• Facebook
  • Twitter
  • RSS

RockGarage

      

Seguici anche su

        Il Rock e l'Heavy Metal come non li hai mai letti

  • Chi siamo
  • News
  • Recensioni
  • Articoli
  • Live Report
  • Foto Report
  • Interviste
  • Regolamento
  • Contatti
  • COLLABORA
19th Feb2012

Bigrough – Hang On Tight!

by Gianluca Scala

“All I need is my rock’n’roll band!”: questo canta con la mano sul cuore e l’altra stretta sul manico della sua chitarra Alex Cole, chitarrista e voce di questa grandissima band che si chiama Bigrough. Una rock’n’roll band che con questo EP intitolato Hang On Tight! totalmente autoprodotto ci permette di ascoltare cinque brani pazzeschi che non potrete fare a meno di amare, davvero. Loro sono un trio di Milano che leggenda vuole dopo appena quattro prove hanno trovato la formula giusta per comporre questi brani eccezionali e che ha permesso loro di girare per locali, farsi conoscere il più possibile da un numero di persone sempre più esteso. Completano la formazione il bassista Paolo Vendetti ed il batterista Massimo Cavagnera (e vi posso assicurare che sono solo in tre nel gruppo anche in sede live), ma quando attaccano a suonare l’energia sprigionata sul palco è pari a quella di una band di più elementi. Un arpeggio di chitarra che fa da preludio ad un gran giro di chitarra introduce il primo brano Thunder Guts, nel quale Alex “Cole” Cogliati incita la gente al grido di “Thunder! Hotter than hell, Thunder! I handle smoking guts thunder!”, melodie alla AC/DC con basso e batteria ad inseguire cantato e schitarrate di questa grande song.

Stessa atmosfera la si respira nella seguente Sweet Little Dynamite dove, oltre alla buona musicalità generale sorretta dalla voce potente e lineare del singer, ci si accorge che anche i testi contenuti nella canzone non sono mai scontati o banali, anche se qualcuno potrà storcere il naso nel pensare che sanno di già sentito o che probabilmente i Bigrough non stanno inventando niente di nuovo. Poco importa credetemi perché qui l’unica cosa da fare è alzare il volume e divertirsi lasciandosi avvolgere da queste dosi di rock scanzonato e soprattutto molto ben suonato. Per noi il pezzo migliore del disco è Double Ace To Hell, altra grande canzone dal buon ritornello e con quella armonica a bocca che appare quando meno te lo aspetti e che ti accompagna dentro un immaginario saloon del vecchio west per farsi un bel whiskey in bella compagnia. Anche l’ultimo pezzo Gold Washerman è caratterizzato da un arpeggio iniziale che ricorda molto da vicino gli AC/DC e che poi si lascia andare con un buon riff molto corposo che ti fa venire voglia di avviare la tua motocicletta per farti un bel giro, ovunque il loro rock ti porti.

Per noi i Bigrough hanno davvero tutte le carte in regola per sfondare nel panorama rock/metal italiano e vedrete che la loro passione e la loro tenacia che li spinge ad andare avanti un giorno li premierà facendo raccogliere i frutti che hanno seminato. Noi di RockGarage li abbiamo conosciuti, ora tocca a voi.

Autore: Bigrough Titolo Album: Hang On Tight!
Anno: 2011 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.myspace.com/thebigrough
Membri band:

Alex Cole – voce, chitarra, armonica

Paul Vendetti – basso, voce

Massimo Cavagnera – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Thunder Guts
  2. Sweet Little Dynamite
  3. Burning Down Flames
  4. Double Ace To Hell
  5. Gold Washerman
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
0 Comm
09th Feb2012

The Rocker – Italian Bastards

by Gianluca Scala

I The Rocker sono un gruppo hard rock messo in piedi da Edoardo Arlenghi, cantante italiano dalla voce molto graffiante e potente, già nei Riff Raff (AC/DC tribute band). I suoi compagni di viaggio all’interno di questo ambizioso progetto sono Walter Caliaro alla chitarra solista, anch’egli membro dei Riff Raff e il bassista Fortu Saccà (che tra l’altro ha lavorato con artisti come Umberto Tozzi, Enrico Ruggeri e Gianluca Grignani) che proprio grazie alla sua esperienza dà un contributo fondamentale in fase ritmica, soprattutto negli arrangiamenti. Dietro ai tamburi troviamo Cesco Jovino (già drummer degli Alto Voltaggio, Edge Of Forever e della band di U.D.O.) senza dubbio uno dei migliori batteristi italiani che c’è in circolazione, in grado di dare quel tocco in più ad ogni canzone. Questo Italian Bastards è il loro disco d’esordio scritto e generato da Arlenghi, corpo e mente della band, dove l’amore per la musica e l’esperienza maturata negli anni sia sul palco che in studio lo ha spinto a scrivere, registrare e produrre un insieme di pezzi circondato da questi grandi musicisti. Il risultato di tanto duro lavoro è questo granitico album che si presenta volutamente come risposta ai tanti cloni sparsi per il mondo di quella grande band che sono gli AC/DC, mentre qui ci troviamo di fronte ad un album di puro rock’n’roll che non prende a piene mani l’essenza del gruppo australiano ma ne è semplicemente influenzato.

