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10th Ago2014

Statement – Monsters

by Marcello Zinno

Statement - MonstersLa scena emergente è in fermento non solo nel nostro Paese ma anche al di fuori dei confini nazionali: un’altra realtà che merita un ascolto prende il semplice nome di Statement e proviene dalla Danimarca. I vari musicisti che si celano dietro questo progetto sorto nel 2011 non sembrano proprio di “primo pelo” e la tecnica, ma soprattutto il bilanciamento tra maturità e coraggio che sono impressi nel loro album di debutto, Monsters, lo dimostrano a piano regime. Un grande lavoro di chitarra c’è dietro questa ora di ascolto, lavoro che però non prende il sopravvento sul resto e lascia sia alla voce che alla sezione ritmica la possibilità di crearsi un ruolo; non si giungerà a terre sconosciute tanto meno originali ma l’esecuzione offre un piacere che va oltre i vari confronti di genere che possono essere fatti. Dopo un intro barocca, subito fuoriesce l’anima hard rock, potremo dire quasi sleaze, degli Statement con la titletrack che ci fa tornare alla mente i nostri Gotthard. Gli assoli presenti qui e nella successiva Say Hallo possono gongolare qualsiasi fanatico della sei corde; i refrain sono semplici, realizzati a dovere per imprimersi nella mente dell’ascoltatore oltre che avere una fortissima presa live e questo, se non appaga la nostra sete di “sorpresa”, è comunque a conti fatti un lato positivo.

Il momento della ballad Metallica-style (periodo Black Album) giunge con Crawling, canonica anthem che in crescendo giunge al ritornello lento ma elettrico, una ricetta che va bene per ogni genere e per ogni età. Le somiglianze con i Four Horsemen vengono fuori anche in altri momenti, come in Keep You Alive con il suo incedere martellante o Childhooddreams che sembra ricordare in alcuni attimi King Nothing. Sicuramente però gli Statement mostrano il meglio nei pezzi decisi e forti, come la granitica Control o la variegata ed eclettica Another Stage, mentre nei brani più semplici come Dropzone mostrano troppo il fianco alle critiche. D’altronde da musicisti di questa portata esecutiva ci si aspetterebbe ben altro risultato e dopo l’ascolto di Monsters possiamo dire con una certa tranquillità che se il quintetto in futuro sarà capace di crearsi una personalità un po’ più originale a parità di mezzi potrebbero arrivare davvero lontano.

Autore: Statement

Titolo Album: Monsters

Anno: 2014

Casa Discografica: Mighty Music, Target Group

Genere musicale: Hard Rock, Heavy Metal Voto: 6,5
Tipo: CD

Sito web: http://statementband.com

Membri band:

Jannick Brochdorf – voce

Niels Alex Larsen – chitarra, voce

Jesper Steen Noachsen – chitarra

Martin Poulsen – basso

Peter Thomsen – batteria

Tracklist:

  1. Kill The Time (intro)

  2. Monsters

  3. Say Hallo

  4. Crawling

  5. Keep You Alive

  6. Dropzone

  7. Control

  8. Childhooddreams

  9. To Be A Man

  10. Another Stage

  11. Back To Life

  12. Need To Know

  13. Dad (Dikke)

Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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19th Lug2014

Confess – Jail

by Alberto Lerario

Confess - JailDa diversi anni a questa parte il Sunset strip di L.A. si è trasferito in pianta stabile nelle lande del nord Europa, ed in particolare in Svezia grazie a band come Crahdiet, Crazy Lixx e Hardcore Circus. Infatti quando si parla di party/sleazy/hair/street metal la Scandinavia rimane l’unica zona in cui i rocker riescono a competere con i loro colleghi glamster americani al loro stesso gioco. Da questa fiorente “new wave of swedish street metal” provengono i Confess, che ci propongono il loro secondo full lenght album, Jail, pubblicato con grande lungimiranza dall’etichetta italiana SG Records. Gli elementi classici dell’hard rock stradaiolo sono tutti presenti nella giusta percentuale: gli elementi tecnici sono, come sempre accade per gli scandinavi, molto professionali; la produzione è di primordine, l’attitudine ed il look da fotomodelli galeotti con capelli ossigenati è curato nei minimi dettagli (come si vede nell’artwork di copertina); non manca la melodica e graffiante voce del singer Elliot, davvero convincente. Naturalmente poi le fondamenta si posano tutte sui riff granitici e gustosi dei chitarristi Daniel e Blomman. L’album si apre con l’intro Pray For The Prey con la più classica delle sirene della polizia in sottofondo. Si prosegue a ritmo serratissimo con Relationshit e Scream che risuonano in maniera similare a Riot In Everyone dei Crahdiet.

