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19th Apr2014

Revenge – Survival Instinct

by Rod

Revenge - Survival InstinctA chi segue con passione la scena hard rock italiana dell’ultimo trentennio, non suonerà nuovo il nome dei Revenge, storica band pesarese tornata sulle scene dopo un lungo periodo di inattività con Survivor Revenge, l’album che segna il loro come back in questo secolo con dieci tracce nuove di zecca che ripercorrono in lungo ed in largo le sonorità che hanno costruito le glorie del combo marchigiano. Di solito, in occasione di nuove uscite, le band non esattamente di primissimo pelo non tradiscono (quasi) mai le aspettative dei fan e della critica perché hanno dalla loro esperienza, competenza ed entourage di livello, nonché un bagaglio artistico di indubbio spessore costruito in anni ed anni di carriera. Nel caso di Survivor Revenge non si è da meno. L’album arriva infatti come un’opera musicalmente precisa, pulita ed allo stesso tempo compatta e granitica, un full-lenght in linea con il meglio di tutta la produzione hard rock delle ultime tre decadi in cui, parimenti al graffio della band, confluiscono le migliori sonorità di band che vanno dai Kiss ai Bon Jovi, passando per Mötley Crüe, Tesla, Warrant, Alice Cooper, ZZ Top, Scorpions, Stone Sour e così via. Insomma amici, Survivor Revenge è un fantastico mash up del classic & heavy side della storia del rock, un disco in cui la fanno da padrone riff travolgenti (Dead Or Alive, Cannonball), trascinanti cavalcate basso-batteria (Shelter, Survival Instinct), chorus strizzacervelli (Crazy Nights, Can’t Hold Me Down, Not The Same) ed immancabili momenti melodici (Flying, Home Again).

Partendo dalla ovvia presunzione che dal vivo questo album spaccherà di sicuro le tavole dei palchi su cui verrà presentato, a noi è sinceramente mancata un po’ di quella audacia che avrebbe consentito ai Revenge di conferire maggiore spessore stilistico alla spina dorsale dei brani con più attitudine hard. Osare molte volte non coincide esattamente con i dettami dell’esperienza, quella che assottiglia l’errore al minimo, ma si ha come l’impressione che in particolare le tracce introdotte da aperture aggressive e taglienti, vadano mano a mano a frenare, ingabbiandosi, quasi come per imposizione, in uno stile sonoro marcatamente classic che, una volta giunti al chorus, ne ammorbidisce le premesse irrequiete. Detto questo, attendiamo con ansia i riscontri che il disco otterrà negli impegnativi live che attendono la band nella bollente estate rock che si sta avvicinando!

Autore: Revenge Titolo Album: Survival Instinct
Anno: 2014 Casa Discografica: Fuel Records
Genere musicale: Hard Rock, Heavy Metal Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: http://www.revengerockband.com
Membri band:

Fabrizio “Kevin Throat” Ugolini – voce, chitarra

Paolo “Red Crotalo” Pedretti – chitarra

Valerio “Vallo” De Angelis – basso

Enrico “Erik Lumen” Giampaoli – batteria

Tracklist:

  1. Dead Or Alive
  2. Survival Instinct
  3. Crazy Nights
  4. Can’t Hold Me Down
  5. Flying
  6. Shelter
  7. Bite The Bullet
  8. Not The Same
  9. Cannonball
  10. Home Again
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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08th Apr2014

Actionmen – RamaDama

by Carlo A. Giardina

Actionmen - RamaDamaGli Actionmen nel 2013 sfornano il doppio album RamaDama. Un album esplosivo, caldo pronto a far detonare, senza pietà e con dissacrante sarcasmo, le vostre meningi. La prima parte del doppio lavoro è RAMA che presenta una vena più armonica e lievemente meno potente rispetto alla seconda parte, DAMA, fra breve analizzata. Si parte a manetta. Agamennone dà lo sprint “iniziale” che spinge su tempi in levare da brividi. Ottimo anche l’accostamento corale e armonico che a lungo andare sfocia in un finale multi-confusionale e incalzante. Le chitarre squillanti primeggiano. L’inizio è una bomba. Bomba che travolge e innesca il brano successivo, Mario. L’esplosione sonora e ritmica continua inarrestabile. Un rock selvaggio ed al contempo educato. Una mina vagante dalla strada ben precisa. D’improvviso si passa dalla bomba alla perla: Living On My Own, sì, cover dei Queen. Una versione da ballare e riballare. Gomitate e scorrazzate sulle metalliche corde tese che non sembrano fermarsi. Si sente la gente saltare e scatenarsi. L’onda d’urto si propaga fino ad arrestarsi in una fulgida tregua. Tregua rapidissima. La batteria di proiettili viene ricaricata nel frattempo, pronta ad essere rapidamente esaurita dal percussionista, le voci, le chitarre, tutti. Dopo questi brani iniziali questa prima parte scorre rapida, perfettamente fruibile, divertente e coinvolgente. Basti pensare a Ram Das, in cui giri di blues si mescolano ad attimi di ska, rock puro e alternative, a Dubai, un mantra. Un mantra alt-rock che ti entra in testa e non esce più. E per finire a Jack Mc Quack: hard rock super armonico che ci porta a fare un giro in moto con il fantastico e fantomatico amico Jack. Talmente bello che distrugge la città.

