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16th Gen2020

Selvaggi – Granelli Di Sale

by Paolo Tocco
Sto tanto pensando di lasciar questo piccolo spazio di cemento che ho sotto i piedi, a due passi dai centri commerciali e nel silenzio soporifero della provincia. Ma non è la provincia il problema. La provincia è energia. La Val Trompia è provincia. Il problema è la sensazione di essere in un posto buono. E la Val Trompia sembra esserlo, almeno ai miei occhi. E provengono da lì i Nostri, come vengono da lì le storie comuni, di gente comune…da lì vengono le ispirazioni di queste 13 nuove canzoni. Almeno così mi pare d’aver capito, anche guardando la suggestione paesaggistica del video di questo singolo di lancio Per Un Pugno Di Sale dove ritrovo l’amico Stefano Bellotti ovvero il Cisco di quella voce lì…esattamente quella voce lì. I Selvaggi ci regalano una musica che attinge a piene mani da quel cliché, un po’ irlandese, un poco scozzese, un poco folk di tante buone derive. Suonano persino il baghèt che è una specie di cornamusa, che conosco per un mio amico di provincia amante delle cornamuse. E allo spirito combat dei soliti nomi famosi rispondono con la pace dei sensi, proprie di quelle valli, con pitture a pastello e con quell’ironia per niente sottile che sembra arrivare dalla scuola milanese. E se ci arriva puzza di rivoluzione non è politica né violenta, ma è ricca di speranza e di ampi spazi aperti da guardare, dove costruire una nuova casa.

È morbidissimo questo disco, con gli spigoli ricchi di verde, come la Val Trompia di cui sono innamorato. Quindi da una parte trovo l’incanto di brani come Il Sentiero Dei Fiori o i campi liberi di A Piedi Nudi (con la feat. di Claudio Is On The Sofa) o anche quell’aria di canto reazionario che dicevo e che sento arriva dalle morbidezze di Puntalmana (dove troviamo la feat. di Andrea Bettini), ma dall’altro lato della barricata odo canti da osteria milanese – o almeno sembrano averne l’aria se pur camuffati da gente in kilt – come Lo Chiamavano Jimi o la successiva El Turnidur che ospita il rapper Dellino Farmer. E la contaminazione sembra davvero azzeccata. Nel mezzo si celebra a pieno il cliché che conosciamo e, ripetuto questo, vien chiara ogni cosa a seguire. Conosco solo ora i Selvaggi, con questo quinto disco dal titolo Granelli Di Sale e trovo che l’eccessivo uso del dialetto che non lascia spazio ad appigli da codificare anche per noi altri del resto d’Italia, lasci il disco crogiolarsi in una terra di nessuno dove, oltre agli stilemi folk da ballare, non ci arrivano chiari e traducibili i messaggi che invece penso siano una parte vincente per chi ha il dizionario a portata di mano. Le storie, i personaggi, la storia, mi sfuggono, sarò costretto a spulciare la rete per saperne di più.

Un tempo il rockabilly andava come il fuoco tra gli alberi…poi l’incendio è passato. Ora par che sia la volta di riesumare il buon vecchio folk che i Modena e la Bandabardò hanno sdoganato nelle varie derive. E poi ci sono realtà come queste che sono in piedi da anni e anni di carriera e anche chi vive di musica come me rischia di alzare le spalle e far ammenda delle sue lacune. Di certo è che in un periodo di massima contaminazione, dischi come questi dividono in due il pubblico pagante: conservatori attenti ai cliché della tradizione da un lato, i perenni annoiati dalla solita broda, cercatori d’oro delle novità futuristiche con cui evolvere la scuola degli antichi maestri. Voi da che parte state? Perché questo disco suono come mille mila altri che conosciamo, da La Tresca ai Folkabbestia passando per i più famosi delle televisioni. Forse è vero che ormai c’è troppo tanto di tutto. Forse la propria individualità va manifestata con modi altri e non sempre con i soliti modi conosciuti da quando anche uno come me era bambino! Forse però dovremmo piantarla di usare le etichette e lasciarci andare dietro il suono maturo di gente come i Selvaggi. Ci penserò su.

