• Facebook
  • Twitter
  • RSS

RockGarage

      

Seguici anche su

        Il Rock e l'Heavy Metal come non li hai mai letti

  • Chi siamo
  • News
  • Recensioni
  • Articoli
  • Live Report
  • Foto Report
  • Interviste
  • Regolamento
  • Contatti
  • COLLABORA
19th Ott2017

Il Colle – Dalla Parte Dello Scemo

by Paolo Tocco

Il Colle - Dalla Parte Dello ScemoSul colle o sulla collina ci sono gli invasori. In silenzio arriva il passo del soldato e poi in silenzio resta fermo a sentire il fiume che passa lento… anche lui… troppo lento però per trascinare al mare un albero abbattuto da qualche temporale di stagione. Non sto vaneggiando. Ho reso in metafora quel che penso di questo primo disco de Il Colle dal titolo Dalla Parte Dello Scemo. Attualità di una deriva sociale in cui va di moda comprarsi la droga e dove ormai gli ultimi siamo tutti noi, drogati anche dai social e sui social, figli di una decadenza e di una ineluttabile pochezza culturale espressa in ogni dove. E gli artisti che sono chiamati alla rivoluzione? Dove sono? I nostri toscani guidati dalla voce di Fabio Cillo Picchiotti non sembrano affatto portare alta la bandiera di una controcultura e come tanti si adagiano su una forma canzone assai omologata, standard, ricca di belle frasi di circostanza che inneggiano alla denuncia politica (in senso di comunità e di popolo)… dove il pop non arriva con i ritornelli facili, ci pensa l’aria folk, di quella scanzonata di una giornata al mare, di quella che fa venir voglia di abbassare il finestrino e godersi l’aria in faccia. Il Colle ci propone un disco rionale, di bella provincia italiana, un disco appunto solare con quel tocco alla francese che sulle prime mi rimanda a Scarda di Smetto Quando Voglio. C’è dentro Rino Gaetano malamente ispirato, c’è dentro De Gregori quando i Nostri ci vanno assai vicini in Tammi Tamon (ascoltate L’Agnello Di Dio con le dovute differenze). Il picco massimo è la bellissima Mamma Ti Prego Comprami La Droga (dove i Nostri toccano le corde di Gianni Morandi) che non solo riassume in una trovata geniale tutto il leitmotiv di questo disco ma lo fa con una forma canzone assai efficace, snella e di impatto.

Per il resto questo lavoro manca di sostanza, di idee, manca di ritornelli che ricordi, mancano di messaggi che arrivano a destabilizzare – con una timida eccezione in Io Ti Amo Calimero (Parigi) e in Forse Ha Ragione Francesco. E se i giovani Pablo e il Mare avevano indovinato per molti tratti il cocktail di questo genere, Il Colle ha ancora molto da lavorare anche per la caratterizzazione di un timbro vocale che chiede, anzi pretende musica assai particolare e con un piglio assai più snello e meno “pop” nei suoni. Mi piacerebbe sentire più polvere e meno didattica che poi è esattamente la formula che ha portato un genere assai vintage nell’olimpo degli ascolti che ancora oggi contaminano tantissime cose. Dai Beatles a Gianni Morandi attraversando il surfing dei Beach Boys e via così citando mari e citando monti. Meno pop scolastico e più libertà. Le carte ci sono e sono pronte per essere giocate. Ultima cosa: nei video non fate gli attori. Se non siete attori…se non avete un regista…se non c’è l’esperienza e la competenza non fate il mestiere. Non bastano le idee, ci vuole un mestiere. Perché alla fine il risultato è assai elementare come il video di Io Ti Amo Calimero (Parigi) e così fate il gioco di chi si improvvisa a fare qualcosa…esattamente la parte di chi sui social insegna fisica quantistica e sa sempre tutto di politica e di economia. Cantate bene quando dite che oggi va di moda la droga. Io aggiungere anche che va di moda l’improvvisazione. Perchè se stiamo giocando ok…giochiamo…ma se state facendo seriamente allora ci sono grosse incongruenze tra quello che cantate e quello che mettete in scena.

In soldoni l’esordio gira, ha un equilibrio che molti neanche si sognano ma manca ancora di crescita, spiritualità e una scrittura efficace. Sempre e solo per il mio piccolo ed umile punto di vista.

Autore: Il Colle

Titolo Album: Dalla Parte Dello Scemo

Anno: 2017

Casa Discografica: Produzioni Accademia dei malinconici cronici

Genere musicale: Pop Folk

Voto: 6

Tipo: CD

Sito web: https://soundcloud.com/il-colle

Membri band:

Fabio Cillo Picchiotti – voce, armonica

Francesco Cecco Cecchi – batteria, cajon, percussioni

Giacomo Giacomino Volterrani – chitarra

Dario Dorione Lotti – basso

Matteo Guasti – cori, tastiere, programmazione

Alessandro Mascatelli – chitarra

Valerio Saini – fisarmonica, programmazione

Mario Marmugi – percussioni

Tracklist:

1. Intro
2. Con in tasca la morte
3. Io ti amo Calimero
4. Forse ha ragione Francesco
5. Dietro l’angolo il demone
6. Alla deriva alla casa del popolo
7. Passeggero dove vai
8. Alessandra
9. Mamma ti prego comprami la droga
10. L’albero di cedro
11. Tammi tamon
12. Camomilla e tisana

Category : Recensioni
Tags : Folk
0 Comm
23rd Lug2017

Oregon Trees – Hoka Key

by Marcello Zinno

Oregon Trees - Hoka KeyPrendete un Bob Dylan nel pieno della sua gioventù e vestitelo con abiti giovanili dei tempi d’oggi, poi magari cercate di togliergli quella sua immagine da americano un po’ smarrito, senza fissa dimora e dategli una cittadinanza inglese, magari inserendolo in un periodo preciso dell’anno, di qualsiasi anno: l’estate. Questa l’immagine che ci viene in mente ascoltanto l’EP di debutto degli Oregon Trees, giovane formazione che si altalena tra strutture folk, ritmi e melodie indie e abiti (sempre musicalmente parlando) pop. Questa l’immagine chiara offerta da Eden e If I Went Back (con un cantato un po’ troppo calcato in quest’ultimo brano) mentre in altri momenti come Colors si punta a qualcosa di più orecchiabile. In No One si ricalca la matrice rock della band, stile che a nostro parere attecchirebbe di più negli ascolti oltre oceano, arricchito il tutto da un ritornello perfetto per le radio; sempre folk ma più ricercato nell’ultima che dà il titolo all’EP.