Brani come l’opener Pure Rock’N’Roll Never Dies ne sono l’esempio lampante, riff granitici che danno la carica giusta e melodie decise e trainanti. No Rules è un altro brano eccezionale e festaiolo che fa venire in mente i migliori Motley Crue per come sono strutturati i chorus e per l’impostazione dell’intero pezzo. E che dire della canzone che dà il titolo all’album, con un testo spensierato e divertente che musicalmente parlando si apre con un altro di quei riffoni che ti entrano in testa senza avere voglia di uscirne più, nel nome del divertimento più assoluto e viscerale. Poi arriva la prima ballad intitolata To A Friend, probabilmente si tratta di un pezzo autobiografico della vita di Arlenghi trasformato in canzone, dove troviamo toni più dolci e puliti, anche nell’impostazione della parte cantata. Uno dei pezzi preferiti è Little Angel, stavolta molto ‘AC/DC-oriented’ e che risulta comunque molto originale, vero highlight di questo lavoro. La seguente Motorocker sembra un inno dedicato ai bikers sparsi per il mondo, con un ottimo lavoro di basso-batteria in fase ritmica. Bye Bye To The Sadness è l’altra ballad del disco, un po’ sullo stile vagamente glam alla Faster Pussycat (pensate un po’ alla loro House Of Pain).

Alla fine del disco troviamo due canzoni che non hanno bisogno di presentazioni, tanto per ricordarsi che Arlenghi e Caliaro arrivano da una tribute band: troviamo due pregevoli versioni di It’s A Long Way To The Top (If You Wanna Rock’n’roll) accompagnata da Rocker, che oltre ad aver dato il nome a questa grande band, è anche il brano che in genere chiude i concerti dei Riff Raff. Giusta selezione scelta per chiudere questo immenso lavoro che non tarderà ad entrare nel cuore di veri rockers come noi tutti di RockGarage siamo. Lunga vita al Rock’N’Roll!

Autore: The Rocker Titolo Album: Italian Bastards
Anno: 2010 Casa Discografica: Solid Rock Records/Tre Accordi
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.myspace.com/therockerband2
Membri band:

Edoardo Arlenghi – voce

Walter Caliaro – chitarra

Fortu Saccà – basso

Cesco Jovino – batteria

Tracklist:

  1. Pure Rock N’Roll Never Dies
  2. No Rules
  3. Italian Bastards
  4. God’s Not Hate
  5. To A Friend
  6. Here For Today
  7. Little Angel
  8. Motorocker
  9. King For A Day
  10. Comfortable Disease
  11. Hungry For Fame
  12. Bye Bye To The Sadness
  13. It’s a Long Way To The Top (If You Wanna Rock And Roll)
  14. Rocker
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
3 Comm
01st Feb2012

Gillan – Magic

by Giancarlo Amitrano

Capitolo finale della carriera solista di Ian Gillan: dopo la sua fuoriuscita dai Deep Purple, il vocalist britannico intraprese il suo percorso musicale da “single”,circondandosi di turnisti d’eccezione senza tuttavia assemblare una propria band stabile. Tuttavia, già dal precedente (e superbo) Double Trouble, il frontman inglese assembla una line-up da urlo, che lo segue anche in questa release. Magic è senza dubbio la vetta dei suoi lavori solisti, un concentrato di energia, potenza e lirica. Lo si nota sin da What’s The Matter: il superbo tappeto sonoro della sezione ritmica McCoy/Underwood spiana la strada all’ugola d’acciaio del singer, cui tiene bordone il futuro ‘Maiden’ Janick Gers per un brano che resta impresso in chi ascolta. Bluesy Blue Sea tiene fede al titolo: le radici (non enormi, invero) funky/blueseggianti del cantante fanno capolino nell’ossessivo refrain che prelude ad un assolo chitarristico quasi “slide”. Caught In A Trap si fa ricordare per il superbo “solo” di Towns che asseconda il cantato aggressivo di Gillan, arrivato tuttavia solo dopo un iniziale ed angosciante intro di tastiere su cui il frontman disegna un ideale labirinto sonoro. Un labirinto da cui ci si aspetta di uscire da un momento all’altro in maniera drammaticamente dura e sapiente al tempo stesso.

