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10th Mag2021

Misstress – Resurrected

by Gabriele Rusty Rustichelli
Arrivano dalla polonia i Misstress e presentano il loro Resurrected, album di 13 brani in bilico tra il glam rock, l’hard rock e il metal. Di base s’ispirano all’horror e questo si intravede anche dai testi. Hanno all’attivo oltre un decennio di attività nell’underground dell’est Europa. Il disco non suona da grande produzione, anzi, sembra di aver tra le mani un demo ma, visto il genere e il contesto, ci può anche stare. Questo genere non sempre necessita di produzioni da mainstream, specie se la band ha più un’attitudine live. Dai titoli delle canzoni possiamo già crearci un immaginario della proposta musicale, Welcome To Hell e Sex Bood & Rock’n’roll ne sono un esempio. Come dicevamo si spazia dal glam rock al metal con quel sapore che un po’ ricorda (da lontano) Manson, Alice Cooper e i precursori del genere. Le canzoni sono piacevoli anche se la produzione non è eccelsa. Probabilmente un produttore potrebbe dare quella marcia in più al sound e farlo emergere dall’underground.

Ma se l’intento è di fare musica per una necessità propria e non scontrarsi con un mercato “spietato” dove tutti i canoni devono essere rispettati o dove bisogna avere una personalità prorompente per dettare o cambiare i canoni stessi, tutte le opinioni cambiano. Mi spiego, i musicisti suonano discretamente e il tutto suona abbastanza “creepy”, basso e batteria scorrono lisci e le chitarre tessono alcuni riff interessanti e soli a tratti interessanti. Qualche volta si sente l’eco dei primissimi Motley. Un album che per rimanere nell’underground sembra perfetto. Gli amanti del genere potranno di certo godere delle atmosfere e del sound. Per il salto di qualità forse ci sarà da aspettare ancora un po’ di lavoro in studio ma per una band che ha voglia di suonare live in festival del genere i presupposti ci sono tutti. Sex, Blood & Rock’n’Roll, (ottava traccia del lavoro) ne è un esempio lampante. Dal vivo dovrebbero essere davvero divertenti.

Autore: Misstress Titolo Album: Resurrected
Anno: 2021 Casa Discografica: Blasphemous Records
Genere musicale: Glam Rock, Hard’N’Heavy Voto: 6
Tipo: CD Sito web: www.misstress.band
Membri band:
Mateusz “Buczyfer” Buczek – voce
Andy “Ankh” Schoeneich – chitarra
Gerard “Gere” Chodyra – basso
Tomasz “Kliman” Klimczak – batteria
Tracklist:
1. Resurrection
2. Welcome To Hell
3. Lilith (Sanctificetur Nomen Tuum)
4. I’m Goin’to Get U
5. No Risk No Fun
6. Jesus Christ Pornstar
7. Deal With The Devil
8. Sex,Blood & Rock ‘N’ Roll
9. Lady Katharina
10. Blood Sucke
11. Evil
12. Awakening Of The Vampire
13. Time To Hunt
Category : Recensioni
Tags : Glam
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29th Gen2020

M.I.L.F. – Rolling Thunder

by Marcello Zinno
Tornano i M.I.L.F. dopo quel More Than You di cui avevamo parlato a questa pagina e che ci aveva fatto prendere un aereo diretto per Los Angeles. Solitamente band dedite a sonorità glam/sleaze difficilmente cambiano rotta ed è il caso anche di questa band dalle origini tricolore ma che vuole vivere con una bandiera a stella e strisce dietro alle spalle. Così la formazione rispetto al loro precedente album cambia e diversa è anche la produzione che risulta migliore, con suoni più luccidanti e in grado di valorizzare davvero i singoli contributi. Dal punto di vista tecnico la band è davvero preparata, spiccano gli assoli ma in generale tutti gli strumenti sanno dire la loro. Ciò che però ci colpisce è il songwriting di questa band che probabilmente pecca di eccessiva aderenza alla scena di appartenenza: siamo i primi a premiare la coerenza però su strutture stilistiche che ormai hanno più di un decennio ci si aspetta qualche contributo personale, qualche elemento innovativo che dia motivo sia ai fan storici che alle giovani leve di puntare su una band emergente. Invece molti brani risultano davvero troppo vicini allo stile dei Guns N’ Roses (Hottest Dream, Sell Your Pills, Bad Boys) tanto da sembrarne un po’ un clone, altri passaggi ci ricordano lo stile glam già presentato nel precedente full-lenght (Babe) o ancora attacchi che sono arcinoti nella scena e che sentiamo davvero da tanto tempo (Unleash The Beast).

I momenti più interessanti invece sono sicuramente Blame It On The Vodka che si allontana dal contesto paillettes e “cameriere nella toilette” per prendere ispirazione dal classic heavy metal o ancora meglio presenta più il lato Hardcore Superstar della band, Peace Of War che è un esercizio metal fuori dal coro di Rolling Rhunder ma che si tradurrà senza dubbio in un elemento incendiario per le loro esibizioni live, o ancora la muscolosa Crazy For Love. Il nuovo album dei M.I.L.F. (che ricordiamo sta per “Make it long n’fast”) è un album che si colloca nel pieno della scena glam/sleaze senza “se” e senza “ma” riprendendo tutte le lezioni che abbiamo (hanno) imparato dall’epoca d’oro e portandole ai giorni nostri. L’unico “ma” lo mettiamo noi: ma se questi ragazzi avessero osato inserendo delle formule proprie o spaziando un po’ con i generi (vedi brani citati prima) questo non avrebbe giovato al valore artistico della proposta?!