Una prova che si presta alla stagione che stiamo vivendo ma che noi speriamo in futuro possa divenire qualcosa di più impegnato, magari da consumare “4-stagioni-su-4”.

Autore: Oregon Trees

Titolo Album: Hoka Key

Anno: 2017

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Folk, Indie Rock

Voto: s.v.

Tipo: EP

Sito web: https://www.facebook.com/oregontreesband/

Membri band:

Andrea Piantoni – voce, chitarra, piano

Stefano Borgognoni – batteria, percussioni

Andrea Buffoli – chitarra

Tracklist:

  1. Eden

  2. Colors

  3. If I Went Back

  4. No One

  5. Hoka Key

Category : Recensioni
Tags : Folk
0 Comm
25th Giu2017

Jethro Tull – Stormwatch

by Raffaele Astore

Jethro Tull - StormwatchStormwatch è considerato il terzo e ultimo album di una trilogia di folk rock, iniziata dai Jethro Tull con i precedenti Songs From The Wood e Heavy Horses. Questa volta, il concept album è costruito intorno al tema della fine del mondo, quasi una sorta di premonizione della quale il gruppo si sta facendo portavoce. Il pianeta ha esaurito le risorse, tutto intorno è caos, un orso polare si prepara ad annientare una raffineria mentre un menestrello (?!) osserva il panorama con un binocolo. Sembra quasi di trovarsi di fronte ad una naturale prosecuzione di quanto i Jethro avevano sviluppato con Songs From The Wood ma anche con lo stesso Heavy Horses. Qui però la musica è…tutt’altra musica. I principi popolari intrinseci nella band sembrano essersi volatilizzati a favore di un ritorno dei Jethro alla vecchia fase e Stormwatch è molto più effervescente. Lo dimostrano le tracce dell’album che fanno vedere quanto Anderson & C. siano in piena forma, tracce ricche di ritmica, potenza, ben costruite. A volte però, questo Stormwatch sembra essere monotono anche se poi alla fine dimostra tutto il contrario; certo, i dischi dei Jethro non sono da ascoltare un giorno sì ed uno no, ma se ascoltati o riascoltati a debita distanza di tempo, ogni volta le sensazioni provate al primo impatto si confermano e fanno dimenticare quella monotonia di cui parlavamo prima. Questa produzione poi è collegata anche con un triste evento che colpì la band e cioè la morte di Glascock, il bassista, deceduto a causa di un’infezione, morte che portò il gruppo inglese a separarsi per una breve vacanza.

Stormwatch mostra i primi segni della mancanza di creatività che ha sempre contraddistinto la band ed Anderson in particolare, i testi trattano temi anche di natura “politica” quali il capitalismo ed il terrore di una catastrofe ambientale, ma nonostante questi incipit la commistione con la musica sembra ad un certo punto allontanarsi. L’album si presenta abbastanza oscuro e lo si capisce attraverso l’ascolto dei brani a volte nostalgici, a volte lamentosi. Il suono modificato di Stormwatch però mantiene i passaggi che hanno reso famosa la band e che comprendono flauti vivaci, intensi ed allo stesso tempo pregevoli, melodie acustiche dal sapore folk, piacevoli inserti di prog rock per un mix che rende il tutto diverso dalle precedenti produzioni. Nonostante i mutevoli contenuti dei brani l’album resta comunque, interessante perché è la proiezione di uno dei lati oscuri del leader Anderson. Per capire più approfonditamente i passaggi di questo album uno sguardo ad alcuni pezzi in esso contenuti non guasta: North Sea Oil viene avviata da un bel rock più intenso di quello del solito suono Jethro, un pezzo dove la voce di Ian Anderson sembra mantenersi quasi a distanza dalla musica; Orion utilizza invece una varietà di suoni in poco meno di quattro minuti, ma non è esente da passeggiate rock che sfruttano al meglio i fraseggi folk di Anderson ed Evan; Home è molto vicino ad alcuni momenti contenuti in Songs From The Wood ma è anche abbastanza strano per essere una creazione di Anderson; Warm Sporran è invece la prima traccia prettamente strumentale che di fatto poi chiude il primo lato del disco, ma manca di quel sigillo tulliano che tutti conosciamo.

Con Dun Ringill ed Elegy troviamo invece un utilizzo di eco che tende ad enfatizzare il suono prodotto a favore di una melodia sostenuta anche da una leggera presenza orchestrale. E sono proprio queste due tracce, forse, che salvano l’intero album prodotto. Ma se questo era un album realizzato con la solita ambiziosità di Anderson, il risultato alla fine è quello di essere un disco che è il terzo della trilogia, un lavoro che di fatto la conclude ma che, a differenza dei primi due, manca di “solidità”. I Jethro, a questi alti e bassi hanno abituato il pubblico, i fattori esterni e le idee di Anderson sono anche qui presenti come sempre, ma tutto ciò non è sufficiente a far ottenere sempre il risultato sperato. Purtroppo a gravare su tutta la registrazione del disco l’atmosfera che si era creata nella band a causa dei problemi di salute del bassista John Glascock che morirà il 17 novembre. Nonostante tutto, il segnale lanciato qui dai Jethro Tull è che non bisogna mai mollare né soccombere ai mille problemi che la vita ci pone ogni giorno perché è sempre la fiducia ciò che ci deve guidare, soprattutto quella in noi stessi. Da questo punto in poi per i Jethro Tull sarà tutta un’altra storia.