Long Gone e Driving Me Wild sono di certo i brani più interlocutori dell’album che scorrono via in modo quasi piatto: quasi a volerci preparare, tuttavia, alla conclusione della prima facciata del disco quasi da “urlo”, nel senso letterale del termine. Demon Driver, infatti, si presenta come un complesso ed articolato prologo delle sole tastiere, che cadenzato ci porta dritti dritti nell’infatuazione infernale di Gillan. In questo brano il singer regala il meglio di sé. La sua voce ironica, graffiante e quasi “maledetta” pare essere uscita dai recessi più maligni del sottosuolo, per comunicarci senza tema di smentita che Egli è il “conduttore diabolico” di cui al titolo: Davvero ironico, allora, pensare che di lì a poco il frontman sarebbe transitato proprio nelle fila del Sabba Nero, dove il brano appena descritto avrebbe figurato degnamente. La seconda facciata si apre con Living A Lie, brano che oserei definire quasi “blueseggiante”, stante il tono di tutti i componenti tenuto sotto i normali registri, quasi da “mid-tempo”, che fa però da contraltare al maestoso e centrale giro di tastiere in grado di sostituirsi, senza sovrapporsi, alla chitarra di Gers. You’re So Right è brano di difficile collocazione: se ad un inizio abbastanza rockeggiante segue un refrain abbastanza scontato, è però la sezione ritmica McCoy/Underwood ad attrarre l’attenzione con un solido lavoro che riesce a non far scadere del tutto il brano nel monotono, anche per ciò che riguarda il cantato.

Ma eccoci a quella che è probabilmente la “top hit” dell’album; superando le diffidenze iniziali in materia di cover, dobbiamo immediatamente ricrederci. Il brano di Stevie Wonder, Living For The City, lungi dall’apparire un’accademica e devota rivisitazione dell’originale da parte del gruppo, si presenta invece sin dalle prime note come una fantastica interpretazione del tutto riarrangiata e rimodulata nelle tonalità del canto. Gillan ci fornisce una prestazione vocale “isterica”, in cui sembra voler comunicare al mondo intero (ancora una volta) che lo ”screamer” è lui, ben prima di tutti i potenziali, ma molto mal riusciti, cloni che gli si sono succeduti nel corso dell’evoluzione del metal. Il resto della band gli va dietro di corsa e si imbarca anch’esso in una acrobatica cavalcata del brano, che vive di ben tre refrain ognuno seguito da un riff sempre diverso, che gradualmente scemano negli ultimi stentorei richiami vocali: quasi a voler posticipare il più possibile la degna conclusione del brano e del disco intero. Trattandosi, infatti, di una reprise strumentale il Demon Driver finale, con cui si conclude il lavoro del Nostro.

Nel 1989 è stata rilasciata un’edizione del cd con 8 bonus-tracks: si tratta di una raccolta di b-sides e cover, come ad esempio Helter Skelter di Lennon/McCartney o come South Africa, scritta a 4 mani con l’ex-Whitesnake Bernie Marsden. Come detto, fu questo l’ultimo ma notevole lavoro della band che si sciolse quando Gillan decise di unirsi a Tony Iommi per una “controversa” collaborazione sfociata l’anno successivo in Born Again dei Black Sabbath. In definitiva, hard e metal classico saranno sempre al sicuro, sinché vi saranno paladini come Ian Gillan a tenerne alto il vessillo, con lavori come Magic.

Autore: Gillan Titolo Album: Magic
Anno: 1982 Casa Discografica: Virgin
Genere musicale: Hard Rock Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.gillan.com
Membri band:

Janick Gers – chitarra

Ian Gillan – voce

Mick Underwood – batteria

John McCoy – basso

Colin Towns – tastiere

Tracklist:

  1. What’s The Matter
  2. Bluesy Blue Sea
  3. Caught In A Trap
  4. Long Gone
  5. Driving Me Wild
  6. Demon Driver
  7. Living A Lie
  8. You’re So Right
  9. Living For The City
  10. Demon Driver (Reprise)
  11. Breaking Chains (Bonus Track)
  12. Fiji (Bonus Track)
  13. Purple Sky (Bonus Track)
  14. South Africa (Bonus Track)
  15. John (Bonus Track)
  16. South Africa(Extended Version) (Bonus Track)
  17. Helter Skelter( Bonus Track)
  18. Smokestack Lighting (Bonus Track)
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Hard Rock
0 Comm
08th Gen2012

Rainbow – Difficult To Cure

by Giancarlo Amitrano

Il quinto album della band di Ritchie Blackmore segna un ennesimo spartiacque nella carriera del gruppo: come il loro primo disco è caratterizzato da una profonda e radicale trasformazione dell’organico (in cui il chitarrista defenestra tutti i componenti ad eccezione di Ronnie James Dio), rimodellato sino all’interlocutorio Down To Earth (con il comunque ottimo Graham Bonnet dietro ai microfoni), così questa loro fatica segna un nuovo cambio di rotta. Con ai microfoni Joe Lynn Turner ed alle pelli Bobby Rondinelli, Blackmore si catapulta in una nuova fase, impreziosita ancora di più dalle sue reminiscenze “classiche”. Il cambio alla voce ed alla batteria avvenne quando la band era già in studio, di modo che i nuovi arrivati dovettero rimodellare le loro tonalità sugli arrangiamenti già ultimati. Come si diceva, una nuova direzione trasuda dai solchi del disco: di certo verso un suono più “commerciale” ed anche maggiormente in linea con le esigenze del mercato americano.