Ed eccoci a DAMA, la seconda parte dall’anima molto più dura, aggressiva, eccentrica. La lotta inizia con Mugna II che ci dimostra come l’hard rock degli Actionmen spari crudeli fucilate sulla folla di ascoltatori imbambolati dal suono elettrico ed esplosivo emesso dalla stessa band. In Mugna II la velocità d’esecuzione raggiunge limiti inimmaginabili. Una mitraglia d’energia calibrata alla perfezione. Inaspettatamente, però, si entra in un mondo parallelo, caraibico e rockettaro allo stesso tempo. Un mondo incantato dal quale difficilmente si può evadere. Turbo Pascal. Il nome già la dice lunga: non ci si riferisce al nome del celebre programma informatico, ma al solo termine “turbo”. Una corsa in città stile Need For Speed con tanto di Nos. Ogni percezione viene annullata dalla folle velocità. Il tutto senza far venire meno l’armonia e l’equilibrio strumentale. Fenomeni. Lo stesso discorso vale per i brani successivi, maggiormente ruvidi rispetto la prima parte di RamaDama, come già ribadito nell’incipit. Anche questa seconda parte scorre, con po’ più di difficoltà, ma alla fine scorre: dopo aver superato brani degni di un negozio di smerigliatrici eccoci a Mugna 45. Con Mugna 45 si arriva ad un punto di non ritorno: un brano completo in cui si trova di tutto. Un bazar dalle mille sorprese. Emozionante. Hard rock, heavy metal, toni vagamente sul grunge, brevi sprazzi funkeggianti e cori improvvisi, ma non improvvisati.

E lo stesso andazzo viene seguito da Murgia in cui ci si accorge dell’incredibile qualità artistica degli Actionman. Nonostante la tremenda velocità d’esecuzione, la pulizia dei brani è impeccabile. In mezzo a tutto questo fantastico e angelico frastuono c’è anche il tempo per un’araba intrusione che unisce reggaeton, elettronica e grida sciamaniche: Salamm. La grancassa pompa energia positiva e presto si diffonde un amaro buonumore nell’aria. Salam allic, salam allic a tutti. Sbirciando la pagina facebook dei ravennati Actionmen si legge, nella descrizione, che finalmente nel 2013 il gruppo sia giunto alla “fungata di Ramadama, il doppio album più ostico e bello di sempre“. Non avrebbero potuto descriverlo meglio. La loro presunzione è stata premiata perché quest’album è veramente e semplicemente bello.

Autore: Actionmen Titolo Album: RamaDama
Anno: 2013 Casa Discografica: Inconsapevole Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.actionmen.it
Membri band:

Ram Das Libero Foschi – voce, chitarra, tamburino

Diego Pasini – basso

Matteo Pozzi – chitarra,   pedali

Mattia Mugna   Pinna De Paola – batterie

Tracklist:

  1. Agamennone
  2. Mario
  3. Living On My Own
  4. Marco e Frocele
  5. Orlando
  6. Ram Das
  7. Dubai
  8. Diosporc
  9. Mugna Latin
  10. Jack Mc Quack
  11. Kebab
  12. Mugna II
  13. Turbo Pascal
  14. Querela
  15. Mugna III
  16. Marino
  17. Franco
  18. Cantante dei Korn
  19. Mugna 45
  20. Murgia
  21. Demetrio
  22. Salamm
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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06th Mar2014

