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03rd Gen2021

Il Pozzo Di San Patrizio – Vagabondo Rebelde

by Raffaele Astore
Vi ricordate di Goran Brekovic? E della vecchia Premiata? Beh a questo punto basta, perché ciò dovrebbe essere sufficiente ad incuriosirvi e quindi, per voi resta un’unica alternativa. Quale? Andate subito ad ascoltare questo bel disco Vagabondo Rebelde realizzato da Il Pozzo Di San Patrizio che si presenta con un bel folk rock appassionato, pieno di derivazioni popolari, spesso con richiami anche ad altre musiche lontane come quelle irlandesi per esempio. Ma analizziamo meglio nel concreto questo lavoro che ci è pervenuto dalla redazione di RockGarage. Mentre il disco scorre, ciò che mi si para davanti sono momenti che mi ricordano vecchie esperienze come quelle vissute con i De Andrè, gli Inti Illimani, i Modena City Ramblers, insomma con tutti quegli artisti ed autori che hanno reso la musica un messaggio politico con la “p” maiuscola, senza mai strafare, senza mai citare nomi ma facendoli intuire attraverso i testi poi, Guccini a parte, tutto è scivolato un po’ e non ci è rimasto nulla forse perché la politica è cambiata (in peggio) per cui non perdiamo più tempo anche se qui Decadi fa riflettere su tutto quanto ho finora detto. Il sound de Il Pozzo Di San Patrizio è sempre più coinvolgente, fatto con quegli strumenti che per anni hanno accompagnato le scelte di grandi autori dei quali, il primo lo abbiamo già richiamato (De Andrè) mentre ora ci viene in mente il grande Guccini che di politica ne ha fatta tanta con le proprie canzoni anche se alla fine sia De Andrè che Guccini sono risultati essere dei poeti.

E non lo sono da meno questi ragazzi de Il Pozzo Di San Patrizio che con questo Vagabondo Rebelde recuperano folk, dialetto ed intrecci di musica che ritrovo spesso nelle mie pizziche. Il fatto poi che ad esempio in Storie D’Amore E Migrazione usino il dialetto ed una martellante fisarmonica, come accade nella più semplice delle canzoni popolari, dimostra come Il Pozzo Di San Patrizio sia in grado di smuovere tutta la musicalità che gli è propria. Lo dimostra la dolcezza de Dal Vangelo II probabilmente il pezzo più a portata delle nostre orecchie, pezzo in cui la chitarra acustica percorre tutto il brano sprigionando una musica dove la voce sembra appoggiarsi dolcemente per riposare. Non Ti Reggo Più,come dice il titolo stesso, mi riporta subito a Rino Gaetano ma qui siamo lontani come sound e composizione e senza nulla togliere al grande Rino, qui si continua nella piacevolezza di un disco che parla di un senso perduto delle cose che speriamo tornino ad essere quelle di sempre.

In conclusione, e nella speranza che quanta più gente possibile riesca ad ascoltare questo disco che lascia di stucco, ci è sembrato che Il Pozzo Di San Patrizio nello scrivere musica ci abbia messo tanta di quella energia pura che la si ascolta in tutto l’album, e se non bastasse a noi ha fatto l’effetto di gasarci; provate ad esempio con il blues di Vuoi Bere Con Me! Ah dimenticavo forse qualcuno ascoltando Vagabondo Rebelde potrebbe ricordarsi dei Modena City Ramblers. Bene, sono lontani anni luce da questi ragazzi.