Autore: M.I.L.F. Titolo Album: Rolling Thunder
Anno: 2020 Casa Discografica: Volcano Records
Genere musicale: Slease, Glam Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: www.milfofficial.com
Membri band:
Simone Galli – voce
Andrea Lasi – chitarra
Luca Ferri – chitarra
Andrea Devoti – basso
Tracklist:
1. Hottest Dream
2. Sell Your Pills
3. Babe
4. Blame It On The Vodka
5. Last Hand
6. “I Have A Dream”
7. Peace Or War
8. Unleash The Beast
9. Crazy For Love
10. Inner Fire
11. Bad Boys
12. Mama Kin (cover)
Category : Recensioni
Tags : Glam
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10th Ott2019

Steel Panther – Heavy Metal Rules

by Massimo Volpi
Gli Dei della **** sono tornati e sono più cotonati e colorati che mai. Gli Steel Panther pubblicano il nuovo album, Heavy Metal Rules, dopo qualche singolo che ne ha preceduto l’uscita. Avevamo già ascoltato All I Wanna Do Is Fuck (Myself Tonight), Always Gonna Be A Ho e Gods Of Pussy, appunto. Quest’ultimo accompagnato da una copertina che ritraeva i quattro californiani nelle vesti di Dei greci, che io personalmente avrei utilizzato (come anche il titolo) per l’intero album. La copertina scelta, invece, è poco autoreferenziale e poco presuntuosa rispetto al loro standard e ai loro personaggi. Due (solo?) ragazze davanti a una muscle car, circondate da cose “a caso” (certamente dei riferimenti a storiche band rock) come una pantera, un’aquila, fuochi d’artificio, asce, chitarre. Entrando nel merito musicale, Heavy Metal Rules è quello che ci si aspetta dagli Steel Panther; o meglio, forse la formuletta sta diventando un po’ noiosa o non funziona più quanto prima, ma è doveroso fare una considerazione, sempre, quando si parla di band così. Gli Steel Panther sono questa cosa, una presa in giro delle band glam rock, un’esasperazione buffa di sesso, droga e rock’n’roll; e continuano a esserlo e questo non è certo facile.

Chiusa parentesi, continuano a essere i re dei party, dei concerti leggeri e divertenti, del merch furbo, delle magliette con slogan accattivanti, dai costumi con colori sgargianti e delle folte chiome. Questo sono gli Steel Panther. In Heavy Metal Rules c’è uno smisurato uso di “fuck” e testi che parlano solo di rapporti sessuali, un po’ troppo monotematico, è vero; ma il senso dell’operazione commerciale (e loro ne sanno molto di questo) è semplicemente tirare fuori 3 o 4 singoli (e forse ci sono) per “giustificare” un tour. Non che ci sia bisogno una scusa per un tour degli Steel Panther, ma è così che funziona (il loro) business. I pezzi forti sono sicuramente quelli utilizzati come teaser dell’album ed esca per l’acquisto dell’intero album che, invece, non vede molto di più del minimo sindacale. All I Wanna Do Is Fuck (Myself Tonight) è di sicuro un pezzo che funzionerà molto bene nei live, singalong e semplici ritornelli, così come Gods Of Pussy. Più lento e “intimo” il terzo dei singoli, Always Gonna Be A Ho, con il suo testo “d’amore” divertente e coinvolgente. Passando agli inediti, spicca tra gli altri, Fuck Everybody, nel quale ce l’hanno un po’ con il mondo, o probabilmente è una presa in giro di tutti quelli che si incazzano per delle cose di poco conto; Debolina la title track, anche per questo avrei scelto un altro titolo e un’altra copertina. Sneaky Little Bitch riporta l’album sui livelli, seguita da Gods Of Pussy (probabilmente la migliore) e dal pezzo di chiusura, I Ain’t Buying What You’re Selling, ballad dal sapore malinconico sempre adatta per momenti di calma e intimità durante i live.

Un album sotto le aspettative quindi? No. Semplicemente bisogna sapere cosa aspettarsi dagli Steel Panther. Sono la band che ha portato, e continua a portare sul palco il lato “ridicolo” del rock e continuano a farlo in modo divertente. Questo non è affatto facile, soprattutto per band che hanno fatto dell’ironia il loro credo. Dal punto di vista musicale e compositivo, nulla gli si può rimproverare. Forse non sarà il migliore ma di sicuro è un album che tiene alta la loro bandiera. Che è quello che in fondo vogliono, e continuano a dire nelle canzoni.

Autore: Steel Panther Titolo Album: Heavy Metal Rules
Anno: 2019 Casa Discografica: Republic Records
Genere musicale: Glam Rock, Sleaze Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.steelpantherrocks.com
Membri band:
Michael Starr – voce
Satchel – chitarra
Lexxi Foxxx – basso
Stix Zadinia – batteria
Tracklist:
1. Zebraman
2. All I Wanna Do Is Fuck (Myself Tonight)
3. Let’s Get High Tonight
4. Always Gonna Be A Ho
5. I’m Not Your Bitch
6. Fuck Everybody
7. Heavy Metal Rules
8. Sneaky Little Bitch
9. Gods Of Pussy
10. I Ain’t Buying What You’re Selling
Category : Recensioni
Tags : Glam
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08th Ott2019

La lotta contro la “normalità”: genesi del Glam Rock

by Andrea Musumeci
All’inizio degli anni 70, la cultura hippie era morta e sepolta, assieme alle sue idee e speranze rivoluzionarie. Il rock dei ’70 era maturo per cercare nuove strade; avrebbe potuto recuperare la dimensione spettacolare che aveva confinato a causa della politicizzazione del rock del decennio precedente. Progressive e folk stavano per diventare contenitori saturi, il punk era ancora un vento lontano, e fu così che la prima metà dei Settanta venne dominata dall’avvento del glam rock. Durò però pochi anni, visto che nel 1973 arrivò la prima vera crisi economica, detta crisi energetica per Stati Uniti ed Europa a causa della forte riduzione di esportazione di petrolio da parte di alcuni paesi arabi, determinando un inevitabile e brusco innalzamento del prezzo del greggio. Tornando al glam rock: il termine deriva dall’aggettivo glamour, cioè attraente, affascinante, e viene in soccorso a un rock in piena crisi d’identità. Grazie soprattutto ad alcuni personaggi ambigui, figli della cultura psichedelica, come David Bowie, Brian Ferry e Marc Bolan, questo nuovo genere, a metà tra il rock’n’roll, il blues, ed il proto-punk stoogesiano, si scagliò prepotentemente contro il perbenismo della borghesia, esaltandone i vizi, i capricci e vanità.

