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09th Giu2017

Volemia – Eh?

by Rod

Volemia - EhCome risaputo, seppur con fasi alterne, nel sottopancia del mercato discografico italiano vive, cresce e si espande, un sempre florido fermento indie/alternative che ha prodotto in circa un ventennio dai suoi albori, formazioni più o meno fortunate, che, al di là delle rispettive sorti, hanno indubbiamente contribuito a tenere accese sul fenomeno, le attenzioni delle label indipendenti. Nonostante ciò, sebbene qualche progetto sia riuscito ad affacciarsi con fatica alle ribalte commerciali nazionali, a lungo andare si è inevitabilmente creata un’omologazione di stili e suoni che ha prodotto un appiattimento del livello di molte delle produzioni in circolazione. Tanto ci serve per potervi introdurre ad Eh? ultima fatica dei Volemia, band che, seppur con una certa tendenza al post-grunge, con questo lavoro si aggancia di diritto al filone musicale di cui vi abbiamo parlato in precedenza. Le dieci tracce proposte contengono buoni spunti elettrici (leggasi l’intro Mammut) che – ahimè – nella sostanza, non riescono mai a raggiungere picchi emozionali tali da mostrarci tutta la validità dell’intero full-lenght. I testi, efficaci ma tutti da interpretare, seppur attestandosi sul confine tra il nonsense e la poesia metropolitana, vengono dilapidati nel loro potenziale dalla infausta scelta in fase di produzione, di sovraccaricare il cantato con un evitabilissimo ed onnipresente riverbero (tra l’altro strasentito ed oramai desueto), il quale, allo scopo di creare un abusatissimo “effetto Verdena”, produce nell’ascoltatore attento, l’esatto risultato contrario, ovvero quello di aver intenzionalmente utilizzato questo ed altri espedienti stilistici, allo scopo di poter essere identificati al paro di quella band o di quello stile (su tutte Rovere, Keef o Colto da Panico).

Ai fini della riuscita del prodotto finale, questa scelta al mic e l’ostinata idea di un “muro del suono” composto prettamente da accordi elettrici pieni, omogenizza il sound e nasconde la vera anima di ogni brano, rendendoli tutti molto simili tra loro. Un peccato, poiché tale risultato non consente di far emergere la vera personalità della band, forse acerba, forse ancora in via di consolidamento o forse troppo influenzata da stili e modelli di riferimento che andrebbero messi da parte. Consideriamo Eh? come un momento transitorio dei Volemia, sicuramente propedeutico alla ricerca di nuove strade e nuove idee, con la promessa – da mantenere – di risentirci al più presto con un altro lavoro, se possibile più rappresentativo di una visione musicale più personale.

Autore: Volemia Titolo Album: Eh?
Anno: 2016 Casa Discografica: New Model Label
Genere musicale: Indie Rock, Alternative, Rock Voto: 5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/Volemia/
Membri band:

Michele Quaranta – voce, basso

Claudio Corradi – chitarra, cori

Lorenzo Amadori – batteria

Tracklist:

  1. Mammut
  2. In Fuga
  3. Niagara
  4. L’Ebbrezza del Vuoto
  5. Rovere
  6. Ficus
  7. E’ Colpa Mia
  8. Keef (Una Teoria da Paranoide)
  9. Colto da Panico
  10. Dammi un La
Category : Recensioni
Tags : Indie Rock
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18th Mag2017

