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16th Dic2014

Blackdahlia – Fragments

by Marcello Zinno

Blackdahlia - FragmentsAmy Lee con i suoi Evanescence aveva dato uno scossone al dark metal internazionale. Il loro merito era quello di convertire la scena gothic metal e symphonic metal ad un pubblico più vasto aprendo le porte delle grandi classifiche senza svendersi del tutto. Se consideriamo le grandi band con voce femminile del genere (Nightwish, Epica, Within Temptation, After Forever…) hanno tutte come grande nemico (discografico) quello di non riuscire ad approdare al pubblico dei grandi numeri. Nonostante gli enormi successi, nessuno riesce a conquistare una radio commerciale né un’emittente come Mtv, seppur nell’ultimo decennio sia fin troppo affine ai successi da Top 10. Invece gli Evanescence (e solo in seguito i Lacuna Coil) sono riusciti a rendere appetibile questo suono e diffonderlo con risultati ciclopici.

Parliamo di loro perché gli emergenti Blackdahlia, scritturati dall’Areasonica Records, con il loro album Fragments si avvicinano molto alla proposta musicale di Amy Lee e soci. Voce femminile in assoluta prima linea accompagnata da un piano che regala quella veste di epicità e di oscurità tanto cara a questo sound; anche qui Samuela, come Amy, è l’autrice delle linee vocali e di piano, fatto questo che prova la comunanza ideativa dei due strumenti, pensati per fondersi all’unisono. Ma si tratta pur sempre di rock duro, infatti le due chitarre si appropriano del proprio ruolo e giocano in attacco grazie ad una scelta produttiva che non le fa passare inosservate. Il loro sound è volutamente poco pulito, in modo che possa piacere anche a chi è più avvezzo al metal, e questa è una scelta che può affascinare o far discutere alla luce della eccellente pulizia di voce e piano.

Fragments non è però un album di brani sempliciotti ma cela capacità ideative che si colgono in vari frangenti: ad esempio Wounds (e in parte Fly) è sì caratterizzata da un ritornello popolare seppur duro alla sei corde, ma non nasconde arrangiamenti e sprazzi di iniziative fuori dal concetto di rock anthem che ne rendono più particolare l’ascolto. Nel brano Lost In The Daylight si toccano con mano le similitudini rispetto agli Evanescence e la capacità di abbracciare gusti più da pubblico americano: una sorta di rock ballad che entra nella mente e si confà a situazioni di tristezza come di romanticità senza alcun problema di sorta.

Un lavoro che più che la pura personalità mette in luce delle doti di alto livello e lo fa con una semplicità (almeno percepita) che pochi sono in grado di tradurre in un album.

Autore: Blackdahlia Titolo Album: Fragments
Anno: 2014 Casa Discografica: Areasonica Records
Genere musicale: Gothic Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.blackdahliaofficial.com
Membri band:

Samuela Fuiani – voce, piano

Ruggero Doronzo – chitarra

Gianlica Raio – chitarra

Antonio Petito – basso

Ludovico Massariello – batteria

Tracklist:

  1. Falling Down

  2. No Regrets

  3. Eclipse

  4. Wounds

  5. Alice

  6. Lost In The Daylight

  7. Fly

  8. Goodnight

  9. Falling Down (radio edit)

Category : Recensioni
Tags : Gothic
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04th Dic2014

Aevum – Impressions – Il Palcoscenico Della Mente

by Cristian Danzo

Aevum - Impressions il palcosenico della menteNon è facile portare avanti o affrontare un progetto musicale come quello di cui ci accingiamo a parlare. Perché una band di sette elementi che debutta con un album molto particolare, un’opera metal dietro la quale alberga il concetto di teatralità (nel senso di teatro, non di glam rock) al giorno d’oggi può solo avere molto coraggio. Poi se in più l’album è di pregio e ben realizzato, ancora meglio. Ed ecco quindi che Impressions – Il Palcoscenico Della Mente dei torinesi Aevum va avvicinato con molta cautela. Perché di sicuro non è un prodotto alla portata di tutte le orecchie. Non si tratta di proporsi con spocchia ma con una release molto particolare che, quindi, non è di facile fruibilità. La musica proposta dai Nostri è qualcosa che mescola molti generi. La definizione di gothic metal è molto riduttiva anche se poi, per comodità di categorizzazione, l’album può essere così definito. Anche se dentro c’è di tutto e di più. Molto power, molto death, molti passaggi sinfonici e canzoni che ricordano da vicino i Nightwish del periodo Whishmaster. Il condimento poi viene completato da alcune contaminazioni elettroniche e blues. Se gli Aevum vogliono dare vita ad una rappresentazione e ad una storia teatrale decadente, pomposa e barocca, la conclusione è che ci siano riusciti molto bene.