Axel Rudi Pell – Into The Storm

by Alberto Lerario

Axel Rudi Pell - Into The StormIl teutonico chitarrista Axel Rudi Pell a distanza di due anni dal suo ultimo lavoro, Circle Of The Oath (recensito da noi a questa pagina), torna sulle scene con un cambio di line up nella sua omonima creatura musicale. Bobby Rondinelli sostituisce alle pelli il predecessore Mike Terrana, compito decisamente non facile, ma il nuovo batterista non tradisce il minimo colpo a vuoto grazie alla grande esperienza passata in band del calibro di Black Sabbath , Quiet Riot e Rainbow. Come sempre le aspettative che circondano un nuovo album di Axel Rudi Pell sono relativamente alte. Fortunatamente il gruppo non delude, tutte le dieci nuove composizioni sono piene fino all’orlo degli stessi elementi che hanno fatto in precedenza la fortuna degli Axel Rudi Pell, che in poche parole si può riassumere come epic hard rock. Into the Storm inizia con l’evocativa strumentale The Inquisitorial Procedure, con drammatici arrangiamenti orchestrali che non appena raggiungono il picco della loro scalata verso l’alto, accolgono l’agguerrita traccia seguente Tower Of Lies. Si scivola in un ritmo confortevole sul brano successivo Long Way To Go, che è molto in linea con il più recente lavoro del singer Johnny Gioeli con gli Hardline. Linee di basso semplici e fitte, riff di chitarra sporadici che si intrecciano con il gioco del sintetizzatore, formano la spina dorsale del pezzo su cui vola la voce di Gioeli, con ancora impressionante estensione vocale scena.

Burning Chains caratterizzata da solide progressioni di accordi Pell che hanno la capacità di diventare il punto saliente del brano, è quasi un tributo al maestro Blackmore. Hey Hey My My, cover di Neil Young, rivela un aspetto più emotivo della band, che mette da parte la potenza per lasciare spazio ad una melodia di pianoforte su cui Gioeli sfoggia tutta la sua maestria. In tutto l’album Pell e Gioeli intrecciano i loro talenti alla perfezione lasciando a ciascuno i propri rispettivi momenti in cui prendersi sulle spalle la band e brillare di luce propria. Into The Storm è un album davvero godibile, intriso di melodia e talento in quantità più che sufficiente per agganciare l’interesse dei familiari ascoltatori di hard rock che hanno l’intenzione di godersi questo stile di musica che non ama pensare troppo alle novità, ma arriva sempre e comunque dritto al punto. Per i fan della band e di Axel Rudi Pell, inutile dirlo, è un disco da prendere ad occhi chiusi.

Autore: Axel Rudi Pell Titolo Album: Into The Storm
Anno: 2014 Casa Discografica: Spv/Steamhammer
Genere musicale: Hard Rock, Heavy Metal Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.axel-rudi-pell.de
Membri band:

Johnny Gioeli – voce

Axel Rudi Pell – chitarra

Ferdy Doernberg – tastiere

Volker Krawczak – basso

Bobby Rondinelli – batteria

Tracklist:

  1. The Inquisitorial Procedure
  2. Tower Of Lies
  3. Long Way To Go
  4. Burning Chains
  5. When Truth Hurts
  6. Changing Times
  7. Touching Heaven
  8. High Above
  9. Hey Hey My My
  10. Into The Storm
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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05th Mar2014

Aerosmith – Rocks

by Luigi Di Lorenzo

Aerosmith - RocksQuarto album in studio per la band di Boston che cavalcando quattro decenni è diventata una vera e propria icona della musica mondiale. Dopo il grande successo di Toys In The Attic, gli Aerosmith sfornano un nuovo capolavoro Rocks, un meltin’ pot di hard rock, blues, funky, boogie e heavy metal davvero sconvolgente, che si piazza alla posizione numero 176 nella classifica dei 500 album più belli di tutti i tempi, secondo la rivista americana Rolling Stone. Vincitore di 4 dischi di platino, Rocks è un album duro, grezzo e aggressivo ma che non disdegna affatto le melodie profuse dai “Toxic Twins” Tyler e Perry. L’incipit dell’album è affidato a Back In The Saddle dove a farla da padrone è la voce graffiante di Steven Tyler, che squarcia improvvisamente il crescente dell’intro e sale sugli scudi per l’intera durata del brano. Last Child è un bel passaggio funky con un assolo di Joe Perry davvero degno di nota. A seguire, Rats In The Cellar è un brano con le sonorità del rock‘n’roll classico che sconfinano in un boogie davvero coinvolgente, una delle perle dell’album.

La furia irresistibile della band si placa con Combination, un ottimo mid-tempo davvero molto riuscito e Sick As A Dog, brano che nonostante preveda la line up del combo bostoniano completamente stravolta (Tom Hamilton alla chitarra solista, Joe Perry alla ritmica e Steven Tyler al basso) risulta sempre molto coinvolgente. Nobody’s Fault è il brano più “heavy” in assoluto del disco. Ripresa anche dai Testament in The New Order è una canzone molto oscura, dai toni apocalittici che a tratti rimanda ai primi Black Sabbath. I toni del disco vengono stemperati dal funky di Get The Lead Out e dalla scanzonata e coinvolgente Lick And A Promise. L’ultimo brano è affidato a Home Tonight, una riuscitissima ballad romantica tipica del gruppo con Steven Tyler che si esalta mostrando tutte le sfumature della sua inconfondibile voce. Rocks è davvero una delle pietre miliari del rock che non ci si stanca mai di ascoltare e sempre attuale. Un vero capolavoro.