Autore: I Selvaggi Titolo Album: Granelli Di Sale
Anno: 2019 Casa Discografica: Cromo Music
Genere musicale: Folk Voto: 5
Tipo: CD Sito web: http://www.selvaggiband.com
Membri band:
Giovanni Pintossi – voce, chitarra
Roberto Bettinsoli – chitarra, cori
Stefano Grazioli – cornamusa bergamasca, clarinetto, flauti ocarina
Davide Boccardi – violino
Emanuele Agosti – basso
Mattia Ducoli – fisarmonica
Tracklist:
1. Cento Cartucce
2. Francesco
3. Lo Chiamavano Jimi
4. El Turnidur (feat. Dellino Farmer)
5. Terra (feat. Claudia Is On The Sofa)
6. Fomega ‘l Tributo
7. Pagheres (feat. Claudia Is On The Sofa & Marco Fedrigolli)
8. Puntalmana (feat. Andrea Bettini)
9. Per Un Pugno Di Sale (feat. Stefano “Cisco” Bellotti)
10. Il Cane Con Gli Stivali (feat. Alberto Visconti – L’orage)
11. Bala E Tambala
12. Il Sentiero Dei Fiori
13. A Piedi Nudi (feat. Claudia Is On The Sofa)
Category : Recensioni
Tags : Folk
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26th Ott2019

Palm Down – Unfamiliar Air In Familiar Places

by Piero Di Battista
Parlare di un debut album non è mai facile, considerate il vasto, quanto saturo, panorama underground nostrano. Come non è affatto facile per questi artisti riuscire a ottenere la giusta, o meglio, meritata visibilità. C’è chi ci riesce, chi no. Palm Down può riuscirci, anzi, con Unfamiliar Air In Familiar Place, mette già la basi per quello che potrebbe essere un giusto percorso artistico. Palm Down, all’anagrafe Francesco Zappia, è un classe 1995 proveniente da Roma, città che di cantautori se ne intende. Cresciuto in una band punk rock circa 2 anni fa decide di intraprendere questo nuovo tragitto. Il disco contiene dieci brani, tutti in inglese, composti da voce e chitarra dove il nostro racconta di esperienze personali, passando da momenti maliconici a episodi più speranzosi e positivi. Il sound richiama a tratti le ballad pop punk dei primi 2000 (un nome su tutti Simple Plan), e riesce pienamente nell’intento, ovvero quello di trasmettere un messaggio. Non mancano i riferimenti al cantautorato più classico, come allo stesso tempo vi sono dei leggeri ammiccamenti verso lidi più folk.

In una scena attuale dove le produzioni spesso prendono il sopravvento sugli aspetti compositivi, ben vengano questi progetti “minimali”, diretti, essenziali e senza sbavature, che dimostrano appunto che per creare della buona musica a volte basta semplicemente una discreta voce, una chitarra, qualche ricamino sturmentale come leggero contorno, e, soprattutto, delle storie da raccontare.

Autore: Palm Down Titolo Album: Unfamiliar Air In Familiar Places
Anno: 2019 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Acoustic Folk, Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: www.facebook.com/palmdownmusic
Membri band:
Francesco Zappia – voce, chitarra
Tracklist:
1. Pros In Cons
2. I Swear
3. Bother
4. Nosedive
5. Monologues
6. I Was Hurt
7. Storm Of Feelings
8. Demons And Fever
9. Latent Hysteria
10. The Shore
Category : Recensioni
Tags : Folk
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19th Ott2019