Autore: Jethro Tull

Titolo Album: Stormwatch

Anno: 1979

Casa Discografica: Chrysalis

Genere musicale: Folk Rock

Voto: 7

Tipo: LP

Sito web: http://www.jethrotull.com

Membri band:

Ian Anderson – flauto, chitarra, basso, voce

Martin Barre – chitarra, mandolino

Barriemore Barlow – batteria, percussioni

John Glascock – basso, voce

John Evans – piano, organo

David Palmer – synth, organo, arrangiamenti orchestrali

Ospiti: Francis Wilson – voce sulla traccia 8

Tracklist:

  1. North Sea Oil

  2. Orion

  3. Home

  4. Dark Ages

  5. Warm Sporran

  6. Something’s On The Move

  7. Old Ghosts

  8. Dun Ringill

  9. Flying Dutchman

  10. Elegy

Category : Recensioni
Tags : Folk, Jethro Tull
0 Comm
11th Mag2017

Simon & Garfunkel – Bridge Over Troubled Water

by Sara Fabrizi

Simon & Garfunkel - Bridge Over Troubled WaterL’ultimo disco di Simon & Garfunkel, subito dopo ci sarà lo scioglimento del duo, vede la luce nel 1970 a seguito di un anno difficile per i rapporti fra i due. Dopo i successi vertiginosi e crescenti di album in album, dopo la consacrazione avvenuta con Bookends, un anno di stasi e difficoltà. Passano i mesi e non sembra esserci niente di concreto. Di fatto l’unico disco dei S&G a vedere la luce nel ’69 è il singolo The Boxer, grande successo (numero 7 negli USA e numero 6 in UK). Il resto dell’anno passa tra incomprensioni e allettanti, inediti, sbocchi di carriera: come quello capitato a Garfunkel, che accetta l’invito di Mike Nichols (una vecchia conoscenza) a far parte del cast del suo nuovo film, Comma 22. Il regista assicura ad Arty che le riprese (in Messico) non lo distoglieranno troppo dal lavoro in studio e che non gli ruberanno più di un paio di mesi. Le cose non vanno comunque per il verso giusto: la pellicola richiede ulteriore tempo e Simon, per la prima volta, si sente snobbato, messo da parte. Inizia a scrivere canzoni, tra l’amaro e il malinconico, su questa perdita temporanea. Paradossalmente il suo songwriting attinge nuova linfa dalle difficoltà e getta le basi per l’ultimo capitolo del magico sodalizio artistico e personale. Al ritorno dell’amico dal Sud America e dopo una manciata di concerti a fine anno, la coppia porta finalmente a termine il lavoro.

Basterebbe già solo lasciar parlare i numeri per spiegare la grandezza di questo ultimo album: oltre dieci milioni di copie vendute, 85 settimane nelle classifiche americane (di cui 10 al numero 1), quattro singoli nella top ten e un Grammy come miglior disco dell’anno. Per un’istantanea quantitativa potrebbero bastare, ma non spiegheranno mai il tripudio emozionale di cui sono intrisi i brani, il loro preciso posto nella peculiare architettura del nostro magico duo folk, il lascito che investe l’ascoltatore di ieri e di oggi. Bridge Over Troubled Water è la testimonianza ultima dell’evolversi del loro rapporto umano ed artistico. Riesce a darci un’idea precisa di dove Paul e Arty siano approdati. Da amici in simbiosi a due figure distinte bisognose di intraprendere ognuna un diverso percorso, lontano dall’altro. Dal folk ad un pop raffinato e ad una matura canzone d’autore. E quasi in maniera paradossale sarà proprio il loro emanciparsi dalle impostazioni e dagli schemi iniziali (quelli per cui si caratterizzano, quelli per cui li ricordiamo) a fargli guadagnare l’apice, la vetta del successo e del riconoscimento a livello mondiale. Questo loro ultimo album è semplicemente una scatola magica che contiene un po’ di tutto: l’innovazione e la tradizione, il tendere verso il futuro e il richiamo alle radici. 11 pezzi per una durata di 36 minuti e 46 secondi in uno stato di grazia assoluta. Tutto è perfetto, i testi, gli arrangiamenti, le voci, l’alchimia, la successione dei brani.

Ad aprire il disco è la monumentale title track, Bridge Over Troubled Water. Una splendida ballata per piano, cantata dal solo Garfunkel che qui ci offre la sua migliore prestazione vocale. Un brano che cresce di intensità fino all’esplosione orchestrale e al coraggioso acuto finale. “When you’re weary, feeling small, when tears are in your eyes, I’ll dry them all (all), I’m on your side, oh, when times get rough and friends just can’t be found, like a bridge over troubled water I will lay me down”: bastano questi versi iniziali per capire il senso di conforto e amore che il brano ci regala. Che sia stato scritto per una donna, per un amico, per ogni persona di cui si desideri il bene, questo pezzo rimane una delle perle più fulgide della musica moderna. Dopo questo incipit straordinario troviamo El Condor Pasa. Un brano che è l’esito della personale riscrittura di un traditional peruviano da parte di Paul Simon, che inizia già a manifestare in maniera evidente la propensione per la world music e la ricerca musicale che svilupperà poi appieno nei suoi album solisti. Melodie folk andine per un testo fatto di suggestioni e metafore sulla libertà. Uno stupefacente risultato, ottenuto anche grazie all’aiuto del gruppo peruviano Los Incas nella registrazione. Il terzo brano è Cecilia, altro indizio che Paul Simon si sta decisamente orientando verso la musica extra-anglosassone. Un pezzo presumibilmente dedicato ad una donna che gli ha spezzato il cuore, che però narra questa storia non con un mood malinconico bensì con un travolgente ed allegro ritmo afro-ispanico.