Autore: Aerosmith Titolo Album: Rocks
Anno: 1976 Casa Discografica: Columbia
Genere musicale: Hard Rock Voto: 10
Tipo: CD Sito web: http://www.aerosmith.com
Membri band:

Steven Tyler – voce, armonica

Joe Perry – chitarra

Tom Hamilton – basso

Brad Whitford – chitarra

Joey Kramer – batteria

Tracklist:

  1. Back In The Saddle
  2. Last Child
  3. Rats In The Cellar
  4. Combination
  5. Sick As A Dog
  6. Nobody’s Fault
  7. Get The Lead Out
  8. Lick And A Promise
  9. Home Tonight
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Hard Rock
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04th Mar2014

Nashville Pussy – Up The Dosage

by Cristian Danzo

Nashville Pussy - Up The DosageNon so se anche voi guardiate American Pickers quel programma dove due tizi se ne vanno col furgone nell’America più profonda a rovistare granai e tenute per trovare pezzi da collezione da rivendere nel loro negozio. Strade in mezzo ai campi, chilometri macinati passando in mezzo al nulla. Comunque sia, l’immaginario del viaggio on the road a bordo di macchine, moto o camion é diffusissimo in tutto il mondo come un grande classico. Chi non vorrebbe fare un coast to coast? L’importante é avere il mezzo giusto, non incappare nella fattoria di Non Aprite Quella Porta o nella cittadina di Grano Rosso Sangue. Ma é importantissimo avere anche dietro la musica giusta. E Up The Dosage, il nuovo album dei Nashville Pussy, é proprio la colonna sonora ideale. C’é dentro di tutto: hard rock anni ’70, blues spinto, southern, stoner, con spruzzi di punk, Tom Waits e Rolling Stones. Insomma, un album massiccio da scenari di America rurale. Un organetto che sembra quello delle partite di hockey apre le danze e Everybody’s Fault But Mine, hard blues che sembra uscito direttamente dagli stati del sud cantato da uno che mastica tabacco da una vita mentre suona la sua chitarra dondolandosi in veranda. Ecco poi arrivare un terzetto fulminante di puro hard rock aggressivo e ruvido che vede in The South’s Too Fat To Rise Again la poetica ironica e mai politically correct del combo esplodere in tutta la sua energia trasgressiva.

Before The Drugs Wear Off torna al blues e sembra di trovarsi davanti ad un pezzo degli Stones cantato da un Tom Waits particolarmente fatto e svogliato. Takin’ It Easy cantata da Ruyter Suys é una scheggia di punk impazzita e di brevissima durata. Hooray For Cocaine, Hooray For Tennessee diventa invece un dissacrante inno country di una agreste fiera di paese dove si celebrano sostanze illecite e donne di facili costumi. Chiude Up The Dosage il brano Pussy’s Not A Dirty Word evidente tributo allo storico inno rock’n’roll degli AC/DC It’s A Long Way To The Top (If You Wanna Rock And Roll). Ruyter Suys si cimenta nel corso dell’album a suonare anche il piano, l’organo ed il mandolino. Up The Dosage é un album potente, irrivirente, spontaneo, grezzo e pieno di energia. Una mazzata sonora consigliata che vi penetrerà i timpani come fosse carta vetrata.

Autore: Nashville Pussy Titolo Album: Up The Dosage
Anno: 2014 Casa Discografica: Spv/Steamhammer
Genere musicale: Hard Rock, Stoner Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.nashvillepussy.com
Membri band:

Blaine Cartwright – voce, chitarra

Ruyter Suys – chitarra

Bonnie Buitrago – basso

Jeremy Thompson – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Everybody’s Fault But Mine
  2. Rub It to Death
  3. Till The Meat Falls Off The Bone
  4. The South’s Too Fat To Rise Again
  5. Before The Drugs Wear Off
  6. Spent
  7. Beginning Of The End
  8. Up The Dosage
  9. Takin’ It Easy
  10. White And Loud
  11. Hooray For Cocaine, Hooray For Tennessee
  12. Pillbilly
  13. Pussy’s Not A Dirty Word

 

Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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29th Gen2014

