. Il Demone Meridiano

  2. Hubris O Preghiera Del Senza Dio

  3. Canzone Del Partigiano Giovanni (Uomini Contro Pt.1)

  4. Varsavia

  5. Mattatoio

  6. Canzone Di Alekos

  7. Uomini Contro

  8. Breve Considerazione Sul Cosmo

  9. Fare Meno / Fare Meglio

  10. Clinofilia

  11. 18 Aprile

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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19th Mag2017

Giuseppe Fiori – Spazi Di Vita Scomodi

by Aldo Pedron

Giuseppe Fiori - Spazi Di Vita ScomodiDisco d’esordio di Giuseppe Fiori, già bassista dei Rezophonic (dal 2013 ad oggi), un progetto musicale/sociale ed un supergruppo a scopo benefico che ha visto tra gli altri componenti, nomi del calibro di Caparezza, Roy Paci, il batterista Mario Riso cofondatore di Rock TV, Cristina Scabbia, Enrico Ruggeri, Pino Scotto, Omar Pedrini, e tanti altri. Giuseppe Fiori si è poi aggiunto ad un’altra formazione di pop music e in stile rock inglese (talvolta alla Baustelle) gli Egokid dal 2016 ad oggi. Dopo aver studiato al Liceo Classico Daniele Crespi di Busto Arsizio (Va) ed essersi laureato presso l’Università degli Studi a Milano, Giuseppe diventa musicista, di quelli veri, autentici, arguti, di rilievo. Tra l’altro è autore, compositore, polistrumentista, bassista, tastierista, chitarrista, produttore, ideatore e speaker nel programma radiofonico Let’s Spend The Night Together rigorosamente in streaming su Rock’n’Roll radio di Milano. Come potete aver già capito dunque, stiamo parlando di un artista insomma a 360° gradi che ha fatto della musica la sua missione. Partiamo dal titolo enigmatico Spazi Di Vita Scomodi che sta sicuramente a significare il modo in cui ognuno di noi delimita i propri confini, incontra difficoltà nel comunicare, nell’essere, nel vivere e nell’amare, un retaggio adolescenziale un sentimento di smarrimento che ha talvolta coinvolto nella stesura dei brani lo stesso autore. Il disagio, le dinamiche ma anche le varie traversie sentimentali, le delusioni e le insoddisfazioni quotidiane. L’uomo tende a erigere barricate, cerca di difendersi ma finisce per isolarsi e tutto ciò può alloggiare nel nostro subconscio ma anche nella vita reale.

Giuseppe Fiori ha una ottima scrittura cantautorale, ha fantasia e competenza, abilità e bravura nel proporre suggestioni rock a partire dagli anni 70 e al tempo stesso del rock alternativo italiano del nuovo millennio. Un disco in cui Giuseppe Fiori si misura in una particolare introspezione esistenziale senza essere troppo disilluso. Il CD è prodotto da Lele Battista e vede molti ospiti tra i quali Raffaele Fiori, il fratello batterista e il thereminista giapponese Gak Sato. Altri session men o musicisti aggiunti sono Andy Fluon alias Andrea Fumagalli dei Bluevertigo al sax nel pezzo intitolato Noi a creare un’atmosfera suggestiva ed il cantautore milanese Tao alla chitarra in ben 4 brani. Annachiara Belli è preziosa nel disco al violino in Spazio e Amore Platonico e Valentina Conte al violoncello in Oggi Mi Sono Svegliato Male, Amore Platonico e Spazio. Stilemi e peculiarità del pop rock qui, vengono presi in considerazione e rappresentati con gusto e savoir faire. Fuori Di Qui inizia con una narrazione ma il suono è incisivo al punto giusto, Oggi Mi Sono Svegliato Male parla della routine magari di un lunedì qualsiasi con il theremin (strumento usato per primo nella storia della musica rock dai Beach Boys in I Just Wasn’t Made For These Times e in Good Vibrations nel 1966). Gak Sato che vanta numerose collaborazioni tra cui quella con Vinicio Capossela, suona qui il theremin, uno strumento alquanto strano e curioso che si basa su oscillatori che lavorano in isofrequenza e producono per alterazioni delle loro caratteristiche dei suoni a seguito della presenza delle mani del musicista nel campo d’onda e che suona senza che ci sia contatto fisico tra lo strumento e l’esecutore medesimo (in Oggi Mi Sono Svegliato Male e in Significati E Significanti).