Pay Before I Go ci regala un leggero sapore di punk, mentre l’atmosfera ritorna più radiofonica con la ballad Take Aim che riesce a non inabissarsi nel gelatinoso romanticismo grazie all’ottimo graffio vocale di Elliot. Dopo i riffoni di  Bloodstained Highway, si passa ad un trittico up tempo (Setting Sails, Back To Hell, Got Lucky) che mette in chiaro come la sezione ritmica dei Confess non sia solo di sottofondo, tutt’altro. Setting Sails spicca tra tutte con il suo sorprendente intermezzo folk che potrebbe tracciare una linea per il futuro. Seguono poi due pezzi di hard rock duro e oscuro come Cardiac Arrest e Get Me Down che non avrebbero per niente sfigurato nella discografia dei Mötley Crüe. Il penultimo brano, Intervention (Sin & Tonic Pt II), è un incredibile e sorprendente arrangiamento dalle tinte progressive, in cui la band è riuscita ad inserire ottimamente archi e pianoforte senza cadere nel banale. Si chiude poi con una buona cover di Tina Turner, What’s Love Got To Do With I.

Jail è un album da avere a tutti i costi per gli amanti dell’hard rock, anche se risulta ancora un pochino acerbo ed impersonale data la smaccata riverenza ai maestri del genere. Ma i Confess sono un diamante grezzo, con un potenziale superbo e molto promettente, in possesso di alcune idee fresche su cui hanno bisogno di lavorare ancora appieno per esprimere al meglio tutto il loro personale potenziale. Li aspettiamo già per il loro prossimo disco ed anche per un loro live.

Autore: Confess Titolo Album: Jail
Anno: 2014 Casa Discografica: SG Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.confess.se
Membri band:

John Elliot – voce

Daniel – chitarra

Blomman – chitarra

Lucky – basso

Samuel – Batteria

Tracklist:

  1. Pray For The Prey
  2. Relationshit
  3. Scream
  4. Pay Before I Go
  5. Take Aim
  6. Bloodstained Highway
  7. Setting Sails
  8. Back To Hell
  9. Got Lucky
  10. Cardiac Arrest
  11. Get Me Down
  12. Intervention (Sin & Tonic Pt II)
  13. What’s Love Got To Do With It (Tina Turner Cover)
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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10th Lug2014

Deep Purple – Stormbringer

by Alberto Lerario

Deep Purple - StormbringerStormbringer è succeduto al fantastico Burn. Anche se presenta essenzialmente lo stesso approccio del suo predecessore, essendo hard rock intriso di blues ed elementi funk, è spesso considerato come una delusione tra i fan. Ritchie Blackmore, membro fondatore e colonna del gruppo, ha perso la fede nella sua creatura, colpevole di seguire troppo da vicino le strade del blues e del funky, e dopo Stormbringer deciderà di lasciare il gruppo. Sarebbe andato a formare gli altrettanto leggendari Rainbow per seguire le strade del rock insieme a Ronnie James Dio. In Stormbringer il funk diventa dominante, con un leggero tocco di soul. La title track è un opener eccellente, il giusto ponte tra il passato ed il futuro dei Deep Purple. Una volta che Love Don’t Mean a Thing inizia, ci si rende conto di essere in viaggio verso un’altra direzione, spediti verso il rock blues con influenze soul. Molte tracce vocali sono condivise da Coverdale e Hughes che si dimostra un ottimo cantante soul (a più riprese ha confidato infatti di amare la musica di Stevie Wonder). Si prosegue con degli interessantissimi blues rock come You Can’t Do It Right (With The One You Love) dove le linee di basso di Huges emergono con gran classe. Blackmore lascia in regalo al gruppo un ultimo grande assolo su Hold On.

L’album si chiude con l’incredibile Soldier Of Fortune, una morbida ballata scritta dal duo Coverdale\Blackmore diventata nel tempo un classico dei Deep Purple (Ritchie Blackmore ha recentemente scritto un’altra versione di questa canzone con i suoi Blackmore’s Night). In Stormbringer viene dato molto più spazio alle tracce vocali e alla melodia per esaltare le capacità di Coverdale lasciando per strade un po’ di ottani. Ne emerge un disco delicato da assaporare con calma, in grado di emozionare e da cui emerge il gran lavoro di Glenn Hughes (e per una volta non di Blackmore, che di lì a poco infatti lascerà la band). È impossibile paragonare questo album a In Rock, Machine Head o Burn. Ma è proprio questo il bello dei Deep Purple, un nome che racchiude uno spirito musicale dai confini sfumati.