Autore: Il Pozzo Di San Patrizio Titolo Album: Vagabondo Rebelde
Anno: 2020 Casa Discografica: RadiciMusic Records
Genere musicale: Folk Rock Voto: 8
Tipo: CD Sito: https://ilpozzodisanpatrizio.com
Membri band:
n.d.
Tracklist:
1. Back Home At Down
2. Al Parco
3. Decadi
4. Storia D’Amore E Migrazione
5. La Leggenda Di Jack Lanterna
6. Dal Vangelo II
7. Non Ti Reggo Più
8. Sincerità
9. Vuoi Bere Con Me?
10. Troll’s Dance
Category : Recensioni
Tags : Folk, Nuove uscite
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23rd Dic2020

Gwydion – Gwydion

by Alberto Lerario
I Gwydion sono una band symphonic folk metal di Lisbona, Portogallo. Si sono formati nel lontano 1995 e ad oggi hanno prodotto solo 5 album. Gwydion segue di due anni il precedente disco ed è il secondo album con il nuovo cantante Pedro Dias nonché il primo con il nuovo batterista Marta Brissos che sostituisce Pedro Correia. Il curioso moniker deriva da Gwydion Fab Don, un mago, eroe e imbroglione della mitologia gallese. Sinonimo di malizia, al mago piaceva iniziare guerre, trasformare le persone in animali, tuttavia può essere descritto anche come un eroe per molti avendo una particolare dimensione guerriera. Nell’album si avverte l’impegno e la ricerca nei testi sulla tradizione vichinga e sul personaggio stesso di Gwydion ovviamente. I testi sono molto curati dal punto di vista storico, caratterizzati da una narrazione articolata e fluida, capace di racchiudere al loro interno un bel nucleo di temi mitologici. Il sound trae molta ispirazione dagli svedesi Amon Amarth, in particolare la title track che ricorda da vicino Shield Wall (presente nell’ultimo album degli Amon Amarth).

Lungo tutto l’album si avvertono nitidamente le influenze dei maestri vichinghi, non una brutta cosa di per sé, ma rischia di diventare un po’ stantio con il passare dei minuti, soprattutto perché manca la personalità ed il pathos associati a molte band del genere risultando eccessivamente generico. Gwydion va assaporato con cautela dagli appassionati di metal e mitologia, per poterlo apprezzare appieno infatti è necessaria una grande porzione di tempo per esplorarne a dovere ogni piega.

Autore: Gwydion Titolo Album: Gwydion  
Anno: 2020 Casa Discografica: Art Gates Records
Genere musicale: Folk Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: www.gwydion.org
Membri band:
Pedro Dias – voce
Miguel Kaveirinha – chitarra
Marta Brissos – batteria
Bruno Ezz – basso
Daniel Cesar – tastiere
Tracklist:
1. Stand Alone
2. The Bards
3. The Chair Of The Sovereign
4. Hostile Alliance
5. Battle Of Alclud Ford
6. Cad Goddey
7. Gwydion
8. Dead Song
9. Steed Song
10. Ale Mead And Wine
11. A Battle
12. Plaeu Yr Reifft
13. Hammer Of The Gods
14. A Roda
Category : Recensioni
Tags : Folk
0 Comm
17th Nov2020

Sam Onso & The Kiters – Lockdown Lion

by Marcello Zinno
Se non conoscete i Sam Onso & The Kiters nessun problema, perché il loro nuovo Lockdown Lion non fa altro che riprendere alcuni dei brani dei quattro album che popolano la loro discografia e ripresentarli in un’unica uscita. Avete modo di recuperare quindi e di avvicinarvi allo stile diversificato della band, un marchio di fabbrica che guarda molto agli States e che sa essere elettrico pur confinato in un animo folk. Non a caso possiamo raccontarli proprio come una folk rock band, che ha amato nel suo passato realizzare grandi ballad dal sapore americano (Rolling è un ottimo esempio) ma anche momenti più elettrici. I secondi a noi non sono spiaciuti: Faster è il momento più rock del lotto, quasi un b-side alla Scorpions che poggia su un riff rock e perde mordente solo a causa delle liriche soffuse; Why è intrisa di vintage rock, pur avendo delle tastiere che in secondo piano incidono parecchio sulla melodia del brano; infine We’re Back Again, altro esempio di rock incalzante, seppur un po’ troppo timido nella ritmica a nostro parere.