Seventh Veil – White Trash Attitude

by Alberto Lerario

Seventh Veil - White Trash AttitudeNati dalle ceneri della band hard rock LastRide, i veronesi Seventh Veil offrono la propria visione del Sunset Strip rock degli anni ‘80. Tanto per capirci si tratta di sonorità glam hard rock, con canzoni che si occupano di auto veloci, belle donne, delle gioie di alcol e divertimento sfrenato per tutta la notte. Data la presmesse quindi è facile intuire a quali maestri del passato si ispiri la band italiana: Mötley Crüe (il nome Seventh Veil è stato curiosamente scelto da Nikki Sixx), Trixter, Slaughter, Steelheart e Britney Fox giusto per citarne alcuni. I Seventh Veil in realtà hanno cercato di incorporare nella loro musica anche alcuni elementi appartenenti al glam metal scandinavo attuale. Con il loro primo full-length di debutto White Trash Attitude (precedente a questo hanno pubblicato nel 2012 un EP intitolato Nasty Skin e recensito da noi a questa pagina), il gruppo fa del suo meglio per lasciare una buona impressione, distinguendosi da molte altre band che cavalcano la nuova tendenza di ripercorrere i fasti del glam metal/hard rock old style. Oscar Burato, che ha registrato, mixato e masterizzato album di debutto della band, fa del suo meglio per ammorbidire gli spigoli del suono grezzo dei Seventh Veil.

In White Trash Attitude le carte sono tutte disposte sul tavolo: si tratta di materiale conosciuto, classico e poco innovativo, ma che sprigiona sempre groove ed energia. Alcune lacune tecniche emergono durante i brani, in particolar modo nella voce del singer Steven, si roca e graffainte, ma dotata di scarsa estensione e sicurezza, tralasciando la pronuncia un po’ troppo nostrana per dare respiro internazionale all’album. Il resto della band procede in maniera sicura senza fronzoli (anche se a volte avrebbero fatto comodo), compatti e veloci verso il Sunset Strip. In definitiva questo è un album che gli appassionati del genere non devono lasciarsi scappare grazie a canzoni come Slimy Snake, Dirty Distinctive o Nasty Skin. Per tutti gli altri è comunque un disco di sicuro interesse, solido dall’inizio alla fine capace di mantenere elevato il numero di ottani per tutta la sua durata.

Autore: Seventh Veil Titolo Album: White Trash Attitude
Anno: 2013 Casa Discografica: Street Symphonies Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.seventhveil.net
Membri band:

Steven – voce

Jack – chitarra

Holly – chitarra

Jeff – basso

Eric Roxx – batteria

Tracklist:

  1. White Trash Attitude
  2. Red Light In Your Eyes
  3. No Fear
  4. Slimy Snake
  5. Dirty Distinctive
  6. Nasty Skin
  7. Are You Ready To Die?
  8. Sister Cigarette
  9. Toy Boy
  10. L.A. Dream
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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14th Gen2014

Mad Max – Interceptor

by Giancarlo Amitrano

Mad Max - InterceptorIl variegato underground musicale tedesco, a volte, misconosce i suoi stessi figli: confuso tra mostri sacri quali Scorpions, Accept, ma anche Bonfire, tende a tenere confinato in un angolo anche qualche suo figliol prodigo che comunque di soddisfazioni gliene ha date in quantità. Pur senza squilli di tromba, ad esempio, è il caso dei veterani Mad Max, attivi comunque da oltre un ventennio propongono un solido e coerente hard che certamente paga dazio ai padri spirituali, pur non essendo privo di una certa originalità. Spaziando tra goliardie tipiche degli eighteens e sonorità classiche settantiane, il quartetto riesce a tratteggiare una solida linea musicale, laddove il leader assoluto Voss (attivo anche con i sottovalutati Casanova) riesce a ritagliarsi una sua fetta di indiscusso protagonismo che lo vede tuttavia eccellere nella doppia veste alle sei corde ed al microfono. Supportata da una solida sezione ritmica, la band dispensa alcune gemme disseminate tra i solchi, pur imbattendosi in un paio di passaggi a vuoto, forse per eccesso di generosità. Con il dittico iniziale, i quattro si pongono subito al (solido) lavoro, proponendo una serie gradevole di stacchi repentini e ripetuti cambi di marcia, specialmente in Godzilla, che offre tutto il campionario tipico dei rocker di chiara fama. Si sottolinea sin da subito la buona prova vocale del singer lungo tutto l’arco delle tracce, anche quelle meno riuscite, laddove la coerenza non sempre paga, tuttavia il gruppo non cede a compromessi e prosegue dritto per la sua strada: la certezza di proporre anche una propria linea di originalità.