La questione morale del successo non era un problema da porsi, non importava essere glamour in maniera naturale o artefatta: il glam rock esaltava il benessere, il look, l’autocelebrazione e il desiderio compulsivo ed estetico della trasgressione, quasi come fosse un istinto di sopravvivenza. Umore decadente, ambiguità sessuale, abbigliamento frivolo e appariscente, erano i principi sui cui si fondava un genere visivamente spettacolare e musicalmente essenziale. Il glam rock non era un vero e proprio genere musicale, era un’attitudine, un modo di essere e di apparire. Il glam rock si estendeva dal ritmo boogie dei T-Rex allo stile sofisticato di David Bowie e dei Roxy Music di Bryan Ferry, all’hard rock diretto dei New York Dolls e Kiss, fino ai lustrini melensi e pop di Gary Glitter. Per questo motivo, il glam rock si è contraddistinto principalmente per l’aspetto dei performer e i loro personaggi, più per le pose che assumevano che per la musica che suonavano. Il glam rock era l’esaltazione della forma, della cornice.

Negli Stati Uniti, l’ondata glam britannica verrà addirittura estremizzata: negli Usa il glam rock divenne esclusivamente intrattenimento, esibizionismo, esagerazione e divertimento a tutti i costi. Così, la musica si trasformò in un mero condimento dello spettacolo, un contenitore vuoto, ruffiano e luccicante. Ma la valanga nichilista del punk e della new wave non erano poi così lontani.

Category : Articoli
Tags : Glam
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07th Nov2018

T.Rex – Zinc Alloy And The Hidden Riders Of Tomorrow

by Raffaele Astore

T.Rex - Zinc Alloy And The Hidden Riders Of TomorrowQuando vi capiterà di mettere questo disco sul piatto spero non accada che vi schiantate contro un album dei T.Rex che ha la sua collocazione nel mezzo di una discografia che ha registrato alti e bassi, ma anche grandi apici nella musica rock. Questo disco appare però decisamente migliore del precedente, anche se non sembra funzionare al meglio rispetto al passato più o meno recente e comunque sia ci sono anche delle cose abbastanza interessanti grazie anche al lavoro sapiente del solito Visconti. Venus Loon in apertura dà già l’idea di cosa ci aspetta con una intro chitarrista che lascia subito spazio ad un rock’n’roll glam come solo lui è riuscito a fare. Ma non lasciatevi ammaliare perché alla fine, il risultato, sta nel mezzo di una canzonetta che vuol solo diventare grande anche se bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare e a Bolan ciò che è di Bolan, perché Venus Loon dimostra come il suono dei T.Rex sia avanti rispetto al periodo in cui è stato concepito. Con Sound Pit ciò che si percepisce è l’anima bolaniana di inclinazione hard che non riesce però a competere con le precedenti creazioni del folletto anglosassone. Infatti il pomposo inizio del pezzo è tutto quello che resta, mentre tutto il resto, è un “cazzeggio” inutile che richiama certi momenti beatlesiani di rock giocoso e perfido, insomma, quasi una presa in giro della quale avremmo potuto farne a meno.

Explosive Mouth è solo un passaggio e nulla più, e comunque sia si odono alcuni momenti spaziali che richiamano un certo David, sì, proprio così, ma molto alla lontana. Con Galaxy sembra di trovarsi su un aereo spaziale lontano anni luce da quanto il rock concepiva in quel periodo; qui c’è anche una certa inquietudine, probabilmente dovuta al momento calante della band, oltre che dello stesso Bolan, dopo alcuni capolavori assoluti. Change è una delle poche tracce dell’album che sfrutta al massimo la minima strumentazione sulla quale è costruita; sinceramente questo è anche il brano che prediligo di più per l’atmosfera che Bolan crea, atmosfera che dà maggiore enfasi a tutto il pezzo del quale ne suggerisco un attento ascolto. Nameless Wildness è un brano che sembra solo messo come riempitivo, ed infatti non dice molto, anzi, a noi sembra influire negativamente su tutto l’album che tranne per alcuni passaggi, non è all’altezza dei migliori Tyrannosaurus. E così si ha la conferma che Zinc Alloy And The Hidden Riders Of Tomorrow non è un grande album, mentre è sempre più palpabile la caduta della band e della genialità bolaniana. Teenage Dream è un bel brano che gioca sull’uso degli archi e di melodie dove le arie pop sono un po’ retrò anche se contribuirono probabilmente a portare questo brano ad essere il singolo estratto da Zinc Alloy And The Hidden Riders Of Tomorrow nella classifica inglese, piazzandolo al tredicesimo posto. E se Liquid Gang è un pezzo all’apparenza folle, Carsmile Smith & The Old One rende l’idea di come una band votata al glam possa realizzare una sorta di colonna sonora per un musical.

Ma a parte la disquisizione sui singoli pezzi, probabilmente se si facesse partire il disco al contrario, le canzoni migliori sono proprio alla fine nonostante la nostra idea che la parte migliore di questo disco è tutto nel lato A che va da Venus Loon fino a Teenage Dream, mentre, il lato B, apre con Liquid Gang per chiudersi con The Leopards Featuring Gardenia And The Mighty Slug. In Zinc Alloy And The Hidden Riders Of Tomorrow i punti salienti li troviamo in Venus Loon, che è anche uno dei migliori momenti musicali del re del glam, ma c’è anche quell’Interstellar Soul che sposa molto il funk con un semplice riff di Bolan forse un po’ sotto tono, ma sempre alternativo. Ma anche The Avengers è una gemma di quest’album, davvero invitante tanto da farci battere i piedi perché incentrata su un funk di ottima caratura dove la chitarra ha una predominanza non indifferente.

Questo è l’album che trasforma i T.Rex da solida band glam rock a band che sembra perdersi nell’oscurità, un’oscurità che li porterà, purtroppo, sulla via del tramonto. Eppure ci chiediamo come sia potuto accadere visto che qui ci sono anche delle buone cose. Di certo c’era il fatto che altre band come i Roxy Music e l’incontrastabile David Bowie stavano evolvendo il proprio sound, mentre, i T. Rex, sembrava si fossero bloccati nel loro inconfondibile stile che non riuscivano, purtroppo, a renderlo al passo coi tempi.