Palinurus Elephas – Fame Di Niente

by Paolo Tocco

Palinurus Elephas - Fame Di NienteCaro direttore ecco un altro disco che cade a fagiolo! Proprio qualche sera fa vedevo il buon Gabbani ospite (anzi voluto, cercato e invitato) dall’eterno Desmond Morris. Ora per chi non lo sapesse diciamo solo che il signor Morris è una celebrità scientifica internazionale e il suo saggio zoologico sull’uomo intitola La Scimmia Nuda è divenuto un riferimento, direi quasi assoluto. Come sappiamo (o come stiamo scoprendo ora) il buon Gabbani lo cita nella canzone che tanto famosa divenne dall’ultimo Sanremo ma ora mi domando e dico: davvero devo credere che Desmond Morris ha invitato il nostro Gabbani per parlare con lui della zoologia e di quanto finalmente la sua canzone rappresenti a pieno la situazione sociale di oggi? Ho sentito (se non erro) anche frasi di encomio e di complimenti per aver generato qualcosa di assoluta novità. Cioè veramente devo credere che una celebrità scientifica internazionale come lui abbia tempo e spazio da dedicare a simili lusinghe per una canzone (bella per carità ma banalmente pop) dai contenuti assolutamente inflazionati?! Come dire che Pasolini si è fatto le seghe per anni…e ora Morris sente il bisogno di celebrare Gabbani come novità: Signori ecco l’artista che mancava e che finalmente dice le cose come stanno! Dico ma mi si piglia per i fondelli? E guarda caso la telecamera seguiva la conversazione dei due e in onda mandano solo questo ovvio scambio di battute…

Allora, campiamoci. Per difendere la mia intelligenza e magari anche un po’ di etica voglio pensare che anche questa sia tutta una farsa, anche perché, caro il mio signor Morris (o chi di voi abbia costruito questo teatrino promozionale), basta dare un orecchio ai tantissimi dischi della nuova scena italiana per scoprire che ci sono mille mila artisti che trattano lo stesso argomento, non solo ora ma lo stanno facendo da anni e, spesso e volentieri, anche con più gusto. Ed eccovi quindi il disco d’esordio dei Palinurus Elephas: un nome ostico sia a dirlo che a scriverlo. Sarà una bella noia per i giornalisti. Si intitola Fame Di Niente e direi che nel titolo è scritto tutto con maggiore poesia de “La Scimmia Nuda Balla” e se il disco si apre con Testa Bassa che d’impatto mi rimanda ad una ballad (forse troppo moderna) dei Ramblers o a qualche trascinante poesia rock dei Negrita, se ad un tratto nella tracklist troviamo Ursula Andress che rispolvera il buon vecchio funky che un poco mi ricorda il giovane Renato Zero dei Triangoli, per il resto l’impatto è quello del solito format canzone indie di chi si è rotto i benemeriti e cerca di fare la morale e lo fa con distorsioni e dissonanze. Sembra, e dico sembra, ripetersi la solita ricetta, sempre quella, sempre impersonale. Quando parte Il Settimo Giorno con il solito “cazzo” adolescenziale di finti rivoluzionari che si sono scocciati, ecco che ho forte l’impressione di sentire una canzone sentita mille altre volte da mille altre voci. Certo non sarete d’accordo ma le sensazioni sono personali e per quanto assurde avranno il loro perché da rispettare. E le sensazioni sono anche le prime a mettere sotto torchio perché da un ascolto (e ne basta uno soltanto credetemi) si scoprono melodie che in un primo impatto scivolavano via, si scoprono arrangiamenti, idee e soluzioni che rendono questo disco un esordio davvero efficace, intelligente e di gusto.

Dalla loro, i Palinurus hanno belle melodie che non sono immediate e sfacciate ma si devono notare con pazienza, non si limitano solo alle distorsioni di chitarre ma curano suoni e arrangiamenti e l’inglesina Regina Del Mercato mi piace davvero con quelle voce corali e quel synth stile Farfisa che mi riporta inevitabilmente ai Beatles e compagnia cantando. Ma l’intro di Le Piante è sbagliato? Una scelta strana, non l’ho capita e il pezzo è assai interessante, complimenti. Ecco signor Morris (o chi per voi mette su i teatrini ogni giorno), ascolti questo brano o ancor di più ascolti la successiva Mondo Cieco con un rispettabilissimo inciso il cui testo non lascia scampo: tanto per farle un esempio che in Italia impera e detta legge la Televisione ma se spegnessimo questo cioccolo di plastica e burattini forse daremo retta a tante altre proposte che meritano l’ascolto e l’attenzione. Fosse solo per crescere…reciprocamente. E come esordio direi che gli perdoniamo tante ingenuità, testuale soprattutto e facciamo un plauso alla personalità che vien fuori…piano piano e in punta di piedi, ma vien fuori! Bravi!

