• Facebook
  • Twitter
  • RSS

RockGarage

      

Seguici anche su

        Il Rock e l'Heavy Metal come non li hai mai letti

  • Chi siamo
  • News
  • Recensioni
  • Articoli
  • Live Report
  • Foto Report
  • Interviste
  • Regolamento
  • Contatti
  • COLLABORA
30th Giu2020

Dead Visions – A Sea Of Troubles

by Simone Rossetti
Non lo scriviamo per compiacere nessuno ma questo album ha tutti i requisiti per ritagliarsi un proprio spazio di visibilità, forse non negli ascolti da alta classifica ma sicuramente all’interno di un circuito più underground o se preferite di nicchia. Questo almeno dovrebbe valere per un qualsiasi fottuto angolo di questo mondo, qui, dove la cultura musicale e intellettiva è prossima allo zero la vedo più difficile ma spero ovviamente di sbagliarmi, resta comunque un mondo che per fortuna è più vasto dei nostri confini nazionali e mentali. Attenzione però, non è tutto oro quel che luccica e noi siamo qui, molto umilmente, per raccontarvi sia l’oro sia le pietruzze minori (in questo caso davvero minime). Oro è questo suono che affonda le sue radici completamente e senza compromessi in un garage proto-punk primordiale, Yardbirds, Fuzztones, The Kingsmen, The Sonics o nei più “recenti” australiani Radio Birdman; oro è il buon lavoro fatto alla Slimer Records, registrato in presa diretta è esattamente il suono che ci si aspetta e che dovrebbe essere, grezzo sporco tirato; buona è la voce di Francesco Mandelli, un buon inglese strascicato e dosato al punto giusto (forse si potrebbe osare di più) e ottimo il feeling e l’interazione fra gli altri membri di questa band di terra toscana, infine un ottimo album anche a livello compositivo, non una banale scopiazzatura di genere ma il frutto di una ricerca personale ben piantata nel presente (ed è giusto così).

Passiamo alle pietruzze, anzi, forse l’unica pietruzza ma considerando il “genere” è un limite facilmente perdonabile soprattutto se ci si lascia trasportare da questa musica: stiamo parlando di una certa “ripetitività” seppur minima, è un difetto?! Non lo è? Questo giudicatelo voi. Si parte con Dust una bella cavalcata adrenalinica a base di chitarre fuzz e ritmica sostenuta per passare alla successiva To Love Who Burns un ottimo e scatenato rockabilly garage in pieno stile Cramps, si torna a pestare nel più classico garage punk di derivazione anni 80 con la buona Dead Visions, buoni cambi e ripartenze sull’incedere sferragliante delle due chitarre (Bigelow e Giammatei, due che sanno trovare il groove giusto). Si prosegue con la quasi rollingstoniana I Got You, ottimi chorus e refrain che fanno subito breccia nel cuore, sicuramente una tra le più riuscite tracce dell’album, come anche la successiva Creatures Of The Night un horror garage che rallenta quel tanto che basta per apprezzarne appieno le tessiture armoniche e il lavoro dietro le pelli di Sergio Innocenti. Belong è un buon garage punk stradaiolo imbevuto di vecchio whiskey ma stenta a decollare completamente, cosa che invece riesce a Black Seagull, pezzo dal giusto tiro sixties, teso e melodicamente eccellente dove finalmente le linee di basso si ritagliano il giusto spazio. Boys & Girls prosegue sulle stesse coordinate, di buona presa ma si sente anche una certa ripetitività di schemi; altro brano ben riuscito è invece Death Knocks On My Door buoni riff e la giusta intensità, scarna ed essenziale ma ricca di profumi sixties. Si chiude con Last Train, introdotta da un giro di basso che spinge fin da subito verso un beat anfetaminico e metallico che vi implorerà di alzare al massimo il volume.