Autore: T.Rex

Titolo Album: Zinc Alloy And The Hidden Riders Of Tomorrow

Anno: 1974

Casa Discografica: Emi Records

Genere musicale: Glam Rock, Rock

Voto: 6,5

Tipo: LP

Sito web: https://it.wikipedia.org/wiki/T._Rex

Membri band:

Marc Bolan – chitarra, voce

Gloria Jones – tastiere, cori

Steve Currie – basso

Davy Lutton – batteria

Mickey Finn – percussioni

Tracklist:

  1. Venus Loon

  2. Sound Pit

  3. Explosive Mouth

  4. Galaxy

  5. Change

  6. Nameless Wildness

  7. Teenage Dream

  8. Liquid Gang

  9. Carsmile Smith & The Old One

  10. You’ve Got To Jive To Stay Alive – Spanish Midnight

  11. Interstellar Soul

  12. Painless Persuasion V. The Meathawk Immaculate

  13. The Avengers (Superbad)

  14. The Leopards Featuring Gardenia And The Mighty Slug

Category : Recensioni
Tags : Glam, T.Rex
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24th Ott2018

T.Rex – The Slider

by Raffaele Astore

T.Rex - The SliderIl settimo album dei T.Rex è probabilmente il prodotto che ha fatto conoscere più degli altri il genio compositivo del grande Marc Bolan. In The Slider oltre ad essere presente tra i solchi il vero trionfo compositivo del folletto inglese che ha creato quel nuovo genere di rock che va sotto il nome di glam rock, vi è anche quella sottile ed inimitabile conferma di ciò che Bolan è come artista. The Slider è il prodotto che ha definitivamente contribuito alla svolta elettrica della band, confermato dai tanti brani presenti, primo fra tutti Rock On che è una bella ballata elettrica (ascoltare per credere). E se Electric Warrior è il massimo della band, The Slider è il lavoro che ha fatto toccare il cielo a Bolan & C. anche sulla spinta del successo che Electric Warrior aveva avuto l’anno precedente. Lanciato sul mercato con l’uscita di due singoli nel Regno Unito – Telegram Sun e Metal Guru, – l’album è diventato il disco più conosciuto dei T.Rex sia negli States che in Europa, e la convinzione che tutto qui è frutto della mente bolaniana la si sente perché il disco contiene ballate ricche di misticismo, passaggi folk classici a dir poco sbalorditivi, senza contare poi la padronanza piena della forma pop-musica-canzone.

Con The Slider è davvero impossibile non restare coinvolti dall’ondata musicale che colpisce in faccia senza guardare; i pezzi qui sono di una perfezione assoluta, quasi maniacale e la consequenzialità dei pezzi sul disco non è nemmeno un caso ma uno studio approfondito di passaggi e mixaggi che solo Tony Visconti e Bolan potevano immaginare. L’apertura di The Slider, affidata a Metal Guru, sembra sia l’avvio di una festa di suoni e colori unici nel loro genere; il pezzo appartiene ormai davvero al pantheon delle aperture di grandi dischi rock, una vera e propria celebrazione di ciò che Bolan è nel suo insieme e di ciò che rappresenta per il rock del periodo (ma anche per ciò che rappresenta ancora oggi). Il pezzo, dotato di una grande fisicità spaziale, è quasi un’autocelebrazione per un Bolan che è destinato ad essere sempre più stella, ed uno dei massimi cantori del rock. Il romanticismo angoscioso ed elettrico che esplode con il pezzo arriva fino allo stomaco lasciando estasiati per quanto si ascolta, e non ci sembra poco affermare che Metal Guru è ciò che solo i T.Rex di Bolan potevano concepire.

E se la fisicità spaziale con cui Bolan ed i suoi T.Rex aprono questo disco contribuisce davvero a creare un alone di misticismo intorno all’intero disco, Mystic Lady è invece il tentativo di emulare quella meravigliosa composizione che è stata Cosmic Dancer, ma che non ha altri eguali; si perché con Mystic Lady, Bolan sembra volersi nascondere per sfuggire da quel clamore che lo circonda e che quasi gli rovina il quotidiano vivere. Bolan qui dimostra quanto sia ancora alla ricerca di un suo equilibrio artistico mentre tutto il resto è ciò che cerca di portarlo su strade che lui vuol tenere lontane quali consumismo, idolatria artistica ed altro ancora. Rock On oltre ad essere una traccia davvero eccezionale, un pezzo che non lascia scampo a chi lo ascolta anche per la prima volta, è infarcito da continui cambi che hanno dato un nuovo volto al modo di concepire la scrittura musicale con tanta di quella contaminazione blues alla Howlin Wolfs e di altri come lui, un pezzo che ha il blues nelle viscere.

Si potrebbe continuare all’infinito nel parlare di questo splendido The Slider ma non vogliamo tediarvi troppo perché preferiamo che ve lo ascoltiate tutto questo disco, ma ciò però che vogliamo qui far risaltare è che The Slider, così come The Electric Warrior, sono il vero e proprio apice del glam rock allo stesso modo in cui lo è quello di un Bolan in piena forma; qui la fusione tra la lucidità vocale e il chitarrismo essenziale bolaniano sono il massimo, come lo è anche il fatto che loro, i T.Rex, pur mancando delle ambizioni che corrispondono ai nomi di Bowie o a quello dei Roxy Music, avevano di diritto una loro collocazione nel panorama rock dell’epoca. The Slider lo dimostra appieno essendo un disco che nessuno è mai riuscito ad eguagliare. Sarà che perché è forse la naturale prosecuzione di Electric Warrior? A chi ci legge l’ardua sentenza.