Autore: Palinurus Elephas

Titolo Album: Fame Di Niente

Anno: 2017

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Indie Rock, Cantautorale

Voto: 6,5

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/palinurus.elephas01

Membri band:

Fabio Bergamini – voce, chitarra

Andrea Matti – voce, tastiere

Paolo Balzarini – basso

Carlo Emanuele Dirotti – batteria

Tracklist:

  1. Testa Bassa

  2. Regina Del Mercato

  3. Le Piante

  4. Mondo Cieco

  5. Scappi

  6. Ursula Andress

  7. Il Settimo Giorno

  8. Secondo Cervello

Category : Recensioni
Tags : Indie Rock
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20th Apr2017

Run River North – Drinking From A Salt Pond

by Amleto Gramegna

Run River North - Drinking From A Salt PondLeggendo che i Run River North sono una band coreano-californiana siam rimasti un attimino basiti, ma appena inserito il CD i dubbi sono immediatamente spariti. Un bel indie rock gioioso, catchy, fresco, ecco cosa ci offrono i ragazzi. Nel mare magnum delle produzioni indie rock bisogna inventarsi qualcosa, altrimenti si rischia di essere buttati nel calderone. Se questa cosa in Italia non l’hanno capita in Corea/California pare proprio di sì ed il disco della band se ne scende in un attimo. Intro (Funeral) Parade spicca per la potente voce, 29 per la melodia particolarmente intrigante. Insomma, va bene. Non neghiamo per un attimo di essere stati trasportati all’ascolto nei primi anni 2000, quindi correremo il rischio di essere influenzati dall’effetto nostalgia, ma non è così. Il disco lo riascolterete parecchie volte, poco ma sicuro. Classico lavoro da mettere nel lettore mp3 per ascolti in palestra, o da tenere in auto in loop eterno mentre si cerca parcheggio da Ikea la domenica pomeriggio.

Bello davvero, ma ora andate. E anche per oggi vi abbiamo consigliato bene.

Autore: Run River North

Titolo Album: Drinking From A Salt Pond

Anno: 2016

Casa Discografica: Nettwerk

Genere musicale: Indie Rock

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: http://home.runrivernorth.com

Membri band:

Daniel Chae – chitarra

Joe Chun – basso

Alex Hwang – voce, chitarre

Sally Kang – tastiere

Jennifer Rim – violino

Tracklist:

  1. Intro (Funeral) Parade

  2. 29

  3. Run Or Hide

  4. Can’t Come Down

  5. Elam

  6. Ghost

  7. Pretender

  8. Anthony

  9. Antony Robinson

  10. Winter Wind

Category : Recensioni
Tags : Indie Rock
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12th Apr2017

Roadhouse Crow – Roadhouse Crow

by Sara Fabrizi

Roadhouse Crow - Roadhouse CrowMaturazioni ed evoluzioni di chi, dotato di creatività, talento, passione e costanza, continua il suo cammino nel mondo della musica. Ciò è subito percepibile all’ascolto del nuovo, omonimo, EP dei Roadhouse Crow. La giovane band frusinate che, dopo aver dato la luce ad un primo EP nel 2015, Harborleave Inn, e dopo averlo portato in giro nei live show per club non solo della zona ma spostandosi lungo la penisola, ha da poco partorito il suo secondo lavoro. Lo scorso 28 febbraio i 4 musicisti appassionati di retrò pop e retrò rock hanno reso disponibile un nuovo EP di 4 pezzi con 2 inediti (Sugar Rain e Motels) e 2 brani già presenti nel precedente EP (London Love e Galapagos) rivisitati secondo le nuove suggestioni che sono emerse nel songwriting della band. Confrontando questo nuovo lavoro con quello precedente è tangibile come quel gusto retrò e vagamente sognante che li caratterizza sin dall’origine si sia evoluto acquisendo una forma più definita ed emancipandoli maggiormente dall’alveo delle influenze rock settantine da cui erano partiti. Il richiamo al passato è sempre presente ma lo è in altri modi. Dal rock con componente energico-arrabbiata che troviamo in alcuni brani del primo EP al soft-rock e al pop del nuovo. Una nuova ondata di fascinazioni retrò che sfocia in un pop rock d’annata che evoca atmosfere raffinate e vagamente patinate. Mi fa pensare a certi brani degli Eagles e degli America. Ci sento una componente di west coast rock, anche se magari depurata della sua vena più dura e ingentilita per creare immagini di situazioni e vissuto tipici delle coste. Palme, scena di vita costiera, mare. Al tramonto, al crepuscolo, pervasi da una leggera suadente malinconia. Tutto un insieme di suggestioni che evocano proprio quei paesaggi, in quei precisi momenti, con le sensazioni che discendono da essi.