A questo album non manca quindi nulla, personalmente avrei visto bene (un po’ come ciliegina sulla torta) l’inserimento di un bell’Hammond, non in tutte le tracce ma giusto per arricchire il suono ed evitare quella ripetitività che alle volte traspare, ma è solo una considerazione personale (per quel che può valere). Alcuni di voi lettori si staranno chiedendo se oggi abbia ancora un senso riproporre certe sonorità appartenenti ad un remoto passato, vi diciamo subito di sì: innanzitutto perché non si tratta di un semplice copia e incolla, in ogni singola traccia si sente chiaramente la personalità e la passione; inoltre perché in questi tempi di plastica (e lattine abbandonate) c’è più che mai bisogno di suoni “vivi” e poco importa se grezzi, sporchi e rumorosamente alcolici, anzi, è questa l’essenza stessa del rock’n’roll. Veniamo al voto, quello che andrete a leggere (se non lo avete già fatto) sarà leggermente inferiore a quello che in un ambito personale avrei dato, questo per mia scelta, cercare di mantenere la recensione il più oggettiva possibile, anche a scapito di un voto più basso, ma vi assicuriamo che non ve ne pentirete così come siamo certi che sarete proprio voi ad alzare quel voto. Ma di una cosa non dimenticatevi, prima di tutto e al di là di un semplice numero, viene la musica, questa musica. Buon garage a tutti!

Autore: Dead Visions Titolo Album: A Sea Of Troubles
Anno: 2020 Casa Discografica: Slimer Records
Genere musicale: Punk Rock, Garage Voto: 8
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/deadxvisions/
Membri band:
Francesco Mandelli – voce
Cesar P. Bigelow – chitarra
Federico Giammattei – chitarra
Carlo Alberto Maria Rossi – basso
Sergio Innocenti – batteria
Tracklist:
1. Dust
2. To Love Who Burns
3. Dead Visions
4. I Got You
5. Creatures Of The Night
6. Belong
7. Black Seagull
8. Boys & Girls
9. Death Knocks On My Door
10. Last Train
Category : Recensioni
Tags : Garage
0 Comm
15th Mar2020

Kiowa – Bloom

by Massimo Volpi
Quaranta minuti dal sapore southern rock per questo Bloom, debutto dei Kiowa, un’altra band del sud degli States, dai suoni blues, rock, psichedelici…aspetta, non è così; o meglio, l’album è esattamente così ma i Kiowa sono italianissimi, di Verona. Il suono è quello tipico southern anche se sono molte le influenze, come detto c’è il blues, il classic rock, ma anche il garage, lo stoner e quella psichedelia che male non fa mai. Anzi. I Kiowa sembrano un mix tra Clutch (River Boat) e Alice in Chains (Ordinary Man), con un pizzichino di Guns n’ Roses del periodo d’oro (Hobo Highway). Consigliate, tra le altre, Chicken Ridin’ Supernova, Rat King, Water Pump, dove i riff sono azzeccati, così come l’alternarsi dei ritmi. Non mancano i pezzi più lenti, Vulture’s Wing, ma in generale il tiro è bello veloce e rock’n’old school, Spider Pit, con una bella voce e un bel cantato.

La copertina mostra un’immagine suggestiva di una natura selvaggia, quasi abbandonata, dove campeggia il moniker della band, che contiene anche uno teschio di bufalo; è tutto un richiamo al sound, seppure in chiave italiana, della band scaligera. Un buon album di genere.

Autore: Kiowa Titolo Album: Bloom
Anno: 2020 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Southern Garage, Stoner Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: www.facebook.com/kiowametalband
Membri band:
Christian Gazzabini – voce
Johnny Legnazzi – chitarra
Fabio Milanese – chitarra
Leonardo Fravezzi – basso
Tommaso Rebonato – batteria
Tracklist:
1. River Boat
2. Ordinary Man
3. Hobo Highway
4. Chicken Ridin’ Supernova
5. Green Mushrooms
6. Rat King
7. Vulture’s Wing
8. Waterpump
9. Stone Valley
10. Spider Pit
Category : Recensioni
Tags : Garage
0 Comm
10th Gen2020