La voce di Evelyn Moon, lirica e pulita e con qualche scream, bene si integra alle risposte maschili nella band Hydra e Richard. Il tutto sostenuto da orchestrazioni e arrangiamenti che si sposano alla perfezione con il continuo contrappunto di voce maschile e femminile ed i cambiamenti che anche la musica si porta dietro. Un continuo intrecciarsi di soluzioni mutevoli. Come dicono nella loro biografia la musica proposta “è un continuo tendere verso l’unione tra l’umano e il divino, fra gli opposti, l’essere maschile e quello femminile”. Di solito trattasi di altisonanti definizioni di presentazione. In questo caso no. E’ proprio la sensazione che Impressions – Il Palcoscenico Della Mente ci ha suscitato durante il suo ascolto.

Autore: Aevum Titolo Album: Impressions – Il Palcoscenico Della Mente
Anno: 2014 Casa Discografica: Fuel Records
Genere musicale: Gothic Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.aevumband.com
Membri band:

Evelyn Moon – voce femminile

Hydra – voce maschile

Lord Of Destruction – chitarra

Violet – basso

Matt – batteria

Ian – tastiere

Richard – piano, voce

Tracklist:

  1. Il Palcoscenico Della Mente

  2. Blade’s Kiss

  3. Intermezzo

  4. The Battle

  5. Il Lamento Della Ninfa

  6. Impressioni

  7. Lost Soul

  8. To Be Or…To Be

  9. Aevum

  10. Monsters

  11. Adieu à La Scène

Category : Recensioni
Tags : Gothic
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24th Nov2014

Rainover – Transcending The Blues And Drifting Into Rebirth

by Marcello Zinno

Rainover - Transcending The Blues And Drifting Into RebirthI Rainover sono una band “mediterranea”, con origini spagnole ma che hanno scelto l’Italia per registrare il loro album Transcending The Blues And Drifting Into Rebirth. Eppure la loro anima si muove su sonorità gotiche che, solo sulla carta, si rifanno ad una scena molto attiva nel nord Europa. Perché solo sulla carta? Perché l’heavy metal e la voce femminile non vanno sempre accostate a band come Nightwish, Epica, Within Temptation, After Forever, eccetera; i Rainover infatti sembrano molto più vicini allo stile di Evanescence e Lacuna Coil. le tastiere infatti non sono troppo presenti e la vena gothic metal è molto sobria, piuttosto è l’heavy, che resta comunque molto spesso vestito di rock, a presentarsi in primo piano insieme alla voce di Andrea (una donna) che comunque risulta d’impatto. Un’altra loro caratteristica sono i tempi: il loro sound è sì duro ma soprattutto romantico, non si opta quasi mai per tempi veloci, mettendo quindi da parte l’aggressività e lasciando invece che sia l’ambientazione dark (seppur elettrica) a rendere originale la loro proposta musicale. Cycles è un ottimo esempio del loro buon potenziale: due voci, una maschile e una femminile, si dividono le parti vocali così come la chitarra che si presenta prima in forma elettrica (con refrain molto semplicistici) e poi in veste acustica; struttura da singolo e assolo e ritornello orecchiabili, qualche arrangiamento e un suono pulito fanno il resto. Una ottima hit da dare in pasto alle radio! In alcune tracce si inseriscono un po’ di effetti che a nostro parere potrebbero farli apprezzare a chi usa consumare new wave e musica dark in generale (o anche elettronica), per il resto non vi sono novità di spicco lungo i vari brani.

Rain Over My Tears ad esempio è un altro buon pezzo che segue gli stessi binari di Cycles: il lato compositivo del quintetto non si perde in soluzioni sofisticate né sperimentazioni, il loro intento è quello di mettere sul campo da gioco un rock/heavy semplice, a tratti morbido a tratti deciso, molto democratico (nel senso che accontenta un po’ tutti) e che si fa ascoltare. Non è un caso che noi troviamo molte somiglianze stilistiche proprio con gli Evanescence (ascoltare l’inizio di Hopeless per credere) con cui condividono sicuramente lo stesso ascoltatore medio e lo stesso amore per il dark. Quindi se vi piacciono queste sonorità i Rainover meritano un ascolto, o anche se si vuole trovare una band da cui partire per entrare nel misterioso (e per noi amatissimo) mondo del metal.