Sin dalla traccia d’apertura, notiamo l’estensione vocale di Turner come frenata, quasi timorosa di raggiungere vette più accentuate per non deludere gli ascoltatori d’oltreoceano: il tutto, però, sempre condito dalla miscela tipica dell’Arcobaleno, che si sviluppa attraverso un ampio tappeto sonoro delle tastiere, su cui si aprono improvvisi gli squarci della sempre potente sezione ritmica Glover/Rondinelli e la sei corde di Sua Maestà. Il trittico successivo si snoda attraverso i canoni sopra accennati, tra i quali tuttavia occorre rimarcare la timbrica sin troppo perfetta di Turner ed un solido lavoro di Airey. La potente rullata iniziale di Magic offerta da Rondinelli ci tuffa nel successivo ed immancabile brano acustico, in cui Blackmore offre, come al solito, il meglio di sé, ritardando volutamente il suo intro per dare modo a tastiere e rullanti di prepararci come si deve ad accomodarci idealmente nel castello incantato dell’Arcobaleno. La seconda parte dell’album si sviluppa attraverso le coordinate sopra descritte di suono quasi AOR: per intenderci, le singole prestazioni sono evidentemente impeccabili, ma quasi a limitarsi nelle loro performance per non incorrere nei fulmini dei promoter americani.

Can’t Happen Here è il classico brano di facile ascolto, in cui addirittura non sembra riconoscersi la band, occupata piuttosto nello svolgere il compito senza particolare enfasi. Idem per le successive Freedom Fighter e Midtown Tunnel Vision le quali chiudono l’opera, con un finale che vede la rivisitazione della Nona di Beethoven. Con un arrangiamento impeccabile finalmente il gruppo al completo sfodera il graffio finale che resta impresso: un intermezzo notevole dal mid-tempo della batteria che evidenzia un Glover mai troppo stimato. Memorabile e degna di nota, a giudizio di chi scrive, la versione live del brano, offerto nella raccolta postuma Fynyl Vynyl, in cui alla maestria del gruppo contribuisce addirittura l’orchestra al completo, in occasione del loro tour d’addio tenutosi nella terra del Sol Levante nel 1984.

Per una band che ha donato alla storia capolavori quali Rising o lo spettacolare live On Stage, questo disco potrebbe essere definito forse un’esibizione sotto tono, se a questa affermazione non facesse ostacolo la title-track, che da sola varrebbe l’acquisto. Non solo, possiamo affermare senza tema di smentita che in questo album si possono rinvenire già i prodromi della reunion dei Deep Purple che di lì a poco si sarebbe verificata per la gioia di tutti noi. La sostanza, tuttavia, non cambia: prodotto sempre di qualità superiore, che non sfigura neanche oggi a 30 anni di distanza e che dovrebbe essere presente nelle vostre raccolte senza tempo. Long Live Rock’n’Roll!

Autore: Rainbow Titolo Album: Difficult to Cure
Anno:1981 Casa Discografica: Polydor
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.blackmoresnight.com
Membri band:

Ritchie Blackmore – chitarra

Joe Lynn Turner – voce

Bobby Rondinelli – batteria

Roger Glover – basso

Don Airey – tastiere

Tracklist:

  1. I Surrender
  2. Spotlight Kid
  3. No Release
  4. Magic
  5. Vielleicht Das Nachste Mal (Maybe Next Time)
  6. Can’t Happen Here
  7. Freedom Fighter
  8. Midtown Tunnel Vision
  9. Difficult to Cure
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Hard Rock
0 Comm
06th Gen2012

Homerun – Black World

by Gianluca Scala

Gradito ritorno degli Homerun che con questo secondo capitolo della loro carriera sembra vogliano dimostrare la loro rinnovata aggressività con un sound duro e compatto. E le novità non si fermano solamente all’uscita di questa release, dato che la line up è cambiata con l’ingresso dei nuovi arrivati Paolo Luoni al basso, William Battiston alla batteria e Valerio Castiglioni alle chitarre che si affiancano al cantante Matteo Albarelli, il tastierista Walter Borrelli ed il chitarrista Andrea Ringoli. E così col nuovo assetto la band sforna un album molto energico che dimostra (come se ce ne fosse bisogno) che anche in Italia si può suonare dell’ottimo hard rock. Basterebbe una song come Princess Of Time per consigliarvi l’acquisto di Black World, questo il titolo del lavoro, disco che parte con una intro molto cupa, dall’atmosfera ‘darkeggiante’ per poi esplodere in un pezzo da novanta come la seconda traccia Silence’s Broken, con un giro di chitarra iniziale molto hard e con l’incedere della batteria che accompagna tutto il pezzo con precisa potenza.

