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07th Gen2021

Note Per Salvare Il Pianeta

by Marcello Zinno
Matteo Ceschi, giornalista noto per la sua sensibilità sui temi dell’ambiente, ha firmato questo libro dal titolo Note Per Salvare Il Pianeta per Vololibero. Senza mezze misure possiamo dirvi che si tratta del libro dell’anno (del 2020 visto che è stato pubblicato ad ottobre scorso) non solo un libro essenziale ma un lavoro di cui c’era davvero la necessità. Se infatti la musica è anche veicolo di messaggi e se nella storia tantissimi musicisti hanno fatto sentire la propria voce per una serie di temi come la parità dei sessi, l’amore libero, la democrazia, i diritti umani e tanto altro, non va assolutamente messo in secondo piano l’impegno degli artisti nei confronti della salvaguardia del nostro pianeta. Pensate a Greta Thunberg? Certo, lei ha sicuramente acceso la sensibilità a questo tema, ma non bisogna dimenticare che la musica si è mossa fin dagli anni ’40 del secolo scorso nel far capire che la direzione che l’umanità (e la politica) stava imboccando non era quella giusta. Ma più che artisti sparuti si tratta di un vero e proprio movimenti, inframmezzato in tantissime attività nei diversi continenti, che proprio per tale diversificazione in termini geografici ma anche temporali, necessitava di una sorta di “bibbia”, di un contenitore che li contenesse tutti e li sapesse raccontare. Ed è per questo che Note Per Salvare Il Pianeta è un libro fondamentale, per ricordare alle generazioni (presenti ma soprattutto future) che la musica ne ha parlato a tempo debito e si è mossa attivamente su questo tema, piuttosto che pensare che il pianeta sia a rischio solo per comportamenti e decisioni sbagliate dell’ultimo decennio.

Ma il libro è interessante anche da altri punti di vista. Innanzitutto perché tratta di “piccoli disastri”, se così possiamo definirli, che non tutti conoscono e che si sono verificati nel passato. Nessun disastro può definirsi “piccolo” ma nella società in cui viviamo oggi nella quale un’informazione di due giorni prima è già considerata vecchia, è fondamentale tenere viva la memoria. Di conseguenza anche i piccoli avvenimenti del passato ricordati da Matteo Ceschi, e che hanno dato vita ad azioni di protesta nei giorni successivi così come a brani molto ispirati, vanno raccontati e ricordati. Inoltre il libro è impostato come una continua intervista tra curiosi e l’autore in modo da approfondire da diversi profili il tema e spaziare non solo da un periodo storico all’altro (in questo sono ripartiti i macro capitoli) ma anche da un Paese all’altro. Matteo Ceschi non è esordiente in scritti dedicati a questo tema e ci fa piacere che, in un anno come quello appena trascorso nel quale a causa delle restrizioni mondiali il pianeta abbia respirato di più, si sia tenuta alta l’attenzione grazie a questo suo libro. Il consiglio che possiamo dargli, magari per un’altra futura stesura di un libro analogo, è quello di approfondire ancora di più l’epoca recente che vede un dispiegamento di artisti a livello mondiale ben maggiore rispetto al passato (remoto) anche sul tema dell’ambiente (Billie Eilish, The 1975, Thom Yorke solo per citarne alcuni).

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Tags : Libri
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04th Gen2021