Il brano successivo è Keep The Customer Satisfied che insieme a Baby Driver è una chiara testimonianza di come il talento di Paul Simon sia maturato verso il pop, forse un po’ debitore di un maestro come Brian Wilson dei Beach Boys. Due brani molto accattivanti, molto vendibili, molto figli dell’epoca, molto pop. In questo album così variegato troviamo anche un tentativo di jazz/bossa in So Long, Frank Lloyd Wright. Un brano che parla di un addio e probabilmente cela il dispiacere e la consapevolezza di Paul per la fine del suo rapporto con Arty. Discorso a parte va fatto per The Boxer. Al pari della title track è una gemma di perfezione musicale, metrica e testuale. La sua grazia acustica ha fatto scuola. I colpi secchi di batteria che riproducono il suono tipico del sacco che viene colpito dal boxer. Il suo delicato, e al contempo crudo e realista, affresco della vita di un giovane aspirante boxer in una New York priva di calore umano. Quei versi celebri che te la scolpiscono nel cuore per sempre “All lies and jests, still a man hears what he wants to hear and disregards the rest”. A mio parere, addirittura più della mitica title track, è The Boxer la summa della sensibilità artistica, dell’essenza stessa del duo. Perché dentro è espressa al massimo tutta la loro abilità nell’indagare e dipingere in maniera quasi impressionistica i tormenti dell’animo umano. Con una precisione, profondità e verosimiglianza degne di un’opera letteraria del verismo.

Altro brano di una grazia acustica commovente è The Only Living Boy In New York. Anche qui si narra una storia di solitudine, il senso dell’abbandono quasi autobiografico che Paul riversa in questo album. Doveva pesargli sul cuore come un macigno l’imminente fine della magica simbiosi con Arty. In questo brano la prestazione vocale di Garfunkel è di una dolcezza ed intensità estasianti. Quella batteria che cresce poi, come a volerci dare forza, a volerci consolare. Gli ultimi tre brani dell’album sono quasi di alleggerimento e forse ce n’è bisogno per riprender fiato dopo lo tsunami emozionale che ci ha investito con i brani citati prima. Why Don’t You Write Me è un pezzo ritmato e coinvolgente, un brano pop indolente e scanzonato. Bye Bye Love è una cover-tributo (registrata live) ai mitici Everly Brothers, maestri, ispiratori e punto di partenza per la formazione artistica del nostro duo. La scelta di inserire questo pezzo verso la fine dell’ultimo album è sicuramente funzionale a sottolineare le radici che restano nonostante le doverose evoluzioni. A chiudere l’album è Song For The Asking. Una ballad dolce e soave, come nella migliore tradizione di Paul e Arty. La voce di Garfunkel è limpida come sempre. Le armonie delicate, come da copione. Come a voler dire, ok ci stiamo separando, il sogno sta finendo, ma la nostra essenza, la nostra eredità musicale ed umana non andrà mai persa, è tutta qui, tutta per voi.

Autore: Simon & Garfunkel

Titolo Album: Bridge Over Troubled Water

Anno: 1970

Casa Discografica: Columbia Records

Genere musicale: Folk Rock

Voto: 10

Tipo: LP

Sito web: http://www.simonandgarfunkel.com/

Membri band:

Paul Simon – voce, chitarra

Art Garfunkel – voce

Joe Osborn – basso

Larry Knechtel – pianoforte

Fred Carter, Jr. – chitarra

Hal Blaine – batteria

Jimmie Haskell – archi

Ernie Freeman – archi

John Faddis – ottoni

Randy Brecker – ottoni

Lew Soloff – ottoni

Alan Rubin – ottoni

Los Incas – strumenti peruviani

Tracklist:

  1. Bridge Over Troubled Water
  2. El Condor Pasa (If I Could)
  3. Cecilia
  4. Keep The Customer Satisfied
  5. So Long, Frank Lloyd Wright
  6. The Boxer
  7. Baby Driver
  8. The Only Living Boy In New York
  9. Why Don’t You Write Me
  10. Bye Bye Love
  11. Song For The Asking
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Folk
0 Comm
11th Mag2017

Modena City Ramblers – Mani Come Rami, Ai Piedi Radici

by Paolo Tocco

Modena City Ramblers - Mani Come Rami, Ai Piedi RadiciNon so spiegarvi che brutta sensazione quella di dover esprimere un parere quando a far musica è un amico, gente che stimi, piccole radici che ti hanno cullato. Ed io che con i Modena sono venuto al mondo delle coscienze, io che con Cisco ci ho anche suonato Ninnanna nel buio del mio studio di notte, seduti a terra fumando tabacco e bevendo vino rosso di poche lire, io che con Cisco ci ho anche duettato sul mio album di debutto…io che poi ho vissuto l’evoluzione dei Nostri e che con il buon “Fry” Moneti ci siamo chiusi in un altro studio che avevo per dar voce ai violini per il disco di Simone Agostini…e poi tanti altri progetti che ci vede ogni tanto rifare un giro di ricordi. Ora è il turno di mettere su questo nuovo disco dei Ramblers e farlo girare e non sono capace di essere imparziale e di essere spietato e di lacerare le mie emozioni. Lo dico in partenza, lo confesso, denunciatemi pure di scarsa professionalità però c’è da partire da un dato che oserei definire oggettivo: quel marchio Irish dei Ramblers è inconfondibile! Inutile dire che si ripete invariato ormai da anni e non potrei biasimare chi si sente annoiato da questo, poco hanno potuto le infinite collaborazioni – non ultima questa con i Calexico from Arizona – nulla ha potuto qualche colore persiano, forse marocchino, forse asiatico, cinese anche…insomma niente ha potuto contro il dato oggettivo: i Ramblers li riconosci anche se il prossimo disco fosse fatto di rap e di crossover. Quindi il bivio è netto. Ti piace o non ti piace. Accettato questo andiamo avanti.

