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31st Mag2013

Ufo – Flying

by Giancarlo Amitrano

Al secondo album è già tempo di ricordi: l’ultimo lavoro con il “mark” originale si fa menzionare per la complessità dei suoni e per la carica fortemente psichedelica che dallo stesso promana. Strutturato su solo 5 tracce, tuttavia, il disco non perde un’oncia di intensità ed anzi annovera tra esse alcuni tra i migliori episodi della loro intera discografia. Tutto l’album, occorre dirlo subito, vede protagonista assoluto un immenso Bolton alla sei corde, un gioiellino del lontano 1971 che a tutt’oggi ancora riesce a riscaldare gli animi degli aficionados. L’hard ancora primordiale di cui risente fortemente il disco è in questa sede decisamente orientato verso una notevole stilizzazione del suono, tipicamente compresso dalla notevole distorsione dell’ascia, il testo e le composizioni sono comunque di alto livello interpretativo. Silver Bird, ad esempio, si orienta su di una tempistica molto ben modulata, quasi “mid” nelle battute della grancassa, mentre lo stesso Mogg attenua le sue consuete accelerazioni vocali per consentire alla sei corde un lavoro molto “bluesy” nei passaggi iniziali, salvo poi diradare decisamente verso una cavalcata molto più energica che si protrae lungo tutto lo svilupparsi del brano. Con Star Storm i tempi si dilatano quasi al massimo: avremmo già dovuto dirlo nella premessa che questo disco vede le composizioni più lunghe della discografia dell’Astronave. Nei suoi quasi 19 minuti assistiamo deliziati al festival espositivo di tutti la strumentazione, che per non cadere nella lusinga dell’autocelebrazione, riesce a dosare bene i tempi da dedicare agli assoli prolungati, prima di rientrare sapientemente nei ranghi delle strofe ripetute e ravvicinate tra esse. La sezione ritmica si mantiene su tempi da precisione elvetica: un sapiente uso dei pedali dona alla batteria un sapore molto frizzante, tale da indurci a ritmarla all’ascolto.

Prince Kajuku e The Coming Of Prince Kajuku costituiscono l’ideale dittico per chi voglia proporre infine il calibro grosso, musicalmente parlando. Ambo i brani sono gradevoli nella loro (relativa) semplicità di esecuzione, dove tuttavia è sempre l’axeman a dettare legge, con virtuosismi tuttavia mai fini a sé stessi. Siamo già giunti al termine del disco: non prima tuttavia di avere analizzato la title-track. Quasi 27 (!) minuti di composizione strumentale che spazia, è proprio il caso di dirlo, dall’hard ancora grezzo di cui il gruppo è già fornito per passare alla psichedelia della fase centrale, dove il lavoro che Bolton tratteggia ci trasporta in una dimensione quasi sovrannaturale, per poi trasbordare ancora nello space rock al tempo imperante. Anfitrione assoluto, ancora una volta, lo straordinario chitarrista, il cui lavoro davvero notevole e superbo in alcuni passaggi quasi ci fa rimpiangere quello che di lì a poco avverrà, ma che nel frattempo non cancella questa autentica pietra miliare degli anni ‘70, cui ancora oggi abbeverarsi e prendere ispirazione e spunto, considerando i 40 anni e passa dalla sua pubblicazione.

Se da un lato Flying risente della notevole presenza della psichedelia e dello space rock imperante, dall’altro lato denota già tutto ciò che la band sarà lesta a proporre.

Autore: Ufo Titolo Album: Flying
Anno: 1971 Casa Discografica: Beacon Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Mick Bolton – chitarra

Pete Way – basso

Andy Parker – batteria

Tracklist:

  1. Silver Bird
  2. Star Storm
  3. Prince Kajuku
  4. The Coming Of Prince Kajuku
  5. Flying
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Ufo
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24th Mag2013

Ufo – Ufo 1

by Giancarlo Amitrano

A volte, avere qualche anno in più è una vera fortuna, anche in campo musicale. Rispetto alle nuove leve, che non hanno avuto il piacere di vivere le decadi memorabili hard rock/heavy metal, chi ha qualche capello grigio si reputi privilegiato, anche per aver assistito alla nascita di gruppi storici e magari averli visti dal vivo. Ritenere che senza band quali la navicella spaziale la tanto decantata NWOBHM non sarebbe probabilmente nemmeno nata non è irragionevole: fonte di ispirazione per tante band di là a venire, gli Ufo restano ad oggi capisaldi del genere. Prendiamo ad esempio la nascita stessa della band: nata alla fine degli anni ‘60, in pieno sommovimento proto-hard o metal, il quartetto londinese promette sin da subito di divenire una sensazionale rivelazione, pur con i naturali limiti emotivi dell’inizio. Con al microfono un singer d’eccezione quale Phil Mogg, nonché tutto il corredo composto di ottimi strumentisti, il combo diviene subito marchio di fabbrica del sound britannico. Uniformandosi ai clichè allora imperanti, tuttavia, il gruppo con il suo debut album riesce subito ad imprimere una decisa sterzata alla sonorità sino ad allora non del tutto espresse. Le tracce che compongono il loro primo lavoro sono di certo impregnate dello space-rock che allora dettava legge, pur tuttavia ben modulate da una buona intesa strumentale che la band già possiede. Possiamo prendere ad esempio la title-track, in cui fa capolino anche una sana vena psichedelica, presente d’altronde anche nei primi lavori dei loro eponimi di Hannover, Scorpions tanto per intenderci da subito.