Segnali Di Fumo è una metafora della vita odierna e moderna, Fuori Di Qui è aggressiva, Toys dai suoni più sperimentali con l’utilizzo del synth. Nonostante tutto dallo stile accattivante e decisamente rock mentre in chiusura Significati E Significanti è un motivo che sembra voler idealmente racchiudere tutte le immagini degli altri brani e dove il capire è essenziale. I brani più tirati mostrano maggior efficacia ma il risultato finale è indubbiamente più che interessante. Un disco immediato che cura i minimi dettagli, carico di contenuti e che racconta la semplicità del quotidiano. Spazi Di Vita Scomodi è ben suonato, sincero, appassionato e maturo sia nelle musiche che nei testi. Un album che affronta tematiche scomode ma al tempo stesso sa essere attuale e con una scrittura cantautorale non comune. Rock d’autore.

Autore: Giuseppe Fiori

Titolo Album: Spazi Di Vita Scomodi

Anno: 2017

Casa Discografica: Discipline

Genere musicale: Cantautorale

Voto: 8

Tipo: CD

Sito web: http://www.giuseppe-fiori.com

Membri band:

Giuseppe Fiori – basso, chitarre, loop, tastiere, programmazioni, synth, piano, ukelele, sassofono, percussioni, batteria, voce

Lele Battista – tastiere, piano, microkorg,

Teisco 100 F, percussioni

Raffaele Fiori -batteria, djambe, percussioni

Tao – chitarra

Gak Sato – theremin

Andy Fluon – sax

Annachiara Belli – violino

Valentina Conte – violoncello

Manuel Lieta – farfisa, synth

Tracklist:

  1. Spazio

  2. Fuori Di Qui

  3. Amore Platonico

  4. Oggi Mi Sono Svegliato Male

  5. Segnali Di Fumo

  6. Da Domani

  7. Toys

  8. Noi

  9. Nonostante Tutto

  10. Significati E Significanti

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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20th Apr2017

One Boy Band – 33 Giri di Boa

by Paolo Tocco

One Boy Band - 33 Giri di BoaRieccomi davanti un disco che mi ha regalato non poche difficoltà nell’ascolto. E come sempre sono problemi ed impressioni mie…tutte mie. Questo esordio di One Boy Band è un po’ come quello di Mikeless quando ci regalava Il Maniaco (recensito a questa pagina). Qui a dire il vero siamo in un ambito più digitale in cui i synth di Davide Genco fanno bella mostra di un carattere un po’ introverso, corale in più punti e con una voce che strizza molto forte l’occhio e l’orecchio ai famosi Baustelle, anche se dalla sua c’è molto meno ricerca filosofica sia per quel che riguarda i testi sia per quel che riguarda la forma canzone. La prima parte del disco è decisamente pop, qualche retrogusto (mi odierete ora) alla Spandau Ballet quando suona La Mia Complice o l’improvviso cambio di timbrica (assurdo…ma è lo stesso cantante oppure mi sono perso qualcosa nei crediti? Nel caso chiedo scusa in ginocchio) un poco mi rimanda ai toni estivi degli (tremate gente) Otto Ohm. Bella l’aria che c’è ne Il Progetto che però si perde, come tutto questo disco, è liquido, è poco solido, ha poco carattere. Ascolto ogni brano e mi chiedo: dove vuole andare a parare? Melodie e arrangiamenti sono confusi e poco definiti, dopo 3 ascolti ancora ricordo particolari, qualche brano da fischiettare, qualcosa passaggio testuale che mi ha colpito. Insomma una fatica assurda che poi alla fine si traduce in un gusto che traballa.