Autore: Rainover Titolo Album: Transcending The Blues And Drifting Into Rebirth
Anno: 2014 Casa Discografica: Wormholedeath Records
Genere musicale: Gothic, Heavy Metal, Dark Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://www.rainoverwebshop.bigcartel.com
Membri band:

Andrea Casanova – voce

Antonio Perea – basso, voce

Arturo Hernàndez – tastiere

Quini Pelegrìn – batteria

Anthon Lo – chitarra

Tracklist:

  1. Rebirth

  2. Despair

  3. Cycles

  4. Rain Over My Tears

  5. H2SO4

  6. Oh, My Cross!!

  7. An Ocean Between Us

  8. Dust And Dawn

  9. Hopeless

  10. In Free Fall

  11. Remembrances

Category : Recensioni
Tags : Gothic
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07th Ott2014

Levania – Renascentis

by Marcello Zinno

Levania - RenascentisCon una scenica ed esterofila presentazione, i Levania presentano il loro nuovo album dal titolo Renascentis. I ferraresi settano subito le aspettative abbastanza in alto dichiarando da un lato di afferire alla scena gothic metal ma d’altro canto di non essere la classica band con melodie a profusione e voce femminile pulita. Sulla prima in realtà siamo d’accordo perché l’approccio del quintetto resta ancorato al metal e oltre l’ovvio panorama gothic compaiono molte influenze epiche che spingono la tastiera in alcuni momenti a spostarsi in primo piano, ma in realtà ascoltando bene questo Renascentis non possiamo dirci davvero colpiti. Infatti pur essendoci un doppio gioco di ruoli vocali (Still per le linee maschili e Ligeia per quelle femminili, direttamente influenzata da quelle delle sue colleghe), la proposta è in linea con quelle di band molto note della scena. Spicca la componente musicale con una sezione ritmica ben presente e una chitarra che riesce a costruirsi un suo ruolo, forse talvolta anche più presente rispetto agli altri strumenti; il gioco infatti è retto da una parte dal sound grezzo della sei corde e del growl maschile, dall’altra dalla melodia pulita della tastiera e la voce in simil-lirica di Ligeia: questo scontro crea la vera personalità della band che però a nostro parere non contribuisce a condurre più in avanti la scena gothic metal.

Oltre ai riferimenti a band ingombranti che hanno contribuito a creare il genere, quello scelto dai Levania è un percorso stilistico già imboccato da molte band emergenti come (con i dovuti piccoli distinguo) gli Eternal Silence, i Ravenouse e gli Holy Shire, quindi il loro volersi differenziare lo troviamo assolutamente un’ottima idea ma quasi per niente concretizzata nella loro proposta musicale. Difficile segnalare in particolare una traccia visto che lo stile si ripresenta coerente in tutta la dozzina di brani inclusi in questo lavoro, ad eccezione dell’intro Prooemium dal sapore quasi sinfonico che apre il sipario e di Drakarys. Se infatti la sete di gothic metal è dura a svanire, sopratutto nei Paesi del nord Europa (sarà un caso che la band parla e scrive sul web solo in inglese?!), è pur vero che c’è bisogno di qualcosa di nuovo e noi speriamo che sia una band italiana a condurre la bandiera del gothic dove nessuno l’ha mai portata.

Autore: Levania Titolo Album: Renascentis
Anno: 2013 Casa Discografica: Worm Hole Death Records
Genere musicale: Gothic Metal Voto: 5
Tipo: CD Sito web: http://www.levania.net
Membri band:

Ligeia – voce

Still – tastiere, voce

Richie – chitarra

Fade – basso

Moon – batteria

Tracklist:

  1. Prooemium

  2. Arcadia

  3. Needles

  4. Spiral

  5. Seven Times To Forget

  6. My Writings Of Hope

  7. An Icy Embrace

  8. Metamorphosis

  9. Drakarys

  10. Onirica

  11. Lucretia

  12. Four Seasons

Category : Recensioni
Tags : Gothic
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20th Ago2014

Eternal Silence – Raw Poetry

by Marcello Zinno

Eternal Silence - Raw PowerGli Eternal Silence sono una band tutta italiana dedita alle sonorità sinfoniche tipiche delle band del nord Europa di cui abbiamo più volte parlato. Sono varie le formazioni nel nostro Paese che seguono questi passi, da quando i Nigthwish avevano lanciato il genere verso il grande successo, ma per una band emergente è davvero molto difficile differenziarsi per vari motivi: innanzitutto si tratta di un genere in cui è già stato detto molto e di solito i nuovi musicisti non amano sperimentare ma seguire pedissequamente i predecessori, inoltre con i pochi mezzi (anche economici) a disposizione delle nuove formazioni è quasi impossibile realizzare un suono perfetto che colpisca l’ascoltatore attento (e magari chi non è proprio abituato a queste sonorità). Infatti il titolo di questo album, Raw Poetry, trova la sua massima declinazione proprio negli aspetti della produzione, curata sì ma che potrebbe risultare più potente e con delle chitarre più corpose che avrebbero accresciuto la personalità metal della band. Si tratta comunque di una considerazione a latere visto che curare i suoni di un gruppo che propone symphonic metal è appunto impegno molto arduo. Questo il biglietto da visita per gli Eternal Silence, band che con Raw Poetry confeziona il primo capitolo discografico e che sfiora l’ora di ascolto.