Sono i brani successivi a darci un’idea di quanto bolle in pentola in seno alla band: Boogie e la delicata C’mon Everybody vedono il quartetto già sicuro di sé con una strumentazione ben tarata nelle battute e nei tempi di intervento e soprattutto con la voce inconfondibile del singer che tanto avrà da narrarci da ora in poi. Shake It e (Come Away) Melinda sono brani che invece scorrono via in una leggera piacevole sonnolenza, causata dal rallentamento delle linee sonore che il gruppo ritiene donare ai brani, che restano pur sempre testimonianze in itinere del loro progredire artistico. Timothy si regge sul buon lavoro del troppo sottovalutato Bolton, mentre il resto della band si pone disciplinatamente a disposizione del singer per una esecuzione di sicuro valore. Follow You Home e Treacle People fanno “legna”: nel senso che contribuiscono ad una lettura attenta di ciò che la band intende perseguire, musicalmente parlando. Le sonorità lasciano intravedere potenzialità di sicuro ancora da sviluppare, che in questo caso non donano spessore eccessivo ai brani, ancora troppo sempliciotti nel loro sviluppo tecnico. Who Do You Love di certo contribuisce all’innalzamento sonoro del disco: in questo brano tutti e quattro i nostri eroi sono ben concentrati nell’esecuzione e l’affiatamento raggiunto consente al brano di elevarsi rispetto ai precedenti, molto meno coinvolgenti nel complesso.

A chiudere è Evil in cui davvero il male che potenzialmente la band sarà in grado di emanare nei prossimi solchi fa capolino nelle sonorità leggermente più aggressive e che donano nuova linfa al disco. La sperimentazione sonora, che da questo primo lavoro viene fuori a pieni polmoni dai solchi, ha già le ore contate: si apprestano all’orizzonte subito delle novità che sconvolgeranno il cuore del gruppo.

Autore: Ufo Titolo Album: Ufo   1
Anno: 1970 Casa Discografica: Decca Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Mick Bolton – chitarra

Pete Way – basso

Andy Parker – batteria

Tracklist:

  1. U.F.O.
  2. Boogie
  3. C’mon Everybody
  4. Shake It
  5. (Come Away) Melinda
  6. Timothy
  7. Follow You Home
  8. Treacle People
  9. Who Do You Love
  10. Evil
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Ufo
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21st Apr2013

Audioslave – Revelations

by Carlo A. Giardina

Gli Audioslave possono essere accusati di tutto, ma non di incoerenza. Esatto, perchè il loro terzo e ultimo album Revelations segue la scia dei due album precedenti. Revelations sì, anche se di rivelazioni se ne vedono ben poche. Le costanti, come da etimologia, non variano: hard rock ed heavy metal a go-go; assenza di inventiva sia riguardo ai testi, che alle melodie; sempre la solita accoppiata Cornell-Morello dalle prevedibili, ma pur sempre impeccabili, prestazioni vocali (il primo) e tecniche (il secondo). Però. C’è un però. Vi sono alcune caratteristiche che discostano quest’album dai precedenti, senza farlo allontanare più di tanto. Il suono sembra più “vero” e ruvido rispetto a Audioslave e Out Of Exile nei quali era raffinato ai limiti della perfezione. La voce di Cornell, pur rimanendo arzigogolata e perfettamente intonata, a tratti sembra ovattata, come se avesse la gola gonfia. Ulteriore caratteristica è il totale abbandono del grunge per approdare definitivamente verso rive nelle quali regnano sovrani l’heavy metal e l’hard rock. Tutto ciò, però, non toglie il tempo di brevi incursioni presso il funky, il blues e il rock nel suo versante più commerciale. “Commerciale” che non è un insulto, ma sono la dimostrazione della loro coerenza rispetto ai precedenti lavori e rispetto al pubblico.