Simone Piva & I Viola Velluto – Fabbriche Polvere E Un Campanile Nel Mezzo

by Marco Pisano
Che succede quando gli scenari desertici e polverosi del far west cambiano latitudine e raggiungono il nostro paese? Devono essersi posti questa domanda Simone Piva & I Viola Velluto quando hanno inciso Fabbriche Polvere E Un Campanile In Mezzo, uscito il 25 maggio di quest’anno per l’etichetta TOKS Records, Music Force e distribuito da Egea Music. Un viaggio sonoro che ci conduce in un ambiente ostile, arido, severo e spietato, dove non puoi distrarti un attimo perché le insidie sono sempre dietro l’angolo e dove non puoi fidarti di nessuno. Sembra infatti esserci un parallelo fra la società italiana attuale, dove dominano toni accesi, duri, polemici, grettezza e individualismo, e le sonorità folk/country/rock adottate da Simone Piva e la sua band, un ponte ideale che collega l’Italia odierna con il far west americano del XIX secolo. Entrando in città, si viene subito coinvolti in una tipica rissa da saloon (La Battaglia Infuria); Da Dove Vengo è l’emblematica testimonianza della vita grama e dura che si conduceva nel far west, ricca di pericoli e di insidie. Cani Sciolti ci avverte dell’arrivo in città di un gruppo di malintenzionati, di poco di buono che vogliono solo arraffare quanto più possibile, combinare più guai che possono e scorrazzare liberi e senza freni. Imprevisti è un’oasi romantica (ma nemmeno troppo, in fondo, siamo pur sempre nel vecchio west), piccolo riparo dalla polvere e dalla durezza del deserto.

Con Oggi Si Uccide, Domani Si Muore si torna immediatamente alla dura realtà “Oggi si uccide domani si muore e intanto il mondo và così. Raccomanda l’anima a Dio, ci feriamo per difenderci. Raccomanda l’anima a Dio, che un cappio al collo non fa un impiccato”. Questa Estate è una ballad romantica e intensa, dal gusto retro e nostalgico. Sergio Leone è un tributo carico di nostalgia nei confronti del grande regista e di un’Italia che non c’è più. Si chiude il cerchio con Il Destino Di Un Uomo, altra ballad, intensa e delicata allo stesso tempo, intrisa di nostalgia nei confronti dell’infanzia e dell’innocenza che caratterizzava quell’età, lacerati tra il desiderio di essere uomo e di “continuare a ridere, giocando come da bambino con le anime buone”. Un lavoro cantautorale solcato da profonde vene folk e anche da contaminazioni rock, contraddistinto da un uso sapiente e maturo di chitarre elettriche, trombe, pianoforte e violino, che insieme creano un tessuto sonoro compatto, ma al contempo anche leggero e aggraziato, che sa alternarsi e spaziare dai momenti più energici e ritmati, a quelli più delicati e struggenti, raggiungendo nel complesso un buon equilibrio e risultando sempre accattivante e fruibile.

Autore: Simone Piva & I Viola Velluto Titolo Album: Fabbriche Polvere E Un Campanile Nel Mezzo
Anno: 2019 Casa Discografica: TOKS Records
Genere musicale: Folk, Cantautorale, Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/simonepivaeiviolavelluto/
Membri band:
Simone Piva – voce, chitarra
Luca Zuliani – contrabasso
Alan Liberale – batteria, percussioni
Francesco Imbriaco – piano, tastiere, cori
Federico Mansutti – tromba

Special guest:
Tony Longheu – chitarra
Michele Pirona – chitarra
Davide Raciti – violino
Tracklist:
1. Intro
2. La Battaglia Infuria
3. Da Dove Vengo
4. Cani Sciolti
5. Imprevisti
6. Oggi Si Uccide, Domani Si Muore
7. Sergio Leone
8. Questa Estate
9. Il Destino Di Un Uomo

Category : Recensioni
Tags : Folk
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15th Ott2019