Autore: T.Rex

Titolo Album: The Slider

Anno: 1972

Casa Discografica: Emi Records, Reprise Records

Genere musicale: Glam Rock

Voto: 7

Tipo: LP

Sito web: https://it.wikipedia.org/wiki/T._Rex

Membri band:

Marc Bolan – voce, chitarra, organo, basso

Mickey Finn – percussioni, batteria

Steve Currie – basso

Tony Visconti – arrangiamenti

Bill Legend – batteria

Tracklist:

  1. Metal Guru

  2. Mystic Lady

  3. Rock On

  4. The Slider

  5. Baby Boomerang

  6. Spaceball Ricochet

  7. Buick Mackane

  8. Telegram Sam

  9. Rabbit Fighter

  10. Baby Strange

  11. Ballrooms Of Mars

  12. Chariot Choogle

  13. Main Man

  14. Cadillac

  15. Thunderwing

  16. Lady

Category : Recensioni
Tags : Glam, T.Rex
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17th Ott2018

T.Rex – Electric Warrior

by Raffaele Astore

T.Rex - Electric WarriorNon ricordo con esattezza quando ho ascoltato questo disco per la prima volta, ma di certo Electric Warrior è stato uno degli album che ha maggiormente contribuito a forgiare la mia conoscenza musicale, una produzione che mi ha dato l’energia necessaria per spingermi sempre più al di là, per conoscere tutti i segreti di quella musica che amo tanto, il rock, in tutte le sue sfaccettature. Lo consiglierei a chiunque questo lavoro immenso di una band che ha scritto la storia nel rock e di un Marc Bolan che non è più solo un’icona ma quell’uomo che cadde sulla Terra ed alla quale, ne sono certo, il mitico David Bowie si è ispirato (ascoltare dopo Electric Warrior alcuni album del Duca per capire). Qui non c’è nessun richiamo ai precedenti album e non è nemmeno il glam rock degli albori (con l’esclusione di Rip Off), perché le composizioni giocano tra ballate scritte in maniera fantastica, la voce di Bolan e una chitarra elettrica essenziale. E la presenza in alcuni pezzi dell’acustica proiettano davvero Electric Warrior tra le produzioni immortali ed uniche, inimitabili e meravigliose. Basti a ciò ascoltare la splendida Cosmic Dancer che oltre alla chitarra acustica presenta armonie singolari nel suo genere con battute alle quali, e lo credo fermamente, si è ispirato per alcune sue canzoni anche un certo John Lennon.

Ma le riflessioni non sono mai abbastanza per descrivere quanto amore possa davvero esprimere questo album dei T. Rex, basta solo sapere che se un album è ancora prodotto, ristampato o è tutt’ora in circolazione, e lo è sempre stato nell’ultimo quarantennio, allora vuol dire che è ormai così importante al punto tale che chi non lo ascolta compie un peccato abnorme. In Electric Warrior, Marc Bolan definisce il suono dei T.Rex prendendo spunto da quanto dichiarava un certo Phil Spector che affermava come il suono non deve prendere l’intero spazio ma deve avere un aspetto più dinamico perché va sentito, deve essere denso e stratificato, ricco e strutturato (e se lo afferma un produttore…). Ma per Bolan ed i T.Rex ciò significava riprendere quanto, a proposito di suono, aveva fatto un certo Jimi Hendrix, per cui lo studio di registrazione per la band diventava una sorta di estensione del concetto musicale e non solo un luogo di produzione. Bolan qui non si accontenta di suonare la chitarra in quel modo primitivo che spesso gli si attribuisce, ma le attribuisce eleganza grazie a cambi di accordi semplici mixati in modo chiaro e trasparente con gli altri strumenti, una tecnica questa sempre osannata e scelta per le sue composizioni anche da un certo Lou Reed che spesso dichiarava che un grande pezzo di rock si fa solo con tre accordi.

Electric Warrior è la perfezione assoluta ed ineguagliabile di un condensato di rock, folk e blues intriso di arroganza strumentale e seduzione testuale. E se la copertina di questo disco fu progettata dal gruppo di design inglese Hipgnosis riprendendo un’immagine di un concerto che i T. Rex tennero all’Albert Hall a Nottingham il 14 maggio del 1971, l’album, sin dalla copertina, appunto, è uno dei migliori album pop mai realizzati perché è essenziale, spaziale, melodico e discorde allo stesso tempo, un album che è perfezione assoluta come questo ce ne sono pochi. L’apertura del disco, affidata a Mambo Sun, è una delle migliori aperture che si possano immaginare, un avvio che è anche una sorta di apripista per pezzi come Monolith, Girl o Cosmic Dancer che vengono dopo. E la maestrìa di Bolan la si nota nel modo in cui si sviluppano gli arrangiamenti delle voci, come avviene in Planet Queen che contiene vocalizzi vorticosi su una base di accordi semplici ed umili.

Electric Warrior andrebbe ascoltato nella vita almeno una volta, perché, credetemi, una volta è sufficiente a convincersi del suo immenso valore, un lavoro dove la sperimentazione melodica bolaniana varca i confini blues dello stile chitarristico dell’artista, un Bolan che nel movimento glam del periodo è stato l’unico, dopo l’ascesa e la caduta di Ziggy Stardust, a mantenere saldo il grande circo del glam rock, ecco forse perché Marc si è trasformato in un guerriero elettrico, il circo del glam ne aveva bisogno, e lui lo aveva capito benissimo.

Autore: T.Rex

Titolo Album: Electric Warrior

Anno: 1971

Casa Discografica: Fly Records, Reprise Records

Genere musicale: Glam Rock, Hard Rock

Voto: 10

Tipo: CD

Sito web: https://it.wikipedia.org/wiki/T._Rex

Membri band:

Marc Bolan – voce, chitarra

Steve Currie – basso

Mickey Finn – congas

Bill Legend – batteria

Howard Kaylan – cori

Mark Volman – cori

Rick Wakeman – tastiere

Ian McDonald – sassofono

Burt Collins – flicorno soprano

Tracklist:

  1. Mambo Sun

  2. Cosmic Dancer

  3. Jeepster

  4. Monolith

  5. Lean Woman Blues

  6. Get It On

  7. Planet Queen

  8. Girl

  9. The Motivator

  10. Life’s a Gas

  11. Rip Off

Category : Recensioni
Tags : Glam, T.Rex
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05th Set2018