In No More si continua sugli stessi binari hard rock dove voce e chitarra giocano abilmente insieme aggiungendo alla canzone quel tocco  magico in più. Il singer Matteo Albarelli è sicuramente l’arma in più su questo disco, un lavoro a tratti duro ed a tratti molto malinconico come As We Did Before che con dolce tristezza ci accompagna per tutto l’ascolto con un pianoforte che insieme alla voce di Albarelli regala momenti di intensità infinita. Davvero notevole e molto coinvolgente l’assolo di chitarra che si poggia sulle note del piano e che in crescendo rilancia la voce del singer. Con Ephemeral Light la band dimostra ancora di più di che cosa è capace mentre Our Love Song ha una melodia molto orecchiabile ed accattivante su cui ancora una volta ben gioca la voce sempre potente di Albarelli. Arrivando alla title track ci si trova davanti ad un altro pezzo potente dal sound pesante dove la batteria pesta duro e le chitarre fanno un lavoro davvero eccellente. Ma è con Princess Of Time che gli Homerun giocano la loro carta vincente, una canzone dalla rara capacità di lasciarti letteralmente senza fiato, grazie ad una prova vocale davvero oltre ogni limite, vero highlight di Black World.

Di questo passo diventa davvero difficile continuare con l’ascolto del album, ma The Golden Cage riesce comunque a cavarsela portandoci di nuovo su territori hard rock spinti. Con la successive Lipstick ed Intoxication Of Love vengono alla mente i primi Gotthard, due pezzi con ottimi ritornelli. Facile accostare gli Homerun ai Gotthard dato che il nome del gruppo è stato scelto come giusto tributo all’omonimo album pubblicato dagli svizzeri a fine anni ’90, ma anche per riflettere meglio lo spirito del genere proposto che si presenta preciso, veloce e grintoso come appunto gli Homerun sanno essere. Resta ancora il tempo per farsi catturare dal tiro rock di Another Reason To e di chiudere in bellezza, è il caso di dirlo, con la versione unplugged di No More da assaporare fino alla fine del disco. Concludo dicendo che su questo album trovate 14 canzoni di notevole qualità che si muovono su un territorio hard rock che gli Homerun fanno loro, suonando con l’anima riuscendo ad emozionare ascolto dopo ascolto.

Autore: Homerun Titolo Album: Black World
Anno: 2011 Casa Discografica: Tanzan Music/ Fast Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.homerunrock.it
Membri band:

Matteo Albarelli – voce

Walter Borrelli – tastiere

Andrea Ringoli – chitarre

Valerio Castiglioni – chitarre e cori

Paolo Luoni – basso

William Battiston – batteria

Tracklist:

  1. Intro
  2. Silence’s Broken
  3. No More
  4. As We Did Before
  5. Ephemeral Light
  6. Our Love Song
  7. Black World
  8. Princess Of Time
  9. The Golden cage
  10. Lipstick
  11. Intoxication of Love
  12. Firefly
  13. Another Reason To
  14. No More (acoustic version – bonus track)
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
0 Comm
28th Dic2011

Gotthard – Homegrown – Live In Lugano

by Gianluca Scala

Questo è un album destinato a passare alla storia dato che è l’ultimo concerto suonato, o meglio dire cantato dal compianto Steve Lee insieme alla sua band a Lugano il 17 Luglio 2010. Dato alle stampe da poco dopo aver annunciato il nome di colui che prenderà il posto del singer dietro ai microfoni, ci troviamo davanti al concerto che di fatto chiuderà la prima fase della loro carriera. 16 canzoni che ripercorrono tutta la discografia del gruppo svizzero, in maniera solenne, un concerto vero e seguito da migliaia di persone accorse a Lugano dove nel pomeriggio si era tenuto un motoraduno Harley Davidson con bykers accorsi da tutta Europa, una grande festa che sarebbe culminata poi in serata col concerto dei Gotthard (personalmente ero presente al raduno per ammirare la bellezza delle Harley, ma a causa di un brutto ed improvviso acquazzone fui costretto a lasciare il posto; la band si esibì ben oltre la mezzanotte. I Gotthard suonarono il concerto della vita, uno di quei concerti che vuoi regalare ai fan per tutto il supporto avuto in tutti questi anni, e le canzoni in scaletta parlano da sole, molti estratti dall’ultimo studio album Need To Believe, come l’iniziale Unspoken Words, la stessa Need To Believe, Unconditional Faith, Shangri La, I Don’t Mind. Perle hard rock di primordine eseguite in maniera sublime da questa grande band.