Conny Ochs – Doom Folk

by Marcello Zinno
La copertina e il titolo di quest’album potrebbero trarre in inganno e a nostro parere sono i due più grandi errori del nuovo album di Conny Ochs. Un lavoro che si intitola Doom Folk, una copertina oscura con un viso che potrebbe (il condizionale è d’obbligo) suggerire un face painting e una stella che viene disegnata come fosse un pentacolo (non rovesciato)…cosa suggerirebbero all’ascoltatore che trova magari questo album in negozio e incuriosito vuole acquistarlo? Bene, ora premete play e vi troverete un folk da cantautore americano a cui piacciono le espressioni acustiche voce e chitarra (King Of The Dead, Gun In The Candle) o che non disprezza nemmeno momenti dal vigore più pop (Hammer To Fit) e di tanto in tanto aggiunte di strumenti vari, come percussioni e tastiere. Il doom a nostro parere è tutt’altro, semmai l’autore avrebbe dovuto utilizzare il termine “dark” per avvicinarsi maggiormente all’idea del sound di queste dodici tracce, ma avrà avuto le sue buone ragioni per scegliere questo titolo. Noi restiamo ancorati alla musica, ci piace la chitarra elettrica tagliata in Drunken Monkey (anche se è troppo timida per essere dichiarata funky) e l’espressività vocale seppur in troppi passaggi ci sia una forte ricerca melodica che sembra prendere le distanze dal rock e da qualsiasi segno di rottura si voglia dare nella scena.

A parte qualche momento in cui Conny Ochs sembra prendere l’iniziativa, l’album è un insieme di brani folk che può piacere a chi è legato a quella scena oltreoceano, mentre tutti gli altri ci troveranno poco da valorizzare, se non come dicevamo una buona interpretazione canora dell’artista.

Autore: Conny Ochs Titolo Album: Doom Folk
Anno: 2019 Casa Discografica: Exile On Mainstream Rec
Genere musicale: Folk, Cantautorale Voto: 5
Tipo: CD Sito web: https://www.connyochs.com
Membri band:
Conny Ochs
Tracklist:
1. Dark Tower
2. Crash And Burn
3. Hammer To Fit
4. King Of The Dead
5. Drunken Monkey
6. Moon
7. It’s All To Bright
8. Crawling
9. Gun In The Cradle
10. Oracle
11. New Ruins
12. Sweet Delusion
Category : Recensioni
Tags : Folk
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11th Set2019

Gap’s Orchestra – Girando Cantando

by Sara Fabrizi
Una folk rock band italica nata suonando e cantando on the road. Davvero “born to move”. Determinata a portare il proprio live itinerante per le strade del mondo. Nomade, ma con una base in Belgio. Con una formazione fluida che può variare da 1 a 4 musicisti. Destrutturata, eppure con le idee chiare sul background musicale di riferimento fatto di storie quotidiane da raccontare e impegno sociale, toccando anche temi attuali, forti. Con il piglio sbarazzino, a tratti allegro, a tratti serioso, dei cantastorie che narrano la vita facendo leva sul caro vecchio e mai obsoleto blues. Sonorità che spaziano dal folk al country rock, innestandosi sulla tradizione così internazionale e timeless dei folskinger. Girando Cantando è il secondo disco della band ed arriva nel 2018 presentandosi come la summa, ideale ed artistica, dei tanti viaggi già alle spalle. Una sorta di compendio che raccoglie tutto il lavoro fatto e tutta la vita intensamente vissuta. 10 brani che sono come 10 episodi di una serie iperrealistica, in equilibrio perfetto fra loro. Un album omogeneo e compatto, senza grossi stacchi e variazioni interne. Vivace e strutturato per mantenere alta l’attenzione dell’ascoltatore. Non ci si annoia mai. Anche nei brani più lenti e nelle ballad c’è quella grinta un po’ arrabbiata e reattiva tipica di molto blues.

I toni sornioni e di serena accettazione propri del country cedono il passo a tutto quel pathos e quella voglia di lottare per cambiare le cose tipica del blues. Vorrei fare una menzione particolare per La Ballata Delle Bugie. L’ho trovata incantevole, persa nella sua riflessività e in quel groove che mi ha ricordato tanto i mitologici Grateful Dead. Mi è sembrato di sentirci dentro Ripple. E questa suggestione a me, che sono una patita del genere, ha mandato in estasi. Un album piacevole, profondo e positivo. Che consiglio vivamente.