Santamuerte – KonoKono

by Marcello Zinno
KonoKono è un salto nel passato, ad un’era poco decifrabile, quando il rock sapeva di garage, quando puzzava di noise, quando si inzuppava nel grunge, quando la voglia di alzare il volume al massimo dell’ampli arrivava dopo aver suonato la seconda nota del primo pezzo. È così che ci appare il secondo lavoro dei Santamuerte, band in tutto e per tutto pugliese ma che propone un sound senza tempo e senza luogo, obbligatoriamente in formato vinile per valorizzarne le imperfezioni. Ma attenzione perché se i giri di chitarra (si sentono sempre due chitarre ma in formazione è tutto ad appannaggio di Vito Mannarini), il groove infuso in alcuni passaggi e le ambientazioni ci rimandano obbligatoriamente ai panorami garage rock che furono, in KonoKono appare anche una voglia di non accelerare gli animi e non spingere sui ritmi di batteria. Così la parte iniziale di Mistery Days rallenta i colpi, ma anche Without You sembra influenzata da certo space rock e diventa fumosa, quasi lisergica. Sicuramente i brani più veloci offrono più energia, immaginiamo anche in sede live (ci riferiamo a My Pills o a Spit Of Gold) ma noi apprezziamo molto anche i passaggi più “ragionati” perché regalano una visione diversa del garage rock e da un certo punto di vista un qualcosa di più personale.

Miracle, che chiude il lato A del vinile, porta con sé un fortissimo sapore The Clash (incendiario l’assolo), nel secondo lato il copione non cambia, fatta eccezione per i soli nomi (più lunghi) delle tracce; così compaiono pezzi più carichi (va citata Why You con le sue scariche a metà corsa) e momenti più pacati (Sand And Haze che porta con sé tutto il sapore settantiano). KonoKono è un lavoro tutt’altro che scontato che a differenza dei diversi lavori garage in circolazione non punta solo sull’istinto ma anche su una forte dose di razionalità. Una band sicuramente da tener presente nel genere.

Autore: Santamuerte Titolo Album: KonoKono
Anno: 2019 Casa Discografica: MiaCameretta Records
Genere musicale: Garage Rock Voto: 6,75
Tipo: LP Sito web: https://www.facebook.com/santamuertemoladibari
Membri band:
Vincenzo Dalessio – batteria, voce
Vito Mannarini – chitarra, voce
Gianmarco Tinelli – basso, voce
Tracklist:
Lato A:
1. My Pills
2. Mistery Days
3. Without You
4. Spit Of Gold
5. Miracle
Lato B:
1. A Thousand Miles Of Cigarettes
2. Pain, Sadness & Cheese
3. Why You?
4. Sand And Haze
5. ‘Cause She Will Come
Category : Recensioni
Tags : Garage
0 Comm
30th Dic2019

Go Cannibal – Go!

by Marcello Zinno
I Go Cannibal sono una bomba ad orologeria. Il loro sound pesca dal rock’n’roll garage, andando a richiamare i Rolling Stones e tutti gli adepti che da allora si sono succeduti cercando di ripeterne le gesta. Dopo tanta attività e diversi concerti Go! è l’album che racchiude tutti i loro brani e presenta la band nel migliore dei modi, brani che si collocano quasi tutti intorno ai 2 minuti netti di musica e barrette energetiche elettriche che prendono forma dalle loro corde (solo chitarre) e dal drumming incessante. Una qualsiasi di queste tracce rende perfettamente l’idea del sound a cui i ragazzi si ispirano ma ci sono alcuni momenti che a nostro parere regalano qualche emozione in più, come nella ricercatissima Artichokes, dal refrain stoppato e con chitarre che si intrecciano alla grande, o in A Nice Cup Of Tea che sembra offrire un parto alla Primus, rigorosamente senza il basso e tinteggiato da bluegrass. Ma la loro è pura follia che in alcuni passaggi viene scaraventata con energia e velocità (I Don’t Know, Videogame, Shot From Behind), in altri sembra più calibrata e ha quasi un sapore radiofonico (Flavour) in altri ancora porta con sé un pathos dirompente (Adelaide).

Go! non propone uno stile innovativo anzi qualcosa che guarda al passato ma si presenta con un pieno di carica calorica soprattutto per i contesti dal vivo, vero habitat naturale per la band. Peccato per l’artwork che poteva essere più curato.