Dal La Ballata Degli Uomini Buoni (questo titolo molto Faber che però non c’entra troppo con il mood del pezzo e del disco) l’ascolto sembra farsi intimo e raccolto, ma anche qui se mi chiedete di raccontare questo brano peraltro lunghissimo (4,15 minuti di uno stesso mood sono pesanti) ho molta difficoltà. Dei Joy Division troviamo l’omaggio Disorder, più lenta, più scura, più intima: di nuovo cambia la voce e sinceramente l’inglese mi spiazza un bel po’. Non so capire se è una buona pronuncia ma sinceramente tutto mi sarei atteso tranne che si iniziasse a parlare inglese in questo disco. L’ascolto si chiude con Ninna Nanna Dark, fate e sapori fiabeschi, che da una parte mi fanno tornare alla mente le Streghe di Gabry Ponte (e non ridete per favore) e dall’altra mi solletica l’appetito pensando a Star Me Kitten by R.E.M.

Insomma alla fine una riflessione mi viene da fare per tutti gli artisti che da One Boy Band nel vero senso della parola si presentano oggi. Una riflessione mia, tutta mia, personale: non credo sia più il tempo di sottolineare questi come prodigi. Di certo non è questa la chiave di lettura che ne volete dare, probabilmente, ma da una one man band mi aspetto una cosa che puntualmente non ritrovo: la casualità. Non so come spiegarlo, ma da progetti in cui un artista suona tutto da solo ritrovo la matematica e la perfezione che gli impianti digitali oggi offrono a due passi dal mouse. Tra questo disco e un altro disco di una band pop o cantautorale non c’è alcuna differenza. Ma quanto bello sarebbe sentire il suono che si costruisce, che si monta pezzo dopo pezzo, che è esattamente quello che tu – One Boy Band – mi suoneresti davanti alla faccia? E invece ho l’impressione di sentire i vari pezzi di un puzzle digitale montati ad arte, a questo giro però mi manca anche il carattere che mi fa capire e orientare, che mi fa restare sul pezzo. Ma come sempre forse sono io il problema, ascolterò ancora.

Autore: One Boy Band

Titolo Album: 33 Giri di Boa

Anno: 2017

Casa Discografica: Discipline

Genere musicale: Cantautorale

Voto: 5

Tipo: CD

Sito web: https://davidegenco.bandcamp.com

Membri band:

Davide Genco, voce, chitarra, ukulele

Tracklist:

  1. Elliott Smith E L’autunno

  2. Musa

  3. La Mia Complice

  4. Odissea Nel Nord-Est

  5. Due

  6. Parla Con Lei

  7. Il Progetto

  8. La Ballata Degli Uomini Buoni

  9. Il Museo Del Tempo

  10. Disorder

  11. Ninna Nanna Dark

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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06th Mar2017

Edda – Graziosa Utopia

by Giuseppe Celano

Edda - Graziosa UtopiaQuota quattro, poker pieno per Edda. Sin dal ritorno ossuto di Semper Biot, passando per il secondo Odio I Vivi, album troppo “pieno” di sé, fino a Stavolta Come Mi Ammazzerai?, Stefano aveva dato segni di rapida mutazione e lento assestamento portando un soffio di aria pulita nel mercato di produzioni trite e contraffate. È un Edda più pacato, un tantino melanconico ma più ottimista. Per dirla à la Rampoldi, dopo gli ultimi due album ci voleva un po’ di ottimismo (n.d.a.). Per l’opener, Spaziale, servirebbe una sezione distaccata e professionale di Sanremo. Un brano di altri tempi, fatto di melodie vellutate e voce quasi nuda. Edda canta per ringraziare qualcuno capace di lenire la sua insofferenza. Graziosa Utopia non è un disco aggressivo e nemmeno rivoluzionario nei testi. Le armonie sono raddrizzate da repentine intuizioni che solo un fuoriclasse come lui può sfornare. Edda è cambiato, ha lavorato molto e bene ma senza dimenticare i suoi demoni che a volte appaiono più sereni di lui. I temi coinvolti sono la paura dell’abbandono, le mediocrità di una vita che sfugge fra le mani. Le piccole contraddizioni della vita quotidiana sono passate al setaccio dal suo sguardo al fosforo bianco, impietoso e glaciale. Orchestrazioni raffinate, fiati, violino e sintetizzatori in pompa magna fanno bene il lavoro scambiandosi il testimone per evitare goffe ammucchiate.