Autore: Deep Purple Titolo Album: Stormbringer
Anno: 1974 Casa Discografica: Warner Bros
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.deeppurple.com
Membri band:

David Coverdale – voce

Ritchie Blackmore – chitarra

Glenn Hughes – basso

Jon Lord – tastiere

Ian Paice – Batteria

Tracklist:

  1. Stormbringer
  2. Love Don’t Mean a Thing
  3. Holy Man
  4. Hold On
  5. Lady Double Dealer
  6. You Can’t Do It Right (with the One You Love)
  7. High Ball Shooter
  8. The Gypsy
  9. Soldier of Fortune
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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04th Lug2014

Gary Moore – G-Force

by Giancarlo Amitrano

Gary Moore - G-ForcePur contemplato nella discografia “ufficiale” del nostro eroe, l’album odierno si può principalmente inquadrare nell’ottica di progetto a sé stante. Difatti, dopo aver strabiliato con le prime due uscite, Moore si sobbarca un lungo tour oltreoceano di supporto ai Van Halen: decide così di assemblare in fretta e furia un quartetto che possa proporre alla platea yankee il relativo album di accompagnamento. Ecco quindi la genesi di G-Force, il cui risultato comunque è decisamente convincente e per l’approccio compositivo e per la proposta tecnica della band. Composto da misconosciuti, o quasi, turnisti (tranne forse il gia’ noto drummer Dee), che tuttavia ben supportano l’axeman, il lenght si ritrova così a rivestire sì i panni della realizzazione estemporanea, ma al tempo stesso consolida ancora di più la fama del nostro pregiato. Nemmeno la produzione affidata alla piccola label della Jet riesce a scalfire i punti salienti del disco, che sono diversi e tutti validi e coinvolgenti nella loro indole molto aggressiva. Nonostante la opener track sia molto americaneggiante nel ritmo, il gruppo viene capitanato con maestria puramente anglosassone, anzi irlandese: con un occhio alle stazioni FM ed un altro al bagaglio tecnico, il colpo al cerchio ed uno alla botte sono ben assestati.

White Knuckles è la risposta britannica alla coeva Eruption: scale e deliri virtuosistici sono serviti come solo il nostro è in grado di fare, mentre She’s Got You si avvale di un solido lavoro della sezione ritmica che ben si sposa con il groove che Moore ricerca a tutti i costi per poterlo offrire in modo molto armonioso, anche grazie ad una saggia utilizzazione del simpatico refrain. Non poteva mancare altresì il momento di una ballad, ma non troppo: con crismi consolidati che all’epoca riportavano subito alla mente i Police, il brano si staglia nettamente tra quelli sinora ascoltati, proprio a causa del desiderio del leader di compiacere il mercato americano. Because Of Your Love strizza l’occhio, tanto per non farsi mancare nulla, all’allora imperante new age, che caratterizza il brano con i suoi tempi molto guizzanti e quasi ballabili. You Kissed Me Sweetly e Hot Gossip ricalcano appieno i titoli: sono ambedue brani molto easy che non aggiungono nulla a quanto sinora ascoltato, stante in queste due tracce il desiderio di Moore di sentirsi pienamente coinvolto nel progetto a stelle e strisce, con un occhio quindi principalmente all’airplay che tanto indirizzava i mercati e le vendite.

Con The Woman’s In Love abbiamo la gradevole presenza di un arpeggio sassofonistico del grande Tom Scott, ma soprattutto il ritrovato riffing dell’irlandese che ci ricorda di non adagiarci troppo sugli allori di un facile ed ingannevole pop che fortunatamente non compare sulla traccia finale: il ritmo serrato di Dancin’ funge da degno corollario a quanto sinora espresso in questo disco, potenzialmente già devastante, e che troverà proprio nelle sue tracce, il propellente adatto per le future esibizioni, finalmente libere da legacci o ancora peggio dalle imposizioni delle pretenziose case produttrici. Label che, ancora per poco, tenteranno di contenere la forza dirompente che l’ascia immortale di Gary Moore è pronta a servire.