Autore: Go Cannibal Titolo Album: Go!
Anno: 2019 Casa Discografica: S.F.A. Records, Araghost Records
Genere musicale: Garage, Rock’N’Roll Voto: 6
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/gocannibalgo
Membri band:
Nando – batteria
Vioz – chitarra, voce
Terence – chitarra, voce
Tracklist:
1. Right Shoes, Wrong Feet
2. Bad Situation
3. Another Universe
4. (Feelin’ Like) I’m Going To Die
5. I Don’t Know
6. Flavour
7. Artichokes
8. Maybe
9. A Nice Cup Of Tea
10. Asshole
11. Go High
12. Videogame
13. Adelaide
14. Shot From Behind
15. Go Cannibal Go!!
Category : Recensioni
Tags : Garage
0 Comm
29th Nov2019

The Junction – Dive

by Marcello Zinno
Da sempre a firma Dischi Soviet Studio, il power trio The Junction torna con un nuovo album, il terzo, dal titolo Dive. A nostro parere il loro campo da gioco è sempre il garage rock anche se i The Junction mettono in luce diverse aperture a seconda delle tracce (elemento che accomuna Dive con i precedenti lavori). Ad esempio Try Something New non tradisce le loro radici post-punk (in primis sulle linee vocali) anche se il brano contiene una ritmica decisa e veloce che ci porta lontano da quella scena; così esce fuori anche una certa Far Away, un esercizio di psychobilly dal sapore molto angloamericano pronta a conquistare quelle classifiche, arricchita da linee di basso che si fanno sentire e da una metamorfosi sperimentale che la conduce su territori aspri ma interessanti. Imprevedibili questi The Junction, energia ed estro si fondono ma quello che più ci piace è che i ragazzi non si adagiano su riff preconfigurati e pur essendo solo in tre cercano di strutturare i brani in modo che arrivino pieni di ispessimento musicale (The Twang è solo un esempio). Riff che dà melodia e basso che dà ritmica? Assolutamente no, loro scompongono questa regola e inseriscono gli strumenti come preferiscono, anche cambiando la rotta di un brano laddove un’altra band ci avrebbe costruito un’intera hit.

Altro elemento vincente è l’aderenza al rock distorto e serrato: anche quando le trame sembrano più pacate, come in Bombay Movie, i ragazzi non si placano e inseriscono comunque delle accelerazioni, o dei suoni fuzz, o delle distorsioni e questo sicuramente è ottima cosa per chi ha sete di rock. Provate ad immaginarvi una Niki Louder suonata in un live club dove scorrono fiumi di alcol e quintali di watt: chi è capace di restare immobile rischia di essere cacciato via. Bel lavoro, sicuramente meglio se provato in sede live, la dimostrazione che tante buone idee sono più efficaci di suoni iperprodotti ed effetti costosi.

Autore: The Junction Titolo Album: Dive
Anno: 2019 Casa Discografica: Dischi Soviet Studio
Genere musicale: Garage Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.thejunction.it
Membri band:
Marco Simioni – voce, chitarra
Francesco Reffo – batteria, voce
Alessandro Maroso – basso
Tracklist:
1. Die Alright
2. Dive
3. Try Something New
4. Crazy
5. Far Away
6. The Twang
7. Bombay Movie
8. Niki Louder
9. Lost In The Middle East
10. Love
11. The Widow
Category : Recensioni
Tags : Garage
0 Comm
17th Nov2019

Ferro Solo – Almost Mine: The Unexpected Rise And Sudden Demise Of Fernando (Part II)

by Raffaele Astore
Con l’uscita della prima parte di Almost Mine: The Unexpected Rise And Sudden Demise Of Fernando di cui avevamo parlato a questa pagina, debutto solista di Ferruccio Quercetti, in arte Ferro Solo, l’artista fu notato per la sua forte versatilità sviluppata in tanti anni di membro effettivo del trio bluespunk-noise-garage Cut. Ora, questa sua versatilità, viene ancora a galla nella composizione e realizzazione dei pezzi che compongono l’ultima uscita, dove anche quel rock blues proposto di stile ledzep, diventa una vera e propria miscela esplosiva di musica rock. Almost Mine: The Unexpected Rise And Sudden Demise Of Fernando (Part II) è un disco che fa della miglior tradizione musicale statunitense la propria essenza, un disco pieno di idee che diventa il centro di gravità dove Ferruccio Quercetti fa esplodere per intero tutta la sua musicalità. Ma veniamo ora ad analizzare brevemente quanto in questa produzione è possibile ascoltare con l’apertura affidata a Almost Mine (Reprise) che di fatto riprende il precedente disco e che si presenta con un brillante garage rock che dà immediatamente l’idea di quello che sarà poi il percorso musicale proposto da Ferro Solo.

