B.o.s.c.h. – Apparat
Scanzonati come pochi, gli ennesimi teutoni ci propongono (al secondo lavoro) una buona dose di allegria quasi “caciarona” per l’approccio molto variegato. Avendo ben in mente epigoni quali Rammstein in primis, la band non si preoccupa di seguirne quasi fedelmente i dettami, pur riconoscendo loro una buona dose di originalità. Il taglio molto metal che viene dato alle asce è tuttavia ben compensato dal solido lavoro delle tastiere le quali, lungi dall’apparire invasive o fuori contesto, divengono invece un buon compagno di viaggio lungo i quasi 60 minuti del lenght. A partire dalla titletrack ci troviamo davanti ad un intro quasi psichedelico che viene subito smussato dall’elettricità e dalla sezione ritmica molto intensa, mentre la voce ci appare al tempo stesso delicata in alcuni passaggi e mefistofelica in altri. Der Erste Stein è molto scatenata, quasi indicata per una ipotetica dance-metal (!), stante il ritmo indiavolato che mette a proprio agio nello smuovere le potenziali cotenne, così da venir scelto come single dell’album. Questo mentre la melodia di Engel viene arricchita dal buon lavoro dei tasti, che disegnano una bella linea d’ambiente che non sfigura nel contesto comunque aggressivo. Schwarzer Mann lo possiamo definire senza meno l’episodio in cui il groove ed anche il growl del singer la fanno da protagonista, mentre asce e sezione ritmica ci danno dentro alla grande. Molto intrigante l’approccio di Gier, laddove le sonorità rallentano per prendere fiato e dare l’agio alla prestazione vocale di salire di tono, con in sottofondo l’ossessivo tappeto psichedelico delle tastiere che attenuano le grida lancinanti.
Ancora pestaggio duro con Schwarze Sonne, in cui il singer pare per un attimo indugiare sulla direzione da prendere, subito trovata attraverso un poderoso refrain ed un altrettanto solido coro di rimando che è onirico di suo. Con Eiszeit si torna al pogo più scatenato, pur attraverso le parole apparentemente incomprensibili dell’intro, un gioco di rullanti offre il destro al ritornello, scandito a pieni polmoni. Tra i brani meglio riusciti, fila via con le tastiere che si giocano bene le sue carte. Meine Welt è costruita ad arte per il singer, che qui raggiunge tonalità molto intense: le tastiere paiono confonderci le idee, non ci troviamo in pista per ballare, ma per scuotere la testa e trovare il ritmo giusto, ondeggiante tra gotico ed industriale. Ein Augenblick è molto cupa: le paure ancestrali paiono qui impossessarsi delle anime dei Nostri, laddove il singer stavolta si appoggia molto sui crash del drummer. Ancora più incupita, se possibile, la voce domina il brano assieme alle immancabili tastiere. Sklaven Des Nachts segue gli stereotipi sin qui offerti,dato che la proposta ormai ci è ben chiara, così come le seguenti tracce nulla tolgono e nulla al lavoro finora svolto.
Si eleva leggermente tra il resto dei brani conclusivi la caliente Amok, che si differenzia dagli altri per il solido refrain e la melodia molto ben accentuata, alla fine delle danze, che ci lasciano sì sfiniti dall’ascolto del suono energico e potente della band, ma che dall’altro lato avrebbero dovuto essere più brevi per non scadere nel ripetitivo finale.
Autore: B.o.s.c.h. | Titolo Album: Apparat |
Anno: 2013 | Casa Discografica: Dust On The Tracks |
Genere musicale: Industrial | Voto: 6 |
Tipo: CD | Sito web: http://www.bosch-music.de |
Membri band:
Ledde – chitarra Äxxl – basso Loz – batteria, programmazione Max – voce |
Tracklist:
|