Il loro profilo folk pop viene fuori con Less, un brano molto orecchiabile, pieno di polvere e percussioni, che fa vestire un cappello a stelle e strisce e omaggiare il passato, simile l’esperienza con Give Love. I Sam Onso & The Kiters sconfinano anche spesso, giungendo al pop più radiofonico con Lousy Day, un brano in cui non ci hanno convinti le parti vocali e il ritornello estremamente ripetuto. Poi arriva And I Would, traccia che parte sperimentale giocando in favore di un jazz(y) leggero per poi aprirsi al rock pop in una durata complessiva forse eccessiva. Questo è un punto debole del loro stile di scrittura e che sa di passato: tracce tendenzialmente troppo lunghe per essere digerite dai tempi attuali.

Lockdown Lion è una raccolta per addentrarsi nel mondo dei Sam Onso & The Kiters, un mondo fatto di folk rock, a volte un po’ più folk, altre volte più rock.

Autore: Sam Onso & The Kiters Titolo Album: Lockdown Lion
Anno: 2020 Casa Discografica: Casal Gajardo Records
Genere musicale: Folk Rock Voto: 6
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/SamOnso-the-Kiters-760551917375655/
Membri band:
Alex Redsea – chitarra, basso, voce
Uber Cavalli – basso
J.M. Le Baptiste – batteria
Tracklist:
1. Rolling
2. The Greater Thing
3. Less
4. Lousy Day
5. Why
6. Faster
7. Give Love
8. Black Sun
9. And I Would
10. Holidays
11. We’re Back Again
Category : Recensioni
Tags : Folk
1 Comm
29th Lug2020

Kalevala Hms – If We Only Had A Brain

by Massimo Volpi
Nuovo lavoro per i Kalevala Hms, band di Parma difficilmente (complimento) etichettabile e classificabile sotto un genere preciso. Mettiamo folk rock, anche se durante l’ascolto ho avuto sensazioni provenienti da Irish band, passando per i Jethro Tull, per il rock italiano (quello che non esiste più, non quello che c’è ora), le canzoni Disney, i canti di guerra e il rock comico alla Nanowar o giù di lì. Grande tecnicismo e capacità compositive, così come quelle di (ri)arrangiamento delle “cover” presenti tra le 15 tracce di questo If We Only Had A Brain (disponibile in formato fisico da settembre). Ma cerchiamo di spiegare l’inspiegabile. Si parte con Song To Sing In Case Of Armageddon, brano dalle atmosfere e dai suoni decisamente folk, suoni che ritroviamo anche nella successiva Victory Is For Suckers, violini, flauti, affiancati da riffoni di chitarra hard rock e un cantato che a volte sembra voler andare dalle parti dei Tenacious D, per poi sfociare in ritornelli da rock band più classica. Passiamo poi a Dumbo Alla Parata Nera, una reinterpretazione militare antifascista di una canzone di Dumbo della Disney. Si torna al folk, più punk, con Mickey Finn, quasi teatrale/musical, alla Les Claypool; passando per Cyberkampf, si arriva alla title track, If We Only Had A Brain, tratta dal Mago di Oz e a Die Moorsoldaten, brano originariamente scritto da prigionieri di campi di concentramento, che si apre con un coro piuttosto drammatico, cantato in tedesco.

Andando avanti, i Kalevala Hms, sorprendono ancora (!). In Root Radioed tornano i violini, tirati come anche il cantato; per un brano che riesce a passare dal folk, al funk, al rock nel giro di pochi minuti. Segue Medusa con la sua cantilena di voci e un finale quasi da opera. No Cheese=Blue Cheese strizza l’ochio all’elettronica 80s, tra Devo e Depeche Mode. Insomma, un album che non annoia e non smette mai di stupire; ripetitivo per niente, ambizioso, quanto strambo, sicuramente. Come sull’ultima delle quattro cover, Elettrochoc dei Matia Bazar, in italiano ovviamente, riarrangiato e riportato ad antico splendore. Poi c’è Principessa, che unisce Morricone e il metal, in una sorta di western di serie TV, chitarre distorte e cori epici. Chiude Tribù, con le sue sonorità epiche, cantate in italiano, che raccontano delle grandi migrazioni. La follia, quella sana; quella artistica. Di mondi lontani, eppure così vicini. Un album e una band differente.