Sugar Rain è il brano d’apertura, nonché l’ultimo ad essere stato composto, ed è paradigmatico delle nuove sensibilità che ora pervadono la band. Sonorità soft tipiche di un pop d’annata, un ritmo caldo e apparentemente rilassato. Ci sento quel sound che poteva appartenere ai Chicago (If You Leave Me Now in particolare), ma anche i Matia Bazar per certe atmosfere raffinate e mondane. Lo scenario è tipicamente cittadino, come si evince anche dal video del brano e la sugar rain che cade sulla vita di questa città sembra davvero di sentirla addosso. E’ come se restasse aggrappata sulla pelle questa “pioggia di zucchero” , per non farci dimenticare cosa abbiamo vissuto, sentito, immaginato. Il secondo brano è l’altro inedito, Motels. Colpisce la spaccatura che lo pervade. Sia a livello di sound e ritmo che a livello di atmosfere evocate si percepisce una divisione abbastanza netta che taglia il brano a metà. Diretta conseguenza, probabilmente, del fatto che il pezzo prende vita da due idee diverse e in due momenti diversi è stato scritto e riarrangiato. La prima parte è calma e rilassata. Caratterizzata da un ritmo suadente. Una lieve malinconia che esattamente a metà canzone cede il passo ad una nuova energia e a un ritmo completamente diverso. Le chitarre si fanno veloci, la voce si alza, il ritmo diventa incalzante. Nasce una forza di reazione che ci allontana dall’abbandono della prima parte del brano per condurci in un mood decisamente più rock. L’evoluzione dei Roadhouse Crow e il coesistere di una vena più soft accanto ad una vena più rock sono perfettamente rappresentati in questo pezzo. Sono diversi i motel in cui ha luogo la storia narrata perché sono varie le sensibilità e le suggestioni, tutte però riconducibili ad una matrice unitaria di scenari sabbiosi, costieri, esotici che veicolano passione e carnalità.

Il terzo brano è Galapagos, già presente nel precedente EP e qui rimaneggiato sulla base del nuovo mood della band. Immediatamente all’ascolto emerge questo scenario estivo, costiero. La storia si snoda su una spiaggia e ruota attorno a questo relitto che si staglia fra il mare e l’uomo. Un bell’intro di chitarra, dolce. E solare. Ma la malinconia la fa più da padrone. Siamo ancora in estate, ma forse sul suo finire e ciò ci rende un po’ tristi. Siamo al tramonto e l’immagine delle palme che baciano il sole calante ci dà il senso della notte che verrà alienandoci dall’estate. La scelta di inserire questo brano nel nuovo EP risiede, a mio parere, nel fatto che fra i brani precedenti è quello che contiene con maggiore forza la rinnovata sensibilità soft rock che pervade il nuovo lavoro. L’inserimento di altri strumenti, in questo caso le trombe, e un nuovo arrangiamento sono funzionali a rendere Galapagos ancora più spendibile in questo nuovo contesto. Il quarto brano è London Love (uscito come singolo l’estate scorsa) anch’esso presente nel primo EP, anch’esso riarrangiato secondo il nuovo mood creativo della band. Le sensazioni che evoca appartengono ad una sfera più personale e ciò si deduce dal testo che fa riferimento ad un sentimento per una persona lontana, ad un amore distante. Le atmosfere sono un po’ rarefatte, un po’ tremanti, quasi fumose. E ciò avvolge gli strumenti che sembrano procedere quasi con un senso di fatica, di peso, rendendo perfettamente l’idea comunicativa del pezzo: il contrasto tra i colori d’una città in cui si è persa l’unica donna amata veramente ed il fumo grigiastro che si ha davanti. La fumosa Londra in realtà più che un luogo geografico è un luogo dell’anima dove provare a rialzarsi e rinascere dopo una sconfitta.