Attitudine riottosa

by Massimo Canorro
Copia e incolla random? No, piuttosto un taglia e incolla, certosino, con il computer, creando una sorta di punkzine (“questo volume non è una fanzine, ma è debitore di quell’attitudine”, si legge nell’introduzione). Un’opera da toccare con mano, sfogliandola con cura. È quanto ha realizzato, come un sarto con spille da punk dei giorni nostri, lo storico e ricercatore indipendente Giulio D’Errico, capace di raccogliere, all’interno di un interessante volume, una serie di voci differenti, vicende, narrazioni, ricordi, documenti e saggi che narrano (e, soprattutto, sviscerano) l’anarcopunk degli eighties nel Regno Unito (nota a margine: i Crass, collettivo anarchico e gruppo punk rock formatosi nell’Essex in Inghilterra nel 1977, sono ritenuti i fondatori del movimento e dello slogan “DIY”, ovvero “Do It Yourself”). Tutto questo – e molto altro – è custodito nel volume Attitudine Riottosa (sottotitolo: anarcopunk in UK), dove D’Errico è partito da un assunto più che condivisibile (“L’anarcopunk è un’attitudine, un modo di agire politico dal basso che influenza ancora oggi gli attivisti di tutto il mondo”) per poi sviluppare una fondante considerazione: forte di un variegato e curioso microcosmo di esperienze individuali e collettive, squatting, live e manifestazioni, eccesso di alcol e droghe, festival e viaggi, l’anarcopunk (che non è fatto della stessa materia dei sogni, bensì è strutturato su energia, determinazione, contraddizioni) è stato in grado di ripensare, in concreto, l’approccio alla lotta militante.

Di fatto, come riporta la quarta di copertina: “una nuova educazione sentimentale alla politica in un decennio che ha visto la sconfitta dei movimenti sociali e il sorgere di un regime neoliberista globalizzato”. Precisazione quanto mai doverosa: Attitudine riottosa (Agenzia X, 228 pagine, illustrato, 16 euro) – che si sviluppa lungo una serie di capitoli assai descrittivi, partendo da titoli più che mai evocativi – non è un “semplice” saggio su questa “ideologia e sottogenere del movimento punk rock caratterizzato dall’adesione all’ideologia anarchica e in particolare all’anarco-pacifismo”, tratteggia Wikipedia. D’Errico – che scrive per il bollettino sulle migrazioni in Europa “Are You Syrious?” e per “A-Rivista Anarchica” – dà la certezza di conoscere molto bene ciò di cui scrive; lui stesso, nell’introduzione, spiega di aver vissuto, tra il 2013 e il 2017, nel Galles occidentale, dove si è imbattuto nel volume Tales From The Punkside (a cura di Mike Dines e Gregory Bull), una pubblicazione di racconti e riflessioni sulla scena anarcopunk dei primi anni ottanta che, in qualche modo, ha fatto scoccare la scintilla. Ed ecco che, pagina dopo pagina, si attraversano – anche solo con la mente, ma di questi tempi dove non si può viaggiare è tutt’altro che poco – città come Londra, ma anche Belfast e Bristol, i centri industriali dell’Inghilterra del nord nonché la brughiera del sud-ovest.

Parole ben impresse, nero su bianco (come le immagini che le accompagnano), abili nel far emergere una scena prorompente, mai statica, all’incessante ricerca del confronto con una realtà che spinge a distruggere qualsivoglia assioma di purezza/separatezza punk. Basti rammentare “gli scontri con i naziskin che assaltavano i concerti, il contatto con gruppi anarchici tradizionali, le cinquantuno settimane di sciopero dei minatori e le cinquantasei degli stampatori, la repressione poliziesca, i tagli dello stato sociale, la diffusione dell’eroina”, scrive l’autore (che vive ad Atene e collabora con differenti progetti al margine tra attivismo e volontariato). Così i dodici capitoli di Attitudine Riottosa (ben descritti da D’Errico nella sezione “Mappare l’anarcopunk”), ciascuno scritto e approfondito da chi ha vissuto la scena personalmente – dai già citati Dines e Bull a Chris Low, da Rich Cross ad Alistair Livingstone, da Justine Butler a Peter Webb, con D’Errico a fare da prezioso raccordo – offrono al lettore, per la prima volta, argomenti soventi ignorati. Qualche esempio? Dal ruolo del punk nell’abbattimento delle scissioni confessionali dell’Irlanda del Nord all’apporto del femminismo, dall’incidenza delle “zine” nella formazione intellettuale dei giovani punk alle manifestazioni londinesi (1983/1984) di “Stop the City”.