Autore: Gap’s Orchestra Titolo Album: Girando Cantando
Anno: 2018 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: New Folk Voto: 8
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/gapsorchestra/
Membri band:
Alessandro Vasta – voce, chitarra, armonica
Frank Pilutti – basso
Marco Olita – chitarra
Enea Guerra – batteria, percussioni
Tracklist:
1. Prologo
2. L’Onda Che Trascina
3. Monetina
4. Il Vizietto
5. La Venere Delle Lame
6. Jazz Market
7. La Ballata Delle Bugie
8. Terra Mia
9. Girando Cantando
10. Epilogo
Category : Recensioni
Tags : Folk
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16th Mag2019

The Clan – Quattro Giorni Fuori Porta

by Marcello Zinno
Mi avvicino al nuovo EP dei The Clan con gioia. Prima di tutto perché le atmosfere che da sempre creano i The Clan, con quel loro sapore profondamente irish folk, sono allegre e spingono al ballo; inoltre perché li ho visti diverse volte dal vivo e ogni volta mi hanno trasmesso l’esperienza, la passione e la coesione, caratteristiche non sempre comuni in band anche dello stesso genere. Loro sono una live band, e questo è indiscutibile, ma con questo EP fanno un salto in avanti visto che si tratta della prima uscita a loro nome con testi completamente in italiano. Scelta coraggiosa perché il loro genere musicale non è nativamente legato alla nostra lingua ma noi ci sentiamo di premiare a pieni voti questa scelta. Li premiamo proprio perché non hanno voluto “vincere facile”, e avrebbero potuto farlo considerando il loro seguito e la resa dei loro brani, piuttosto si sono messi in gioco con una dimensione decisamente nuova per loro; inoltre musicalmente il risultato finale è assolutamente positivo e, ancora una volta, l’amalgama degli strumenti e il potere emotivo del loro sound arrivano prima dei suoni diversi tra le lingue scelte nei loro testi.

Quattro sono le nuove tracce, ciascuna legata ad un giorno particolare raccontato tramite i testi. La dicotomia, che dicevamo non è per niente sonora, c’è sui racconti: le melodie veloci ed allegre spesso nascondono racconti tristi o comunque legati ad avvenimenti dolorosi, come Il Giorno Più Freddo Dell’anno che racconta di una donna che muore mentre in un inverno rigido cerca il cibo per i propri figli, o Il Giorno Prima Di Morire, un pezzo romantico ed amaro allo stesso tempo. Armonica, violino, chitarra e sezione ritmica instancabile: gli ingredienti The Clan non mancano nemmeno in questo EP. Assolutamente promossi i The Clan, anche in questa veste. E se non siete convinti andate ad un loro concerto. Ogni dubbio svanirà.

Autore: The Clan Titolo Album: Quattro Giorni Fuori Porta
Anno: 2019 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Folk Rock Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: http://www.theclanband.com
Membri band:
Angelo Roccato – voce, chitarra, mandolino
Francesco Ricci – violino
Francesco Zuretti – chitarre
Federico Villa – batteria
Max Lepore – basso
Tracklist:
1. Il Giorno Più Freddo Dell’anno
2. Il Giorno Con Te
3. Il Giorno Prima Di Morire
4. Il Giorno Migliore
Category : Recensioni
Tags : Folk
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14th Mag2019