Mani Come Rami, Ai Piedi Radici è massiccio di contenuti che mai per una volta sembrano abbandonare la politica e la società. Sembrano, attenzione, perché di certo non ci sono le rivoluzioni di classe e la bellissima voce di “Dudu” Morandi non decreta guerre partigiane. Ma la tenerezza di Grande Fiume che ha qualcosa di orientale nel riff portante e qualcosa di cileno da Inti Illimani nella parte corale della scrittura, culla e fa cullare una verità sociale che potrebbe – anzi dovrebbe – appartenere a tutti noi. Grande Fiume è come la vita, come il fluire dei giorni, del nostro tempo…di tutti noi. Una nota stonata voglio comunque metterla: la bella voce del capitan Morandi io l’avrei preferita mixata meglio dato che se ne perdono i lineamenti quando il disco spinge su brani più ritmati come Gaucho, Io E Te che già vedo far muovere le piazze da nord a sud a est a ovest, dal mare alle montagne. Un disco che in fondo non sorprende per niente e lo speravo e me lo aspettavo, lo pretendo ogni volta che ascolto i MCR perché ci sono pilastri della propria cultura che vorresti sempre ritrovarli come li hai lasciati…sempre. Cambiamenti ce ne sono e per quanto per esempio My Ghost Town con gli americani Calexico sembra impossibile potesse trovarsi in un disco dei Ramblers, ad ascoltarla bene dopo un paio di volte ti accorgi che se non stesse qui dentro allora sarebbe una canzone ancora da scrivere, o una cover oppure un omaggio…inglese compreso, anche se delle volte sembra un poco maccheronico e con questi cori poco legati assieme che sembrano ancora in fase di demo un po’ mi fa storcere il naso.

Noto una cosa assai importante: la maturità in questo caso la chiamerei esperienza del mestiere. La scrittura si pulisce e si educa ad una forma meno irruente ed irrequieta, come a dire che ormai anche i Ramblers stanno diventando saggi. Ed infatti non poche volte ho ritrovato un gusto assai più pop del solito nonostante i tratti indiscutibilmente loro, privati e personali. Il singolo di lancio Volare Controvento – tanto per parlare di società e non di politica – è perfetto per un radiodate e la struttura è decisamente attenta alle regole del gioco. Ma qui il mestiere diventa importante: facciamo del pop radiofonico ma senza togliere niente alla ricetta vincente dei Ramblers. E anche il video sforna concetti assai cari a chi combatte la massificazione. Insomma lo ripeto: il bivio è netto e definito. I Ramblers sono questi e questi (spero) saranno sempre. Niente di nuovo (per fortuna) niente di rivoluzionario ma solo tanto mestiere e saggezza che prende lo stesso arredamento che c’è da 20 anni a questa parte e lo arricchisce di gustosi dettagli per palati fini. Forse manca da tempo la scrittura del pezzo davvero forte, manca da tempo quel quid popolare che farà muovere una piazza intera per anni e anni…ma la fine suonano Quacet Putein e capisci quanta bellezza c’è dietro il nuovo suono medioorientalmenteirish dei sempregiovani Modena City Ramblers.

Autore: Modena City Ramblers

Titolo Album: Mani Come Rami, Ai Piedi Radici

Anno: 2017

Casa Discografica: Modena City Records

Genere musicale: Folk Rock

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: http://www.ramblers.it

Membri band:

Luca Serio Bertolini – chitarra, cori

Franco D’Aniello – tin whistle, flauto, sax, tromba, cori

Massimo “Ice” Ghiacci – basso, cori

Francesco “Fry”Moneti – violino, mandolino, chitarra

Davide “Dudu”Morandi – voce

Leonardo Sgavetti – fisarmonica, tastiere

Roberto Zeno – batteria, percussioni, cori

Tracklist:

  1. Tri Bicer Ed Grapa

  2. Grande Fiume

  3. El Señor T-Rex

  4. Gauchi, Io E Te

  5. Welcome To Tirana

  6. Sogneremo Pecore Elettriche?

  7. My Ghost Town (feat Calexico)

  8. Mani In Tasca, Rami Nel Bosco

  9. A Un Passo Verso Il Vielo

  10. Volare Controvento

  11. Ragas Pin De Stras

  12. Angelo Del Mattino

  13. Quacet Putein

Category : Recensioni
Tags : Folk
0 Comm
06th Mag2017

The Cat And The Fishbowl – Feels Like Home

by Marcello Zinno

The Cat And The Fishbowl - Feels Like HomeI The Cat And The Fishbowl sono un duo un po’ stravagante. Anzi forse il termine stravagante è limitativo per rendere l’idea, ma sono anche un duo molto simpatico. Li abbiamo potuti conoscere on stage, in occasione del Pending Lips Festival e ci ricordiamo ancora come sanno tenere il palco con i loro numerosi strumenti, quell’ispirazione folk e quelle linee vocali molto pop inglese. Il loro essere particolari e sicuramente leggeri lo indica, oltre al moniker, anche l’artwork del loro primo EP, uscita che con quattro tracce ci strappa un sorriso e ci riporta a quei film in bianco e nero, all’ora del the e alle gonne a campana. Can I Kiss Your Cheek? è forse il loro pezzo più identificativo con il guitalele pizzicato, Take Me To The One I Love abbraccia sonorità beatlesiane, Le Caveau suona come un carillon prodotto in Texas e acquistato da Dylan per le sue teneri e amare serate, mentre Betrayal sembra un eco alla Johnny Cash reso dolce dal violino.

Un EP poco impegnativo che mostra un’ampia varietà di sfumature sonore del mondo The Cat And The Fishbowl.

Autore: The Cat And The Fishbowl

Titolo Album: Feels Like Home

Anno: 2017

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Indie Folk

Voto: s.v.

Tipo: EP

Sito web: http://www.thecatandthefishbowl.com

Membri band:

Filippo Gaudenzi – chitarra, guitalele, voce

Matteo Bonavitacola – violino, tastiere, voce

Tracklist:

  1. Can I Kiss Your Cheek?

  2. Take Me To The One I Love

  3. Le Caveau

  4. Betrayal

Category : Recensioni
Tags : Folk
0 Comm
25th Apr2017

Simon & Garfunkel – Bookends

by Sara Fabrizi

Simon & Garfunkel - BookendsReduci dal successo della colonna sonora del film The Graduate, in cui confluiscono pezzi degli album precedenti, inediti scritti per il film e una Mrs Robinson in nuce, il nostro duo crea Bookends. Album prodotto per la prima volta in proprio e del tutto sui generis. Pur rappresentando l’evoluzione della vena folk maturata fin dal debut album, con tutti i suoi stilemi e le sue influenze, Bookends ne è al contempo superamento ed affrancamento. Sappiamo bene che il folk di S&G è di un tenue impegno sociale, bensì piuttosto intimista e quindi teso ad indagare sensazioni ed emozioni di 2 giovani ragazzi nella New York metà anni ’60. Una poetica delle piccole cose, la delicata celebrazione del quotidiano. In Bookends queste istanze si manifestano con tutta la loro forza, facendone un disco che è l’elegia della quotidianità e della normalità. Narrate però con fare poetico. Microstorie, nate osservando al di fuori della propria finestra. Uomini e donne che camminano per le strade della città, che si intrattengono a parlare del più e del meno, che ricordano gli amori passati, un viaggio. I piccoli grandi eroi della vita di tutti i giorni. Non i grandi contestatori galvanizzati dal tripudio sociale ed emotivo del periodo. Non la voglia di spaccare il mondo, ma il desiderio di salvarne il buono che rimane.