Molto bello il medley unplugged suonato a metà concerto che includeva Sweet Little R’N Roller, la bellissima Angel, una di quelle ballad che ti rimangono nel cuore, One Life,One Soul, altra gemma assoluta del loro repertorio. Per non dimenticare la canzone che è diventata un simbolo, sto parlando di Heaven, capace di farti venire alla mente con le sue parole quello che sarebbe accaduto al cantante mesi dopo. Anche io trovandomi la copia di questo cd in mano, leggendo la scaletta del concerto mi sono detto che ho perso uno dei treni che nella vita non vedrò passare più. Steve fa venire i brividi quando introducendo Anytime Anywhere esclama: “Io credo che ci vedremo presto ancora, no?”. Pultroppo ad ottobre di quello stesso anno un incidente alquanto sfortunato si porterà via il caro Steve, lasciando nello sconforto tutto il mondo dell’hard’n heavy. Alla fine del disco c’è un inedito studio intitolato The Train, ultima testimonianza di quello che sapeva trasmettere Steve Lee con la sua voce.

Autore: Gotthard Titolo Album: Homegrown – Live In Lugano
Anno: 2011 Casa Discografica: Nuclear Blast
Genere musicale: Hard Rock Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.gotthard.com
Membri band:

Leo Leoni – chitarra

Freddy Scherer – chitarra

Marc Lynn – basso

Hena Habegger – batteria

Steve Lee – voce

Tracklist:

  1. Unspoken Words
  2. Gone Too Far
  3. Top Of The World
  4. Need To Believe
  5. Hush
  6. Unconditional Faith
  7. Acoustic Medley 2010
  8. Shangri La
  9. I Don´t Mind
  10. Heaven
  11. The Oscar Goes To
  12. Lift U Up
  13. Leo Vs. Steve (guitar/vocal Solo)
  14. Sister Moon
  15. Anytime Anywhere
  16. The Train (Unreleased Studio Track)
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
0 Comm
22nd Dic2011

Alice Cooper – Welcome 2 My Nightmare

by Gianluca Scala

Questo è il disco che lo stesso Vincent Damon Furnier (Alice Cooper è colui che canta, e l’unico ovvio punto di contatto in occasione delle interviste) definisce il seguito naturale dell’omonimo lavoro uscito nel 1975. Aquel tempo Mr. Furnier aveva lasciato la Alice CooperBand per lanciare il progetto solista che avrebbe chiamato semplicemente Alice Cooper. In questo secondo capitolo Alice perde la battaglia per stare sveglio e viene trascinato all’inferno in un nuovo, delirante incubo. Alla produzione del disco ha deciso di chiamare Bob Ezrin, guru del rock (ha prodotto tutti, da Lou Reed a Rod Stewart, Pink Floyd, Nine Inch Nails, Kiss, Peter Gabriel e via ad oltranza) suo vecchio collaboratore in almeno una decina di altri dischi, tra cui l’originale Welcome To My Nightmare. Sottoscrivo e dichiaro che questo è un disco divertente, dove anche le citazioni sono giocose e studiate con determinato sadismo: come spiegare canzoni come Disco Bloodbath Boogie Fever, a metà tra la rock opera e il becero rap da discoteca, un brano che evidentemente prende, e si prende in giro assieme alla guest star Johnny 5. Oppure il duetto vocale in What Baby Wants con Kesha. E ancora troviamo Kip Winger e Mark Volman che duettano sul punk/rock’n’roll esilarante intitolato Ghouls Gone Wild,uno dei pezzi più belli del disco.

C’è la ballad Something To Remember Me By che lo stesso Alice descrive come “la canzone più carina che abbia mai registrato“, l’atmosfera alterna al tiro di The Congregation dove un altro super ospite come Rob Zombie raggiunge Kip Winger per del sano rock’n’roll. Del primo singolo estratto I’ll Bite Your Face Off Alice Cooper ha detto in un intervista che potrebbe appartenere tranquillamente ai Rolling Stones, perchè assomiglia molto a pezzi sullo stile di Brown Sugar o Honky Tonk Woman. Per l’occasione di questo secondo capitolo Alice si è circondato oltre che dagli ospiti già citati, anche di ex componenti della Alice Cooper Band, con la cui collaborazione sono nate canzoni come When Hell Comes Home, una horror song dal cantato strascicato come solo lui sa fare e assieme a I Gotta Get Outta Here e ai brividi di The Nightmare Returns  rappresenta i momenti più ‘Alice’ di tutto il disco.

Un lavoro che sorprende ad ogni canzone: ascoltate A Runaway Train, alla faccia dei vecchietti! Alla band originale si aggiunge anche la leggenda del country Vince Gill: questo è fottuto rock’n’roll! Il  momento più alto di tutto il disco é Last Man On Earth, un pezzo da teatro, degno di Tom Waits, del miglior avanspettacolo. Il riferimento al passato, e sopratutto al suo semplice ma incisivo pianoforte, é molto presente, dalla opener I Am Made Of You alla chiusura The Underture, con una parte orchestrale che riprende i temi di tutti i successi del disco originale. Non aggiungo altro, dico solo compratelo, ascoltatelo e imparatelo a memoria.