Pur gradevoli all’ascolto, le successive Sons Of Anarchy e Streets Of Tokyo si perdono gradualmente per strada essendo da un lato certamente originali per le linee sonore molto intense, ma dall’altro egualmente troppo stereotipate nella ricerca dell’avvicinamento alle “vecchie cariatidi”. Sicuramente Voss non si fa prendere dalla smania di somigliare a Klaus Meine o Udo Dirkschneider, tuttavia ci pare a volte troppo impegnato nel mantenere l’aura di un affettato singer che debba apparire in qualche clip dell’epoca. Mentre con la ballad di Five Minute Warning sicuramente il quartetto riacquista lo spessore dovuto, sia pur indulgendo anche in questo frangente ad un sound troppo “laccato”. Molto più piacevole all’ascolto, Bring On The Night, che si rifà ai canoni standard dell’hard europeo vecchio stampo, laddove le chitarre sono roventi il giusto ed il martellamento della sezione ritmica è oltremodo presente. Come anche in Streets Of Tokyo, in cui il quartetto gode addirittura della collaborazione ai testi di Herman Rarebell, storico drummer degli “Scorpioni”.

Ci piace sottolineare l’interpretazione molto drammatizzata che Voss fornisce con Show No Mercy, rendendola molto intensa e corposa nella sua versatile scala di tonalità. Revolution porta a termine la missione della band, ovvero quella di non indulgere a lirismi fuori luogo, ma attaccare l’uditorio con la scarica dei sempreverdi riff che non fanno prigionieri, il tutto ovviamente tenendo sempre ben presenti le radici primigene che si chiudono con la delicata Turn It Down, versione ben coverizzata di un classico degli Sweet. Non è il canto del cigno per questa band, di sicuro, restando fedele ai clichè, mantiene intatta la coerenza e la reputazione presso i suoi fan.

Autore: Mad Max Titolo: Interceptor
Anno: 2013 Casa Discografica: Spv/Steamhammer
Genere musicale: Hard Rock Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://www.madmaxofficial.de
Membri band:

Michael Voss – voce, chitarra

Juergen Breforth – chitarra

Roland Bergmann – basso

Axel Kruse – batteria

Tracklist:

  1. Save Me
  2. Godzilla
  3. Sons Of Anarchy
  4. Rokker Your Life
  5. Five Minute Warning
  6. Bring On The Night
  7. Streets Of Tokyo
  8. Show No Mercy
  9. Revolution
  10. Turn It Down
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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07th Gen2014

Deep Purple – Machine Head

by Alberto Lerario

Deep Purple - Machine HeadIl brillante mark II ha già dimostrato il suo potenziale con il capolavoro killer In Rock, che è stato sicuramente l’album più violento e intenso dei primi anni ’70. Il seguente lavoro, Fireball, era solido e di valore, ma fu sottovalutato nel mercato delle vendite. Così, i Deep Purple decisero di aver bisogno di qualcosa di grande e ambizioso, per consolidare il loro status di pesante hard rock band e raggiungere il proprio suono distintivo. Questo album offre un suono caratteristico del tutto particolare, una serie di classici indimenticabili suonati con incredibile brillantezza strumentale. Fin dal primo brano, la musica dei Deep Purple è intensa, cruda e perfettamente eseguita. L’immenso speed metal precoce di Highway Star, con quell’incredibile influenza barocca data sia da Blackmore che da Lord, o Space Truckin’, sono una magnifica esposizione di pura energia e talento. L’aggressività e la velocità sono notevoli, l’arsenale strumentale propone riff portanti su cui la base musicale di ogni composizione si dipana in maniera elaborata e coerente. Probabilmente, qualche altra band avrebbe messo tutto l’accento sul riff e un paio di pause prevedibili con una canzone come Smoke On The Water. Non i Deep Purple, però! Hanno reso evidente che la semplicità non fa parte della loro politica, creando un inno leggendario elaborato e notevolmente lucidato da quel riff, il più famoso probabilmente della storia del rock, suonato da qualsiasi essere vivente abbia mai impugnato una chitarra (il brano parla di una stopria altrettanto famosa: un incendio scatenato da un fan di Frank Zappa all’interno di un casinò di Montreux, cittadina sita sul lago di Ginevra, famosa per i suoi studi di registrazione).

Lazy e Pictures Of Home si basano su accordi qualificati, strutture alternative e una notevole tecnica di base. Tra la splendida varietà di melodie possiamo anche trovare momenti più casual come Maybe I’m A Leo, o l’orecchiabile e melodica Never Before, che non suonano probabilmente in modo epico e ambizioso come il resto dei brani, ma includono la particolare perfezione strumentale dei Deep Purple. Machine Head è il risultato di anni e anni di pratica e di un processo di songwriting mirabilmente creativo, così ogni traccia sembra essere pianificata con precisione. C’è anche tempo per qualche improvvisazione e arabesco barocco. Cosa rende questo album così speciale? La creatività, il virtuosismo e nuove idee proposte da ogni membro della band, senza alcuna eccezione. La formazione mark II dei Deep Purple è formata da cinque musicisti eccezionali che erano già veterani del settore all’età di ventanni. Quindi non c’è mancanza di direzione, di maturità o controllo in queste composizioni. Spiccano tra tutte le abilità impressionanti di Blackmore e Lord, le cui dita veloci definiscono una tecnica totale, precisa e onnipresente. Entrambi forniscono alla musica dei Deep Purple un tono classico sofisticato, ma anche appassionato, aggressivo e ruvido.