Quando il rock divenne polvere di stelle Parte 3

by Raffaele Astore

Quando il rock divenne polvere di stelle Parte 3Ha attraversato tutte (o quasi) le epoche del rock, ne è stato un’icona incontrastata, è stato dandy, trasformista, ambiguo, e quella strada di Londra che ne richiama i grandi momenti musicali è la copertina di uno dei suoi capolavori. Io ci sono stato in quella strada (potete sbirciare il mio profilo facebook) e come me ci sono stati tanti altri per vivere l’emozione di un momento che è diventato storia, sì, storia del rock. Come si fa ad andare a Londra e non recarsi lungo la Regent Street, tra Piccadilly Circus ed Oxford Circus, per poi accedere in Heddon Street dove una targa nera ricorda che proprio lì David Bowie, convinto dal fotografo Brian Ward, era sceso in strada per alcune pose fotografiche, nonostante il freddo pungente, che avrebbero poi dato corpo alla copertina di uno dei più grandi album di tutti i tempi, The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars. E se è vero come è vero che Bowie è stato il padrino di tanti movimenti, tra i quali il glam, la sua metamorfosi artistica lo porta a creare quella rockstar caduta sulla terra venuta a sconvolgere decenni di musica rock, e non solo quella. Ed è proprio Bowie a fare con questo lavoro il suo ingresso alla corte dei Tirannosaurus Rex, anzi di Marc Bolan, già a quel tempo stella del firmamento glam.

Bowie infatti era già stato artista di spalla dei T. Rex durante la tournée del 1969 e fu proprio lì che maturò la sua teatralità ed il suo poliedrico essere del futuro. Ziggy Stardust è il personaggio inventato per annunciare il declino dell’occidente, ed è per questo, tra ispirazione artistica e le ferree regole di mercato, che Bowie diventa Ziggy proiettandosi verso le più alte vette del rock. Infatti, solo un’artista così poliedrico e mutevole come Bowie poteva passare da The Man Who Sold The World a Life On Mars per diventare lo Ziggy alieno ed umano allo stesso tempo, ultima, forse, vera rockstar di un mondo destinato ad essere distrutto. In undici pezzi Bowie si muove come in un racconto alieno, i brani che lo compongono sono vere e proprie perle di un’intensità assoluta e la musica varia con passaggi che vanno dal proto punk al rock più che melodico, malinconico. Ed è qui che esplode tutto ciò che Bowie sarà e diventerà per il rock del futuro. Prendete ad esempio Velvet Goldmine, il film che diventerà il vero e proprio manifesto del glam, la descrizione della Swimnging London dove l’arrivo di colui che raccoglierà lo scettro del rock verrà visto come la comparsa sulla terra di chi si reincarnò nel nuovo Wilde.

E se Bolan è stato il padre del glam rock, Bowie né è stato il principe incontrastato ed unico, colui che è stato in grado di attraversare epoche differenti rappresentandole con la maestria che fu di Lindsay Kemp, recentemente scomparso, che ha insegnato molto allo stesso Bowie e ad altri grandi del rock. Ma già l’anno prima, nel 1971, Bowie pubblica Hunky Dory, vero e proprio manifesto del glam che unisce folk rock degli albori insieme alla decadenza velvettiana per un mix di rock piacevole con pezzi che faranno epoca come Changes ed in particolare Life Of Mars? perla dell’uomo che cadde sulla terra. L’album è la parodia dei miti della società consumistica e diventa da subito un vero capolavoro per la sua poliedricità musicale che spazia tra glam rock ed altri stili che saranno, in futuro, più consoni allo stesso Bowie. L’aria che si respira qui è fatta anche delle influenze bolaniane che Bowie dimostrerà sempre di avere a cuore. The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars è un concept senza fronzoli, senza se e senza ma, è un capolavoro assoluto, uno dei tanti apici che Bowie ha voluto lasciare su questa terra e non come l’alieno venuto tra noi, ma l’uomo caduto sulla terra a creare scompiglio nella musica…e non solo in quella. “Come Bolan – scrive Simon Reynolds – anche Bowie si lasciò travolgere dal mod, movimento incentrato sull’immagine al quale sia Bolan che Bowie, aggiunsero quell’androginia che conquistò i vari manager dell’epoca.

Già, basti ciò a farci pensare ad un certo Lou Reed che in uno dei suoi pezzi del periodo, I’ll Be Your Mirror, cantato dalla musa di Warhol, Nico, ispirò in quel periodo lo stesso Bowie a scrivere The Mirror per un adattamento televisivo di Pierrot in Turquoise. Vite che si intrecciano, insomma, nella musica come in altre cose…ma se dovessimo dare una definitiva catalogazione a questa produzione bowiana, l’album potrebbe essere decifrato in “ascesa e caduta di polvere di stelle” che è di certo uno dei massimi livelli di espressione del glam rock dove la musica è anche travestimento, dove tutto sembra dare avvio ad una vera e propria influenza artistica che sfocerà in pezzi a dir poco unici nel loro genere. The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars è un disco storico, assolutamente imperdibile, leggendario quasi come lo sono stati molti altri lavori del miglior Bowie. Inoltre il disco è un prodotto dell’ansia che si viveva in quel periodo dettate da emergenze di diversi generi, dell’apocalisse, della cultura del pessimismo. Ma per Bowie, la fine non era imminente anzi, la prospettava come l’arrivo degli “infiniti”, degli uomini caduti per caso sulla terra a dettare un nuovo modo di concepire la vita. Ecco perché The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars è un vero e proprio manifesto dell’epoca così come Ziggy Stardust, la title track di questo disco, è davvero un classico, una musica mai ascoltata prima di allora, piena delle influenze del periodo dove glam fa rima con rock, teatro, mimica, travestimento, ambiguità.

Ma sarà anche un esempio che in molti seguiranno…lo capiremo leggendo le recensione dei dischi più importanti di alcune delle band che il glam lo hanno plasmato con il rock: T. Rex, Slade, New York Dolls, Ian Hunter, Roxy Music e così via. Seguiteci, non ve ne pentirete.