Con Early Bird arriva subito l’atmosfera tipica del sound americano che viene proposto con l’uso di un’armonica a bocca ben suonata mentre, con Ziggy Pictures il richiamo al mitico Bowie fa del pezzo tutta una serie di riferimenti espliciti e, sicuramente, voluti. Il disco prosegue poi con una serie di pezzi che richiamano i diversi generi ai quali il nostrano rocker sembra affezionato, da quelli di stampo sprigsteeniano a quelli di marchio beatlesiano, quasi un salterello tra le due sponde dove il rock è nato, maturato e cresciuto. Non mancano poi i pezzi acustici, così come non mancano nemmeno i passaggi di una vecchia new wave che tanti di noi conoscono, brani che completano un disco concepito su diversi generi e diverse idee con l’estro e la creatività di Ferro Solo a farla ancora una volta da padrone. Ciò che però salta di più alle nostre papille uditive è il fatto che in Almost Mine: The Unexpected Rise And Sudden Demise Of Fernando (PartII) sono realizzati ed incisi suoni più cocenti e caldi rispetto a quanto contenuto nella Part I, una scelta questa che denota soprattutto l’intelligenza di questo artista nostrano che sa bene ciò che vuole, sia dal punto di vista musicale e compositivo che dal punto di vista di chi, prima o poi, lo ascolterà.

Certo che le collaborazioni che Ferro vanta per questo suo ultimo lavoro sono di tutto rispetto se si considera che tutti provengono dal circuito indipendente nostrano, quel circuito che sempre più si fa notare per la sua proposta ed il suo forte incremento. E bastano solo alcuni nomi per capire con chi l’artista ha voluto confrontarsi e collaborare per la realizzazione di questo album: Andrea Rovacchi, Ulisse Tramalloni e Luca Giovanardi dei Julie’s Harcuit che coniugano space rock e psichedelia come un gioco, Riccardo Frabetti dei Chow, e la band al completo dei Giuda. Insomma, non c’è che dire!

Autore: Ferro Solo Titolo Album: Almost Mine: The Unexpected Rise And Sudden Demise Of Fernando (Part II)
Anno: 2019 Casa Discografica: Riff Records
Genere musicale: Rock, Garage Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/thisisferrosolo/
Membri band:
Ferruccio Quercetti – chitarra
Samuele Gottardello – one man’s heaven is another man’s hell
Simone Romei – chitarra
Ulisse Tramalloni – batteria, percussioni
Sergio Carlini
Davide Montevecchi
Riccardo Frabbo Frabetti
Francesco Salò Salomone
Andrea Rovacchi – tastiere, percussioni, piano
Blak Saagan
The Doppealgangers
The Fernandos
Giuda
Tracklist:
1. Almost Mine (Reprise)
2. Early Bird
3. Ziggy Pictures
4. (You Could Have Been My) Joan Jett
5. How J Died In Brussels
6. You And Your New Lover
7. Resentment & Regret
8. One Man’s Heaven Is Another Man’s Hell
9. That Time Of The Year
10. Free To Love
11. The Time We’ve Never Had
12. Airplanes
Category : Recensioni
Tags : Garage
0 Comm
13th Ott2019

Overgrass – Killing Time

by Raffaele Astore
Dopo la pubblicazione del loro primo album, Going Somewhere, basato su forme di impatto melodiche dove si inserivano testi di una semplicità devastante e l’uscita del loro singolo Let It Burn nel 2016, gli Overgrass traghettano ora verso quelle sonorità garage ed indie rock, pubblicando in questo 2019 Killing Time che continua a lasciare buone impressioni circa la validità di questa band svizzera. Certo la classica formazione a tre di rock con basso, batteria e chitarra dice tanto sulla robustezza del sound che gli Overgrass propongono. Poi i dodici pezzi che compongono Killing Time sono la scrittura del loro percorso e della proposta musicale che viene rafforzata con questa nuova uscita musicale. Pur essendo una rock band dedita al garage rock e all’indie, gli Overgrass sanno bene come muoversi nel mare di quei suoni tipici a cavallo tra gli anni sessanta e settanta; ed infatti certe sonorità ci riportano indietro a quei tempi che abbiamo avuto il piacere di vivere in prima persona quando il rock era ancora agli albori. Ma nella musica di questa bella band è possibile rintracciare anche quel senso della melodia che fa pensare ad una certa psichedelia primordiale ed il fatto poi che questi ragazzi sanno come riuscire ad unire energia e dinamismo nell’uso strumentale, la dice lunga sui risultati che possono raggiungere.