La copertina non è delle più ispirate ma è comunque simpatica, uno zaino che sta per essere risucchiato in un vortice o buco nero, che perde cassettine, giornalini e maschere antigas. A sottolineare le più facce di questo complicato cubo di Rubik che sono i Kalevala Hms. Se solo avessi un cervello, magari potrei capirci di più. O forse è proprio il non averlo la chiave per comprenderli al meglio.

Autore: Kalevala Hms Titolo Album: If We Only Had A Brain
Anno: 2020 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Folk Rock, Folk Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/KalevalaHms/
Membri band:
Simone Casula – voce
Daniele Zoncheddu – chitarra
Dario Caradente – flauto
Enrico Cossu – viola, violino
Tommy Celletti – batteria
Francesco Vignali – basso
Tracklist:
1. Song To Sing In Case Of Armageddon
2. Victory Is For Suckers
3. Dumbo Alla Parata Nera
4. Mickey Finn
5. Cyberkampf
6. If We Only Had A Brain
7. Die Moorsoldaten
8. Root Radioed
9. Medusa
10. No Cheese=Blue Cheese
11. For The Old World
12. Elettrochoc
13. Les Peintres
14. Principessa
15. Tribù
Category : Recensioni
Tags : Folk
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01st Lug2020

Tim Vantol – Better Days

by Massimo Volpi
Better Days è il quarto album di Tim Vantol, olandese dalla faccia pulita, camicia scacchi, barba e un ottimismo contagioso. Le sue canzoni sono veri inni di positività, amicizia e gioia; anche quando trattano temi meno facili. In questo nuovo lavoro sforna altre dieci canzoni che diventano subito parte dell’ascoltatore. Per il suo modo di raccontarle, per la chiarezza e lo stile che usa, con quella sua voce chiara e roca al punto giusto, forse Tim Vantol è il “menestrello” positivo di questi anni bui. Si può accostare a Frank Turner ma, per certi versi, quelli più folk rock, non sfigurerebbe nemmeno tra le fila dei degni eredi di Bruce Springsteen. Una capacità incredibile di riscaldare l’ambiente e un songwriting davvero senza paragoni; racconta storie e coinvolge. Dalla opener No More, passando per la title track, o per Forgiveness, 5 Inch Screen e la conclusiva It’s Gonna Hurt, ogni canzone racconta una storia e chi ascolta si ritrova a farne parte. Ottimismo, amicizia, lealtà, ma anche compagnia, divertimento, birre e forza di volontà; messaggi positivi che dovrebbero diventare colonna sonora di corsi motivazionali e strumento per centri d’aiuto per depressione. Mi piacerebbe (e non mi sorprenderebbe) vedere un suo brano per i Giochi Olimpici.

Better Days è poco più di trenta minuti che agisce come una terapia. Le sue canzoni entrano da subito in circolo, i ritornelli si infilano nella testa e sembrano scritte apposta per diventare inni da stadio, sia nel caso di un concerto, sia nel caso di una partita; perché i cori che ne nascono sembrano fatti per questo, per la gioia condivisa, l’aggregazione. Atmosfera che però non è difficile ricreare anche in piccoli e più calorosi pub, dove spesso si esibisce in acustico. Uno stadio in un piccolo pub; uno stadio in un album. Un (altro) piccolo gioiello.

Autore: Tim Vantol Titolo Album: Better Days
Anno: 2020 Casa Discografica: EminorSeven
Genere musicale: Rock, Folk Voto: 8
Tipo: CD Sito web: www.timvantol.com
Membri band:
Tim Vantol
Tracklist:
1. No More
2. Tell Them
3. Better Days
4. A River Full Of Reasons
5. Haven’t You Learned
6. Forgiveness
7. Not Today
8. 5 Inch Screen
9. You Will Never
10. It’s Gonna Hurt
Category : Recensioni
Tags : Folk
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24th Giu2020