Va detto che a livello compositivo si percepisce un buon mix tra i vari strumenti, passaggi differenti che mettono in luce le capacità di tutti i musicisti, compresa la cantante Marika Vanni, sicuramente a suo agio con il genere. Purtroppo però non si ottiene nulla di particolare, qualcosa di cui valga davvero la pena parlare. Difficile che Raw Poetry avvicini persone non vicine alle sonorità sinfoniche ed altrettanto difficile che stupisca grandi conoscitori del genere; non siamo però d’altra parte nemmeno fuori traccia visto che questo può rappresentare un buon primo passo verso un secondo lavoro più complesso e ricercato.

Autore: Eternal Silence Titolo Album: Raw Poetry
Anno: 2013 Casa Discografica: Underground Symphony Records
Genere musicale: Symphonic Gothic Metal Voto: 6
Tipo: CD Sito web: https//myspace.com/eternalsilenceband
Membri band:

Marika Vanni – voce

Alberto Cassina – chitarra, voce

Davide Rigamonti – chitarra

Alessio Sessa – basso

Davide Massironi – batteria

Tracklist:

  1. Musa

  2. The Day Of Regret

  3. Braving My Destiny

  4. Incubus

  5. Forlorn Farewell

  6. Run Is Search Of Flame

  7. Lord Of The Darkest Night

  8. Beneath This Storm

  9. Braided Fates

  10. December Demise

  11. Death And The Maiden

  12. Vigdis (bonus track)

Category : Recensioni
Tags : Gothic
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26th Gen2014

Nicumo – The End Of Silence

by Matteo Iosio

Nicumo - The End Of SilenceLa Finlandia non è una nazione adatta a chi cerca il divertimento più sfrenato, i lunghi e rigidissimi inverni uniti alla scarsità di luce mettono a dura prova il carattere e la socialità dei propri abitanti, i quali riescono però in modo egregio ad infiammare gli animi altrui attraverso le numerosissime e validissime band di metallo pesante che, forse complici le rigidi temperature e la mancanza di alternative, nascono un po’ ovunque. Il gruppo di cui vi vogliamo parlare oggi proviene proprio da questa affascinante terra e si palese sotto il nome di Nicumo. A prima vista parrebbe di trovarsi al cospetto di una nota marca di accessori auto giapponese, in realtà questi cinque vichinghi nati nel lontano 2007, debuttano con il loro primo LP intitolato The End Of Silence, proponendo un heavy metal di stampo classico impreziosito con elementi doom e gothic di sicuro interesse. Le atmosfere austere spaziano sapientemente da sonorità malinconiche ed estremamente dark a squassanti cavalcate elettriche sostenute da un riffing serrato e da una possente sezione ritmica che non appare mai banale. Ad un primo ascolto colpisce immediatamente la voce del cantante Hannu Karppinen, un intrigante mix tra i connazionali Ville Valo dei blasonati HIM e Tomi Putaansu dei Lordi per quanto riguarda le timbriche più basse e rabbiose. Una nota di merito va senza dubbio spesa per la produzione e registrazione del disco affidata a Kalle Keskikuru che appare precisissima ed estremamente accurata in grado di impreziosire ulteriormente l’ottimo lavoro svolto.

Le tracce presenti nel disco possiedono una discreta complessità ed un’ottima capacità strumentale come nella canzone di apertura intitolata Follow Me che parte malinconica e deflagra con un grande refrain o nella potentissima Devil dove un discreto growl si fonde perfettamente con la distorsione delle chitarre. La doppia anima di questo progetto rende difficile un giudizio globale sul gruppo, quando la melodia si presenta pulita e cantata in maniera armoniosa il tutto appare poco originale e troppo simile ai gruppi da cui viene tratta ispirazione come HIM, Sentenced, Lordi od Opeth; quando invece si passa nel campo della forza bruta e della pura emozione si palesa una personalità del tutto nuova ed originale che lascia intravedere una natura assolutamente interessante e del tutto imprevedibile, solo il tempo sarà in grado di rilevare quale personalità prenderà il sopravvento. In definitiva ci troviamo di fronte ad un buon prodotto che presenta alcune idee davvero interessanti che non sono state purtroppo sviluppate in maniera totalmente adeguata. Solo attraverso un ulteriore evoluzione stilistica sarà possibile, per questo gruppo, emergere in modo netto e distinto mostrando il vero potenziale che è possibile solamente intuire allo stato attuale dei fatti. Benché all’inizio del cammino il sentieri intrapreso appare quello giusto, lavoro e maggior profondità porteranno senza dubbio i frutti sperati.