Funky, blues e rock rappresentati da diversi brani come Revelations (la titletrack), One And The Same, Broken City (che ricorda i Gov’t Mule in Déjà Voodoo, veri cultori del blues che, però, non hanno nulla a che spartire con gli Audioslave), Jewel Of The Summertime e Nothing Left To Say But Goodbye. Il tutto viene condito dai soliti, sentiti e risentiti, brani potenti, vigorosi e ben fatti. Si parla di fattura, che sia chiaro. Stiamo sempre parlando di gente che ha fondato i Soundgarden e i Rage Against The Machine che, volenti o nolenti, hanno fatto storia. Appunto, hanno fatto storia, una storia che, di questi tempi, non può più essere riprodotta. Se invece voleste riprodurre Revelations in macchina, durante un lungo viaggio, per ascoltare qualcosa che vi tiri un po’ su, ma badate, che possa stufare dopo un continuo ascolto, allora fareste bene a sentirlo.

Autore: Audoslave Titolo Album: Revelations
Anno: 2006 Casa Discografica: Epic Records
Genere musicale: Hard Rock, Heavy Metal Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://www.audioslave.com
Membri band:

Chris Cornell – voce

Tom Morello   – chitarra

Tim Commerford – basso

Brad Wilk – batteria

Tracklist:

  1. Revelations
  2. One And The Same
  3. Sound Of A Gun
  4. Until We Fall
  5. Original Fire
  6. Broken City
  7. Somedays
  8. Shape Of Things To Come
  9. Jewel Of The Summertime
  10. Wide Awake
  11. Nothing Left To Say But Goodbye
  12. Moth
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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14th Apr2013

Netherfall – Netherfall

by Alberto Lerario

Netherfall, come d’autunno sugli alberi le foglie. Il senso del nome della band milanese lascia intendere come sia difficile per le realtà musicali nostrane non cadere nell’anonimato sopravvivendo alla guerra per emergere contro le case discografiche e altri gruppi altrettanto desiderosi di sfondare. Ma l’anima di questi alternative metaller, così si definiscono, non è affatto malinconica, nonostante la lunga gavetta a cui si sono dovuti sottoporre. In puro stile hard rock ci fanno capire come la gravità vada calvacata proseguendo dritti per la propria strada. I Netherfall ci propongono, infatti, il loro primo lavoro, autoprodotto per intero (dalle canzoni all’artwork di copertina) ed autotitolato. Il disco non spicca per innovazione, ma ci presenta un hard rock a stelle e strisce fresco, potente ed assolutamente godibile. Le otto tracce dell’album non concedono cali di tensione, con tracce immediate ma non banali il cui sound generale risente solo minimamente del processo di autoproduzione, che deve essere considerato comunque un punto a favore di questo album e per la band. La prima traccia, Break Out, è un’efficace hard rock melodico improntato dalla voce tagliente del singer americano Mario Ortiz che riesce a dare colore ad ogni traccia. Il testo allude per l’appunto all’idea di liberarsi dalle catene delle major, per provare che si può comporre buona musica al di fuori dei soliti canoni.

The Secret si poggia su un’ottima base ritmica per declinare hard rock a tinte heavy. La terza traccia, Memories, racconta il ricordo di una ragazza, e più in generale di una persona, che possa lasciare il segno nel passato di una vita. Quale miglior modo per raccontare ciò, se non con una power ballad vecchio stile, suadente e pulita, intrepretata al meglio da Mario Ortiz. Seguono due canzoni dinamiche e dotate di ottimo groove, Turned To Stone e Nonsense Game, con quest’ultima che vuole raccontare le rivalità e le invidie tra le band autoctone. 30 Second è una piacevole sorpresa stile hard ‘n heavy che nasconde a metà traccia un interessante intermezzo rappato. Il solido lavoro di riffing alle chitarre è ottimamente sostenuto dal lavoro oscuro, ma neanche troppo in questo caso, della sezione ritmica. Anche la traccia seguente, Unsaid, ci mostra la voglia di spingersi un pochino oltre della band attraverso alcuni inserti sintetici. Chiude l’album Change, un brano solido che amalgama in modo perfetto l’anima bluesegiante a quella heavy melodica, tipica dell’hard rock di stampo più recente.

Netherfall, è quindi un album che scorre via liscio grazie al riffing di chitarra pulito ed immediato, agli accattivanti ritornelli che sostengono le tracce melodiche. Lo stile che ci propongono segue i canoni del rock recente americano (Alter Bridge e Nickelback su tutti), non sfigurerebbe di certo anche fuori dai confini italiani. Le potenzialità di quest’album e della band vanno considerate anche alla luce dell’ottimo sforzo di autoproduzione in cui si sono profusi. Come un buon vino, si gusta piacevolmente al primo assaggio, ed è in grado di lasciarci la voglia di riassaporarlo più volte.