Scrive D’Errico: “La narrazione dell’anarcopunk britannico è troppo spesso stata incentrata su Londra, sui Crass e focalizzata sulla musica. I testi qui selezionati cercano di superare questi assi tematici e far emergere la varietà dell’esperienza anarcopunk”. Se il primo punk indicò il capolinea dello storico movimento politico degli anni settanta, l’anarcopunk fu in grado di raccoglierne l’eredità, svecchiandone contenuti e forme. Questo libro lo testimonia.

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15th Dic2020

Seattle: il libro

by Massimo Canorro
Se i volti dei presidenti statunitensi scolpiti sul monte Rushmore rappresentano – da sinistra a destra – George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e Abraham Lincoln (incarnando, di fatto, gli ideali del primo secolo e mezzo di storia americana), i visi di Layne Staley (Alice In Chains), Kurt Cobain (Nirvana), Eddie Vedder (Pearl Jam), Chris Cornell (Soundgarden) che campeggiano sulla cover del volume – tra libro di viaggio e saggio musicale – Seattle (Odoya, 224 pagine, 16 euro) ne esprimono – come meglio non si potrebbe – il sottotitolo: “La città, la musica, le storie”. Scritto da Valeria Sgarella (giornalista e scrittrice milanese, ha pubblicato la biografia del cantautore americano Andy Wood per Ledizioni e la storia della casa discografica Sub Pop Records per Edizioni del Gattaccio) questa “guida sentimentale di Seattle”, come è stata ribattezzata, si snoda lungo i luoghi imprescindibili del rock della più grande (ma anche contraddittoria) città dello stato di Washington, culla della controcultura con i movimenti grunge e no global ma anche matrona hi-tech (“il fatto di sorgere su sette colli come l’antica Roma è un dettaglio di cui Seattle si pavoneggiava sin dai primi del Novecento”, si legge) che accoglie le sedi di multinazionali come Amazon, Microsoft, Starbucks all’interno della sua area metropolitana.

Spiega l’autrice: “Seattle è la città della riscossa e delle grandi imprese. Sono affascinata dalle sue innumerevoli transizioni: da città di taglialegna a mecca del rock alternativo; da diva dell’e-commerce a Silicon Valley del nord”. Ciò nonostante, chi vive in questa metropoli che rientra (di diritto) nella top ten delle città più economicamente floride degli States, giura che Seattle non ha mai tralasciato il proprio spirito creativo nonché quell’incredibile slancio anarchico determinante nel plasmare la sua scena musicale (chiedere, ad esempio, a Duff McKagan dei Guns N’ Roses, nato e cresciuto a Seattle, che ha esordito in una punk band). Lo stesso Dave Grohl, leader dei Foo Fighters, è visceralmente legato alla città – punto cardine prima per la carriera dei Nirvana e quindi per la band fondata dallo stesso polistrumentista – tanto da ammettere: “Amavo la mia vita a Seattle, e di quella vita mi manca ogni cosa”. Interessante, proprio nel caso del volume Seattle, l’impronta che l’autrice ha deciso di imprimergli, sviscerando la narrazione al pari di un percorso a tappe tra gli indirizzi che hanno accompagnato non solo la nascita, ma anche lo sviluppo, della musica locale. In che modo? Guidando il lettore, non solo quello appassionato di grunge, lungo le strade e all’interno di sale da concerto, teatri, dive bar, studi di registrazione, case discografiche (Sub Pop Records su tutte), parchi e abitazioni come erano all’epoca e come sono diventati oggi, magari all’ombra di grandi imprese e marchi prestigiosi che a Seattle (dove il 27 novembre 1942 è nato un certo Jimi Hendrix) hanno i propri natali.