Prodotto e suonato da Luca Bossi e Fabio Capalbo, coinvolti in questo power trio obliquo, Graziosa Utopia tira in ballo anche Giovanni Truppi in Arrivederci A Roma, un brano dissonante e ricco di contraddizioni interne in cui Edda tenta un passaggio avanguardistico, potente e visionario come sempre. Il risultato è una fusione intelligente fra il sound ‘70-‘80 e qualche occhiata acuta alla musica d’oltre oceano. Più accessibile, ma altrettanto pericoloso e penetrante, il quarto lavoro è meno roccioso, non sfrutta attacchi brutali o testi molto taglienti. Spostato da un’altra angolazione, Edda riprende in mano tutti gli elementi che lo hanno finora contraddistinto, rivedendo la propria posizione ma senza contraddirsi. Atmosfere dance club e ritmica pompata in Un Pensiero D’amore fino all’adrenalinica Picchiami che, se ascoltata bene, ha qualcosa dei Motorpsycho del periodo Phanerothyme. Zigulì è un brano veramente particolare, con una costruzione armonico-vocale impressionante. Stefano si comporta con classe e maestria, muovendosi agilmente da terreni più stabili a passaggi spigolosi in cui l’ugola parte per vibrati e tonalità alt(r)e.

Il vate del disagio è tornato, in gran forma e senza il benché minimo indugio. Stefano ha le idee chiare, ha chiuso con il passato da un pezzo prendendo altre strade prodotte da un tipo di mente in costante fermento.

Autore: Edda

Titolo Album: Graziosa Utopia

Anno: 2017

Casa Discografica: Woodworm

Genere musicale: Cantautorale

Voto: 8

Tipo: CD

Sito web: https://www.edda.net/

Membri band:

EDDA – voce, chitarra

Fabio Capalbo – batteria, drumpad

Luca Bossi – basso, tastiere

Tracklist:

  1. Spaziale

  2. Signora

  3. Benedicimi

  4. Zigulì

  5. Brunello

  6. Un Pensiero D’amore

  7. Picchiami

  8. La Liberazione

  9. Arrivederci A Roma

  10. Il Santo E Il Capriolo

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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18th Feb2017

Davide Solfrini – Vèstiti Male

by Marcello Zinno

Davide Solfrini - Vèstiti MaleSembra passato molto tempo da Muda, altro capitolo a nome Davide Solfrini recensito da noi a questa pagina e a seguire le tematiche affrontare dall’artista in questo nuovo Vèstiti Male (figlio di Luna Park) sembra esser passato ancora di più. Eppure il suo stile resta coerente e particolare allo stesso tempo: un rock vestito con lusso e con sapere cantautorale. La verve elettrica non manca e per fortuna le linee vocali scansano la classica cadenza cantautorale (a parte qualche eccezione come la titletrack) a cui fin troppi “cantantelli” si affidano per darsi uno stile. Pezzi come Cose Buone o come Una Volta Edo Un Uomo Diverso sono dei lodevoli esercizi di pop rock, eleganti e di spessore, con tutte le carte per proporre l’artista al grande pubblico, ma un pubblico sapiente e non superficiale. Arrangiamenti e produzione sono due armi vincenti a cui Davide non riesce a rinunciare e noi lo applaudiamo per questo perché su questo ambito l’album è sicuramente vincente. L’esempio è Un Giorno Piove, un brano che ha una personalità abbastanza debole ma che vede degli inserti di chitarra davvero interessanti che ne rialzano l’impatto; stesso discorso per Alto Mare e per il suo pianoforte.

È proprio qui l’essenza dello stile di oggi di Davide Solfrini, non melodie immortali né riff coinvolgenti, solo ingredienti affascinanti, elementi che fanno incantare come il synth, le percussioni e l’armonica della canzone che dà il titolo all’uscita. Come uno pittore che non realizza quadri perfetti ma pieni di dettagli pregevoli. E già solo per questo va promosso ed ascoltato.

Autore: Davide Solfrini

Titolo Album: Vèstiti Male

Anno: 2017

Casa Discografica: New Model Label

Genere musicale: Rock, Cantautorale

Voto: s.v.