Autore: Alice Cooper Titolo Album: Welcome 2 My Nightmare
Anno: 2011 Casa Discografica: Bigger Picture/ Univesal
Genere musicale: Horror Rock, Hard Rock Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.alicecooper.com
Membri band:

Alice Cooper – voce, armonica

Bob Ezrin – produttore

Tracklist:

  1. I Am Made of You
  2. Caffeine
  3. The Nightmare Returns
  4. A Runaway Train
  5. Last Man on Earth
  6. The Congregation
  7. I’ll Bite Your Face Off
  8. Disco Bloodbath Boogie Fever
  9. Ghouls Gone Wild
  10. Something to Remember Me By
  11. When Hell Comes Home
  12. What Baby Wants
  13. I Gotta Get Outta Here
  14. The Underture (Instrumental)
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
0 Comm
11th Dic2011

Kiske/Somerville – Kiske/Somerville

by Gianluca Scala

Quando cantanti come Michael Kiske (Helloween, Place Vendome, Unisonic) e l’americana Amanda Sommerville (che può vantare collaborazioni con Kamelot, Avantasia e Aina) si ritrovano a duettare insieme in una rock opera di metal sinfonico, oltre tutto studiata appositamente per loro, cosa è lecito attendersi? Rispondo io, solo il meglio! Per il semplice piacere di chi predilige le sonorità più pompose ed eleganti e nutre grande ammirazione per gli artisti in questione. Nel corso dell’album la melodia regna sovrana, imponente, tutti gli arrangiamenti sono curati nei minimi dettagli, e le voci sono semplicemente ineguagliabili, prova ne è il bellissimo singolo Silence, ma non solo. Il duo risulta davvero inarrivabile e capace di sottolineare con grande maestria ogni singola nota della musica proposta.

Canzoni come l’iniziale Nothing Left To Say oppure If I Had A Wish entreranno dritte nei vostri cuori, la splendida ballata One Night Burning vi farà chiudere gli occhi e sognare all’infinito. E ancora Rain, Don’t Walk Away, Seconds Chance…lode e gloria a Kiske e a Sommerville, sempre più presente in produzioni simili, che sono evidenti trampolini di lancio per una futura carriera solista. Ma anche ai principali autori del songwriting, vale a dire Matt Sinner in veste di produttore di questo album e già bassista/fondatore dei teutonici Primal Fear nonché dei Sinner,e Magnus Karlsson, anch’egli membro dei Primal Fear e degli Starbreaker. Un album incredibile, pieno di assoli di chitarra e di passaggi armoniosi che non si può fare altro che amare. Benvenuti nel meraviglioso mondo sonoro guidato da Kiske/Sommerville.

Autore: Kiske/Somerville Titolo Album: Kiske/Somerville
Anno: 2010 Casa Discografica: Frontiers Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.michael-kiske.de
Membri band:

Michael Kiske – voce

Amanda Somerville – voce

Mat Sinner – basso

Magnus Karlsson – chitarra, tastiera

Sander Gommans – chitarra

Martin Schmidt – batteria

Jimmy Kresic – tastiera

Tracklist:

  1. Nothing Left to Say
  2. Silence
  3. If I Had a Wish
  4. Arise
  5. End of the Road
  6. Don’t Walk Away
  7. A Thousand Suns
  8. Rain
  9. One Night Burning
  10. Devil in Her Heart
  11. Second Chance
  12. Set a fire
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Hard Rock
0 Comm
20th Nov2011

Michael Monroe – Sensory Overdrive

by Gianluca Scala

Questo disco segna il ritorno di una vera icona del rock’n’roll: signore e signori Mr. Michael Monroe, lo storico cantante degli Hanoi Rocks. In questa occasione accompagnato da una super band, ossia l’ex compagno di avventure Sami Yaffa al basso, Ginger dei Wildhearts alla chitarra ritmica, Steve Conte alla chitarra solista ed il drummer dei Danzig Karl Rockfist. Anticipato da un efficacissimo singolo come ‘78, l’album è un susseguirsi di highlights difficili da preferire l’uno all’ altro, composizioni dirette e graffianti che il produttore Jack Douglas negli studi Swinghouse di Los Angeles ha incorniciato in un sound fresco e potente, senza renderle inutilmente troppo moderni o superficiali.

In Sensory Overdrive pulsa fiera l’anima indomabile degli Hanoi Rocks e la brillantezza compositiva dei Wildhearts in un concentrato entusiasmante di street rock. Ma passiamo alle canzoni: l’opener Trick Of The Wrist è pura dinamite che ti fa saltare per tutta la stanza, Superpowered Superfly è semplicemente irresistibile con un chorus molto bello, All You Need è un inno alla vita. In Debauchery As a Fine Art c’è Lemmy dei Motorhead a duettare con Mike Monroe, mentre pezzi come Got Blood?, Bombs Away sono aiutate da ottimi chorus che ti si appiccicano addosso come quando ti versi sulla pelle un boccale di birra. Dal ritmo molto sostenuto Later Won’t Wait, è la canzone che più si avvicina allo stile Hanoi Rocks, semplicemente splendida, con quell’intermezzo speciale suonato col sax. E poi c’è la ballad radiofonica Gone Baby Gone cantata insieme alla cantante Lucinda Williams, mentre chiudono il lavoro l’invitante Another Night In The Sun e la sorprendente You’re Next, con un riff vecchio stile.