Certo, il saggio di Sgarella – pregno di foto, immagini e piantine in bianco e nero – è stato inserito dalla casa editrice bolognese nella collana musica. Eppure questo volume mette in risalto, più in generale, le innumerevoli trasformazioni che “la mecca del grunge” ha subìto nel corso degli ultimi anni. Ed è proprio questo genere musicale – e quale, se no? – non sempre apprezzato dai rocker (basti pensare a come viene etichettato nel film The Wrestler di Darren Aronofsky) a fare da colonna sonora alla lettura. A partire dall’introduzione. “Attraverso un lento pellegrinaggio nei luoghi della musica, specie quelli che hanno rappresentato molto per Nirvana, Alice In Chains, Pearl Jam e Soundgarden, e descrivendo l’evoluzione dei vari quartieri, i neighborhood, questo libro vuole raccontare la trasformazione di questa città, e, se possibile, tracciare una linea di continuità tra la Seattle di ieri e quella di oggi”, incalza Sgarella (ha svolto attività radiofonica per oltre due decadi come autrice e speaker e ha lavorato a MTV Italia nel settore produzione). Un percorso non solo virtuale, quello compiuto dall’autrice, che si offre di trovare un fil rouge tra la Seattle inquieta ma epica di ieri – “Belltown era un quartiere selvaggio, fatto di affittacamere con la piastra elettrica nelle stanze. Ci abitavano gli artisti”, ricorda Steve Fisk, ingegnere audio, produttore discografico e musicista che ha lavorato con Nirvana, Soundgarden, Screaming Trees – e la metropoli eccentrica ma elitaria di oggi, avvalendosi delle voci di persone che conoscono bene di cosa si parla.

Non soltanto: Sgarella ha percorso in lungo e in largo – a più riprese – questi luoghi evocativi, toccanti in qualche modo, accompagnata da figure che sono state parte integrante della scena grunge. In tal caso, vere e proprie guide nonché fonti affidabili. Conclude l’autrice: “Qui troverete luoghi di cui non c’è traccia nelle guide ufficiali, perché Seattle, proprio come la sua gente, è una città che ha dovuto passare dalla morte per ritrovare la vita”.

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26th Nov2020

Neo Prog, storia e discografia essenziale. Il nuovo libro di Massimo Salari

by Raffaele Astore
Dalle band storiche come i britannici Pendragon ai Marillion dell’ex Fish, dalle origini del prog al ruolo giocato dai nostri gruppi per la crescita di un genere unico, non derivato ma concepito, e che va sotto il nome di neo prog. Da dischi che hanno fatto la storia come The Sentinel dei Pallas alle band sparse in tutto il mondo, dalle contaminazioni del primordiale genere fino ai nostri gruppi come Le Orme o la Premiata Forneria Marconi che hanno contribuito, e molto, nel nostro paese a far germogliare e crescere tale genere. Ecco, tutto ciò lo si trova nello splendido libro che un’instancabile Massimo Salari ha recentemente dato alle stampe per la Arcana Edizioni. Un libro entusiasmante e trascinante dal quale escono non solo parole e descrizioni, ma anche suoni perché, leggendolo, si ha come l’impressione di ascoltare tutti quei dischi che compongono le varie discografie descritte e riportate.

Un lavoro capillare e ben fatto, un libro che per gli appassionati diventa un vero e proprio viaggio per l’intero globo, un viaggio fatto quasi a voler aggirare i problemi di questo tempo perché, se non è possibile viaggiare con i mezzi e il corpo, almeno con la mente lo si può fare in ogni momento, un libro che oltre ad appassionare spinge a riscoprire quei dischi che da tanto non rispolveriamo ed ascoltiamo e che giacciono lì da troppo inascoltati. Approfondire la storia e la discografia essenziale di questo importante genere progressive non è mai troppo tardi e, Massimo Salari ci aiuta a farlo, anzi è riuscito a spingermi a farlo.