Tipo: CD

Sito web: http://www.davidesolfrini.it

Membri band:

Davide Solfrini

Cristian Bonato

Tommy Graziani

Federico Megozzi

Tracklist:

  1. Portiere Notturno

  2. Cose Buone

  3. Un Giorno Piove

  4. Vèstiti Male

  5. Alto Mare

  6. Una Volta Ero Un Uomo Diverso

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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02nd Feb2017

CE’ – Di Vita, Morte E Miracoli

by Paolo Tocco

CE' - Di Vita, Morte E MiracoliUn po’ come entrare dentro un ristorante e restarne delusi o comunque non entusiasti: il solito arredamento, probabilmente anche le solite cose da mangiare e niente di niente che sia rivoluzionario. Ok però appena dopo il primo disimpegno c’è una parete che separa la sala principale…eh beh…scusate ma devo ricredermi. Ok niente di spettacolare ma decisamente siamo ad un altro livello e va specificato. Ed è così che sono “entrato” nel mondo di Cesare Isernia che con questo suo terzo disco Di Vita, Morte E Miracoli punta a lasciare un segno – se pur piccolo – ma decisamente personale. E l’ingresso non è proprio niente di che, lo ripeto, dove troviamo due brani come Il Mio Umore e Come Maradona che provano anche a cercare qualche stravaganza nei suoni ma alla fine mi danno tanto l’idea di una delle tante nostalgiche fantasie adolescenziali che si mettono su pentagramma. Però poi suona Ricordarsi Ancora Di Te che in rete tra l’altro ha un bellissimo (e sottolineo bellissimo) video e il disco prende un’altra piega. Direi che la semplicità delle immagini non poteva essere migliore e l’idea ricorsiva accompagna anche questa musica molto da Rino Gaetano (in fondo tutto il cantato di Isernia lo ricorda) dell’era moderna istituzionalizzato pop radiofonico che comunque registra male i suoi dischi. Perché la produzione di questo disco non è bellissima (e mica mi stupisce tanto parlando di scena indie), ma la semplicità di questi suoni, l’essere diretto e mai invasivo, quel gusto melodico restituisce a questo brano e a gran parte del disco un carattere davvero unico. Bravo CE’!

La successiva Luna ha quel sapore folk che si rintana nell’indie italiano con un pizzico di ingenuo romanticismo e di estive visioni d’amore, forse il momento più cantautorale (in senso strettissimo) di tutto il disco. E poi ancora, l’ascolto non ferma il gusto e mi piace continuare, e mi piace quello che sento: L’ultimo Passo forse ha una voce assai incerta nel design confezionando una melodia sì banale ma che mi riporta a pieno in un clima di vecchie case rotte della borgata fuori paese in tempi antichi. E qui anche la canzone d’autore fa il suo ingresso con grande gusto quasi a rimandarmi alle liriche dei Modena City Ramblers di Remedios La Bella (in versione acusticamente intima). E che dire della dolcezza infantile di Un Giocattolo Vecchio… ma caro CE’ però devo dirti che Un Altro Giro somigla davvero troppo a Hemingway dei Negrita…ci hai mai pensato? Pau e compagnia a parte, il disco si chiude con Alla Fine dove la voce torna sicura per quanto le melodie di nuovo vanno a cercare soluzioni che l’orecchio mio già conosce di successi antichi.

Insomma questo disco tutto sommato mi è piaciuto anche se registrato male, anche se la voce non è che sia proprio il top di gamma nella sua interpretazione, anche se in fondo ci sono troppi punti in comune con canzoni celebri del passato, però mi piace perché ha carattere e mai si piega a compromessi di stile restando invece sempre genuino. Per quello che può, come può e senza inventarsi niente. Un disco sincero e la sincerità e l’onestà intellettuale l’apprezzo molto più di una bel riverbero sul rullante.