Killing Time è stato registrato in Francia, completamente in analogico, presso gli studi White Bat Recorders e dopo l’apertura tipicamente garage con i due pezzi Feel Alive, Pt. 1 e Feel Alive, Pt. 2 si piomba in atmosfere peculiari caratterizzate dall’essere intrise di stilemi anglosassoni anni sessanta che portano gli Overgrass ad aprirsi a nuovi percorsi sonori tutti riscontrabili con un attento ascolto di Killing Time. E le atmosfere a cui facciamo riferimento si uniscono bene alle ventate dissacranti di garage e del soffuso grunge proposto. Questo lavoro degli Overgrass seduce come non mai, composto com’è da pezzi di straordinaria fattura come quello da cui prende il titolo l’album, Killing Time, tutto stile primi Oasis e Blur con toccate rock settantiane. Anche il successivo My Life ci porta indietro a quell’epoca in cui la musica dell’idolatrato Richard Ashcroft ha fatto, e fa ancora riecheggiare, i grandi Verve. Ma la personalità degli Overgrass è davvero tutta un’altra cosa, si perché la band sa come compattare i suoni prodotti. Di sicuro la band svizzera sa il fatto suo in un panorama musicale dove la cantonale è spesso apparsa poco, ma gli Overgrass, che propongono rock in uno stile del tutto personale, sono destinati a restare ancora per molto sulle scene se capiscono che ciò che fanno è davvero qualcosa di unico.

Ascoltare Killing Time non è uccidere le proprie orecchie o perdere tempo, ma un sano modo di capire dove le nuove band, quelle fuori dai circuiti usuali del rock, ormai desueti, possono condurre. Killing Time è una vera e propria passeggiata nelle radici del rock, e non c’è da stupirsi se a farlo sono dei bravi ragazzi come gli Overgrass, un trio che è davvero la tipica formazione rock d’altri tempi. Buon ascolto!

Autore: Overgrass Titolo Album: Killing Time
Anno: 2019 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Garage Rock, Indie Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://overgrass.net/fr
Membri band:
Joël – chitarra, voce, armonica
Julio – basso César – batteria
Tracklist:
1. Feel Alive, Pt. 1
2. Feel Alive, Pt. 2
3. Killing Time
4. My Life
5. I Need You
6. Dancing Together
7. The Day We Met
8. Emphasis
9. Take Me Away
10. Give A Little Thing To Love
11. I Need You (Reprise)
12. Won´t Let Her Go
Category : Recensioni
Tags : Garage
0 Comm
27th Giu2019

Tense Up! – Tense Up!

by Amleto Gramegna
Garage rock con elementi thriller per i Tense Up! che con il loro primo EP mettono in musica una vera e propria sceneggiatura strumentale di chiaro stampo ’60, per vecchi film ad alta tensione. Partendo della pianura reggiana il duo porta avanti un rock veloce, con influenze garage punk a esperimenti sonori totali, il tutto annaffiato da una tastiera cupa e maligna. Quello che ne esce è un mix originale e innovativo, dove è chiara la ricerca e passione che il gruppo porta avanti. I sei brani presenti non hanno veri e propri testi, ma dialoghi tratti da film gialli e thrilling vintage italiani e inglesi atti a fungere da collante per un’immaginaria sceneggiatura. Decisamente interessante l’artwork che racchiude il CD, un foglio di un quotidiano british piegato come un origami, così come sono interessanti i titoli dei brani, estratti dai dialoghi di cui sopra.