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16th Nov2020

Femita – Femmine Rock dello Stivale

by Marcello Zinno
Un libro sul ruolo femminile nel rock nazionale. In questa semplice frase si racchiude non solo l’audace obiettivo che si è posta Laura Pescatori nella scrittura di questo libro, ma anche l’ammissione della fortissima necessità che la scena sentita nel dover avere una sorta di “testamento”, per le passate ma anche per le future generazioni, sulle donne che hanno rappresentato il rock nel nostro Paese. Ma va sottolineata la chiave di lettura che l’autrice dà all’intero lavoro: per rock Laura Pescatori non si riferisce di preciso al genere musicale (non a caso si parla di Teresa De Sio, Agnese Valle, Sara Loreni e tante altre), ma di donne che hanno rotto gli schemi, che sono andate controcorrente e per questo definite rock. Come possiamo descrivere in altro modo Femita? Un raccoglitore di interviste, un libro il cui concepimento e il relativo sviluppo sono stati relativamente lineari: identificare una serie di personaggi femminili, intervistarli e riportare le interviste a mo’ di testimonianza all’interno di questo libro. E qui c’è un’ulteriore considerazione da fare.

Nell’introduzione della stessa scrittrice troviamo i razionali e gli obiettivi che si pone tramite questo lavoro: il libro parla di “donne che hanno un obiettivo comune, fermare il sessismo nella musica” e ancora l’autrice si domanda “perché la donna nel 2020 fa ancora fatica a venire accettata come rock star, musicista, imprenditrice di se stessa?”. Da questo si intuisce che il lavoro è incentrato sul ruolo delle donne in musica in quanto donna, ma purtroppo quello che è il concetto primordiale dell’opera (il sessismo, le difficoltà per una donna nel trovare date, inserirsi in un mondo fatto di uomini che spesso ragionano per luoghi comuni…) non viene sviluppato nelle interviste condotte da Laura Pescatori. Nell’intervista agli Svetlanas il tema poteva essere approfondito (la stessa Olga, frontwoman della band, organizzava concerti in passato quindi era anche dall’altra parte della barricata) invece si finisce a parlare di politica; nell’intervista a Le Rivoltelle si sarebbe potuto approfondire maggiormente il loro album Donne Italiane, tributo musicale tutto al femminile ma di cui si accenna in una sola domanda; qualcosa viene trattato con le The Cleopatras; con le Killin’ Baudelaire non si affronta per nulla il tema, tanto che le stesse domande potrebbero essere poste ad una band di soli uomini (anche se andrebbe detto che probabilmente le Killin’ Baudelaire hanno tratto vantaggio più che svantaggio dal fatto di essere – belle – donne), così come in molte interviste ci si limita a scorrere la carriera dell’artista (Ambramarie, Cristina Donà…).

D’altro canto, in un lavoro dall’obiettivo così ambizioso e, lo ripetiamo, un lavoro di cui se ne sentiva il bisogno, ci saremmo aspettati molto più spazio sul movimento Rock With Mascara delle sorelle Guandalini (tra l’altro citato da diverse artiste intervistate) e Girls On The Rock di Christine IX, movimenti creati proprio per dare spazio alle donne in musica e che sarebbero, a nostro parere, dovuti essere collocati come pilastro portante del libro. Ecco cosa secondo noi manca in Italia, un racconto di come si è sviluppata la scena rock al femminile, delle alleanze,  degli antagonismi, degli ostacoli, delle realtà che ce l’hanno fatta ma soprattutto di come ce l’hanno fatta, delle soluzioni per abbattere il machismo e di come sarà la scena femminile in futuro nel nostro Paese. Questo è il nostro suggerimento per una seconda edizione di questo libro che speriamo arrivi presto.