Autore: Netherfall Titolo Album: Netherfall
Anno: 2012 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.netherfall.com
Membri band:

Mario Ortiz – voce

Roberto Bottillo – chitarra

Angelo Bufano – basso

Antonio Balsamo – batteria

Tracklist:

  1. Break Out
  2. The Secret
  3. Memories
  4. Turned To Stone
  5. Nonsense game
  6. 30 Seconds
  7. Unsaid
  8. Change
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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12th Apr2013

Lord Shani – Progress Your Soul

by Marcello Zinno

La misura temporale spesso in un album è tutto ed è spiazzante notare quanto giovani siano, almeno come formazione, i Lord Shani (nati solo nel 2010) e quanto si rifacciano a sonorità legale al passato remoto. Il loro stesso album d’esordio, Progress Your Soul, altro non è che un gioco di parole, un richiamo agli scenari sonori che più li hanno influenzati: tutto il viaggio (nei vari sensi) del progressive e della psichedelia infarcito di saporito soul. Di quest’ultimo se ne ravvisa una certa preponderanza soprattutto nel cantato di Viola Road (ascoltare Old Trap per credere), singer ben dotata ma che non ha paura di manifestare una spiccata personalità più delle sue doti vocali. Ma in realtà ciò che più spicca di questo album è la passione per certo hard rock anni ’60-’70 (l’allora rock) che non muore mai. Lo stile con cui band come Led Zeppelin e Yardbirds hanno contraddistinto il modo di comporre e di pensare il rock da lì a varie generazioni future, ecco l’essenza che i Lord Shani hanno voluto racchiudere nei 45 minuti scarsi di ascolto. Nessuna attualizzazione, se non per una buona pulizia sonora: il viaggio verso il passato corre lungo tutti i dieci brani senza il minimo desiderio di afferrare insegnamenti recenti. L’hard rock di Told You So sa di annata, ma non è di certo quella del 2013, e il piacere prende il sopravvento se ci lasciamo trasportare da loro in quest’altra dimensione spazio-temporale.

Certo gli effetti che tendono a rendere più psichedelico il sound si avvertono (come nella parte iniziale di Duel…ed è molto più di un intro, una vera e propria citazione a certe ambientazioni “psych”) ma ascoltare una zeppelliana Fight o la strumentale Cosmic Ordeal ci offre l’occasione di camminare a testa alta quando si parla di band italiane, non seconde a realtà internazioni. Niente tempi dispari in Progress Your Soul, del progressive si ha in comune un certo approccio compositivo in cui ogni strumento dice la sua e in alcuni momenti alcuni di essi si sovrappongono arricchendo il tutto e omaggiando essi stessi le capacità dei musicisti. Su tutti però va lodata Viola Road che sforna una performance da professionista conferendo quella caratterizzazione ad ogni singola traccia e innalzando il valore del’uscita. La carica emotiva di Free e in particolare la calma di White Is The Sky (anche un pò sabbattiana?!) chiudono un lavoro nostalgico ma che non osa imitare grandi grida del passato, piuttosto omaggiarle in una visione sonora che non potrà mai scomparire. Il tutto con grande qualità.

Autore: Lord Shani Titolo Album: Progress Your Soul
Anno: 2013 Casa Discografica: Go Down Records
Genere musicale: Hard Rock, Rock Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.myspace.com/lordshani
Membri band:

Viola Road – voce

Paolo Bramino – chitarra

Petrolio – basso

Diego Galeri – batteria

 

Special guest:

Paolo Ferraguti – synth

Lorenzo Trentin – armonica

Tracklist:

  1. Told You So
  2. Old Trap
  3. Fight
  4. I Stand Accused
  5. Duel
  6. A Day
  7. Cosmic Ordeal
  8. Free
  9. Am I Surprised
  10. White Is The Sky
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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09th Apr2013

Audioslave – Audioslave

by Carlo A. Giardina

Il primo lavoro degli Audioslave è la perfetta sintesi tra le due band che stanno alle loro spalle: Soundgarden e Rage Against The Machine. A rappresentarli troviamo, per i primi, Chris Cornell e i suoi squillanti e ruvidi ululati. Per i secondi l’intera formazione dei Rage Against The Machine privata del catante Zack de la Rocha. I suoni, lo stile e l’esperienza dei gruppi che fanno da retroscena all’album omonimo rendono questo lavoro unico, ma troppo prevedibile. Come prospettato non sarebbero mancate le urla tipiche di Cornell, gli assoli monocorde alla Tom Morello, il ruggito potente del basso di Commerford e la fusione di hard rock e hip hop nei ritmi del batterista Wilk. Prevedibilità non è, però, sinonimo di “scarsa qualità”, anzi. La pulizia del suono è notevole così come l’equilibrio tra i componenti del “supergruppo”. Il pubblico si aspettava proprio questo e gli Audioslave non hanno tradito la loro fiducia. Hard rock potente e pulito che abbandona, in parte, le venature grunge soundgardiane per avvicinarsi ad una sorta di heavy metal imponente caratteristico dei “Rage”. Dopo i pregi arriviamo ai difetti. Pesa troppo l’importante eredità che sta alla base di quest’album. Chi non conoscesse la storia della loro formazione, potrebbe tranquillamente scambiarli per i soliti Soundgarden. Abbiamo aggiunto “soliti” perchè quest’album non dà nulla di nuovo: iniziando dal suono e finendo con i testi. Ritmi conosciuti da anni, riff e testi anonimi così come il suono dell’intera composizione. Anzi, più che anonimi potremo dire fin troppo masticati, digeriti, assimilati ed espulsi.