La sezione ritmica formata dal duo Glover/Paice fornisce contemporaneamente un contributo assolutamente efficiente, potente e vibrante. Uno stile non eccessivamente complesso, ma inconfondibile e difficilmente riproducibile che ha fatto la differenza rispetto al gruppo di batteristi rock ordinari di allora. La voce di Gillan è unica, notevolmente melodica ed elegante, percorre la sua strada in modo selvaggio raggiungendo tonalità elevatissime. In conclusione, questo è un capolavoro essenziale che ha definito il suono glorioso dell’hard rock anni ’70. È uno di quei classici che a distanza di molti anni da quando è stato registrato, suona comunque fresco e divertente.

Autore: Deep Purple Titolo Album: Machine Head
Anno: 1972 Casa Discografica: EMI
Genere musicale: Hard Rock Voto: 10
Tipo: CD Sito web: http://www.deeppurple.com
Membri band:

Ian Gillan – voce

Ritchie Blackmore – chitarra

Jon Lord – tastiere

Roger Glover – basso

Ian Paice – batteria

Tracklist:

  1. Highway Star
  2. Maybe I’m A Leo
  3. Pictures Of Home
  4. Never Before
  5. Smoke On The Water
  6. Lazy
  7. Space Truckin’

 

Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Hard Rock
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04th Gen2014

Deep Purple – Fireball

by Alberto Lerario

Deep Purple - FireballDurante il tour mondiale seguente al leggendario In Rock, i Deep Purple cominciano a provare alcune cose nuove e interessanti. Sperimentando con folk, country e persino tornando alle loro radici dei tardi anni ’60 per aggiungere un tocco di progressività e psichedelia alla loro musica. In questo album è possibile apprezzare una stupefacente miscela di drumming blues e jazz, insieme alla vorticosa chitarra di Ritchie Blackmore, e il duo Roger Glover e Jon Lord custodi delle chiavi di lettura di ogni traccia. Per quando riguarda i testi, questo album mostra uno stile leggermente diverso nella scrittura rispetto ai precedenti. La maggior parte dei brani sono incentrati intorno alla morte o a cambiare l’umanità. Cantante magistrale, Ian Gillian si cimenta con toni di fascia media piuttosto che alti estremi, un cambiamento di stile adeguato per sposarsi con le nuove influenze e la sperimentazione di questo album. Ritchie Blackmore decide di adottare un approccio molto minimalista su questo album, fornendo alcuni riff rock classici come No No No e Demon’s Eye. I riff sono molto blues, ispirati e estremamente accattivante. Fools mostra una progressione di riff molto semplice e molto pesante, vero manifesto del di riff rock. Qui Gillian ci mostra tutta la potenza vocale.

Anyone’s Daughter è una canzone radicalmente diversa da tutta la discografia dei Deep Purple: scambio di riff pesanti e jazz drumming per chitarra acustica pulita, miscelate ad influenze folk. No One Came assume un ulteriore nuovo aspetto per i Deep Purple, incentrandosi sulla ritmica funky, base e protagonista della canzone con un riff estremamente orecchiabile. La titletrack è più di una semplice canzone dei Deep Purple. Classico senza tempo in cui Gillian dispiega tutto il suo range vocale, ma tutta la band è ispirata al massimo in questo brano. Ian Paice è in grado di mostrare le sue abilità sorprendenti dietro le pelli aprendo il disco e la strada per il selvaggio e distorto basso di Glover. The Mule, si basa sulla bravura della chitarra solista di Blackmore, abbellita dagli effetti aggiunti che danno alla canzone un sentimento psichedelico, ravvivato all’inverosimile dall’allucinato lavoro di Lord. Il tastierista rimane sempre su livelli eccelsi in tutti i brani dell’album, e quando pensi che si sia assentato per un attimo, in realtà sta applicando il suo modo di suonare in un modo nuovo.

Alla fine Fireball è uno degli album più sperimentali e coraggiosi dei Deep Purple. La combinazione di influenze psichedeliche, country e folk nella loro musica lo rende un album fondamentale per raggiungere l’altro lavoro monumentale creato dal mark II, Machine Head. Questo album dovrebbe essere esaminato da tutti i fan della band alla ricerca di una nuova tonalità di Deep Purple.