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29th Ago2018

Quando il rock divenne polvere di stelle Parte 2

by Raffaele Astore

Marc Bolan T.RexGli ultimi vagiti della Summer Of Love erano ormai un lontano ricordo sostituiti da quel nuovo modo di concepire musica che affondava le proprie radici in un rock sempre più elaborato. I variopinti volti dei giovani hippies erano ormai passato eppure il rock stentava molto a darsi una nuova veste se non fosse che sulla scena erano arrivati gente come Marc Bolan, David Bowie e tanti altri. E questi ultimi arrivati, a differenza dei primi, non erano fulgidi sognatori come i figli dei fiori anzi, erano proprio loro a voler fuggire da quel mondo concependo un modo diverso anche nell’affrontarlo. E’ probabile che la genesi di tale movimento, come lo fu quello del glam rock, abbia pescato a piene mani negli stili musicali di personaggi come Chuck Berry e Little Richard che sono stati da sempre definiti gli artisti capaci di mettere lo speed nella musica di quell’Elvis considerato da sempre l’incontrastato re del rock’n’roll. E sono stati proprio questi musicisti che hanno spinto il rock fino all’inizio degli anni ’70 facendogli assumere connotati ben diversi da quelli prediletti dai figli dei fiori. Gli anni ’70 legati indissolubilmente allo scoppio di un ’68 che aveva aperto i cancelli alle contestazioni del sistema da parte di tanti giovani che proprio nel glam si ritrovavano anche come cultura sovversiva dove, alla base di tutto, c’erano il travestimento, i lustrini, ed appunto, il rock.

Ed è proprio in questo clima che si proietta il nome di Marc Bolan che aveva dato avvio alla propria comparsa sulla scena nel periodo di quel Donovan artista inglese che si contrapponeva al menestrello statunitense Dylan. E l’importanza di Bolan per tutto il movimento che di lì a breve avrebbe assunto il nome di glam, si concretizzò sin da subito portandolo a produrre lavori di inestimabile valore sia musicale che politico perché furono anche uno schiaffo alla bigotta società inglese. Marc Bolan è l’artefice traghettatore di tutto quel rock immaginario della generazione sessanta alla efficacia di quello anni settanta, lui è il primo ad indossare lustrini e piume ed a giocare con l’identità anche sessuale, ambiguità che sarà trasferita in tutto quel glamour rock del periodo e che vedrà altri artisti seguirne le tracce, da Bowie a Lou Reed, dai Kiss, agli Slade e così via. Ed è così che quando nel 1971 arriva Electric Warrior, subito dopo T.Rex del 1970, tutto si ufficializza, tutto prende forma e diventa un mostro musicale mai estintosi completamente e che porta il nome di Tyrannosaurus Rex. Balzato al numero 1 delle classifiche inglesi, Bolan diventa l’idolo dei teenager dell’intero pianeta, così come lo diventa il suo modo di suonare che non ha nulla a che vedere con la sacralità di mostri quali Hendrix o Clapton, perché dimostra tutta la sua semplicità nella composizione delle musiche che diventano ben presto veri e propri inni e portando definitivamente Bolan ed i T.Rex a staccarsi dagli stili degli esordi che pure avevano mostrato buone cose.

Electric Warrior è una svolta definitiva per tutta la musica, non solo per il boogie o il glam, lì c’è tutta l’essenza di un rock con il quale è facile giocare pur realizzando ottimi pezzi che entreranno a far parte della storia. Ed il personaggio Bolan decolla e sfonda grazie anche ad un certo Bowie che con lui crea una sorta di dualismo con quelli che erano considerati, all’epoca, miti incontrastati come Beatles e Rolling Stones. Ma qui c’era di più che semplice musica, qui c’erano tutti gli ingredienti di un nuovo modo di essere, un modo al quale altri artisti di lì a breve si sarebbero ispirati e tra questi non vanno dimenticati gli Who con le loro opere rock, Rod Stewart o lo stesso Elton John anche se nessuno di loro ebbe il successo di vendita di singoli che Bolan aggiunse uno dopo l’altro alla sua carriera. Eppure, in questo disco che con il titolo ci fa pensare a quella sorta di elettricità guerraiola, si può dire che ci sia tutto tranne che quella elettricità che Bolan riverserà nei lavori successivi. Electric Warrior è un disco unico, fuori di testa, leggendario quanto basta a proiettare la band nell’olimpo del rock nonostante un personaggio, quale è lo stesso Bolan che sembra essere completamente fuori dal mondo perché riesce allo stesso tempo a far divertire il proprio pubblico oltre che a farlo sognare. E questo è anche il disco che anticipò di gran lunga la discesa sulla terra del marziano Bowie che nonostante si dichiarasse apertamente amico di Marc, ne soffriva intimamente per quelle innate capacità di dare tanto alla musica, alle parole, ed allo stesso “apparire in scena”, il marchio indelebile che indissolubilmente se ne andò via con la morte di Bolan avvenuta a causa di un incidente stradale.

Ma c’è anche una cosa importante da non sottovalutare storicamente: Electric Warrior è quasi il de profundis delle sonorità hippie; qui la chitarra elettrica di Bolan è davvero protagonista in tutti i sensi come lo è la chitarra acustica che si intrufola tra i solchi di un disco che nessuno può permettersi di non ascoltare. Come si fa a non pensare a classici quali Cosmic Dancer dove colpisce il bell’arrangiamento tra corde e corno, o Jeepster o la bella Mambo Sun con quella voce tipicamente bolaniana. Non vogliamo qui procedere a recensire questo disco del quale magari ce ne occuperemo più in là, ma mantenendoci su questo racconto che abbiamo voluto tracciare, Quando il rock divenne polvere di stelle – Parte 2, non possiamo non spingerci oltre affermando che Electric Warrior è quasi il manifesto del glam rock, l’album che ha ispirato di fatto tutto il movimento che in lui si è incarnato, comprese alcune di quelle band che giungeranno nel decennio successivo come addirittura gli Oasis che si sono ispirati proprio ad Electric Warrior per alcuni dei loro lavori. Allora che il glam sia con voi…Oasis a parte.