Insomma, il risultato è un album piacevole e rinvigorente in cui l’hard-rock trova il suo habitat naturale, nel quale, però, dimora ormai da troppo tempo senza alcuna via di fuga.

Autore: Audioslave Titolo Album: Audioslave
Anno: 2002 Casa Discografica: Epic Records
Genere musicale: Hard Rock, Post-Grunge Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.audioslave.com
Membri band:

Chris Cornell – voce

Tom Morello – chitarra

Tim Commerford – basso

Brad Wilk – batteria

Tracklist:

  1. Cochise
  2. Show Me How to Live
  3. Gasoline
  4. What You Are
  5. Like a Stone
  6. Set It Off
  7. Shadow on the Sun
  8. I Am the Highway
  9. Exploder
  10. Hypnotize
  11. Bring Em Back Alive
  12. Light My Way
  13. Getaway Car
  14. The Last Remaining Light
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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05th Apr2013

Scorpions – Face The Heat

by Giancarlo Amitrano

Anno di grazia 1993: siamo ad “appena” metà della carriera discografica del combo teutone e sembra che tutto sia già stato scritto, detto e musicato dal quintetto di Hannover. Ancora una volta ci sbagliamo di grosso: i nostri eroi hanno ancora tante frecce nella faretra da scoccare ed una di questa corrisponde proprio al lavoro di cui oggi ci occupiamo. Opportuno e  repentino giunge anche un cambio nel look e nella formazione. Messe per il momento da parte le atmosfere “soft” che avevano improntato gli ultimi lavori, la band riprende confidenza con tonalità più aggressive e d’impatto sonoro che le ballad precedenti avevano annacquato. In aggiunta, un cambio di formazione si registra nella defenestrazione di Buchholz ed il reclutamento del valido Ralph Rieckermann che contribuisce ancora di più all’ispessimento delle musiche, oltremodo energiche e nuovamente figlie di un classico hard sound. Sin da Alien Nation, la band è di nuovo su piattaforme roventi, in cui la nuova sezione ritmica spara al massimo le sue battute e lo stesso cantato è roco e duro il necessario, mentre le due asce ben si combinano nell’intervallare tra loro riff e lavoro ritmico. No Pain No Gain porta ancora in sé i retaggi di un recente background quasi FM, specie nei cori, ma il refrain e la struttura del brano lo rendono inconfondibile marchio di fabbrica e nel buon lavoro di Meine e nella solida interposizione delle sei corde.

Con Someone To Touch e Under The Same Sun la band si prende un meritato momento di riposo dosando le forze al servizio di tempi più rilassati e di liriche di facile ascolto, sia pure nell’economia generale di un sound sempre sulle righe e con la voce di Meine che non risente per nulla delle ormai due decadi di attività frenetica. Unholy Alliance è passaggio a vuoto. Non si rinviene alcuno degli stilemi della band, che qui appare desiderosa solo di svolgere il compitino e non oltre. Il rilassamento che promana dai solchi del pezzo è evidente: anche gli arrangiamenti sono blandi ed obbligano il singer a sovraccaricare le corde vocali per sopperire alla mancanza di ispirazione. Woman diviene da subito il singolo per eccellenza del disco: le atmosfere volutamente drammatizzate, il testo quasi dark in alcuni passaggi ed il relativo video che lo accompagnano sono i cavalli vincenti. Anche il look della band, per l’occasione calva (!), contribuisce al successo del brano, motivo di vanto del nuovo mago della consolle, il compianto Bruce Fairbairn. Il lavoro del gruppo su Hate To Be Nice è notabile: il neoentrato Rieckermann dona una prova di forza con la 4 corde e dà la stura ad un valzer tecnico di rara intensità. Ottimo Meine nella sua impostazione vocale ed ancora meglio vanno i due guitar hero che a braccetto donano ad intermittenza ritmo e solismo.