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03rd Nov2020

Fast Animals And Slow Kids: Come Reagire Al Presente (il fumetto)

by Marcello Zinno
Un fumetto per una rock band? Sì, un progetto originale, anche se non è la prima realtà musicale ad imbarcarsi in un progetto simile. I fumetti e la musica sono andati spesso a braccetto. Nonostante quindi l’effetto sorpresa, che c’è poco, è davvero interessante per come è stato sviluppato. Come Reagire Al Presente va analizzato separatamente da due punti di vista. Il primo è la storia, il secondo è il fumetto nella sua interezza, come prodotto artistico. Dal punto di vista della storia va detto che si poteva sfruttare molto meglio questa occasione e immedesimarsi meglio in un concept fumettistico creando un giallo o una storia più intricata… la storia (scritta da Lorenzo La Neve e Giacomo Taddeo Traini) è articolata in 150 pagine in cui sembra inizialmente essere separata in storie dei singoli membri della band, salvo poi riunificarsi nella parte finale. Conosciamo fumettisti che in 150 pagine sarebbero stati capaci di farti tenere il respiro bloccato. C’è una sorpresa nella storia (che volutamente non vi sveleremo) ma, nonostante la sorpresa, la storia ha un finale relativamente scontato. Se (e sottolineiamo se) l’obiettivo di questo prodotto artistico era quello di associare disegni e parole alla musica della band, a nostro parere c’erano strade più adatte (una piccola fanzine da distribuire ai concerti o in edicola, magari a puntate, delle grafiche-poster specifiche o ancora dei lavori di animazione per i social) quindi l’impressione è appunto come se non si sia sfruttata l’occasione pienamente.

Mettendo da parte il profilo narrativo, la restante parte del prodotto è assolutamente promossa. La copertina, disegnata da Davide Toffolo, frontman dei Tre Allegri Ragazzi Morti,

crea quindi una sinergia artistica che non può fare che bene alla scena italiana; ma ancora, la presentazione dei singoli musicisti in modo da far sentire più “vicini” i 4 al loro pubblico, il tipo di carta usato sia per le pagine che per le copertine, qualità davvero ottima…e non si può ignorare la resa finale: avere tra le mani questo fumetto riempirà davvero di gioia i collezionisti, oltre che i fan della band. Quindi la conseguenza naturale della nostra analisi è che si tratta di un prodotto ideale per chi appassionati di fumetti o per i feticisti dei prodotti fisici, ma il rischio che loro si affezionino molto più al prodotto che al suo contenuto è alto.

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28th Ott2020

Paolo Carnelli: ’70 x 100 – Il 1970 in musica raccontato attraverso 100 album + 4 saggi monografici

by Raffaele Astore
Con una introduzione a cura di Chris Spedding musicista, cantante, chitarrista, compositore, polistrumentista e produttore discografico che ha fatto parte di diversi gruppi tra i quali ricordiamoi Nucleus, ritorna nelle librerie il nuovo lavoro di Paolo Carnelli, fondatore e direttore del progetto editoriale Open Magazine nonché caporedattore di Prog Italia. Con il titolo’70 x 100 – Il 1970 in musica raccontato attraverso 100 album + 4 saggi monografici questo volume è il primo di una nuova collana editoriale (Musiche & Miti) che vuole raccontare gli anni storici della musica, senza confini di genere: nella scaletta dedicata al 1970 si trovano infatti hard rock e progressive fianco a fianco con la canzone d’autore, il jazz rock, il pop, l’avanguardia e la black music, con lo stesso gusto per la trasversalità che anima da sempre gli ascoltatori più curiosi. Il volume è pensato, scritto e realizzato a più mani ricostruisce attraverso ben 100 dischi un anno, il 1970, in cui tanti generi musicali hanno forgiato quella che poi sarebbe diventata la musica del futuro nei suoi molteplici risvolti di genere. Infatti, alla realizzazione del volume hanno collaborato Davide Arecco, Stefano De Fazi, Domenico Di Giorgio, Simone Ercole, Paolo Formichetti, Massimo Forni, Vincenzo Giorgio, Martino Lorusso, Marco Machera, Roberto Paravani, Eduardo Pisani, Riccardo Storti, Donato Zoppo.