La copertina dell’album, che ritrae Paul ed Arty in primo piano che ci guardano con occhi sinceri e puliti, la dice lunga sul loro stile, sul loro approccio al mondo e all’arte che, in questo disco, raggiunge un apice e fonda una loro nuova originalità. Dal folk ad un pop folk colto e raffinatissimo. 12 pezzi in stato di grazia, da ascoltare tutti di un fiato. Un lato A che narra storie incentrate sullo scorrere del tempo, un lato B che raccoglie i pezzi scartati nella produzione della soundtrack de Il Laureato. Un aspetto da concept album che racconta le varie sfaccettature del ciclo della vita. L’inizio dell’album è dolce, con un brevissimo brano strumentale, Bookends Theme, che poi tornerà nella settima traccia con l’aggiunta di voci. Il secondo brano è Save The Life Of My Child. Qui assistiamo ad un allontanamento dalla tradizionale delicatezza del duo con l’uso di un sintetizzatore distorto. Contiene inoltre un estratto di The Sound Of Silence. Capiamo subito che si tratta di un disco di ricerca e di maggiore sperimentazione. La seconda traccia sfuma nella meravigliosa ballad America. Una delle più belle del canzoniere di Paul Simon. Racconta il viaggio di due giovani amanti, le loro speranze, le loro illusioni. Probabilmente autobiografica, l’intro con quell’incantevole “mm mm mm..” e la conclusione con l’organo già fanno tutto. In mezzo chitarre delicate ed impeccabili ed una batteria incalzante quanto basta. Una vera gioia per le orecchie.

Ad America segue Overs. Breve brano delicato e sussurrato, recupera quella leggiadria a cui Paul e Arty ci avevano abituati. La quinta traccia è Voices Of Old People. Un pezzo fatto esclusivamente di dialoghi fra anziani. Un intermezzo parlato, registrato personalmente da Arty in varie case di cura ed ospizi. Scelta singolare questa, ma funzionale alla tematica dell’inesorabile scorrere del tempo che è uno dei fili rossi dell’album. La traccia seguente è Old Friends. Una celebrazione dell’amicizia che ci accompagna vita natural durante. Brano acustico arricchito da fiati e archi che gli conferiscono maggiore profondità e respiro. Quindi entriamo nella seconda parte dell’album. Qui troviamo Fakin’ It e Punky’s Dilemma che ricorrono all’uso di effetti sonori, loop di percussioni, interludi parlati. A riprova di come questo sia un disco di sperimentazione. E qui troviamo anche la versione definitiva di quella Mrs. Robinson che nella soundtrack di The Graduate era stata solo accennata, svelandone le potenzialità ma non l’intera bellezza. Non volevano “bruciarla” Paul e Arty. Erano consapevoli di aver creato una song capolavoro. Una hit potentissima con quel ritornello mandato a memoria da almeno 3 generazioni, e tale da trascinare ai vertici delle classifiche un album che di commerciale aveva davvero ben poco. Un brano leggendario, scritto ispirandosi alla Mrs Robinson del film. Il brano salì al primo posto della classifica statunitense Billboard Hot 100 per tre settimane. Per Simon & Garfunkel fu il secondo “numero uno” dopo The Sound Of Silence. L’intro ritmata di voci è semplicemente roba che non ti leverai mai più dalla mente.

A seguire A Hazy Shade Of Winter, interessante brano con sonorità elettriche rock, a tratti quasi un tentativo di hard rock ante licteram. Ed infine At The Zoo. L’intero album sfuma e si conclude con un delicata canzone acustica. Evocativa e ritmata alla classica Simon & Garfunkel maniera. Quasi un ritorno alle rassicuranti origini del loro marchio di fabbrica. Eppure Bookends è un disco di rottura, maturazione ed evoluzione. Paul e Arty sembravano ormai aver dato tutto il loro meglio. In realtà erano già pronti per il loro meraviglioso commiato, che sarà l’album successivo.

Autore: Simon & Garfunkel

Titolo Album: Bookends

Anno: 1968

Casa Discografica: Columbia Records

Genere musicale: Folk Rock

Voto: 8

Tipo: LP

Sito web: http://www.simonandgarfunkel.com

Membri band:

Paul Simon – voce, chitarra

Art Garfunkel – voce

Hal Blaine – percussioni

Joe Osborn – basso elettrico

Larry Knechtel – pianoforte, tastiere

Tracklist:

  1. Bookends Theme
  2. Save The Life Of My Child
  3. America
  4. Overs
  5. Voices Of Old People
  6. Old Friends
  7. Bookends
  8. Fakin’It
  9. Punky’s Dilemma
  10. Mrs. Robinson
  11. A Hazy Shade Of Winter
  12. At The Zoo
Category : Recensioni
Tags : Folk
0 Comm
25th Apr2017

Freaky Mermaids – Everything Could Happen

by Marcello Zinno

Freaky Mermaids - Everything Could HappenIl power trio tutto al femminile ritorna con il secondo album (terza pubblicazione) a titolo Everything Could Happen, un album incentrato sul concetto della quotidianità, non vista come superficialità del vivere, ma come adattamento ai mutevoli accadimenti che la vita ci propone. Questo è evidente da uno spirito che aleggia intorno alle otto tracce, meno invece dalle singole musicalità che invece si attenuano e ci cullano in una serie di melodie dolci e suadenti, ma di grande spessore artistico. Le parti vocali sono di immenso impatto: le tonalità, gli accenti sono gli elementi che più restano appiccicati sulla pelle e stupiscono quale vera caratterizzazione della personalità delle Freaky Mermaids. Non vorremo però essere fraintesi: dietro questo progetto ci sono tre grandi musiciste: il contrabasso incisivo (a volte che cede il passo al basso elettrico), la chitarra che sa stratificarsi restando comunque omogenea rispetto agli altri contributi, la parte ritmica che non invade mai la scena ma resta quatta per regalare un mood alle composizioni. Folk potremo dire, ma in chiave elettrica e con una ventata jazzy e bluesy che dona qualche tinta di colore in più ma rende ancora più forte il profilo compositivo del trio.