Autore: CE’

Titolo Album: Di Vita, Morte E Miracoli

Anno: 2016

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Cantautorale

Voto: 6

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/cebandcantautore

Membri band:

Cesare Isernia – voce, chitarra

Marco Salvatore – batteria, cori

Michelangelo Bencivenga – chitarra

Massimo De Vita – basso, organo Farfisa, pianoforte

Tracklist:

  1. Il Mio Umore

  2. Come Maradona

  3. Ricordarsi Ancora Di Te

  4. Luna

  5. L’ultimo Sasso

  6. L’altra Metà

  7. Un Giocattolo Vecchio

  8. Un Altro Giro

  9. Alla Fine

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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24th Nov2016

Mercuri – Progetti Per Il Futuro

by Paolo Tocco

mercuri-progetti-per-il-futuroBel secondo tempo in un’opera di numerosi atti (glielo auguro di cuore): una metafora come un’altra per dare il benvenuto a questo secondo disco di Fabio Mercuri che pubblica con Adesiva Discografica Progetti Per Il Futuro. Un sound “digitale” ma non troppo, di quelle miscele che mescolano assieme e con buon gusto il vero ed il “fasullo” (come lo etichettò un saggio di dubbia provenienza). Sono 8 inediti, un buon numero di brani nel momento attuale in cui si celebra il tutto e subito. Bei suoni, modesti e mai aggressivi, composti ed educati che regalano un pop indie attualissimo, fresco e decisamente privo di fronzoli e stravaganze fuori portata. Il disco si apre con L’arte Del Bonsai di cui la rete ci regala anche un bel video, tra organze fanciullesche e immaginari Natalizi – per via di questi giochi di luci colorate nel buio della scena, bambini in posa e un sottofondo di musicisti sfacciatamente felici di esserci. Direi che è questo il brano centrato del disco in cui si coniuga tutto con precisa bellezza: melodia, un testo efficace che denuncia questa società fatta di demagogia e di credenze vendute a buon mercato. Belle le immagini che ci regala Mercuri: “Se l’uomo è un cliente e l’unico assente è l’amore…e sotto la lente si muove obbediente chi muore”…direi che queste frasi bastano per capire il grado di sensibilità testuale e sociale che questo lavoro regala all’ascolto.

Si prosegue poi su queste toniche e tinteggiature per quasi tutta la tracklist e purtroppo è questa la cosa che meno mi prende di questo disco: la “monotonia” strutturale di un disco che con modestia e quasi con imbarazzo azzarda di quando in quando delle variazioni sul tema. Mi si potrebbe obiettare che Universale, traccia che segue, pare accusare sintomi di malessere rock o come in Il Mio Divano dove il benvenuto ce lo dà un andamento reggae, o come il brano Ora con questo rugginoso blues che incombe…ma sono poi gli incisi distesi e quasi sempre corali con quel mood digitale perennemente in bilico e sospeso tra metallo forgiato dalla grande industria e polvere che ci riporta al punto di partenza e lo fa con fermezza e determinazione. Mi tornano alla mente i numerosi progetti che l’indie italiano ci regala su questa linea, da I Cani a Frei passando per l’esordio di Ledi dove, chi in un modo e chi in un altro, generano cellule melodiche che sembrano plastificate ma che dietro hanno grandi anime in carne ed ossa. Fabio Mercuri porta a casa un bel disco che vale la pena sottolineare a gran voce e, per quanto il mio ascolto possa essere bizzarro o maleducato, per quanto sia vero o interessante ogni singola critica che avanzo, resta oggettivamte un lavoro ben fatto, ben curato, ben prodotto e soprattutto maturo.

Ce ne fossero stati di più di pezzi come L’arte Del Bonsai probabilmente la critica di “profeti e macellai” si sarebbe schierata all’unisono. “Ci si può abituare a tutto e va bene…anche al fatto che il sogno finisce quando arriva il sole”. Buon ascolto gente.

Autore: Mercuri

Titolo Album: Progetti Per Il Futuro

Anno: 2016

Casa Discografica: Adesiva Discografica

Genere musicale: Cantautorale

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/mercuriofficial

Membri band:

Fabio Mercuri

Tracklist:

  1. L’arte Del Bonsai

  2. Universale

  3. Agosto 2013

  4. Il Mio Divano

  5. Il Resto Lo Scopri Da Te

  6. Ora

  7. L’esplorazione Di Un’epoca

  8. Una Cosa Normale

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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