Autore: Gary Moore Titolo Album: G-Force
Anno: 1980 Casa Discografica: Jet
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.gary-moore.com
Membri band:

Gary Moore – voce, chitarra

Tony Newton – basso

Mark Nauseef – batteria e percussioni

Willie Dee – voce

Tracklist:

  1. You
  2. White Knuckles
  3. She’s Got You
  4. I Look At You
  5. Because Of Your Love
  6. You Kissed Me Sweetly
  7. Hot Gossip
  8. The Woman’s In Love
  9. Dancin’
Category : Recensioni
Tags : Gary Moore, Hard Rock
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28th Giu2014

Deep Purple – Burn

by Alberto Lerario

Deep Purple - BurnLa possente line-up mark II si è sciolta con la partenza di Gillan e Glover, e i Deep Purple sono nuovamente alla ricerca di un cantante e di un bassista. La band, completamente esausta dopo il lungo tour per il capolavoro Machine Head, mostra segni di declino con il seguente disco Who Do We Think We Are, il cui discreto risultato di vendita resta comunque inferiore rispetto ai precedenti tre album. Si rende quindi necessario un cambiamento. Coverdale e Hughes sono i sostituti ideali che hanno contribuito sostanzialmente alla modifica del suono della band, con stili di certo differenti a Roger e Gillan, provenienti da ambienti diversi e fornendo alla band un’inaspettata essenza funky/blues. Incredibile e leggendaria è la storia del nuovo cantante: commesso in un negozio di una cittadina di 36.000 anime sita nello North Yorkshire, invia alla rivista melody maker una musicassetta registrata a casa sua con mezzi propri, in cui canta brani dei Beatles ed altre vecchie hit. Grazie al suo eccezionale timbro blues Coverdale viene catapultato direttamente nel mainstream e nella storia del rock.

Burn è uno degli album più variegati dei Deep Purple, si alternano diversi stili e influenze. È del tutto chiaro fin dalla prima traccia che non ci sarà nessuna ripetizione o rivisitazione di uno dei loro precedenti brani. Burn è un pezzo unico, un fondamento dell’hard rock e precursore del metal, che nega tutti gli stereotipi del rock anni ’70 con quella progressione rapida e dinamica del granitico riff. Un brano forse troppo spesso sottovalutato, ma per bellezza ed importanza storica non teme alcun confronto. Tutto, il resto dell’album offre una straordinaria varietà di suoni. Un hard rock più tradizionale e consueto per quei tempi, come Might Just Take Your Life o What’s Goin’ On Here. I Deep Purple recuperano l’aggressività e la velocità con Lay Down, Stay Down e You Fool No One con Blackmore che scatena i suoi implacabili riff sorretti dai ritmi sciolti ma potenti di Paice. Per tutto il disco Blackmore impone la sua supremazia strumentale grazie alla sua immensa tecnica e allo sconfinato ego. La futurista A 200 è un’espressione di questo schermo strumentale maestoso, su cui Jon Lord ha la possibilità di esplorare le trame stravaganti del suo organo elettrico. Un ottimo lavoro che ha significato l’inizio di una nuova era per i Deep Purple. Hanno rifiutato di rimanere bloccati nel passato e ripetere le stesse formule degli anni del mark II. In questo album la band decide di concentrarsi più sulla melodia e la ricercatezza del suono, con arrangiamenti puliti.

David e Glenn, i due nuovi elementi, sono in completa sincronia con il gruppo, e grazie alla loro versatilità e timbrica riescono a far raggiungere l’eccellenza alla band. Velocità e aggressività sono ancora presenti, anche se in misura minore rispetto a prima. Sembra che questa volta i Deep Purple abbiano voluto offrire qualcosa di lucido e più elegante, riducendo la distorsione della sei corde di Blackmore e l’organo di Lord si allontana dalla melodie “sporche” dei tentativi precedenti. La complessità strumentale non è stata naturalmente modificata; i loro passaggi complicati sono elementi onnipresenti, e anche su quei brani all’apparenza più semplici riescono comunque ad introdurre qualche sequenza. Il suono di Burn è senza dubbio avanzato e sorprendente se lo si confronta con quello prodotto dalla maggior parte delle band dell’epoca. Burn è un disco che ha fatto la storia, contribuendo in maniera fondamentale all’idea di heavy metal.