Neil Young – Homegrown

by Sara Fabrizi
Non si parla di altro in questi giorni. Lo scorso 19 giugno Neil Young ha reso pubblico un nuovo album, in realtà inciso fra il ’74 e il ’75 ma lasciato a risplendere in un cassetto, dopo averlo rimasterizzato rigorosamente in analogico per preservarne l’intento originario e lo spirito settantino. Che poi questo raggio di sole musicale abbia squarciato il cielo plumbeo di molti proprio nello stesso giorno in cui Dylan ha pubblicato, dopo 8 anni, un nuovo epico album di inediti è un’altra storia. Che sia un felice caso non lo sappiamo, e nemmeno ci interessa saperlo. Tanta grazia e bellezza ci hanno ripagati di mesi sicuramente non gioiosi. E ancora una volta l’arte ci salva, sul serio. I motivi per cui Neil abbia tenuto segreto questo scrigno di perle che è Homegrown li possiamo ipotizzare: nuvole nere sulla sua vita familiare, un matrimonio fallito, un figlio gravemente malato, la morte dovuta alla droga del suo crazy horse Danny Whitten, i sogni degli anni 60 che si infrangono, la difficoltà e il desiderio prepotente di sperare in un mondo migliore anche nei turbolenti 70s. Ho sempre pensato che Neil fosse il perfetto eroe uscito dai sixties pieno di ferite e di fuoco creativo, il testimone ideale delle lotte, individuali e collettive, del periodo. Se il sogno degli hippies sta per naufragare sotto il peso del nichilismo dei paradisi artificiali che non lo cambieranno mai questo mondo malato, se è rimasta solo rabbia e frustrazione, Neil ti dice di tenere duro e ripartire dalla natura, dalla bellezza, dall’amore, da un sentimento universale di armonia da ricercare perché è davvero tutto ciò che abbiamo. E te lo dice in album pieni di luce e pieni di ombre, Harvest (1972), On The Beach (1974). Testimonianza della lotta incessante fra il cedere alla bruttura inesorabile del mondo e il volgere uno sguardo fiducioso al buono che c’è in ogni cosa, in ogni situazione, in ogni creatura.

Se il dolore non lo si può non affrontare, allo stesso modo non si può non gioire per i piccoli miracoli, come una canzone, un fiore, un tramonto. E non c’è nulla di banale in tutto ciò, solo un sentimento di primitiva malinconia che Neil si tiene addosso da sempre come una coperta pesante ma confortevole. E non è mai cambiato, coerente nei decenni con il suo sound che sia acustico che elettrico somiglia ad un bellissimo calcio in petto, coerente con la sua visione delle cose. La scoperta di Neil Young è una catarsi che vorrei tutti affrontassero. E’ un capire ciò che conta, da che parte stare, come affrontare il proprio cammino. E tutta la sua produzione musicale gronda di queste potenti suggestioni, attraversando il tempo senza mai sembrare obsoleto, cantore hic et nunc. Ascoltando Homegrown, perdendoci in quei 12 brani in perfetto stato di grazia, non sappiamo più che anno è. Non stiamo lì a pensare al genere musicale, a come incasellarlo, a chi somigliarlo, se suona nuovo, se suona vintage. Pensiamo solo a come siano fottutamente belle quelle canzoni. Tante piccole gemme, per un durata totale di 35 minuti. E dentro c’è tutto, il suo country rock, il suo folk, il suo psychedelic, il suo rock blues, il suo proto grunge.

Tra ballad più profonde (Different Ways, White Line) e brani più scanzonati e solari (Love Is A Rose, Try, Mexico, Homegrown) si materializza la sua figura imponente ma tenera, il volto e i lunghi capelli chini sulla sua storica Gibson nera, nell’intimità del suo Broken Arrow Ranch in California, davanti al camino, o fuori che strimpella alla presenza dei suoi animali da cortile, proprio come abbiamo imparato ad apprezzarlo nelle sue fireside sessions durante il lockdown. E il piano, e la chitarra, e la sua armonica struggente, e il dobro, tutto ci scatena dentro una danza di battiti, ora più accelerati, ora più rilassati, che ci riconnettono con il nostro io più profondo, con il cosmo, con la vita che spesso sprechiamo che spesso non riusciamo ad amare.