Autore: Nicumo Titolo Album: The End Of Silence
Anno: 2013 Casa Discografica: Inverse Records
Genere musicale: Gothic, Doom Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.nicumo.com
Membri band:

Hannu Karppinen – voce

Tapio Anttiroiko – chitarra

Atte Jääskelä – chitarra

Sami Kotila – basso

Aki Pusa – batteria

Tracklist:

  1. Follow Me
  2. All Gone
  3. Devil
  4. Exorcist
  5. Firestorm
  6. My Bullet
  7. Difference
  8. Kills Me
  9. My Own Silence
  10. Lines Drawn By Tears
Category : Recensioni
Tags : Gothic
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14th Dic2013

Saviour Machine – Legend Part III: I

by Cristian Danzo

Saviour Machine - Legend Part III IÈ già il 2001 quando i Saviour Machine pubblicano quello che dovrebbe essere l’ultimo capitolo della saga di Legend. In ritardo sulla tabella di marcia (come detto nei precedenti articoli dedicati al concept, questo album era previsto per il 31-12-1999) a causa dei problemi di salute di Eric Clayton, affetto da esofago di Barrett (malattia causata da riflusso gastrico che impedisce al cantante sforzi proprio con il suo strumento principe, la gola). Legend III: Part I purtroppo non conclude nemmeno stavolta il mastodontico progetto. Dopo avere tanto atteso, una volta ascoltato il disco, non si può certo recriminare. Legend III: Part I è un’autentica bomba, un disco perfetto, una realizzazione pienamente soddisfacente. I suoni rispetto agli altri due capitoli sono molto aggressivi. Certamente il registro stilistico dei Saviour Machine non è certo rivoluzionato ma stavolta le chitarre e soprattutto un drumming potente e che è bene in vista sono la cifra stilistica che saltano di più all’orecchio. Sono sempre presenti le orchestrazioni, i cori, i campionamenti, la teatralità. Ma all’apertura dell’album ci si accorge che Twelve-Hundred Sixty Days differisce da tutte le altre canzoni che l’avevano preceduta per impatto sonoro. La band californiana ci regala anche un po’ di progressive e raggiunge la combinazione perfetta tra tutti gli elementi che l’hanno sempre contraddistinta e queste nuove scelte musicali.

Questo nuovo equilibrio perfetto è manifesto in Revelation 13: in questa canzone è evidente la commistione perfetta tra orchestrazioni, teatralità, aggressività e progressive. Il perfezionista Clayton addirittura per registrare le rullate da orchestra assolda uno strumentista dedito a questo strumento senza farle registrare a Victor Deaton, cosa che la dice lunga sulla perfezione che il leader della band vuole ottenere nelle sue opere. Abomination Of Desolation prosegue sulla nuova strada battuta dall’album. Gli unici episodi calmi del nuovo Legend sono rari ed è incredibile constatare come, nonostante sia un concept, i tre dischi presi singolarmente percorrano tre stili musicali completamente diversi ma che si combinano alla perfezione. Il tutto è dovuto sia ai leitmotiv che legano tutto il progetto sia ai ritmi della storia narrata che devono ognuno avere una connotazione particolare.

The End Of The Age  è il capolavoro che chiude Legend Part III: I con il suo pianoforte, i suoi cori ed i suoi archi a farla da padrone, traghettatrice di quello che sarà davvero il capitolo finale della mastodontica opera. Che, purtroppo, ancora oggi, AD 2013, non è completa. La Massacre ha fatto uscire Legend Part III: II , completamente disconosciuto dalla band. L’album approda sui mercati senza la supervisione di Eric Clayton al mix finale e innesca dichiarazioni al veleno da entrambe le parti. La casa discografica doveva rispettare termini di contratto, Clayton aveva (ed ha) ancora a che fare con quella malattia che lo attanaglia. Su Internet c’è chi si schiera con una o l’altra parte, cosa che a noi non interessa. Per quanto ci riguarda, il vero Legend si chiude qui. Chissà se un giorno riappacificandosi potremmo ascoltare il lavoro che tutti vogliono ed aspettano. Fermiamoci  per ora, al capitolo terzo, che stavolta si presenta con il titolo in blu.

Autore: Saviour Machine Titolo Album: Legend Part III: I
Anno: 2001 Casa Discografica: Massacre Records
Genere musicale: Gothic Voto: 8,5
Tipo: CD Sito web: http://www.saviourmachine.com
Membri band:

Eric Clayton – voce

Jeff Clayton – chitarra

Charles Cooper – basso

Victor Deaton – batteria, percussioni

Nathan Van Hala – tastiere

Tracklist:

  1. Twelve-Hundred Sixty Days
  2. Revelation 13
  3. Legend III:I
  4. The Ancient Serpent
  5. Abomination Of Desolation
  6. Image Of The Beast
  7. Antichrist  III : The King Of Babylon
  8. The Final Holocaust
  9. Two Witnesses
  10. Three Angels
  11. Four Trumpets
  12. The Locusts
  13. The Sixth Judgement
  14. The Dead Sea
  15. Rivers Of Blood
  16. The Plague And The Darkness
  17. The Fall Of  Babylon
  18. The End Of The Age
Category : Recensioni
Tags : Gothic
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07th Dic2013