Autore: Deep Purple Titolo Album: Fireball
Anno: 1971 Casa Discografica: Harvest Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.deeppurple.com
Membri band:

Ian Gillan – voce

Ritchie Blackmore – chitarra

Roger Glover – basso

Jon Lord – tastiere

Ian Paice – batteria

Tracklist:

  1. Fireball
  2. No No No
  3. Demon’s Eye
  4. Anyone’s Daughter
  5. The Mule
  6. Fools
  7. No One Came
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Hard Rock
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21st Dic2013

Deep Purple – The Book Of Taliesyn

by Alberto Lerario

Deep Purple - The Book Of TaliesynIl genere progressive rock ha un debito verso i primi Deep Purple. Sono stati una delle prime band a tentare di fondere concetti e temi orchestrali con la musica rock. Nel 1968 con coraggio facevano del loro meglio per aprire nuove porte. Erano riusciti a piazzare nella top five americana un singolo di successo, Hush. Quel successo commerciale ha permesso loro di andare di nuovo in studio, questa volta per cercare di fare musica avrebbe messo da parte tutti gli altri. Listen, Learn, Read On è un brano dinamico, i versi sono pronunciati dal cantante Rod Evans con un riverbero molto profondo e, mentre l’effetto suona un po’ datato oggi, dà sicuramente al brano una certa gravità e drammaticità. Ritchie Blackmore fornisce una delle sue prove visionarie e il batterista Ian Paice suona come un pazzo quando necessario. Nick Simper riesce persino a gettare qualche sprazzo di basso fuzz psichedelico verso la fine. Wring That Neck (o Hard Road, come è stato intitolato il brano negli Stati Uniti ) è una traccia strumentale caratterizzata dal marchio dell’organo Hammond di Jon Lord e dalle linee barocche seguite dalle corde di Ritchie. Mentre la maggior parte dei chitarristi di quel momento stavano cercando di imitare sia Clapton che Hendrix, Blackmore si poneva fuori dal coro, non assomigliando a nessun altro. I suoi assoli erano tutt’altro che tipici ed il suo lavoro su questo brano è un buon esempio della sua tecnica individuale. Dal momento che nell’album precedente avevano ottenuto risultati fortunati in termini di vendite con una cover, decidono di ripetere il tentativo anche questa volta, coverizzando una canzone di Neil Diamond, Kentucky Woman, con un inizio e fine traccia che svolgono una resa abbastanza semplice della canzone, fatta eccezione per gli inserti di chitarra e organo, naturalmente. Anche questa volta l’sperimento funziona facendo salire il brano al 38° posto delle classifiche.

Il brano seguente è Exposition, in cui la band si prende enormi libertà con il secondo movimento della settima sinfonia di Beethoven. È un preludio emozionante che, purtroppo, We Can Work It Out, con la sua atmosfera groovy non regge la trama tessuta. The Shield dispone di un veloce incedere beat e un tema musicale molto intrigante che oscilla tra il minore e il maggiore. Nelle battute centrali di Anthem possiamo apprezzare un arrangiamento barocco formidabile organizzato magistralmente da Jon Lord. Dal momento che il rivoluzionario film di Kubrick 2001: Odissea nello spazio uscì proprio nello stesso anno, non è una sorpresa che la band abbia incorporato un brano tratto da Also Sprach Zarathustra di Richard Strauss in River Deep, Mountain High, traccia che scivola via in modo anonimo. Ritchie Blackmore e Jon Lord avendo entrambi studiato musica classica, si sono presi la band sulle spalle dirigendo il gruppo verso frontiere quasi vergini all’epoca, influenzati più da band come i newyorkesi Vanilla Fudge, piuttosto che dal blues rock dell’epoca.

The Book Of Taliesyn rappresenta a suo modo un lavoro seminale per la crescita futura del movimento rock progressivo sinfonico. Tuttavia le vendite mediocri dei loro primi lavori orienterà i Deep Purple verso un sound rock più aggressivo e duro, che sarà comunque fondamentale per la storia dell’hard & heavy.

Autore: Deep Purple Titolo Album: The Book Of Taliesyn
Anno: 1968 Casa Discografica: Harvest Records, Tetragrammaton
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.deeppurple.com
Membri band:

Rod Evans – voce

Jon Lord – tastiere

Ritchie Blackmore – chitarra

Nick Simper – basso

Ian Paice – batteria

Tracklist:

  1. Listen, Learn, Read On
  2. Wring That Neck
  3. Kentucky Woman
  4. Shield
  5. Anthem
  6. River Deep, Mountain High

 

Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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