Terminato l’ascolto mi restano sensazioni agrodolci, scenari incantati che però non si è riusciti a vivere in maniera del tutto felice e spensierata, perché c’è sempre una malinconia di fondo, dolce ma persistente. Davvero ti resta un sapore di labbra salate, come è nell’intenzione stessa comunicata dai 4 musicisti. E la rinnovata veste retrò e soft è il veicolo ideale per questo set di immagini in musica.

Autore: Roadhouse Crow

Titolo Album: Roadhouse Crow

Anno: 2017

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Indie Rock

Voto: s.v.

Tipo: EP

Sito web: https://www.facebook.com/roadhousecrow

Membri band:

Davide Romiri – voce, chitarra

Gordon Venice – chitarra, tastiere

Emilio Fiaschetti – basso, tastiere

Marco Rever – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Sugar Rain
  2. Motels
  3. Galapagos
  4. London Love
Category : Recensioni
Tags : Indie Rock
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03rd Apr2017

Voina – Alcol, Schifo E Nostalgia

by Marcello Zinno

Voina - Alcol, Schifo E NostalgiaAi tempi chiamati Voina Hen (ci riferiamo all’epoca della pubblicazione del loro esordio Noi Non Siamo Infinito recensito da noi a questa pagina) oggi semplicemente Voina, alle soglie del 2017 si apprestano ad un salto. Non che il livello fosse basso, infatti del precedente lavoro ci avevano colpito le idee e la produzione, ma due anni dopo arriva Alcol, Schifo e Nostalgia e confermiamo che la band mira in alto. Troviamo concretizzato il nostro suggerimento di spingere più sulla ritmica tanto che i nuovi brani si prestano ad una diffusione energetica in sede live che ci fa sperare di vederli presto nella nostra città. Questo probabilmente è il punto centrale del loro lavoro: se infatti in passato i ragazzi si avvicinavano al sound del Management del Dolore Post-Operatorio, ora che la band diretta da Luca Romagnoli sta accantonando le spinte ritmiche a vantaggio di trame più emotive, troviamo l’evoluzione dei Voina più vicina a band come Vintage Violence, seppur con una più marcata anima indie, soprattutto nelle linee/cadenze vocali. Il singolo Io Non Ho Quel Non So Che la dice lunga su questa interpretazione dell’approccio Voina, spinta riformista agli stereotipi della società giovanile che però affonda nella classica visione da hipster (si veda alla voce “disagio da tendenza”).

A seguire bene i loro testi si trova però anche una vena più spessa (come accade anche nei MaDePoPo): in Gli Anni ’80 c’è una critica all’educazione impartita ai Millennials come effetto del boom economico vissuto dai relativi genitori (e delle aspettative riposte sui figli), in Morire Cento Volte e in Il Futuro Alle Spalle leggiamo diverse critiche su coetanei e sulla vita attuale; poi compaiono elementi assolutamente non nuovi nella scena indie italiana, come prese di posizioni su argomenti più leggeri (odio per gli aperitivi in centro o per la SIAE) e la classica impostazione grafica (interna al booklet) color pastello. I brani seguono un stile univoco, fatta eccezione per l’intensa Ossa, crediamo il brano più ispirato tra tutti; uno stile quello dei Voina che ci convince anche in occasione di questo nuovo lavoro, che sa parlare a modelli di ascoltatori diversi e che crediamo si prenderà un vasto spazio nella scena rock emergente tricolore.

Autore: Voina

Titolo Album: Alcol, Schifo E Nostalgia

Anno: 2017

Casa Discografica: INRI

Genere musicale: Alternative Rock, Post-Alternative

Voto: 7,5

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/voinaband/?ref=br_rs

Membri band:

Ivo Bucci – voce

Daniele Paolucci – basso

Nicola Candeloro – chitarra

Domenico Candeloro – batteria

Tracklist:

  1. Welfare

  2. Io Non Ho Quel Non So Che

  3. Bere

  4. Ossa

  5. Morire 100 Volte

  6. Gli Anni ’80

  7. Il Futuro Alle Spalle

  8. Non È La Rai

  9. Il Jazz

  10. La Provincia

Category : Recensioni
Tags : Indie Rock
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31st Mar2017