Autore: Neil Young Titolo Album: Homegrown
Anno: 2020 Casa Discografica: Reprise
Genere musicale: Rock, Country Rock, Folk Rock Voto: 10
Tipo: CD Sito web: https://neilyoungarchives.com/
Membri band:
Neil Young –  chitarra, armonica, piano, voce
Ben Keith – pedal steel guitar, lap slide guitar, dobro, voce
Tim Drummond – basso, voce
Levon Helm – batteria
Karl T. Himmel – batteria
Robbie Robertson – chitarra
Emmylou Harris – cori
Sandy Mazzeo – cori
Stan Szelest – piano, Wurlitzer piano
Tracklist:
1. Separate Ways
2. Try
3. Mexico
4. Love Is A Rose
5. Homegrown
6. Florida
7. Kansas
8. We Don’t Smoke It Anymore
9. White Line
10. Vacancy
11. Little Wing
12. Star Of Bethlehem
Category : Recensioni
Tags : Folk
1 Comm
19th Apr2020

In Vino Veritas – Grimorium Magi

by Amleto Gramegna
Atmosfere favolistiche, rinascimentali, celtiche, ben lontani dal rock e dal progressive, con un look adeguato a quanto proposto su disco. Non conoscevamo gli In Vino Veritas e il loro nuovo album ci lascia un tantinello basiti, soprattutto se la proposta arriva dall’etichetta Black Widow di Genova, dedita al progressive o rock più hard. Comunque, facciamo pubblica ammenda e andiamo a recensire ciò che Arthuan Rebis, già nostra vecchia conoscenza (vedi alla voce The Magic Door che potete approfondire a questa pagina) propone in questo lavoro. Anzitutto non è nemmeno giusto limitare il tutto a “suoni rinascimentali o celtici”: è vero, gli stessi sono i protagonisti quasi indiscussi di ogni singola traccia, ma vi è un fondo di elettronica che non è da sottovalutare. Apre le danze Serpens Mundi, strumentale con forti influenze folk. Stesse influenze che troviamo in Precario Terrae, arricchito da un evocativo ritornello. Molto bella Danza Del Troll, evocativa e sognante, sicuramente gli appassionati di fantasy saranno accontentati con questo pezzo. Arrivati a questo punto rimaniamo un attimo interdetti: ma insomma rock niente? No.

Non sono i Blackmore’s Night, inutile girarci attorno. Niente strumenti elettrici, se non un basso fretless, oltre varie sequenze. Il gruppo da questo punto di vista non lascia troppa scelta, prendere o lasciare. Benendantie Taranis, sono da festa di San Patrizio, ritmati e trascinanti. Gargoyle, può richiamare qualcosa del primo Alan Stivell, anche se a noi ha ricordato qualcosa di Hevia. Forti influeze new age si avvertono in Morgana, brano impreziosito dalla bella voce di Federica Lanna. Il capolavoro è però in chiusura, con il brano Il Matto E Il Suo Scettro, ballata con evocativo testo in italiano, che ricorda tantissimo il primo, affascinante, Angelo Branduardi. Disco molto particolare, non per tutti ovviamente. La tentazione di premere il tasto skip è in agguato, ma se riuscite a resistere può piacervi davvero molto. Va ascoltato molte volte prima di prendere una decisione e dire “mi piace?”. Chi scrive, prima di mettere un suo parere nero su bianco lo ha ascoltato davvero tante volte, complice anche l’emergenza Covid-19 in circolazione. Dateci un ascolto bene, può essere una bella sorpresa.

Autore: In Vino Veritas Titolo Album: Grimorium Magi
Anno: 2020 Casa Discografica: Black Widow Records
Genere musicale: Pagan Folk Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: https://www.invinoveritasmusici.com/it
Membri band:
Arthuan Rebis – voce, arpa celtica, gaita galiziana
Siro Achille Nicolazzi – voce, ghironda
Nicola Caleo – percussioni
Emanuele Milletti – basso, sitar
Nicola Bellulovich – flauti, chalumeau, sax
Tracklist:
1. Serpens Mundi
2. Precatio Terrae
3. Danza Del Troll
4. Benandanti
5. Taranis
6. Mabinogi
7. Mezunemusus
8. Gargoyle
9. Morgana
10. Carmina Skaldica
11. Il Matto E Il Suo Scettro
Category : Recensioni
Tags : Folk
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01st Apr2020