Tiamat – Skeleton Skeletron

by Simone "Dirtyrocker" Marini

Tiamat - Skeleton SkeletronI Tiamat sono la creatura concepita dall’eclettico e geniale Johan Edlund, che sul finire degli anni ’80 diede vita a questa band, la quale si ispirava molto al metal estremo, in particolare gli svedesi erano dediti ad una riuscita mistura tra black, death e doom. Il percorso di Edlund e soci però – a differenza di molti altri gruppi in ambito extreme – è sempre stato caratterizzato da una maggiore ricerca per la melodia e la sperimentazione, gli svedesi infatti, difficilmente hanno pubblicato due album uguali, almeno fino al 1999, anno in cui è stato stampato Skeleton Skeletron, questa scelta gli ha permesso di avvicinare nuove schiere di fan alla loro musica, ma allo stesso tempo di perdere la frangia più purista ed estrema. Skeleton Skeletron rappresenta il sesto capitolo della loro discografia, un lavoro che si differenzia dal precedente A Deeper Kind Of Slumber, per un parziale ritorno a sonorità più energiche e dirette, in cui le chitarre distorte sono maggiormente presenti, anche se fondamentale resta il contributo delle tastiere e dei sintetizzatori, un platter che può essere definito come la summa di Wildhoney ed appunto, A Deeper Kind Of Slumber. Il disco si apre in maniera perfetta con l’iniziale Church Of Tiamat, manifesto auto celebrativo della band, il cantato pulito di Edlund ed un effetto di synth evocativo ci introducono nel mondo dei Tiamat, un sound ultraterreno ed onirico che ci fa viaggiare con la mente per la durata complessiva della canzone, che sfiora i cinque minuti.

Il brano successivo è Brighter Than The Sun, per il quale è stato girato anche un videoclip. I ritmi si fanno più veloci,  si tratta di una song che si distingue dalle altre per una maggiore immediatezza ed una formula easy listening, fondamentale risulta il ruolo delle chitarre – dal sapore hard rock – e dell’azzeccato duetto tra male e female vocals, ottimo anche il giro di basso, distorto e pulsante al punto giusto, una canzone che vi entrerà immediatamente nel cervello e difficilmente ne uscirà. A chiudere il trittico iniziale è Dust Is Our Fare, i ritmi rallentano, come nell’opener Church Of Tiamat, ma ancora una volta si tratta di un brano in cui sono le chitarre distorte e la voce baritonale e “cattiva” a farla da padrone, da menzionare lo stacco di synth posto a metà brano e che comunque accompagna i granitici riff di chitarra per gran parte della canzone. Il “viaggio” onirico continua con To Have And Not Have e For Her Pleasure, la prima risulta sicuramente piacevole, ma la seconda è probabilmente il capolavoro di Skeleton Skeletron. Difficile ci risulta descrivere una canzone del genere, possiamo solo consigliarvi di ascoltarla con il cuore e la mente aperta e sarete rapiti da questo autentico gioiello; il connubio tra chitarre pulite, distorte, voce ed atmosfere di synth rasenta la perfezione, buona anche la ritmica di batteria, che gioca molto sui controtempi e conferisce il giusto andamento ad un brano di rara bellezza. Dyala è un semplice intermezzo elettronico che ci introduce alla celebre Sympathy For The Devil, reinterpretazione in salsa dark e goth di un classico dei Rolling Stones, brano piacevole ma che non convince appieno.

Best Friend Money Can Buy e Lucy sono gli episodi più delicati ed intimisti dell’album e si lasciano ascoltare entrambi con piacere, i chitarroni distorti vengono messi da parte e dominano le tastiere, i synth e le eleganti note di pianoforte. In As Long As You Are Mine, nona traccia del disco, torna la discreta presenza del riffing hard rock e dell’alternanza tra atmosfere seducenti e ritornelli di impatto. Skeleton Skeletron conferisce agli svedesi un nuovo volto, da qui in poi i Tiamat si concentreranno sul filone gothic rock/metal ed abbandoneranno quasi completamente le influenze estreme degli esordi.

Autore: Tiamat Titolo Album: Skeleton Skeletron
Anno: 1999 Casa Discografica: Century Media
Genere musicale: Gothic Metal Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.churchoftiamat.com
Membri band:

Johan Edlund – voce, chitarra

Thomas Petersson – chitarra

Johnny Hagel – basso

Kenneth Roos – tastiere

Niklas Ekstrand – batteria

Tracklist:

  1. Church Of Tiamat
  2. Brighter Than The Sun
  3. Dust Is Our Fare
  4. To Have And Have Not
  5. For Her Pleasure
  6. Diyala
  7. Sympathy For The Devil (Rolling Stones        cover)
  8. Best Friend Money Can Buy
  9. As Long As You Are Mine
  10. Lucy
Category : Recensioni
Tags : Gothic
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24th Nov2013