Taxman Woman procede spedita per la sua strada e non lascia feriti: la direzione sonora intrapresa si conferma in questo brano dove il quintetto sfodera l’ennesima prova maiuscola. Appaiono tutti a loro agio e nelle esecuzione e nell’orchestrare la tempistica del pezzo. Ship Of Fools ci catapulta davvero nella stramberia: i tempi divengono infatti caotici, il marasma sonoro è completo ed i testi sono volutamente ossessivi nella loro ripetitività, senza però inficiare la qualità del brano, valido e ben temperato nelle battute. Nightmare Avenue è un ideale trait d’union: tra il caleidoscopio di sonorità sinora ascoltate e l’azzeccata miscela di lenti che si sussegue: duro e soffice al punto giusto, il brano non risente per nulla dei rari momenti di debolezza qua e là balenanti, ma anzi rinasce a nuova linfa grazie al lavoro dei due chitarristi, ispirati e coraggiosi nello sdoganare riff apparentemente facili. E giungiamo, come detto, alla triade finale: Lonely Nights si pregia di un bel lavoro di tastiere che valorizzano maggiormente un grande Meine, qui master assoluto del brano; e le due tracce bonus, Destin e Daddy’s Girl, in cui la malinconia regna sovrana e l’ugola del singer pare posseduta da entità sovrannaturali, che portano il vocalist a trarre su sé l’intero peso delle due composizioni, mirabili, non sdolcinate, ma anzi trascinanti specie nell’incessante lavoro di una semiacustica che nella notte si erge a baluardo. Il pungiglione degli aracnidi ha ancora veleno da inoculare nei nostri condotti uditivi.

Autore: Scorpions Titolo Album: Face The Heat
Anno: 1993 Casa Discografica: Polygram
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.the-scorpions.com
Membri band:

Klaus Meine – voce

Rudolf Schenker – chitarra

Matthias   Jabs – chitarra

Ralph   Rieckermann – basso

Herman Rarebell – batteria

John   Webster – tastiere

Luke Herzog – tastiere su tracce 6 e11

Tracklist:

  1. Alien Nation
  2. No Pain No Gain
  3. Someone To Touch
  4. Under The Same Sun
  5. Unholy Alliance
  6. Woman
  7. Hate To Be Nice
  8. Taxman Woman
  9. Ship Of Fools
  10. Nightmare Avenue
  11. Lonely Nights
  12. Destin (bonus track)
  13. Daddy’s Girl (bonus track)
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Scorpions
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29th Mar2013

Scorpions – Crazy World

by Giancarlo Amitrano

La gallina dalle uova d’oro e su cui campare di rendita: il sogno ideale di ogni band, affermata o meno, può realizzarsi al momento meno atteso. Dopo il precedente trittico di full lenght,che consacra la band al successo mondiale, manca l’ultimo step che la potesse consegnare addirittura alla leggenda. Puntualmente ciò si verifica grazie ad avvenimenti extramusicali: la caduta del muro di Berlino del 1989 ispira il concept di Wind Of Change, probabilmente la hit più celebre di tutta la loro discografia. Un motivo inizialmente fischiettato, ed in seguito quasi sussurrato, da Meine diventa il simbolo dell’ultimo decennio del XX secolo. Con le sue atmosfere davvero magiche e di portata internazionale, il brano diviene il cavallo di battaglia del gruppo, grazie anche alla diffusione di un memorabile clip a corredo della canzone e che in breve tempo fa il giro del mondo, facendo guadagnare ai teutonici ben 4 dischi d’oro e 6 di platino. La cessazione della collaborazione con il loro mentore Dierks alla consolle non riserva cali di tensione: il nuovo master mind è l’altrettanto leggendario Keith Olsen, che sposa in pieno le ormai consolidate mire intercontinentali del gruppo, ormai orientato verso le stazioni FM. Non che il sound della band si sia affievolito, dato il loro confermatissimo stile ben presente in quasi tutte le tracce dell’odierno lavoro: episodi come l’opener track o ad esempio Hit Betweem The Eyes rendono sempre al meglio il clichè del combo.

Le asce confermano quanto di buono sinora proposto dal duo Schenker/Jabs, con una ormai consolidata alternanza dei tempi di entrata ed il giusto dosaggio degli assoli. La tendenza, tipica degli anni ‘80, ad accompagnare i successi potenziali di una band con azzeccate clips anche in questo caso ben si sposa con la resa interpretativa del quintetto, che ben si presta a“laccare” ancora di più le loro tracce sotto una sapiente direzione artistica. Ne sono esempi lampanti tutti i vari singoli estratti dall’album che qui ancora una volta si conferma essere l’ennesimo potenziale jukebox per i cinque. Almeno sei b-sides sono tratte dal disco, che così può offrire una vasta gamma del repertorio, che spazia a 360°: dal maestoso Don’t Believe Her, in cui la voce di Meine la fa da padrone e fa sembrare lontanissimi i tempi in cui si paventava un suo ritiro forzato dalle scene, all’articolata titletrack che trasporta la band sugli impervi sentieri dei mid-tempos e delle coralità solenni. Per non parlare poi dei monenti più “classici”, quali To Be With You In Heaven, in cui tutti gli strumenti sono volutamente rallentati e la battuta di Rarebell pare essere presa in prestito al miglior Neal Peart, con un sapiente gioco di pedali e grancassa. Ci sono naturalmente gli episodi più “di nicchia”, come Restless Nights, in cui la band pare prendersela comoda e dialogare affettuosamente con un uditorio virtuale, che tuttavia mostra di apprezzare la piega presa dal brano, o altri più sostenuti come Kicks After Six, in cui la band si fa forte della freschezza del testo e della compattezza dei suoni, molto aggressivi e d’impatto.