Smako Acustico – Il Cartello

by Marcello Zinno
Chi non conosce gli Smako Acustico può immaginare qualcosa del loro sound dal moniker. Per chi li conosce (come noi che avevamo già parlato del loro quarto album a questa pagina) sappiamo, per certi versi, cosa dobbiamo aspettarci. Parliamo innanzitutto ai primi: gli SA non sono la classica band da amplificatori spenti e arpeggi romantici, il loro profilo “acustico” è sì fortemente cantautorale ma viene irrobustito da copiose influenze blues e pseudo deragliamenti folk; è tutto qui il loro marchio di fabbrica, insieme a delle doppie linee vocali che cercano in questo modo di dare forza alle parole le quali, altrimenti, resterebbero sommerse dagli altri (due) strumenti. Spirito rock’n’roll? Forse, perché troviamo davvero originale l’idea di dare una forma più impertinente ad uno stile (chiamiamolo acustico) che non punta per scelta su decibel, distorsioni o pedaliere varie; vero anche che con una proposta come questa continuiamo a pensare che la si possa arricchire molto di più, magari con qualcosa che davvero permetta al progetto di distinguersi (si legga The Cyborgs ad esempio).

Verso la ricerca di qualcosa di diverso ci prova con buoni risultati I Rami, un brano ben costruito e che fin dal primo ascolto dimostra di avere tutte le proprie componenti al posto giusto, compresa la crescita di pathos a partire da metà traccia; anche Il Re Del Mondo che gioca un po’ con la fantasia interpretando le parole come un veicolo anche per alleggerire la resa complessiva della traccia (anche se a noi piace molto di più il riff di chitarra), scelta che invece manca in altri brani “appesantiti” dai testi. Al contrario altri momenti come Tutancamion e Lo Schiavo ci sembrano meno accattivanti. Un binario molto particolare che va sfruttato a dovere per giungere davvero ad una destinazione che valga la pena il viaggio fatto.

Autore: Smako Acustico Titolo Album: Il Cartello
Anno: 2020 Casa Discografica: Dischi Soviet
Genere musicale: Cantautorale, Folk, Blues Voto: 6
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/smakoacustico
Membri band:
Francesco Maria Iposi – voce, tamburo
Mattia Modolo – voce, chitarra
Michele Busato – voce, chitarra
Tracklist:
1. Dracula, Le Ragazze
2. Il Cartello
3. I Rami
4. Min Kyung
5. I Barbari
6. Tutancamion
7. Se Guidi Il Camion
8. Il Re Del Mondo
9. Lo Schiavo
10. La Piazza
11. L’anima Della Festa
Category : Recensioni
Tags : Folk
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23rd Mar2020

Eilera – Waves

by Marcello Zinno
La musica celtica ha un fascino particolare ma questo può essere declinato in diverse forme. Le cornamuse usate da Jonathan Davis dei Korn hanno un risultato completamente diverso dalla musica di Enya, ciascuno cerca di confezionare in modo personale e originale quello che è il valore strettamente celtico della musica che ha in mente, dandogli una forma diversa o cercandola. Eilera ci prova fondendo proprio questa visione musicale con il folk: detto così sembra un esercizio semplice, visti i punti di contatto dei due generi, ma non lo è e non è un caso che l’album Waves mostri brani relativamente differenti tra loro. Delle sonorità più decise arrivano con Sea Widow che insieme a Soulmates mette in scena la maturità della band, la capacità di comporre dei brani molto ben arrangiati, che spaziano dalle sonorità acustiche a certo soft rock, e piacciono pur senza cedere in alcun modo alle smanie popolari delle classifiche. Da qui viene fuori il trademark della band, una musica che nasce da un animo puramente acustico ma all’interno del quale Eilera sta stretta (da non dimenticare la sua pregressa esperienza con i Chrysalis) e di tanto in tanto “esce fuori” e accetta l’ingresso di suoni differenti e di sfumature davvero apprezzabili. Non mancano momenti più “leggeri” come Roll With The Waves ma noi preferiamo sottolineare i brani più particolari, ad esempio Rebellious Town, un brano oscuro che può comporre solo chi è passato da un periodo duro.