Martyr Lucifer – Shards

by Giancarlo Amitrano

Martyr Lucifer - ShardsLa premessa è d’obbligo, trattandosi di un ottimo artista. Non si tratta di un full-length, ma bensì la raccolta di 3 distinti EP che il prolifico artista riminese ha messo su due anni dopo il buonissimo Farewell To Graveland (recensito da noi a questa pagina). Coadiuvato dai tanti colleghi con cui ha collaborato nei vari suoi progetti solistico-paralleli (Hortus Animae, Space Mirrors e via dicendo), il nostro multi strumentista coglie nel segno anche stavolta, proponendoci un lavoro sicuramente “gotico” nell’anima, ma anche colmo di reminiscenze molto cupe ed oscure, volte ad esercitare una forte introspezione del proprio io. Ed è proprio questa piacevole alternanza di stili, molto ben dosata, a caratterizzare ancora una volta il prodotto finale del nostro beniamino che ci offre, è vero, non un vero e proprio new album, ma comunque un paio di cover ben azzeccate ed una versione rieditata di song già ascoltate, senza inficiare il valore del disco. Il desiderio di Martyr, nel rilasciare questo pur valido CD, si concentra principalmente nel rendersi all’uditorio nella sua versione meno aggressiva, colma sì di intimismo e spiritualità ma al tempo stesso molto melanconica e quasi decadente, anche nei testi proposti. Lo possiamo notare sin da A Lesson In Murder, dove alla componente molto elettronica proposta in sede interpretativa fa da contraltare la riflessione introspettiva, laddove un combinato gioco di tastiere rende ancora meglio l’humus psicologico del leader. Bello l’approccio di The Sunrise In May, regalando il gruppo un ben congegnato mix di momenti “agitati” ad altri sempre più riflessivi, ma senza inficiare assolutamente il già alto livello delle composizioni.

Questo primo frammento del disco non contempla tuttavia fasi di stanca: ed ecco che con The Horseride ci interfacciamo con una nuova versione del brano già proposto con Farewell…, sia pur appositamente editata in una versione più corta e tagliata in alcune parti che tuttavia non diminuiscono la portata della nuova veste del pezzo che, come il precedente, vede dietro le pelli nientemeno che il buon Dario Ciccioni (Daniele Liverani docet..). Tra i migliori dell’album, Another Place, Another Time riesce ancora a sublimare il mix di esperienze diverse che il singer vuole donare alle tracce: grazie ad azzeccatissimi arrangiamenti, il legato tra tutta la strumentazione risalta davvero in misura notevole grazie anche alla presenza dei vari ospiti su questo brano, che donano una loro personale visione interpretativa. La prima cover del lavoro la troviamo con House Of Sleep: rivisitando un famoso brano dei finnici Amorphis, la band nostrana dimostra anche una sagace maturità compositiva, concedendo anche delle buone acrobazie tastieristiche e validi arpeggi della sei corde che risultano quasi fedeli alla traccia di origine. Mentre con Poison Heart si paga il secondo tributo, stavolta nientemeno che alla leggenda Ramones, sia pure stravolgendo quasi del tutto il pezzo primigenio. A causa di una semplificazione della linea sonora, la traccia diventa così una ballatona coinvolgente senz’altro, senza perdere di vista tuttavia i canoni essenziali del brano, improntati certo ad una sana aggressività della canzone.

Ci addentriamo negli altri frammenti dell’opera: In Upside Down Woods I Walk conferma che la saggia mano di Simone Mularoni riesce a bilanciare e modellare le intenzioni quasi promiscue di Martyr, senza che venga meno la dedizione del singer alla rivisitazione in chiave quasi onirica dei pezzi, come avviene anche per Oddities, dove il piano di Antarktica rende il brano quasi una composizione operistica a causa dell’approccio orchestrale ad esso dato. And Still We Wonder Sky si posiziona sulla falsariga della traccia precedente, sempre grazie al lavoro del medesimo ospite ai tasti ed è gradevole la melodia che traspare dai solchi e ci trascina in mondi incantati, sia pur in presenza di una ricerca sonora apparentemente non tanto curata, forse a causa di questo perenne dualismo tra le varie anime qui presenti. Anime che tuttavia si ricompattano ampiamente nella conclusiva The Morning Star, dove ancora una volta ci troviamo a fronteggiare l’emotività di Martyr unita ad una stavolta doviziosa ricerca della perfezione sonora che tranquillamente il buon vocalist riesce a trasmettere. Alle corte, un ennesimo step del cursus honorum dell’artista nostrano che desideroso di mostrarci le varie personalità della sua componente artistica, ha probabilmente affilato le armi per un nuovo lenght ed ha effettuato un buon “allenamento” senza forzare in questa raccolta di brani, non tutti inediti.