Triomanzana – Nomads Of Rumba

by Cristian Danzo
Diciamolo subito chiaramente: questo è un disco di nicchia. E non perché sia fatto da musica sperimentale od ostica ma perché il genere affrontato è un misto di tendenze gipsy e flamenche. Un tributo che i Triomanzana dedicano a questo genere musicale che vede un sacco di appassionati in giro per il mondo, soprattutto a quelle latitudini dove questa musica è nata ed è intrinseca alla tradizione ed ai locali folk, ma che ha affascinato nel corso degli anni anche tanti musicisti di altri luoghi, soprattutto chitarristi. La band in questione arriva dall’Italia e giunge al nuovo lavoro Nomads Of Rumba dopo l’esordio del 2017 Gipsy Sound. Dicevamo, poco fa, tributo. Già perché questo album contiene solo due inediti mentre tutto il resto sono cover, reinterpretate e riarrangiate dai Nostri. Le due composizioni originali proposte sono Nomads Of Rumba e Gipsy Caravan, frizzanti e fatte per fare ballare con spensieratezza in sede live. Ovviamente, proponendo questo genere, che non prevede poi nel percorso artistico dei Nostri il cantato, le chitarre devono spiccare e non commettere errori di nessun tipo, essendo il cardine portante di tutta la struttura musicale, dove la sei corde è strumento principe e deve essere usata in maniera tecnicamente ineccepibile. Alfredo Capozucca e Daniele Prolunghi riescono pienamente nell’intento, mostrando delle capacità invidiabili sia a livello di esecuzione che di affiatamento tra loro e tra la parte ritmica eseguita dal terzo membro, il percussionista brasiliano Lucas Dinarte Patricio.

Nomads Of Rumba è, per ragioni naturali del genere proposto, consigliato agli estimatori ed ai frequentatori dei suoni gitani ed affini o a chi voglia apprezzare degli ottimi chitarristi nell’espletamento della loro esecuzione musicale.

Autore: Triomanzana Titolo Album: Nomads Of Rumba
Anno: 2019 Casa Discografica: Maxy Sound
Genere musicale: Folk, Rock Acustico Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: https://www.triomanzana.com/
Membri band:
Alfredo Capozucca – chitarra
Daniele Prolunghi – chitarra
Lucas Dinarte Patricio – percussioni
Tracklist:
1. Hanuman
2. Nomads Of Rumba
3. Body Surfing
4. Diablo Rojo
5. Fragostiniani
6. Vicking Man
7. Somnium
8. Havana
9. Gipsy Caravan
10. Spanish Rumba
11. Nomads Of Rumba (Radio Version)
Category : Recensioni
Tags : Folk
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24th Mar2019

Dyrnwyn – Sic Transit Gloria Mundi

by Cristian Danzo
I Dyrnwyn sono una band italiana, proveniente esattamente da Roma, dedita ad un pagan folk metal intransigente, di quello che strizza entrambi gli occhi alle sonorità black metal. Giungono al loro primo album intitolato Sic Transit Gloria Mundi che qui andremo ad analizzare. Come dicevamo, le sonorità proposte si alternano tra parti atmosferiche e folk a sfuriate black metal che sono delle manate in pieno volto per intensità e vigore. Ma la caratteristica artistica che più caratterizza la band è la scelta della lingua del cantato, che è l’italiano. Scelta molto coraggiosa per almeno due motivi. Il primo è che automaticamente, con questa visione identitaria ed artistica, ci si può chiudere più di una porta sul mercato estero. Allo stesso tempo, però, la cosa potrebbe incuriosire non poco i fan del genere in tutto il mondo, dato che le tematiche trattate sono concernenti l’antica Roma. Il secondo motivo è che adattare la lingua italiana, con le sue metriche complesse, ad uno stile musicale così tirato, è comunque molto difficile. Ed essendo la resa all’ascolto indubbiamente affascinante nonché riuscitissima, va davvero dato un plauso a questi ragazzi.

Per quanto riguarda invece il lato produttivo, risulta molto azzeccata la resa sonora, che si rifà sempre, a nostro avviso, a quelle produzioni leggendarie del primo periodo d’oro del black metal, dando quel tocco di vintage che non guasta a Sic Transit Gloria Mundi. Prodotto molto ben riuscito e consigliato a tutti i fan accaniti del genere. I Dyrnwyn sono sicuramente una band da seguire e marcare stretta, per vedere come proseguirà con i suoi lavori futuri e con la lunga (speriamo) carriera che I Nostri hanno davanti.