Dicevamo del ritmo. Sì, appare in brani come Carrots Not Souls o Sleight Of Hands, veri viaggi nel tempo del folk, ma non è questo il punto di partenza per avvicinarsi alle diverse sfumature delle FM. Gli intermezzi, le ambientazioni, le sinuosità e l’ispirazione vocali sono tutti emblemi del loro sound da apprezzare in luoghi sacri che ne ispirino l’ascolto. Appaiono infatti anche momenti soffusi come The Other Woman che riprende l’ingegnosità di buckleiana memoria e la ripropone in un quadro diverso, meno intricato chitarristicamente, ma dalla simile intensità. Everything Could Happen è un album che parte dal pop sofisticato e dal folk ispirato e ne inietta personalità, melodie coscienziose, morbidezza, coraggio e sapore di passato. Un lavoro che probabilmente tre uomini non avrebbero potuto ideare.

Autore: Freaky Mermaids

Titolo Album: Everything Could Happen

Anno: 2017

Casa Discografica: Quasi Mono Records

Genere musicale: Folk, Jazzy

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: http://www.freakumermaids.com

Membri band:

Ombretta Ghidini – voce, chitarra, ukulele

Laura Mantovi – chitarra, armonica, synth, percussioni

Giorgia Poli – basso, contrabbasso, voce

Tracklist:

  1. Love’s Ambition

  2. Sleight Of Hands

  3. You’re Gonna Tell Me

  4. Carrots Not Souls

  5. The Other Woman

  6. Everything Could Happen

  7. You In Me

  8. Damn Your Eyes

Category : Recensioni
Tags : Folk
0 Comm
24th Apr2017

El Matador Alegre – Dreamland

by Marcello Zinno

El Matador Alegre - DreamlandAbbassate gli amplificatori, alzate la soglia dell’attenzione. Il nuovo album degli El Matador Alegre non è un album dalle forti pulsazioni, almeno stando alle battute e all’irruenza. Piuttosto il duo (accompagnato da alcuni contributi esterni) scrive composizioni pensate in versione acustico e colorate da quelle sfumature elettriche che rendono il sound sognate cercando di trasporre l’ascoltatore in un altro luogo, lontano dagli strumenti digitali e moderni utili ad ascoltare queste nove tracce. Forse è proprio Dreamland il luogo che ha ispirato i ragazzi per questi nuovi brani incentrati sulla melodia ma mai troppo commerciali, con molta attenzione agli arrangiamenti e ai suoni ma senza risultare indigesti o semplicemente complessi. Un lavoro pensato alla sei corde e alla voce, intorno ai quali è stato costruito tutto il resto, resto che giustamente funge da cornice; una costante ambivalenza tra ricercatezza folk e agiatezza pop che costituisce il punto di forza e di debolezza, allo stesso tempo, degli El Matador Alegre.

Appaiono momenti intensi come la lunga For My Demons, altri un po’ troppo easy come Running In Circles (quest’ultimo pensato con la struttura di un singolo) e in questo range si muovono le diverse tonalità dell’album. Un lavoro da ascoltare in camera o con la giusta atmosfera.

Autore: El Matador Alegre

Titolo Album: Dreamland

Anno: 2017

Casa Discografica: Cabezon Records

Genere musicale: Indie Folk, Alternative Rock, Indie Rock

Voto: 6,5

Tipo: CD

Sito web: n.d.

Membri band:

Giuseppe Vallenari

Gio

Special guest:

Mario Vallenari

Andrea Marcolin

Erica Mason

Tracklist:

  1. Venus And Mars

  2. Let Me Disappear

  3. Deep Dark Blue Water

  4. Choices

  5. For My Demons

  6. Running In Circles

  7. Blood On My Hands

  8. I Am Legion

  9. Dead End

Category : Recensioni
Tags : Folk
0 Comm
06th Apr2017

Simon & Garfunkel – Parsley, Sage, Rosemary And Thyme

by Sara Fabrizi

Simon & Garfunkel - Parsley, Sage, Rosemary And ThymeIl nostro duo folk rock, ormai consacrato da Sounds Of Silence, scalpitava di idee e creatività al punto da voler mettere in cantiere ed ultimare un altro album prima che l’anno 1966 finisse. Durante l’estate avevano buttato giù un po’ di canzoni e acquisito sempre più libertà creativa nei confronti della Columbia Records che, entusiasta per le strepitose vendite realizzate, non ebbe remore a lasciare tutto nella mani di Paul e Art. Il processo compositivo rimase lo stesso: Paul scriveva testi e musiche, insieme a Garfunkel le perfezionava e le arrangiava in studio, cantava col partner le tracce definitive. Tutto filava liscio e naturale. La maturazione musicale avviene di disco in disco e questo terzo tassello ne è una chiara prova. Ciò che salta subito all’orecchio è il perfezionamento degli arrangiamenti. Tutto diventa più raffinato, più ricercato. A partire dal titolo dei brani che prendono nomi piuttosto impegnativi. Il titolo stesso dell’album non è da meno, riprendendo il secondo verso della prima traccia. Parsley, Sage, Rosemary And Thyme, forte della maggiore maturità creativa del duo, dell’affinamento certosino del loro sound sempre più caratterizzante ed unico, diverrà un album best seller ascoltato fino a consumarlo come poche altre pietre miliari.