Antonio’s Revenge – All Under Control

by Marco Castoldi

Antonio’s Revenge - All Under ControlUn bel mix di brit pop in chiave italiota quello degli Antonio’s Revenge nel loro album di esordio. L’album mixa 8 inediti a 4 pezzi già parte dell’EP Time Square Lights, rimessi a lustro per l’occasione. Sonorità che portano un po’ di Oxford e Manchester tra Brescia e il lago di Garda. Ma sonorità che ci provano e che, andando a rovistare nel sottobosco underground dello stivale, un po’ di rock esce ancora. Sicuramente piacciono in Better Than Myself e One More Beer che sono i due brani che come motivetto ti rimbombano in testa, anche dopo il primo ascolto (soprattutto il primo). All Under Control non è un titolo, ma è la sintesi della tecnica che accompagna la band; tutto è sotto controllo: la voce, perfetta e senza sbavature, le ritmiche tecniche e precise e le chitarre, gradevoli e controllate. Un plauso va sicuramente alla dote di musicisti del trio, senza ombra di dubbio al di sopra la media. All Under Control è un album leggero e che scorre con una velocità impressionante e in questo è accattivante e piacevole.

Probabilmente non è ancora una pietra miliare o un inno della nuova onda rock italiota che vuole farsi un po’ brit, tuttavia All Under Control è un gioiellino indie che vale la pena di essere gustato perché alterna bene pezzi energici a ballate e non è mai monotono, palloso e autoreferenzialmente alternativoide come molto dell’ “italindie” spesso si dimostra. All Under Control è una bella secchiata di acqua fresca in chiave pop (in qualche pezzo rasenta il punk rock leggero ma gustoso alla Jam) che ci sta sempre come intermezzo.

Autore: Antonio’s Revenge

Titolo Album: All Under Control

Anno: 2016

Casa Discografica: Deepout Records

Genere musicale: Punk Rock, Indie Rock

Voto: 6,5

Tipo: CD

Sito web: http://www.antoniosrevenge.com

Membri band:

Alessandro Razzi – voce, chitarra

Giovanni Boscaini – basso

Pedro Perini – batteria

Tracklist:

  1. Better Than Myself

  2. Reach You

  3. One More Beer

  4. Little Heaven’s Hell

  5. Between The Lines

  6. Distance

  7. If I Were You

  8. Run Out On You

  9. Lies No Longer

  10. Weatherman

  11. Dream Of You

  12. The Kids Had Never Dreamed To Be So Happy

Category : Recensioni
Tags : Indie Rock
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05th Mar2017

Phidge – Paris

by Piero Di Battista

Phidge - ParisL’influenza musicale britannica, sin dagli albori, ha sempre contaminato il nostro Paese, che sia metal, punk, o semplicemente rock. E quest’influenza è arrivata anche a Bologna, città dalle forti tradizioni musicali che ha dato i natali ai Phidge nel 2003. I Phidge sono una band che ha alle spalle due dischi ed un EP, e li ritroviamo con un nuovo album, pubblicato pochi mesi fa dall’etichetta di Bolzano Riff Records, dal titolo Paris. Lungo le dieci tracce che vanno a formare il disco abbiamo la citata influenza britannica coadiuvata anche dall’inglese dei testi ed un sound che può tranquillamente essere catalogato come indie rock. Paris, nome non a caso dato che la capitale francese è protagonista di più brani del disco, è un album in cui il quartetto bolognese mostra indubbie qualità, soprattutto in fatto di scrittura. Il sound appare omogeneo e poche volte tende a eccedere in qualche leggera sterzata, come nel caso di Any Good News? dal quasi impercettibile sapore funky, o la stessa Paris, dalle tinte leggermente più ruvide.

Il disco ha come punti finali Road (To The Drops), ballad più in chiave rock, con tanto di assolo di chitarra finale, e Thin, brano dalla struttura minimalista e dalle sonorità più introverse grazie anche all’apporto di un tappetino sonoro di piano. In un periodo dove questo genere ha forse raggiunto il suo più alto livello d’attenzione, i Phidge dimostrano di aver ben poco da invidiare a gruppi molto più altisonanti. Lo spassionato consiglio, per chi ama questo genere, è di dargli una attenta ascoltata. Meritevoli.