Per poi chiudere in bellezza con il loro acquerello finale: Send Me An Angel, uno spaccato di meditazione interiore, di lirismo ineguagliabile e di pathos eccezionale. Ancora un clip memorabile a corredo del brano, che sa di etereo ed eterno: così come le melodie di cui trasuda anche questo album, magari non tra i più fenomenali della loro carriera, ma di certo quello di maggiore valenza compositiva, sempre eccelsa.

Autore: Scorpions Titolo Album: Crazy World
Anno: 1990 Casa Discografica: Mercury Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.the-scorpions.com
Membri band:

Klaus Meine – voce

Rudolf Schenker – chitarra

Matthias   Jabs– chitarra

Francis   Buchholz – basso

Herman   Rarebell – batteria

Tracklist:

  1. Tease Me Please Me
  2. Don’t Believe Her
  3. To Be With You In Heaven
  4. Wind Of Change
  5. Restless Nights
  6. Lust Or Love
  7. Kicks After Six
  8. Hit Between The Eyes
  9. Money And Fame
  10. Crazy World
  11. Send Me An Angel
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Scorpions
1 Comm
28th Mar2013

Hardcore Superstar – C’Mon Take On Me

by Francesco Damiano

Pochi fronzoli, ecco una delle poche nuove uscite discografiche che tutti gli appassionati di hard rock del pianeta attendevano con ansia per questo 2013. Ormai possiamo affermalo senza timore di apparire esagerati: giunti all’ottavo disco di inediti in quasi quindici anni di carriera, gli Hardcore Superstar fanno decisamente parte dell’Olimpo dell’hard rock mondiale. E naturalmente, nei confronti dei fuoriclasse, le aspettative sono sempre altissime. Ebbene, sgombriamo subito il campo da ogni dubbio di sorta: gli svedesi non mostrano, per fortuna, alcun segno di stanchezza, o peggio ancora di autoriciclo. Coloro che hanno ridato nuova linfa allo sleaze-street rock mondiale se ne escono con l’ennesima grande dimostrazione di classe e, sopra ogni cosa, di ispirazione. Volendo riassumere la carriera degli Hardcore Superstar, potremmo parlare di due tronconi ben definiti: i primi tre album più propriamente glam/street rock, mentre dall’omonimo capolavoro del 2005 gli HC hanno svoltato verso quel genere che loro stessi definiscono thrash-sleaze metal, riuscendo con maestria a miscelare impatto sonoro ed attitudine stradaiola. Volendo provare ad inquadrare stilisticamente questo nuovo C’Mon Take On Me, all’esito di ripetuti ascolti, possiamo parlare di un ritorno da parte degli svedesi verso territori più “rockettari” rispetto agli aspetti più propriamente metal degli ultimi album. Il che però per intenderci non vuol dire affatto un ammorbidimento dei suoni, o peggio ancora uno scadimento della proposta musicale. La carica di energia viscerale tipica degli Hardcore è sempre ben presente e riconoscibile. Diciamo che in questo caso c’è un approccio forse più diretto nella ricerca del ritornello da stamparsi in mente, con spesso i cori a rendere più fruibile l’ascolto. È come se ci fosse stata da parte dei Nostri la voglia di tornare all’attitudine degli esordi, l’esigenza di una ventata di freschezza da donare all’ascoltatore.

Il disco si apre con la spiazzante introduzione musicale di Cutting The Slack, con atmosfere quasi da sigla di un giallo alla Agatha Christie, per accompagnarci alla prima vera song dell’album, la titletrack C’mon Take On Me, che garantisce che i Nostri sono tornati in pista più in forma che mai: pezzo in linea con le ultime fatiche discografiche degli scandinavi. Arriviamo ai primi due singoli dell’album, e le nostre orecchie cominciano davvero a gioire. One More Minute è il primo singolo estratto da C’Mon Take On Me, ed è un brano con il quale gli Hardcore Superstar confermano, per l’ennesima volta, il perché sono oramai gli incontrastati numeri uno del genere sleaze/street del pianeta. Una canzone superlativa che ti si ficca nel cervello sin dal primo ascolto, e che personalmente non vedo l’ora di ascoltare dal vivo. Above The Law è un pezzo che all’inizia spiazza un pochetto: gli Hardcore virano in territorio Def Leppard, con una canzone che rimanda all’età d’oro del rock, quella per intenderci delle canzoni perfette da suonare all’aperto nelle grandi arene. Materia delicatissima, che i Nostri dimostrano di saper cucinare alla grande, sfornando una potenziale hit della estate a venire. Ascoltare per credere. Are You Gonna Cry Now riporta il tema sonoro su territori più propriamente hard, con suoni molto duri, quasi metal, con gli assoli di Vic Zino a farla da padrone. Stranger Of Mine è la prima ballad del disco: canzone molto melensa, questa sì decisamente il linea con le classiche ballad alla Extreme o Bad English degli anni ’80.