Autore: Deep Purple Titolo Album: Burn
Anno: 1974 Casa Discografica: EMI
Genere musicale: Hard Rock Voto: 9
Tipo: CD Sito web: http://www.deeppurple.com
Membri band:

Ritchie Blackmore – chitarra

Ian Paice – batteria

Jon Lord – tastiere

David Coverdale – voce

Glenn Hughes – basso

Tracklist:

  1. Burn
  2. Might Just Take Your Life
  3. Lay Down, Stay Down
  4. Sail Away
  5. You Fool No One
  6. What’s Goin’ On Here
  7. Mistreated
  8. A 200

 

Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Deep Purple, Hard Rock
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25th Giu2014

Blue Dawn – Cycle Of Pain

by Emanuele Tito

Blue Dawn - Cycle Of PainI Blue Dawn, band hard rock genovese fondata dal bassista Lanciaprima e dal batterista Di Martino, rilascia il suo secondo disco dal titolo Cycle Of Pain. Il loro è un sound caratteristico degli anni ’70, in stile Black Sabbath, Led Zeppelin, con aggiunte di venature doom più marcate. Colpisce particolarmente la presenza (seppur non massiccia), di intermezzi totalmente strumentali a dir poco psichedelici che, tramite l’utilizzo di svariati effetti, trasporta l’ ascoltatore in altre dimensioni. In tali intermezzi è possibile apprezzare degli assoli di chitarra del chitarrista Milanese il quale mantiene il climax sempre molto vivo. Il suo è uno stile tipico del chitarrista hard rock/blues con molte influenze acquisite dai grandi classici (oltre ai già citati Black Sabbath e Led Zeppelin, ispirazioni anche dai chitarristi come Ritchie Blackmore e Buch Dharma). La voce di Monica Santo è potente e chiara e, forte della sua esperienza, introduce perfettamente l’ascoltatore alle atmosfere ricreate dagli strumenti, grazie soprattutto ai testi oscuri che però tendono verso uno spiraglio di luce positiva. La melodia più bella la si può ascoltare in Emerald Eyes, sognante e passionale. Sorprendenti sono alcuni richiami al prog, non soltanto nelle strutture, ma anche nell’utilizzo di synth e tastiere, o addirittura nell’utilizzo di un sassofono, (suonato dal musicista jazz Roberto Nunzio Trabona) nell’ultima traccia, In Every Dream Home A Heartache, che potremo definire un tocco molto raffinato in una perfetta chiusura per un album hard rock.

Il bassista Lanciaprima osa talvolta mettere in primo piano delle linee di basso ben concepite, e posizionate al momento giusto. Molto belli sono gli intermezzi acustici, i soli di Emerald Eyes e gli arpeggi sparsi un po’ dappertutto; ma ciò che risalta del comprato acustico è il brano Aurora, particolare, ricercato, magari non precisissimo a livello esecutivo. I passaggi cromatici sui bassi scandiscono il tempo, accompagnano l’ascoltatore in The One To Blame, brano più energico, anche se a tratti rallentato. Un altro intro acustico peculiare è quello di Red Sun; quasi dolce introduce ad un classico riff hard rock che spezza l’atmosfera serena. Senz’ombra di dubbio Milanese è un chitarrista molto esperto e completo, il suo contributo a questo disco è fondamentale. Un disco solido, con ottimo lavoro di produzione e missaggio, il quale rievoca atmosfere classiche old school ma con un tocco di novità in più: Cycle Of Pain è un disco da avere se si è amanti dell’hard rock e del doom!

Autore: Blue Dawn Titolo Album: Cycle Of Pain
Anno: 2013 Casa Discografica: Black Widow Records
Genere musicale: Hard Rock, Doom Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.youtube.com/user/BlueDawnItaly
Membri band:

Monica Santo – voce

Enrico Lanciaprima – basso, voce

Luigi Milanese – chitarra

Andrea Di Martino – batteria

 

James M. Jason – tastiere, synth

Roberto Nunzio Trabona – sassofono

 

Tracklist:

  1. The Powers That Be
  2. Emerals Eyes
  3. Naked Soul
  4. Cycle Of Pain
  5. Clone
  6. Dawn Of Contempt
  7. Contempt
  8. Aurora
  9. The One To Blame
  10. Red Sun
  11. In Every Dream Home A Heartache
  12. Last Cry (bonus track)
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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24th Giu2014