Beatles, ELP, Genesis, King Crimson, Nucleus, Lucio Dalla, Moody Blues, Black Sabbath, Robert Wyatt, Aznavour sono solo una partedell’elenco dei titoli, talmente ampio e variegato, che porrà il lettore nella condizione di trovare nelle pagine qualcosa che sicuramente sia ama o è stato amato…e magari anche qualcosa di cui si ignorava l’esistenza. Con i quattro saggi monografici Carnelli invece ci conduce in quei processi evolutivi che all’inizio degli anni 70 governavano la realizzazione e la diffusione delle produzioni discografiche, sia all’estero (Pink Floyd, Robert Wyatt) che in Italia (Jannacci, Battisti). Paolo Carnelli, se ce ne fosse ancora bisogno, dimostra anche stavolta con questo suo libro, come già accaduto con suoi precedenti lavori, come sia possibile condensare un’importante anno per la musica in un volume di 132 pagine, il primo di una lunga serie di manuali e monografie che Open Magazine intende dedicare alla musica come Paolo ha dedicato gran parte della sua vita giornalistica…e non solo. Il 1970 è un anno straordinariamente importante dal punto di vista musicale. Le intuizioni che avevano caratterizzato la fine del decennio precedente deflagrano completamente, dando vita a nuovi artisti, nuovi gruppi, nuove etichette discografiche, nuovi generi musicali che popolano una scena che si fa sempre più variegata ed eccitante. Alla realizzazione del volume hanno partecipato amici del giornalista-scrittore, che hanno partecipato con entusiasmo rivestendo al tempo stesso il ruolo di ascoltatori attenti ed appassionati.

La selezione dei dischi è avvenuta con l’aiuto dei collaboratori che hanno messo al servizio la propria esperienza, suggerendo un certo numero di titoli entro la propria area di competenza. Ogni indicazione è stata vagliata e ascoltata. Il criterio di selezione adottato non è stato solo meritocratico né, tantomeno, dettato dal gradimento personale. L’obiettivo è stato quello di andare a ricomporre un orizzonte musicale sufficientemente ampio, permettendo al lettore di entrare idealmente dentro a quel meraviglioso flusso in divenire che era la musica rock nel 1970. Ecco perché nell’elenco dei 100 sono presenti anche titoli che trascendono dalla valutazione strettamente artistica, ma che comunque sono stai ritenuti fondamentali per definire la carriera di un artista e di una band o addirittura un intero genere musicale. ‘70 x 100 è un calendario in cui ad ogni mese sono abbinate le rispettive uscite discografiche, ricostruendo in questo modo “il percorso” – si potrebbe dire – emozionale ed energetico del disco stesso. Ogni album poi contiene la segnalazione di una traccia e questo per dare la possibilità a chi non conosce il disco di poterlo inquadrare attraverso l’ascolto di un singolo brano per decidere, poi, se proseguire o meno. Con questo volume, primo di una serie, Open Magazine inaugura la collana Musiche & Miti dedicata alla musica ed ai suoi protagonisti.

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20th Ott2020

Altamont 1969

by Massimo Canorro
Un’istantanea del momento preciso nel quale il sogno della cultura hippy e del pacifismo si affossò in modo definitivo; o meglio, il capolinea di un decennio di amore libero che era mutato in qualcosa di differente, più sporco e feroce. È la foto scattata da Mariopaolo Fadda – architetto, ha vissuto e lavorato per due decadi a Los Angeles, California – e fissata nero su bianco nel volume Altamont 1969, i Rolling Stones e il concerto della morte. Edito da Odoya, il libro (240 pagine, 16 euro) segue – per lo meno idealmente – il connubio intrapreso tra l’autore e la casa editrice lo scorso anno, con la pubblicazione di La famiglia Manson: dall’estate dell’amore all’estate dell’orrore (272 pagine, 18 euro), che ricostruisce le vicende legate al brutale assassinio di sette persone avvenuto nella “città degli angeli” le notti del 9 e 10 agosto 1969. Quell’anno, pochi mesi dopo – per essere precisi: la sera del 6 dicembre – la storia dell’America, ancora una volta, sarebbe cambiata in peggio. Da un punto di rottura (e, per certi versi, di “non ritorno”) all’altro, dunque, lungo un ipotetico filo teso rosso sangue. Nel volume Altamont 1969, dove non mancano i contributi fotografici, Fadda fa il punto su un evento nel quale “il caos più totale ha rubato la scena alla festa, trasformando la libertà in licenza di dare sfogo ai più bassi istinti”.