Won’t Take The Blame pt.1 è senza ombra di dubbio un altro dei capolavori di questo album. Una bomba sonora che racchiude in sé tutte le caratteristiche HC: attitudine, cori, energia allo stato puro. Dead Man’s Shoes  è il pezzo (non riuscitissimo in verità) che più degli altri somiglia ai primi due dischi degli svedesi, mentre Because Of You  è un’altra canzone che profuma di anni ’80, con una linea sonora facilona ed il ritornello ruffiano che ti si stampa in mente. Ancora una volta centro per gli svedesi. Con Too Much Business i Nostri si mettono ad imitare i Motley Crue, cosa di cui sinceramente non si sentiva bisogno: uno dei pochi pezzi che sembrano tirati lì per completare la scaletta dell’album. Long Time No See è il secondo lento del disco, molto intimista all’inizio per poi esplodere con la solita vigoria della band: una delle più belle ballad ascoltate negli ultimi dieci anni, a parere di chi scrive. In definitiva ancora una volta un signor disco da parte degli svedesi, dove i tasselli non perfettamente riusciti sono appena un paio, in un mare di canzoni davvero belle.

Come accennato all’inizio, poche chiacchiere: i maestri dell’hard rock nel 2013 sono solo ed esclusivamente gli Hardcore Superstar. Trovare di meglio al giorno d’oggi nel mercato discografico è praticamente impossibile. Se tra gli appassionati di buona musica a tinte dure l’attenzione nei confronti dei mostri sacri del passato resta sempre alta, con un mix tra speranza ed affetto che ci fa sognare sempre nei Metallica che se ne escano con il nuovo Ride The Lithing o i Guns ‘n Roses con il nuovo Appetite For Destruction (speranze puntualmente disattese), gli Hardcore Superstar sono una delle poche “nuove band” che non delude mai. Un approdo sicuro per chi si nutre di quella miscela diabolica, attraente e pericolosa chiamata hard rock!

Autore: Hardcore Superstar Titolo Album: C’Mon Take On Me
Anno: 2013 Casa Discografica: Nuclear Blast
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.hardcoresuperstar.com
Membri band:

Jocke Berg – voce

Vic Zino – chitarra

Martin   Sandvik – basso

Magnus “Adde” Andreasson – batteria

Tracklist:

  1. Cutting The Slack
  2. C’mon Take On Me
  3. One More Minute
  4. Above The Law
  5. Are You Gonna Cry Now
  6. Stranger Of Mine
  7. Won’t Take The Blame pt.1
  8. Won’t Take The Blame pt.2
  9. Dead Man’s Shoes
  10. Because Of You
  11. Too Much Business
  12. Long Time No See
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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23rd Mar2013

Dogs ‘N Bones – In Your Face

by Antonluigi Pecchia

Oggi ci tocca conoscere i bresciani Dogs ‘N Bones, giunti alla terza fatica studio con il presente In Your Face, album il cui titolo mostra una premessa che il contenuto riesce a soddisfare a pieno. Il quartetto lombardo ci propone undici episodi, più una bonus track dal sapore blues in formato mp3, di un hard rock semplice e diretto, a volte dai toni punkeggianti e altre in chiave acustica ma che in ogni occasione riesce a fare perfettamente centro. Dagli attimi più malinconici, come The Time Has Gone ad altri ben tirati (alcuni esempi sono Run Away o Faith), le melodie e i ritornelli dei brani restano facilmente impressi nella mente e la chitarra a cura di Adrea Tinnirello trascina sempre, offrendo soprattutto degli ottimi soli. L’unica pecca del lavoro lo si riscontra nella prova di Mauro Maccarini la cui ugola risulta troppo “dolce” per sostenere la forza sprigionata dai brani proposti della band. Comunque niente di grave, basta solo farci l’orecchio. Per il resto, In Your Face rappresenta un buon disco hard rock, maturo nello stile e dalle ottime idee. I Dogs ‘N Bones sono una band che gli amanti del genere dovrebbero tenere d’occhio.

Autore: Dogs ‘N Bones Titolo Album: In Your Face
Anno: 2012 Casa Discografica: My Graveyard Productions
Genere musicale: Hard Rock, Rock, Punk Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.myspace.com/dogsnbones
Membri band:

Mauro “Seven” Maccarini – voce

Andrea “Dr. Rock” Tinnirello – chitarra

Manuel “Hellcat” Gatti – basso

Simone “Oldboy” Oldofredi – batteria

Tracklist:

  1. Run Away
  2. Sometimes
  3. Nobody
  4. Taste Me
  5. Bring Me
  6. The Time Has Gone
  7. Faith
  8. So Far
  9. The Game
  10. Song 41
  11. Who You Are
  12. The Last Blues (mp3 bonus track)
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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