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22nd Ago2018

Quando il rock divenne polvere di stelle Parte 1

by Raffaele Astore

gibson_marcbolanMa il glam rock è morto con Bowie? Di certo del glam si parla a sproposito a volte, ma tutto ebbe inizio quando sulla Terra, anzi sulla scena, apparve un certo Marc Bolan che più che lustrini fece vedere a tutti le stelle, cui in seguito, ne seguirono tante altre. Già perché di stelle che hanno giocato con l’ambiguità anche nella musica oltre che nei travestimenti, nel glam, ve ne sono davvero tante. Alcuni nomi poi sono così importanti ed è impossibile non prescindere da loro per raccontare una breve storia del glam rock che vi racconteremo qui, cercando di essere brevi: Marc Bolan, Glary Glitter, Lou Reed, Alice Cooper, Roxy Music, New York Dolls, Queen, Ultravox e così via. Nomi importanti che hanno lasciato un marchio indelebile non solo nello stile glam ma che non hanno mai smesso di mettere lo zampino anche in tutto il rock che da lì in poi verrà. Quello che ci chiediamo qui è se è certo che il glam rock sia morto, se i tempi dei Roxy Music, band che fece del rock decadente uno strumento di sperimentazione, non torneranno più o se in giro vi è qualcuno che, purtroppo, resta ignorato dalle major. La nostra opinione è che il glam rock, oggi come oggi, come genere musicale è morto e sepolto da diversi decenni perché è stato come una meteora, veloce, furiosa, intensa, ma breve…e se c’è qualcosa che oggi può sembrare tale, beh quel rock oggi è solo imitazione.

Certamente lo stile ancora affascina, le case discografiche ristampano intere discografie dei grandi gruppi o miti, come è successo per l’intera discografia dei T.Rex veri e propri iniziatori con l’astro Marc Bolan che diede i natali più fulgidi al filone glam. Come dimenticare il loro capolavoro assoluto Electric Warrior che non può mancare tra gli ascolti necessari per capire il glam, così come non possono mancare i Mott The Hoople gruppo tanto amato da un certo David Bowie da portarselo perfino dietro in alcune sue tournée come band di supporto; o come dimenticare l’album solista di Ian Hunter con un certo Mick Ronson alla chitarra, intitolato proprio Ian Hunter, e pubblicato nel 1975? Già, ma intanto, alla consuetudine glam nel 1973 aveva pensato Lou Reed a tirar un colpo basso con la pubblicazione dell’album Berlin che di quel mondo di lustrini ed ambiguità è dissacratore pur avendoci fatto parte per un momento quando era Londra grazie al solito Bowie che lo aveva quasi trascinato a realizzare Transformer. E come ci si può dimenticare poi di quel vecchio marpione di Cooper, Alice Cooper, che con Billion Dollar Baby del 1973 e Welcome To My Nightmare del 1975 arriva a fare davvero hard rock che dire glam appare poco, eppure anche lui c’è…altro che come in tanti segnalano quel Manson, il reverendo che col rock (scusate ma è mia opinione) non c’entra nulla.

Ma ci sono anche i New York Dolls con quei due dischi New York Dolls del 1973 e Too Much Too Soon del 1974, certo meno esasperati dei glam rocker inglesi ma che di certo puzzano molto di più di quella New York esasperante e torbida dove si nasconde ciò che è proibito e, proprio perché tale, tutti lo vanno a cercare (“hey honey, take a walk on the wild side”). Quando pensiamo ad una selezione di dischi che non possono mancare nella nostra collezione glam, due di loro sono fondamentali: Electric Warrior e The Slider, il primo del 1971 il secondo del 1972, e tutti e due dei grandi T.Rex, lavori che ancora oggi sono ben saldi nel magico mondo di una musica lustrinata, nata per le strade di una Londra cupa e nascosta, notturna e “puttana” come è accaduto per la New York più smerlettata e “checca” che conosciamo grazie anche a quel genio di Andy Wharol che, dando vita alla Factory, diede il “la” che mancava a tutto quello che poi gli girò intorno, glam rock compreso. Già, perché se nel glam rock, nel travestimento, la musica diventa il perno di un rapporto quasi sessuale tra artista e pubblico, nella Factory quel rapporto si confondeva nell’arte che lo stesso Wharol produceva mentre vedeva passare i grandi travestimenti, le modelle più in del momento, i rocker più influenti e quella band che darà voce a tutta la creatività di Andy, i Velvet Underground di Lou Reed costretti ad inglobare nella band anche la bella Nico, voluta proprio da Warhol perché lei è la musa che può dar lustro alle martorianti idee del pensatore e scrittore Reed che con Cale fa sprofondare negli abissi di una New York che non tutti conoscono, ma che è davvero sesso, droga e rock’n’roll.

Già sesso, droga e rock’n’roll sintetizzato in quella banana sbucciata che nasconde la sorpresa delle sorprese tanto cara allo stesso Andy. Ed è in quel frutto proibito che tutto si nasconde ma si compara anche il futuro glam rock perché, se con Warhol il periodo è quello degli anni ’67, ’68, il glam ingloberà quelle idee con l’inizio degli anni settanta e con l’avvento dell’astro Bolan e dei suoi Tirannosaurus Rex. E poi, come non rimarcare che Bolan è nato Bolan, che Bolan non ha avuto la necessità di cucirsi addosso uno “Ziggy Stardust” come fece Bowie per creare una sorta di alter ego e ciò non è poco se si pensa a come sia Bolan che Bowie abbiano affrontato le proprie vite da palco! E c’è di più: Bolan non aveva studiato alla scuola di arte, non condivideva ambizioni intellettuali da autodidatta come Bowie, non leggeva Burroughs ma Tolkien e C.S. Lewis ed in più aveva scelto con i T.Rex di togliere al rock l’influenza del blues rendendolo più androgino senza sacrificarne l’impatto col pubblico. Per loro il rock deve essere acerbo, non musica per adulti ma rivolta al nostro io interiore, a quel bimbo che ci portiamo dentro non senza saperlo, perché è a lui che ci rivolgiamo con questo nuovo modo di fare rock, un rock androgino ed effeminato nel vestito indossato, tosto e scalpitante nel suono prodotto.

Come a dire…fate attenzione a ciò che i lustrini vi mostrano perché tutto il luccichio che vedete è solo ciò che desiderate ma non osate chiedere e sapete di averlo dentro. E noi siamo qui per mostrarvelo e farvelo sentire, anzi assaporare. Ed allora non resta che iniziare il nostro viaggio e che sia un viaggio rock questo è poco ma sicuro.

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