Autore: Phidge

Titolo Album: Paris

Anno: 2016

Casa Discografica: Riff Records

Genere musicale: Indie Rock

Voto: 6,5

Tipo: CD

Sito web: www.facebook.com/phidgeband

Membri band:

Dodi Germano – voce

Riccardo Fedrigo – chitarra

Nicola Di Virgilio – basso

Oscar Astorri – batteria

Tracklist:

  1. (Do We?)

  2. A Couple Of Things

  3. Any Good News

  4. The Mouth Of Love

  5. Face To Face

  6. Memories

  7. Paris

  8. Be Do

  9. Road (To The Drops)

  10. Thin

Category : Recensioni
Tags : Indie Rock
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22nd Feb2017

Brand New Heroes – Brand New Heroes

by Marcello Zinno

Brand New Heroes - Brand New HeroesFa sempre un po’ effetto ascoltare band dal sound internazionale ma con una line-up piena di nomi in italiano. Sarà la tendenza a guardare all’estero o il fatto che le band sono convinte di cercare il successo oltre i confini nazionali, ma questa tendenza è tutt’altro che una serie di fenomeni dislocati. I Brand New Heroes sono tra questi ed escono alla luca con un EP omonimo, un prodotto con un buon tiro e un forte potenziale di escalation per chi ama le sonorità anglo-americane elettro rock. La loro maturità, a nostro parere, si misura dalla saggia scelta di Suits come singolo dell’uscita, un pezzo che ha un ritornello talmente furbo da riuscire a ricordarvi almeno dieci band diverse pur senza sembrare completamente rubato; Suits ha anche una velo di elettronica e di hip hop, elementi che aiutano a conferire alla band su uno spettro molto più ampio e ad avvicinare ascoltatori diversi. Ma si tratta di una scelta corretta sulla lunga distanza?! Secondo l’approccio potrebbe essere apprezzato, anche se tra riff tirati e parti elettroniche ci si perde un po’, come se ci si sentisse spiazzati e non si capisse bene dove i “Nuovi Eroi” intendano arrivare. Ad esempio Eleanor lascia un po’ interdetti con il suo elettro pop fine a se stesso, imbottito di synth/tastiere ma che poco lascia dopo il suo passaggio. Anche Trembling Lights ci disorienta, tentativo di unire i Green Day più pop, i Muse e George Michael sulle medesime coordinate; forse andrebbe data qualche martellata in alcuni passaggi per cercare di avere una direzione più univoca.

Noi li preferiamo con Eyes, un pezzo quasi punk rock pieno di carica, dove non c’è tempo di ricercare cori orecchiabili, ma solo grinta e un rifferama nel bridge che fa trattenere il respiro; o anche nella convincente Not The Same, al contrario del brano che chiude l’EP che ricade nelle tentazioni pop. Un inizio più maturo di molte band in circolazione ma che espone i Brand New Heroes al rischio di perdere la bussola molto presto se qualche raddrizzata non viene apportata in tempo al proprio sound.

Autore: Brand New Heroes

Titolo Album: Brand New Heroes

Anno: 2016

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Punk Rock, Indie Rock, Elettro Rock

Voto: s.v.

Tipo: EP

Sito web: http://www.brandnewheroes.rocks

Membri band:

Francesco – voce

Max – chitarra, voce

Alessio – basso, tastiere, voce

Giulio – batteria, voce

Tracklist:

  1. This Is A Recording

  2. Go Along (No Stone Unturned)

  3. Suits

  4. Eleanor

  5. Eyes

  6. Trembling Lights

  7. Not The Same

  8. Love Me Again (feat. Kristina Grancaric)

Category : Recensioni
Tags : Indie Rock
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19th Feb2017