Old Man’s Cellar – Damaged Pearls

by Matteo Iosio

Old Man's Cellar - Damaged PearlsAnalizzando di primo acchito il nome della band di cui andremo a parlare oggi, ovvero gli Old Man’s Cellar si potrebbe pensare ad un gruppo di energici nonnini che propongono un delta blues di vecchia scuola o ad una affiatata formazione country-folk, nulla di più errato, come abbiamo imparato già da molto tempo il nome del gruppo non fa il monaco. Si perché gli Old Man’s Cellar, a discapito della denominazione, propongono un hard rock melodico di pregevole fattura, capace di spezzare in un istante i facili stereotipi formatisi nella nostra mente ad una prima occhiata. Questo interessante progetto nasce a Modena nel 2009 dove due musicisti dotati, ma prima di tutto amici, Federico Verratti e Riccardo Dalla Costa, decidono di unire le proprie forze con l’intento di creare qualcosa di originale all’interno dell’arido panorama musicale nostrano. La creatura nata da questo parto artistico si consolida con il primo album intitolato Damaged Pearls, dodici tracce che attingono a piene mani ad un sound hard rock anni 80 davvero convincente. Nonostante non venga aggiunto nulla di nuovo o estremamente originale il gruppo appare immediatamente fresco e tecnicamente preparatissimo. La chitarra di Federico riesce ad essere elegante dove servono ricami e violenta nei frangenti più sincopati, la batteria colpisce per precisione e presenza.

Le sonorità rappresentano la vera chiave di volta di questa cattedrale sonora, fin dalle prime note si viene proiettati indietro nel tempo dove band come Danger Danger, Extreme, Toto e Europe esaltavano le folle ed intasavano piacevolmente le nostre radio. La voce del cantante Riccardo Della Costa appare perfetta per interpretare al meglio il genere prescelto, con un’estensione sonora notevole capace di donare piena credibilità all’intero progetto. Ogni traccia nel disco risulta perfettamente calibrata con le altre presenti ed allora appare veramente difficile menzionarne qualcuna in particolare, forse la struggente Ballad Is This The Highest Wave? elegante e malinconica oppure la vitaminica Hyperlove frizzante ed estremamente ritmica. Eseguendo una panoramica d’insieme possiamo dire che nonostante le numerose vicissitudini che si sono create dietro al disco, completato nel 2011 ma commercializzato solo ora, il risultato appare più che buono; la band non eccelle in originalità ma in fondo non è quello che ci si aspetta da una formazione di questo tipo.

Senza pochi giri di parole un debutto che convince appieno, con un lavoro curato e suonato con maestria e tecnica, mai noioso o ripetitivo. Non ci resta che aspettare la conferma definitiva con i prossimi progetti della band, nel frattempo non possiamo far altro che chiudere gli occhi e tuffarci in un sound che magicamente ci ridona chiome selvagge e spensierata giovinezza.

Autore: Old Man’s Cellar Titolo Album: Damaged Pearls
Anno: 2014 Casa Discografica: Valery Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.oldmanscellar.com
Membri band:

Freddy Verratti – chitarre

Ricky DC – voce

Andrea Fedrezzoni – batteria

Max Boni – tastiere

Angelo Scollo – basso

Tracklist:

  1. Damaged Pearls
  2. Amber Lights
  3. Hyperlove
  4. Don’t Care What’s Next
  5. The Years We Challenge
  6. Rain Talk
  7. Is This The Highest Wave?
  8. Knees On The Straw
  9. Soul Exercise
  10. Still At Heart
  11. Summer Of The White Tiger
  12. Undress Me Fast
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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16th Giu2014

Magnum – Escape From The Shadow Garden

by Cristian Danzo

Magnum - Escape From The Shadow GardenAmanti dell’hard rock pomposo e dell’AOR, drizzate le antenne e le orecchie perché i Magnum sono tornati ed anche alla grande! Escape From The Shadow Garden é una bella ed ottima sorpresa che ci riempie di musica perfettamente eseguita dal combo inglese che riesce ad equilibrare potenza e melodia ottenendo un equilibrio perfetto. Gli inglesi, in giro dal 1972 e che debuttano ufficialmente nel 1978 con il loro primo disco Kingdom Of Madness, a distanza di 40 anni ancora hanno molto da dire e note da sparare. I cancelli del giardino delle ombre si spalancano con Live ‘Til You Die energico 4/4 che trascina subito l’ascoltatore verso l’hard rock dei Magnum, padroneggiato in maniera perfetta e sublimato dalla voce perfetta di Bob Catley che troneggia nel ritornello insieme ai cori, creando la sensazione che il pezzo sia l’atto di apertura perfetto per le nuove performance dal vivo, capace di trascinare tutti gli spettatori. Le tastiere di Mark Stanway per tutto l’album rivestono una parte di grande importanza ed ottengono molto spazio, mentre i suoi compagni sparano energici decibel che si diffondono come note magiche nell’aria. I Magnum creano melodie trascinanti, canzoni che vedono nei ritornelli i veri cavalli di battaglia, afferrabili e riconoscibili subito dopo pochi ascolti. Come l’opener, è il caso dei pezzi seguenti, Unwritten Sacrifice, Falling For The Big Plan e Crying In The Rain che vede il suo chorus esplodere in tutta la sua maestosità.