Autore: Dyrnwyn Titolo Album: Sic Transit Gloria Mundi
Anno: 2018 Casa Discografica: SoundAge Productions
Genere musicale: Folk Pagan Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://dyrnwynroma.wix.com
Membri band:
Chierry Vaccher – voce
Alessandro Mancini – chitarra
Alberto Marinucci – chitarra
Ivan Cenerini – basso
Ivan Coppola – batteria
Jenifer Clementi – flauto
Michelangelo Iacovella – tastiera
Tracklist:
1. Sic Transit Gloria Mundi
2. Cerus
3. Parati Ad Impetvm
4. Si Vis Pacem…
5. …Para Bellum
6. L’Addio Del Primo Re
7. Il Sangue Dei Vinti
8. Feralia
9. L’Assedio di Veio – CCCXCVI A.C.
Category : Recensioni
Tags : Folk
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28th Feb2019

Moes Anthill – Quitter

by Paolo Tocco
Un tempo vivevo ad Ancona e lì c’erano 2 negozi di dischi. Al tempo erano solo due. Quello più indie stava a mille anni luce da me e non avevo la macchina. Ma sotto casa, dietro vetrine poco invitanti e con un arredo scomodo e scarno, c’era il secondo negozio di CD e Musicassette. Gli LP erano praticamente spariti. Entro per sbirciare ma davanti avevo solo i grandi del mainstream. Da Tiziano Ferro a Micheal Jackson passando per gli allora famosi 883 e Neri Per Caso. Ok la pianto. Dei Pink Floyd neanche una traccia. Dunque chiesi qualcosa: non ricordo cosa ma ricordo che gli si illuminò il viso. Mi disse di seguirlo nell’altra sala. Scansò le tende e, come per magia destinata al magico incontro dei pochi, regnava la pace di un lume di candela, due poltroncine, un impianto AIFAI come si deve e del sano rum e scaglie di cioccolato. Mi fece ascoltare l’eponimo disco di Hank Schizzoe e quella meraviglia di album che è Imagine di Eva Cassidy. Due dischi a cui resterò legato per sempre. Ma soprattutto il primo: uomo blues di grande storia. L’ho studiato poco, ammetto: mi sono sempre lasciato scivolare addosso la magia di questa voce caldissima e di queste note che pennellano paesaggi. Pensavo addirittura fosse passato a miglior vita. E invece…eccotelo spuntare tra i crediti di produzione di questo nuovo disco dei Moes Anthill.

Moes Anthill, un bel quadretto di nuovo folk internazionale che fa da corona all’anima bella che è quella di Mario “Moe” Schelbert. Una corona preziosa che di primo acchito mi fa pensare a quelle band che dai Fleet Foxes o Bon Iver piuttosto che The Band (tanto per fare citazioni colte) restituiscono grande musica ad una grande voce che di base (beh non sempre direi) è una voce pulita, semplice, con quelle peculiarità che la rendono oltre le righe del didattico. Moe per il mio gusto presuntuoso sforna questi mini-glissati e quelle lievi risonanze mediose quando tocca picchi di note alte, come fa Karl Smith dei Sodastream…ecco un altro progetto che mi torna alla mente. Ed il suono di Quitter prodotto dal mio eterno compagno di viaggio Schizzoe, è un suono di acqua e di sapone, un suono che accoglie l’elettronica di synth, è un suono che si fa anche semplice di spazzole sul rullante, che si fa rock di distorsioni anche sulla voce ma sempre senza esagerare come nella splendida Virtual World…è un suono di polvere e di sudiciume tra banjo e ubriaconi al bancone, di caldo torrido e di sfide personali come in No Name Brass Bands (che tra l’altro alla fine ci parlerà di una rissa).