Il contenuto dell’opera è, come detto, alquanto eterogeneo. Tra echi noise, citazioni vintage, bordate sperimentali, non mancano richiami anche al free jazz più ottuso, con direzioni inattese. Decisamente interessante, possiamo solo raccomandare ai ragazzi dei Tense Up! di prendere in considerazione, per il loro futuro lavoro, anche il cinema weird o giallo italiano dei ’60/’70, di cui noialtri di Rock Garage siam grandi fan.

Autore: Tense Up! Titolo Album: Tense Up!
Anno: 2019 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Garage, Surf, Punk Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: https://www.facebook.com/tenseupband/
Membri band:
Vincenzo Melita – chitarra
Luca Bajardi – batteria
Tracklist:
1. Mr.Memory
2. Carrusel
3. I Killed Him
4. Astraphobia
5. The Key
6. Private Traps
Category : Recensioni
Tags : Garage
0 Comm
21st Apr2019

The Mighties – Augustus

by Raffaele Astore
In Augustus, ultima produzione della band italiana The Mighties, c’è qualcosa che rimanda indietro nel tempo quando band come i Clash ed in particolare i Ramones erano agli apici del loro successo. C’è però qualcos’altro in questo lavoro che non possiamo fare a meno di notare e cioè che se certe sonorità riportano ai mitici Morlocks, band che il rock lo ha davvero fatto in quei garage che hanno poi dato il nome al genere di rock che qui stiamo trattando, i The Mighties hanno forgiato un proprio stile, inconfondibile.Prendiamo ad esempio i giochi di tastiere: qui sono semplici e lineari ma risaltano all’ascolto perché tutti sostenuti da un chitarrismo che nulla ha da invidiare ai grandi nomi che finora abbiamo menzionato. Ed è così che i The Mighties, band della quale sentiremo sempre più parlare – almeno lo speriamo – forgiano una produzione vinilica che è davvero accattivante sin dal primo pezzo che, proprio nell’introduzione ha qualcosa di particolare con la voce che in apertura è calibrata considerevolmente giusto per far capire cosa potrà accadrà successivamente. Ed infatti Caprice De La Drama è un calibrato pezzo di pura sonorità garage che guarda con attenzione alle sfumature, quasi tutte prese a prestito da un punk rock che non è esagerato come quello più conosciuto.

Augustus è una vera e propria carica di energia sin dal primo pezzo, un disco che è tutto un continuo sballottarsi, tra schitarrate calibrate, una voce azzeccatissima come sonorità, cori splendidi che, come spesso accade in questo genere di band, sono di una potenza per niente offuscata ma di sostegno ad un ritmo sempre più in crescendo. E poi, quelle tastiere inserite sempre al momento giusto che danno la giusta enfasi ai pezzi che i The Mighties ci propongono. Ed anche se il disco ci propone un punk rock energico, alla fine quello che resta è il suono universale di ballate che restano uniche e che mettono sempre più in risalto la bravura dei musicisti di questa band perugina che non può restare lì dov’è ora anzi, è opportuno che in tanti se ne accorgano perché la musica qui è enfasi, ritmo, rock allo stato puro…quello che colpisce di sicuro e lascia un segno che più indelebile di così non può essere. E certo che la chitarra di Romizi è una vera e propria bomba, un’energica esplosione da big bang, come lo sono le tastiere di Francesco Mengoni che richiama alla mente vecchie sonorità anni 60, inizio era psichedelica tanto per intenderci. Così come il basso di Mechelli e la batteria dell’altro Mechelli uniti e martellanti come non mai, sono la madre di tutte le battaglie per la capacità ritmica di tenere insieme una band che dal primo all’ultimo brano di questo Augustus diventa una vera e propria macchina da guerra sonora.

Ad ogni buon modo l’esperienza decennale dei The Mighties si sente, eccome, perché in questa prima loro produzione vinilica non esistono sbavature e non ci sembra il caso di dire, qui, che i potenti mezzi di studio siano poi intervenuti tanto per migliorarne i suoni che la band ci tramanda. I The Mighties, che sappiamo hanno condiviso il palco con artisti del calibro di Marky Ramone, Lords Of Altamont, gli stessi Morlocks dei quali sembrano essersene invaghiti, sono riusciti nell’intento, con questo nuovo album, Augustus, a rappresentare il meglio di quella che è la vera e propria essenza del garage rock, che qui diventa puro e tosto rock’n’roll, anche se molto incline a provare nuove sperimentazioni di genere rendendo così la musica dei perugini una delle proposte più interessanti in un panorama musicale sempre più orientato al ritorno ai vecchi fasti. Non perdeteli assolutamente di vista perché ne sentire sempre più parlare di loro.