Il brano di apertura è Scarborough Fair/Canticle. Un canto tradizionale inglese del XVI secolo che tratta la storia di un soldato e che viene reso in una splendida ed onirica versione folk psichedelica. Un autentico gioiello, da brividi sulla pelle. Uno di quei pezzi che al primissimo ascolto ti viene da pensare di non aver mai sentito nulla di così indescrivibilmente bello. Il secondo brano è Patterns. Pezzo molto godibile, qui il folk si apre a contaminazioni mediorientali. Una bella ritmica scandita dalle perfette armonizzazioni vocali cui ormai il duo ci ha abituati. Molto ricercato, senza mai cadere nello stucchevole. Il terzo brano è il delicato e dolce Cloudy. Insieme a The Dangling Conversation, settima traccia, rientra tra quei pezzi S&G che suonano come vere dichiarazioni d’innocenza. C’è la soavità e le atmosfere quasi rarefatte del primo album. L’anima più pura e primordiale del duo. Anche l’ottava traccia, Flowers Never Bend With The Rainfall è una perla nello stile degli esordi. E’ come se ci fossero dei pezzi S&G che sono più S&G degli altri. Quel marchio di fabbrica fatto di melodie delicate, atmosfere oniriche, armonizzazioni vocali che scavano nell’anima. Ed è lodevole che di album in album, pur nella giusta inevitabile crescita e relativo approdo a qualcosa di diverso, abbiano mantenuto una manciata di pezzi “classici” che sono lo zoccolo duro della loro identità. Stesso discorso vale anche per la decima traccia, For Emily, Whenever I May Find Her. Brano romantico, pervaso da suggestioni antiche ed oniriche rese nel consolidato sound del duo. Degna di particolare nota è la prestazione vocale di Art Garfunkel. I suoi toni dolci e misurati qui conoscono un crescendo emozionale notevole.

Forse una prova generale di ciò che dovrà fare la sua voce nell’immensa title track dell’ultimo album, Bridge Over Troubled Water. Di dolcezza e malinconia è piena anche A Poem On The Underground Wall, undicesima traccia. Atmosfere metropolitane che celano poesia. La poesia è ovunque, anche in una fredda frenetica città come New York. Il pensiero ci va alla successiva grandiosa The Boxer, contenuta anch’essa nell’ultimo album. Azzardiamo nel dire che quest’album contenga in nuce, in qualche modo, i semi dei successivi capolavori. Parsley, Sage, Rosemary And Thyme è un disco vario, ed eclettico. Si sentono forte la maestria e dimestichezza acquisite da Paul e Arty. E’ un album che contiene anche un brano che è una sorta di sperimentazione testuale surrealista, A Simple Desultory Philippic (nona traccia) dove a mo’ di filippica, appunto, si prendono in giro un po’ bonariamente cantanti e personaggi illustri dell’epoca (tra cui Bob Dylan, Mick Jagger, Andy Warhol). Un brano con uno stile folk rock molto vicino al sound del Dylan post ’65. Troviamo in questo disco anche echi decisi del rock beatlesiano: The Big Bright Green Pleasure Machine (quinta traccia) è molto debitore della lezione inglese. The 59th Street Bridge Song è la sesta traccia, delicata, ritmo che cresce in delle vocalizzazioni piacevolissime.

C’è posto anche per un’amara invettiva in questo album. L’ultima traccia, 7 O’Clock News/Silent Night è uno stridente accostamento del traditional Silent Night con un drammatico bollettino radiofonico. La tematica dell’impegno sociale, che potrebbe sembrare avulsa dal folk intimista del duo, è solo latente. E poi c’è lei, Homeward Bound. Quarta traccia, pezzo di sicuro e facile impatto. Una hit all’epoca. L’alternanza fra un placido, tenue folk e un country veloce e ritmato, l’accelerazione che si crea in questo pezzo lo rendono accattivante e memorabile. Uno di quei brani che fanno bene al cuore. In che modo Paul e Arty riusciranno a stupirci ancora?

Autore: Simon & Garfunkel

Titolo Album: Parsley, Sage, Rosemary And Thyme

Anno: 1966

Casa Discografica: Columbia Records

Genere musicale: Folk Rock

Voto: 9

Tipo: LP

Sito web: http://www.simonandgarfunkel.com/

Membri band:

Paul Simon – voce, chitarra

Art Garfunkel – voce

Tracklist:

  1. Scarborough Fair/Canticle

  2. Patterns

  3. Cloudy

  4. Homeward Bound

  5. The Big Bright Green Pleasure Machine

  6. The 59th Street Bridge Song (Feelin’ Groovy)

  7. The Dangling Conversation

  8. Flowers Never Bend With The Rainfall

  9. A Simple Desultory Philippic (Or How I Was Robert McNamara’d Into Submission)

  10. For Emily, Whenever I May Find Her

  11. A Poem On the Underground Wall

  12. 7 O’Clock News/Silent Night

Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Folk
0 Comm
Pagine:«123456789101112»
« Pagina precedente — Pagina successiva »
  • Cerca in RockGarage

  • Rockgarage Card

  • Calendario Eventi
  • Le novità

    • At First – Deadline
    • Rainbow Bridge – Unlock
    • Typhus – Mass Produced Perfection
    • Hybridized – Hybridized
    • Methodica – Clockworks
  • I Classici

    • Quiet Riot – Alive And Well
    • Pallas – XXV
    • Offlaga Disco Pax – Socialismo Tascabile (Prove Tecniche Di Trasmissione)
    • Mountain – Masters Of War
    • King’s X – XV
  • Login

    • Accedi
  • Argomenti

    Album del passato Alternative Metal Alternative Rock Avant-garde Black metal Cantautorale Crossover Death metal Doom Electro Rock Folk Garage Glam Gothic Grunge Hardcore Hard N' Heavy Hard Rock Heavy Metal Indie Rock Industrial KISS Libri Marillion Metalcore Motorpsycho Motörhead New Wave Nu metal Nuove uscite Post-metal Post-punk Post-rock Power metal Progressive Psichedelia Punk Punk Rock Radio Rock Rock'N'Roll Rock Blues Stoner Thrash metal Uriah Heep
Theme by Towfiq I.
Login

Lost your password?

Reset Password

Log in