Dopo Too Many Clowns, canzone veramente potente e di puro hard rock, Escape From The Shadow Garden vira verso composizioni più melodiche, ballad di grande atmosfera che calmano il ritmo del disco e lo spezzano, secondo noi, in due tronconi ideali. Se si esclude Burning River che torna a fare vibrare nuovamente l’hard rock che scorre potente nelle vene degli inglesi. Un disco sorprendente ed equilibrato che dimostra come i Magnum siano ancora in forma e pieni di energia, sia compositiva che musicale. Più che scappare dallo “Shadow Garden”, dopo l’ascolto della release, noi vorremmo rimanerci il più a lungo possibile.

Autore: Magnum Titolo Album: Escape From The Shadow Garden
Anno: 2014 Casa Discografica: Spv/Steamhammer
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.magnumonline.co.uk
Membri band:

Bob Catley – voce

Tony Clarkin – chitarre

Al Barrow – basso

Mark Stanway – tastiere

Harry James – batteria

Tracklist:

  1. Live ‘Til You Die
  2. Unwritten Sacrifice
  3. Falling For The Big Plan
  4. Crying In The Rain
  5. Too Many Clowns
  6. Midnight Angel
  7. The Art Of Compromise
  8. Don’t Fall Asleep
  9. Wisdom’s Had Its Day
  10. Burning River
  11. The Valley Of Tears
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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05th Giu2014

The Sade – II

by Cristian Danzo

The-SadeI The Sade sono un trio padovano. O sarebbe meglio dire power trio. Perché già con Latrodectus che apre questo II con una bordata di potenza incredibile, la parola power inizia a formarsi nel cervello dell’ascoltatore. Comunque sia, i ragazzi veneti giungono a questa loro seconda opera dopo il debut Damned Love che aveva visto i natali nel 2011. Sia quel che sia, la sopra citata opener porta una ventata anni ’70 alla Motörhead nelle case di chi ha infilato il CD nello stereo (o nelle cuffie di chi ce l’ha su quell’aggeggio tanto comodo quanto infernale chiamato iPod o smartphone). I terribili ragazzi proseguono poi con The Werewolf che a noi, sinceramente, ricorda tantissimo i Volbeat ma anche il punk seminale e grezzo dei Danzig. Si prosegue su questa falsariga con Lovekiller e End Of My World . Questo paio evoca nelle menti dell’ascoltatore atmosfere che arrivano direttamente dagli ’80, di hit che portarono in auge band come i The Cult e Billy Idol. La voce potente e cavernosa di Andrew Pozzy crea un’atmosfera darkeggiante per tutta la release e mette in mostra tutte le doti del frontman dei The Sade.

The Last Day On Earth ci trasporta direttamente con le sue sonorità western nei deserti che tutti hanno in testa se hanno visto almeno uno spaghetti di Sergio Leone. Si torna su lidi molto più aggressivi di punk grezzo e power rock con Before The Death, mentre Devil’s Son(g) ci riporta in desolate lande di cowboy e uomini con la pancia e barbe lunghissime che giocano a poker bevendo whisky di pessima fattura, chiamato comunemente brucia budella. Grazie anche a quell’armonica a bocca e delle chitarre acustiche che la fanno da padrone nel pezzo. Ballad Of The Black Moon stupisce anche per la presenza di un assolo di sassofono.

II è prodotto in maniera egregia, sprigiona una potenza ed un’atmosfera che sono veramente invidiabili, mette nel giusto equilibrio tutte le componenti musicali che la band crea e l’ascoltatore riesce ad apprezzare tutte le sfaccettature di questo lavoro. Un grandissimo disco, davvero. Suonato in maniera perfetta. Questi tre ragazzi che rispondono al nome di The Sade, hanno partorito una creatura piena di influenze metabolizzate e poi trasformate in un prodotto che è valido sotto ogni punto di vista. II è un lavoro che ci ha lasciati davvero a bocca aperta.