Autore: The Mighties Titolo Album: Augustus
Anno: 2019 Casa Discografica: We’re at Fruit Records, Sob! Records
Genere musicale: Garage Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/themightiesband
Membri band:
Emiliano Pinacoli – voce
Nicola Mechelli – basso
Alessandro Mechelli – batteria
Bernardo Romizi – chitarra
Francesco Mengoni – organo
Tracklist:
Lato A:
1. Caprice De La Drama
2. Back To The Schoole
3. Chinese Drop
4. Everybody’s Doing
5. Simon Brown
6. Church Of R’n’R

Lato B:
7. Girl In The Zoo
8. Casablanca
9. Girl Inspector
10. White Lies
11. Shudybabybop
Category : Recensioni
Tags : Garage
0 Comm
24th Feb2019

Metro Velour – Hey You

by Piero Di Battista
Un nuova ondata punk è in atto? Non proprio. Parliamo dei Metro Velour, realtà francese formatasi da pochi anni, ma dagli elementi che non sono proprio dei teenager, anzi. Hanno recentemente pubblicato Hey You, disco autoprodotto che porta con sé dieci brani. Perché parliamo di punk? Perché l’album dei quattro transalpini si incentra su un garage punk a forti tinte 70’s, un disco dunque dal forte gusto retro’ e di conseguenza piuttosto anacronistico. Il disco parte anche con un certo mordente, accompagnato dal ruvido sound di Back Street Baby e dalla vena combat punk di Dirty Girls, ma a lungo andare questo mordente tende a scemare, per poi dissolversi come polvere nel vento. Hey You è un album realizzato con passione, ma è proprio questa che si rivela un’arma a doppio taglio perché a volte l’effetto nostalgia tende a diventare quasi fastidioso e forse è il caso del disco dei pur volenterosi Metro Velour.

L’album è appunto adatto a coloro che ancora oggi restano legati a certe sonorità e che guardano con forte scetticismo a qualsiasi pubblicazione avvenuta dopo il 1979.

Autore: Metro Velour Titolo Album: Hey You
Anno: 2018 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Garage Punk Voto: 5,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/www.metrovelour.fr
Membri band:
Sebastian Smith – voce, chitarra
Louis Chevallier – chitarra
Nico Pasqual – basso
J.B. Caramellino – batteria
Tracklist:
1. Hey You
2. Back Street Baby
3. Can You Hear Me
4. Dirty Girls
5. Havin’ A Ball
6. Necro Nancy
7. Pawn Shop
8. Rita Rita
9. Snake Woman
10. Sweet F.A.
Category : Recensioni
Tags : Garage
0 Comm
Pagine:123»
Pagina successiva »
  • Cerca in RockGarage

  • Rockgarage Card

  • Calendario Eventi
  • Le novità

    • At First – Deadline
    • Rainbow Bridge – Unlock
    • Typhus – Mass Produced Perfection
    • Hybridized – Hybridized
    • Methodica – Clockworks
  • I Classici

    • Quiet Riot – Alive And Well
    • Pallas – XXV
    • Offlaga Disco Pax – Socialismo Tascabile (Prove Tecniche Di Trasmissione)
    • Mountain – Masters Of War
    • King’s X – XV
  • Login

    • Accedi
  • Argomenti

    Album del passato Alternative Metal Alternative Rock Avant-garde Black metal Cantautorale Crossover Death metal Doom Electro Rock Folk Garage Glam Gothic Grunge Hardcore Hard N' Heavy Hard Rock Heavy Metal Indie Rock Industrial KISS Libri Marillion Metalcore Motorpsycho Motörhead New Wave Nu metal Nuove uscite Post-metal Post-punk Post-rock Power metal Progressive Psichedelia Punk Punk Rock Radio Rock Rock'N'Roll Rock Blues Stoner Thrash metal Uriah Heep
Theme by Towfiq I.
Login

Lost your password?

Reset Password

Log in