Un giorno il mondo sarà pronto a conferire al vecchio Monroe ben più di questo stantio consenso di culto, qualora non sia bastata una carriera commovente come la sua, ecco qui il disco che contribuirà all’impresa.

Autore: Michael Monroe Titolo Album: Sensory Overdrive
Anno: 2011 Casa Discografica: Spinefarm Records
Genere musicale: Glam/Hard Rock Voto: 8,5
Tipo: CD Sito web: http://www.michaelmonroe.com
Membri band:

Michael Monroe – voce

Ginger – chitarra, voci

Steve Conte – chitarra, voci

Sami Yaffa – basso

Karl Rosqvist – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Trick Of The Wrist
  2. ’78
  3. Got Blood?
  4. Superpowered Superfly
  5. Modern Day Miracle
  6. Bombs Away
  7. All You Need
  8. Later Won’t Wait
  9. Gone Baby Gone
  10. Center Of Your Heart
  11. Debauchery As A Fine Art
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
0 Comm
18th Nov2011

Mr.Big – What If…

by Gianluca Scala

Questo album mi è piaciuto fin dal primo momento che l’ho messo nello stereo e mi ha convinto fin da subito. D’altronde quella dei Mr.Big era stata una reunion già annunciata da tempo, ma credibile. E poi a differenza di altri gruppi i musicisti di questa band una volta terminata l’avventura in comune, hanno saputo mantenere una buona qualità nelle rispettive carriere soliste e, cosa da non trascurare, li aiuta l’età ancora relativamente giovane. Il loro stile di un tempo è immutato e le dodici canzoni di questo album riprendono il viaggio interrotto con Get Over It, uscito nel 2000 ma ancora di più col secondo disco Lean Into It di vent’anni fa, visto che stilisticamente la produzione affidata all’esperto Kevin Shirley, ritrova quel tipo di suono, un hard rock di impatto che sa essere molto energico ed allo stesso tempo pieno di sfumature melodiche.

Il singer Eric Martin e il chitarrista Paul Gilbert sono sempre i terminali di una band tecnicamente impeccabile ma che ha nelle canzoni la sua vera forza. Non c’è bisogno di descrivere qualche canzone a caso citandone il titolo o cosa, qua basta l’essenza che traspare da tutto l’album, che sicuramente dopo l’acquisto sarà apprezzato dagli amanti del genere (come il sottoscritto) ma sono convinto che potrebbe aiutare anche i più giovani a capire come fosse il buon vecchio e sano hard rock di una volta. Bentornati Mr.Big!

Autore: Mr. Big Titolo Album: What If…
Anno: 2011 Casa Discografica: Frontiers Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 9
Tipo: CD Sito web: http://www.mrbigsite.com
Membri band:

Eric Martin – voce

Paul Gilbert – chitarra

Billy Sheehan – basso

Pat Torpey – batteria

Tracklist:

  1. Undertow
  2. American Beauty
  3. Stranger in My Life
  4. Nobody Left to Blame
  5. Still Ain’t Enough for Me
  6. Once Upon a Time
  7. As Far as I Can See
  8. All the Way Up
  9. I Won’t Get in My Way
  10. Around the World
  11. I Get the Feeling
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
0 Comm
Pagine:«1...2728293031323334»
« Pagina precedente — Pagina successiva »
  • Cerca in RockGarage

  • Rockgarage Card

  • Calendario Eventi
  • Le novità

    • Novaffair – Aut Aut
    • Depulsor – Walking Amongst The Undead
    • Giuseppe Calini – Polvere, Strada E Rock’n’roll
    • Bull Brigade – Il Fuoco Non Si È Spento
    • Mandragora Scream – Nothing But The Best
  • I Classici

    • Royal Hunt – Moving Target
    • Angra – Omni
    • Black Sabbath – 13
    • Saxon – Inspirations
    • Whitesnake – Forevermore
  • Login

    • Accedi
  • Argomenti

    Album del passato Alternative Metal Alternative Rock Avant-garde Black metal Cantautorale Crossover Death metal Doom Electro Rock Folk Garage Glam Gothic Grunge Hardcore Hard N' Heavy Hard Rock Heavy Metal Indie Rock Industrial KISS Libri Metalcore Motorpsycho Motörhead New Wave Nu metal Nuove uscite Podcast Post-metal Post-punk Post-rock Power metal Progressive Psichedelia Punk Punk Rock Radio Rock Rock'N'Roll Rock Blues Stoner Thrash metal Uriah Heep
Theme by Towfiq I.
Login

Lost your password?

Reset Password

Log in