E le voci diventano corali quando si deve sottolineare un inciso; splendida ed internazionale New Age, efficace anche il video ufficiale che troviamo in rete. Un disco che si fa anche di quel pop da ballad on the road con tanto di hammond in sottofondo quando suona Worthwhile Waiting o And Yet It Moves (forse uno dei momenti appena appena beatlesiani di tutto l’ascolto). Chiude la titletrack del disco e qui si passi un sentore inglese, un po’ Franz Ferdinand nelle melodie vocali ma anche in quel certo modo di cantare…mi si passi la mia visione eccentrica delle cose, ecco…Quitter è stata una grandiosa scoperta. Una band che non pensavo esistesse e se è vero che non ne sentivamo la mancanza e non ha rivoluzionato la vita ed il modo di viverla, è anche vero che ha mostrato quanto altro carattere e unicità ci possa essere ancora rimescolando con semplicità ingredienti altrettanto semplici. Davvero un bel disco. Pulito. Ecco la parola di questa mia piccola recensione. Quitter è un bellissimo disco di nuovo folk pulito nell’anima e nelle sue ossa.

Autore: Moes Anthill Titolo Album: Quitter
Anno: 2019 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Neo Folk Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://moesanthill.com
Membri band:
Mario Moe Schelbert – voce, banjo, chitarra
Simone Baumann – tastiere, voce
Flurin Lanfranconi – basso
Michael Boner – chitarra, piano
Clemens Kuratle – batteria
Tracklist:
1. Retrie Restore!
2. New Age
3. Everyone Gets A Balloon
4. Yours Is Mine
5. Virtual World
6. No Name Brass Bands
7. Worthwhile Waiting
8. Finding Stones
9. And Yet It Moves
10. Quitter
Category : Recensioni
Tags : Folk
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15th Dic2018

Mr. Hope – Long Way Home

by Marcello Zinno

Mr. Hope - Long Way HomeMirco Pezzani è un artista coraggioso. Ha vissuto in vari luoghi ma ha sempre creduto nella musica e Long Way Home ne è la conferma. Particolare che abbia mosso i primi passi in progetti punk e che con il suo progetto solista abbiamo cambiato direzione, ma probabilmente proprio queste esperienze di vita lo hanno fatto crescere, come un bagaglio che diventa sempre più grande e che dopo anni ha assunto un altro peso, un’altra forma. Così il suo EP di quattro tracce, scritte un po’ qui un po’ all’estero (l’ultimo pezzo ad esempio è dedicato alla Scozia in cui lui ha vissuto), non può che non trattare della distanza rispetto al luogo che si definisce “casa” (saluti, casa, I Miss You…si ripetono nel corso dei quattro brani) e lo fa con un profondo sapore folk seppur contornato da arrangiamenti e ritmi alternativi. Il singolo Drop e il suo mood allegro (seconda strofa e ritornello) potrebbero aderire perfettamente come colonna sonora di uno spot televisivo pieno di panorami e colori pastello, gli stessi colori che Mirco sceglie (insieme all’autore Luca Argelli) per la copertina di questo EP.

Il contributo del violino è un’ulteriore sottolineatura dell’appiglio folk anche se come dicevamo si potrebbe parlare di alternative folk date le aggiunte nei brani di cui va segnalata una produzione davvero molto buona. L’inglese sembra legato a doppia mandata a questo stile musicale, chissà come sarebbe sembrato il sound di Mr. Hope con qualche pezzo in italiano…la speranza c’è.

Autore: Mr. Hope

Titolo Album: Long Way Home

Anno: 2018

Casa Discografica: (R)esisto, Massaga Produzioni

Genere musicale: Alternative Folk

Voto: s.v.

Tipo: EP

Sito web: https://www.facebook.com/misterhopefolk

Membri band:

Mirco Pezzani – voce, chitarra

Marco Cavina – violino

Massimiliano Maxx Testa – batteria

Francesco Somma – basso

Ilaria Passiatore – cori

Tracklist:

  1. Goodbye My Land

  2. Drop

  3. I Miss You

  4. The Magical Tales

Category : Recensioni
Tags : Folk
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