Il Diluvio – Il Diluvio

by Marcello Zinno

Il Diluvio - Il DiluvioC’è una strana sensazione che viene fuori nell’approfondire questo progetto. Il Diluvio è un quartetto italiano, fin dal moniker, ma ascoltando la loro musica ci troviamo davvero poco di tricolore. Sonorità britanniche, indie rock, testi in lingua inglese, suoni di alta gamma, melodie, pop rock. E poi c’è un elemento che contraddice sia la nostra prima impressione che quello che abbiamo scovato aprendo il coperchio su questa band: la lunghezza dei brani. Non è intuitivo afferrare i significati di testi e idee e il quartetto decide di allungare ulteriormente le trame in modo da non limitarsi all’accoppiata “strofa-ritornello” da dare in pasto alle radio. Certo, spesso si nota un approccio semplicistico nel songwriting, Rain ad esempio abbraccia il pop da classifica angloamericana e lascia poco sapore sul nostro palato. Se Apollo 1 si sbilancia più verso inserti elettronici, probabilmente per sottolineare l’ispirazione ultraterrena e futuristica del suo racconto, Facebroke rigetta l’animo da internauta povero per collimare con un rock maggiormente costruito e canonico, capace di assumere però una forma palpabile soprattutto nella seconda parte (strumentale). L’EP si chiude con Lullaby che cela il proprio sapore amaro degli amori finiti ma dietro melodie già sentite.

Il Diluvio ha mostrato con questa prima uscita il proprio aspetto, a tratti ambivalente a tratti vago. Gli inserti tastieristici e gli effetti vari rappresentano il fattore più moderno e stimolante di una proposta per il resto poco ricercata. A nostro parere la band deve mettersi maggiormente in gioco e costruire qualcosa di molto più personale.

Autore: Il Diluvio

Titolo Album: Il Diluvio

Anno: 2016

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Pop Rock, Indie Rock

Voto: s.v.

Tipo: EP

Sito web: https://www.facebook.com/ildiluvio.music

Membri band:

Omar Khrisat – chitarra

Simone Bettinzoli – voce, chitarra

Alessandro Serioli – tastiera, voce

Piero Bassini – batteria

Tracklist:

  1. Get To The Moon

  2. Apollo 1

  3. Rain

  4. Facebroke

  5. Lullaby

Category : Recensioni
Tags : Indie Rock
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11th Feb2017

Buckingum Palace – Macedonia

by Marcello Zinno

Buckingum Palace - MacedoniaI Buckingum Palace sono agli esordi eppure mordono passi come fossero già in veloce corsa. Poco più di un anno di vita e già hanno pubblicato un primo demo e un EP ufficiale, questo Macedonia che dà tanto spazio alla musica e poco alle liriche. Il loro stile è indubbiamente indie, nell’uso della chitarra che esula da riff canonici e piuttosto si concede ad inserti come fossero arrangiamenti per il singolo brano; la particolarità è nelle trame non banali, niente di facile ascolto, piuttosto passaggi complessi e studiati. Note singolari con un accento indie che categorizza subito l’uscita su di un target preciso, anche se con Rango Tango le cose cambiano, un brano questo dall’irruenza rock/grunge, classico pezzo figlio delle giornate ad ascoltare musica anni novanta con in aggiunta quella vena angosciante tipica di quelle produzioni. Tipo Coleottero è un brano più ricercato, che mantiene la verve elettrica di Rango Tango ma che insidia un animo più calibrato; nella loro presentazione si parla di math-rock, secondo noi non si raggiunge (ancora) quel livello ma il songwriting di questa traccia è quello di una band più matura che si sofferma maggiormente e trova la forma giusta per esprimere le proprie emozioni.

Ottimo rapporto con i brani strumentali, Colosso ne è un esempio; intricato mette in luce l’identità dei tre musicisti che però già escono con un suono proprio, con una proposta compatta. Sulla lunga distanza queste premesse anticipano un album con tutta probabilità di spessore, attenzione al rischio di risultare troppo “pesanti” su un ascolto che può superare i sessanta minuti.

Autore: Buckingum Palace

Titolo Album: Macedonia

Anno: 2017

Casa Discografica: XO, Cabezon Records

Genere musicale: Indie Rock, Post-Rock

Voto: s.v.

Tipo: EP

Sito web: https://www.facebook.com/buckingumpalace

Membri band:

Annalisa Vetrugno – basso, voce

Clara Romita – batteria, voce

Stefano Capoccia – chitarra, voce

Tracklist:

  1. Cosmesi

  2. Vincolo Polare Artico

  3. Rango Tango

  4. Tipo Coleottero

  5. Colosso

  6. Dallo Spazio

Category : Recensioni
Tags : Indie Rock
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