Autore: The Sade Titolo Album: II
Anno: 2013 Casa Discografica: Go Down Records, Kornalcielo Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.thesade.com
Membri band:

Andrew Pozzy – chitarre, voce, piano

Mark Sade – basso

Mat Sade –   batteria

Tracklist:

  1. Latrodectus
  2. The Werewolf
  3. Lovekiller
  4. End Of My World
  5. Black Demon
  6. Ballad Of The Black Moon
  7. The Last Day On Earth
  8. Not For Glory
  9. Before The Death
  10. Devil’s Son(g)
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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31st Mag2014

Aerosmith – Get A Grip

by Luigi Di Lorenzo

Aerosmith - Get A GripUndicesimo album in studio per la band di Boston, Get A Grip è reso celebre soprattutto da due dei singoli dell’album (ben sette): Cryin’ e Crazy, promossi nei videoclip da due astri nascenti del cinema hollywoodiano Alicia Silverstone e Liv Tyler (figlia di Steven). Eat The Reach, spesso opener dei live degli Aerosmith, è un inno del rock coinvolgente e rabbioso. Un rutto e un loop di batteria ci introducono la titletrack, brano cadenzato e compatto. Furia ceca per Fever: è quasi impossibile rimanere fermi e non dimenarsi in questo dannato rock‘n’roll! Livin’ On The Edge, primo singolo del disco e premiato con un Grammy Award, è un brano che fa emergere tutto il misticismo del rock: la voce di Tyler è come sempre impeccabile e trasporta l’ascoltatore in mondi lontani e perversi. Note orientali per il verso di Flesh che, pur non essendo un brano portante del disco, aprirà le porte al sound che i Nostri porteranno nel successivo album Nine Lives. Walk On Down è un brano scritto e cantato da Joe Perry in puro stile hard rock old school. Shut Up And Dance, ricca di parti strumentali che mettono in mostra la bravura dei cinque musicisti, fa emergere il lato scanzonato della band. Line Up vanta la compartecipazione di Lenny Kravitz. Arriva il momento della prima grande ballad del lotto in questione, in Cryin’, le note di Perry cullano la voce dolce, ma ricca di pathos di Steven. Un brano davvero epocale, ma i nostri hanno ancora delle sorprese da regalarci.

Gotta Love It è un brano molto catchy e la voce di Tyler è come un tornado che trascina tutto con sé. “Come here baby”, sono le prime parole della seconda ballad del disco, ed è già tutto un programma: Tyler chiama a sé la sua bella e canta una stupenda serenata, commuovente e ricca di fascino in Crazy anche Perry sfodera il meglio di sé accompagnando alla perfezione la voce e sfoderando dei soli incredibilmente romantici. Fiato alle trombe! Line Up è un brano energico che stempera l’atmosfera intimistica del brano precedente. Amazing,  terza e ultima ballad, più cupa e ancora più personale, ma meno coinvolgente delle due precedenti, è un brano dolce in cui i Nostri danno ancora una volta sfoggio di aver trovato una ricetta perfetta per scrivere dei lenti di successo; mai un elemento fuori posto e sempre pronti ad entrare nei cuori degli ascoltatori. Chiude l’album un breve outro strumentale: Boogie Man.

Che dire, Get A Grip è il maggior successo commerciale degli Aerosmith a livello mondiale, con oltre 20 milioni di copie vendute nel mondo, ed è stato il loro primo disco a raggiungere la prima posizione della Billboard 200 negli Stati Uniti. Insomma è un disco che non può mancare nella vostra collezione.

Autore: Aerosmith Titolo Album: Get A Grip
Anno: 1993 Casa Discografica: Geffen Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.aerosmith.com
Membri band:

Steven Tyler –  voce, armonica

Joe Perry – chitarra

Tom Hamilton – basso

Brad Whitford – chitarra

Joey Kramer – batteria

Tracklist:

  1. Intro
  2. Eat the Rich
  3. Get a Grip
  4. Fever
  5. Livin’ on the Edge
  6. Flesh
  7. Walk on Down
  8. Shut Up and Dance
  9. Cryin’
  10. Gotta Love It
  11. Crazy
  12. Line Up
  13. Amazing
  14. Boogie Man
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Hard Rock
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