Autore: Martyr Lucifer Titolo Album: Shards
Anno: 2013 Casa Discografica: Outline Rekordz
Genere musicale: Gothic Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.martyrlucifer.net
Membri band:

Martyr Lucifer – voce, synth

Simone Mularoni – chitarra, basso, drum program

Antarktica – piano su tracce 6, 7, 8 e 9

Leit – cori

Arke – chitarra su traccia 4

Bless – piano, tastiere su traccia 4

Evegeniy Antonenko – basso su traccia 4

Adrian Erlandson – batteria su tracce 8, 9 e 10

Dario Ciccioni – batteria su tracce 2 e 3

Grom – batteria su traccia 4

Tracklist:

  1. A Lesson In Murder
  2. The Sunrise In May
  3. The Horseride
  4. Another Place, Another Time
  5. House Of Sleep
  6. Poison Heart
  7. In Upside Down Woods I Walk
  8. Oddities
  9. And Still We Wonder Why
  10. The Morning Star
Category : Recensioni
Tags : Gothic
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14th Nov2013

Saviour Machine – Legend Part I

by Cristian Danzo

Saviour Machine - Legend Part II Saviour Machine sono una band californiana molto atipica. Fondati dai fratelli Eric e Jeff Clayton, esordiscono nel 1993 e sono fautori di un metal che combina gothic, prog e orchestrazioni il cui tema centrale è la religione Cristiana. Per questo vengono annoverati nel calderone del white metal o, come viene definito più specificatamente negli Usa, christian metal. La teatralità è alla base della band. Oltre alle orchestrazioni presenti nei loro dischi, il cantante Eric Clayton si presenta dal vivo con la testa completamente dipinta di bianco ed un diadema da cui pende un crocifisso attaccato alla fronte. Dopo aver realizzato i primi due album ( Saviour Machine e Saviour Machine II rispettivamente del 1993 e 1994) la band annuncia la realizzazione di un progetto faraonico: un concept che narri l’Apocalisse. L’impresa prevede che l’opera sia divisa in tre parti e che la terza e ultima release venga immessa sul mercato il 31-12-1999 (cosa che darà adito a speculazioni riguardanti Clayton spingendo molti a credere che il potente singer fosse convinto che il mondo sarebbe finito nel 2000, affermazioni mai rilasciate dal carismatico leader della band). Legend Part I arriva sul mercato nel 1997. Un album mastodontico, bellissimo, sicuramente non di facile ascolto e comprensione. La musica che i Saviour Machine propongono in questo disco vede una forte presenza di tastiere, pianoforte, cori gregoriani e orchestrazioni che si miscelano perfettamente con le chitarre di Jeff Clayton mentre la voce potente e profonda di Eric completa le atmosfere dei vari pezzi. È proprio questa una delle caratteristiche peculiari dell’album: le canzoni che dovrebbero toccare temi più aggressivi (ad esempio Antichrist I) vengono rese dal mood creato e non da un aumento di velocità o distorsione degli strumenti. È tutto un gioco ed un alternarsi di resa sonora e sensoriale che permea l’ascoltatore. Viene fatto anche un largo e particolare utilizzo di melodie arabeggianti e mediorientali soprattutto da parte delle chitarre.

Una stupenda e maestosa Overture  apre l’ascolto e il viaggio in quella che Clayton ai tempi definì “la colonna sonora della fine del mondo”. I pezzi più notevoli e belli dell’album sono I Am, The Eyes Of The Storm  e la magnifica The Night. Certo non è facile, comunque, definire ed estrapolare una canzone in particolare a causa del legame che tutto il disco ha. Prendendo e decontestualizzando un solo brano si crea il rischio di sminuirlo. Infatti da Legend Part I non fu estratto nemmeno un singolo. Il CD si presenta in una elegante confezione nera con il titolo scritto in rosso ed il nome della band in argento. All’interno, il libretto la cui copertina, composta con quelle dei futuri capitoli della saga, avrebbe creato la copertina completa. Piccola curiosità: i cori che sentite nell’album sono scritti, arrangiati e diretti da Eric Clayton e sono stati registrati nella cattedrale di Wurzburg, in Germania.

Autore: Saviour Machine Titolo Album: Legend Part I
Anno: 1997 Casa Discografica: Massacre Records
Genere musicale: Gothic Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.saviourmachine.com
Membri band:

Eric Clayton – voce

Jeff Clayton – chitarra

Charles Cooper – basso

Jayson Heart – batteria, percussioni

Nathan Van Hala – tastiere

Tracklist:

  1. Overture
  2. A Prophecy
  3. I Am
  4. Legend I:I
  5. The Lamb
  6. The Eyes Of The Storm
  7. The Birth Pangs
  8. The Woman
  9. The Night
  10. The Sword Of Islam
  11. Gog: Kings Of The North
  12. The Invasion Of Israel
  13. World War III – The Final Conflict I
  14. Ten – The Empire
  15. Legend I:II
  16. The Beast
  17. Antichrist I
Category : Recensioni
Tags : Gothic
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