Inutile però non sottolineare i due aspetti preponderanti nel sound di questo lavoro: il primo è la splendida voce di colei che dà il nome al progetto, assolutamente delicata ma potente allo stesso tempo, che combacia alla perfezione con lo stile musicale creato e per certi versi ci ricorda Dolores O’Riordan (soprattutto in Shades Of Blue); il secondo è la produzione assolutamente all’altezza di tutti gli strumenti e suoni inseriti in Waves, si riesce a percepire ogni piccolo contributo. Quindi chiudete gli occhi e godetevi la musica di Eilera.

Autore: Eilera Titolo Album: Waves
Anno: 2020 Casa Discografica: Inverse Records
Genere musicale: Folk Rock, Celtic Rock Voto: 6,75
Tipo: CD Sito web: www.eilera.com/
Membri band:
Eilera – voce
Roni Seppänen – chitarra
Loïc Tézénas – chitarra
Dominique Dijoux – piano, Rhodes, tastiere
Toni Paananen – batteria
Tracklist:
1. Andada
2. Aquarius
3. Sea Widow
4. Soulmates
5. She Makes Waves
6. Roll With The Waves
7. Rebellious Town
8. Shades Of Blue
9. Une Vague
10. Lili
11. La Quest
Category : Recensioni
Tags : Folk
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28th Feb2020

Boda – Darkness And Damages

by Marcello Zinno
Un album essenziale il nuovo lavoro di Daniele Rotella in arte Boda, dopo la sua esperienza con i The Rust And The Fury. Darkness And Damages è un album di folk rock che unisce la volontà psichedelica con uno spirito quasi acustico e cerca, per certi versi, di creare delle sonorità originali. Non c’è corsa nella musica di Boda che in questo lavoro ha messo su un terzetto vero e proprio dopo l’esordio del progetto, anche se spesso all’ascolto l’album assume le sembianze di un lavoro solista (Shadows). Bello il lavoro fatto alla voce, molto folk, interpretazioni differenti nei diversi momenti di questi 40 minuti di musica; ognuno dei tre musicisti ha il suo spazietto, il suo ruolo in ogni singola traccia, anche se la parte vocale è spesso prominente. Meno univoco lo sforzo di costruzione delle melodie (o meglio potremo dire delle “non melodie”): le tracce infatti si presentano con un sapore polveroso, volutamente poco orecchiabile, per certi versi eelsiano ma che lascia il sapore di amaro in bocca (Fears), quasi come fossero delle fotografie in negativo. In altri passaggi sembra tentare di elaborare il sapore del grunge, ma calpestando un sentiero più acustico, non raggiungendo quindi la meta sperata.

Eccezione è Just Needed A Friend che porta con sé un sapore sessantiano, seppur in alcuni tratti ci ricordi i Joy Division in vesti più pop, ma detiene anche un suono elettrico che ci piace. In generale Darkness And Damages ci ha lasciati parzialmente interdetti, è un album essenziale come dicevamo, privo di arrangiamenti, effetti o orpelli che servano ad arricchire le composizioni; vuole arrivare in maniera diretta ma a noi non ha affascinato.

Autore: Boda Titolo Album: Darkness And Damages
Anno: 2020 Casa Discografica: La Cura Dischi
Genere musicale: Folk Rock Voto: 5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/BodaSongsForALovelySoul/
Membri band:
Daniele Rotella – voce, chitarra
Fabrizio De Angelis – basso, voce
Diego Il Dieghino Mariani – batteria, voce
Tracklist:
1. White Dog
2. Starry Sky
3. Shadows
4. Just Needed A Friend
5. Fears
6. Broken Screen
7. Ballroom
8. All The Notes
9. 13th Floor
Category : Recensioni
Tags : Folk
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