L’opera ricostruisce la vicenda del famoso – divenuto famigerato – concerto dei Rolling Stones tenuto ad Altamont, California, il 6 dicembre del 1969. Un live consegnato alla memoria come uno dei momenti più cupi della storia del rock; “il lato oscuro di Woodstock” – che si svolse a Bethel, un piccolo centro rurale nello stato di New York, dal 15 al 18 agosto del 1969 – come è stato anche definito. Nel suo libro Fadda – tra gli altri, nel 2004 ha scritto un volume sull’architettura della Walt Disney Concert Hall di Frank Gehry nonché numerosi articoli e saggi su varie tematiche, per il cartaceo e l’online – prende in esame tutti gli aspetti della vicenda, che viene sviscerata in otto capitoli ben strutturati: gli antefatti; e venne il rock’n’roll; e vennero la controcultura e la droga; la scena socio-musicale di San Francisco negli anni sessanta; i protagonisti; il concerto; il film; le responsabilità. Nel dettaglio: dalla programmazione del live all’ardua ricerca della location (scelta a due soli giorni dal live), dalla cosiddetta (purtroppo) “organizzazione” dell’evento allo svolgimento vero e proprio e al caos che ne seguì, culminato con l’assassinio del 18enne afroamericano Meredith Hunter – che era andato al concerto con la fidanzata, di un anno più piccola, Patti Bredehoft – da parte degli Hell’s Angels (nato nel 1948 negli Stati Uniti, il club motociclistico si è poi diffuso in tutto il mondo) reclutati dagli Stones come responsabili alla “sicurezza”.

Tuttavia all’evento parteciparono differenti band. I Santana, primo gruppo in cartellone ad esibirsi, interruppero la perfomance in segno di protesta per le costanti violenze degli Hell’s Angels sugli spettatori. Non solo. Marty Balin, cantante e chitarrista dei Jefferson Airplane, venne aggredito sul palco per essersi opposto, in maniera plateale, ai loro metodi brutali. Altri disordini si accesero quando fu il turno di Crosby, Stills, Nash & Young – il gruppo formato da David Crosby, Stephen Stills, Graham Nash e Neil Young era, insieme agli stessi Jefferson Airplane e Grateful Dead (che ad Altamont rifiutarono di esibirsi per protesta) il simbolo del rock californiano – obbligandoli a interrompersi. Quindi fu la volta degli attesi Rolling Stones (che, nonostante le colluttazioni e gli accoltellamenti appena sotto il palco scelsero di concludere l’esibizione) ma oramai il concerto era finito (nel sangue). Si scrive Altamont, si legge disastro. In tutti i sensi. Il critico musicale, musicologo e saggista Ralph J. Gleason scrisse: “In ventiquattrore abbiamo creato tutti i problemi della nostra società in un’area circoscritta: congestione, violenza, disumanizzazione”. A fargli eco il critico musicale Robert Christgau (“i giornalisti si focalizzarono su Altamont non perché abbia tratteggiato la fine di un’era, bensì poiché ha fornito una metafora multiforme del modo in cui è terminata un’era”) e Michael Sragow, critico cinematografico ed editorialista, che definì l’evento “un colossale, brutto trip di massa”.

Lo stesso Keith Richards, col senno di poi, ammise: “Ad Altamont ho pensato più volte che il concerto sarebbe stato interrotto, ma nessuno sembrava intenzionato a prendere atto dell’incredibile violenza che c’era di fronte al palco. Ripensandoci, non è stata una buona idea chiamare gli Hell’s Angels”. A distanza di mezzo secolo, Altamont 1969, i Rolling Stones e il concerto della morte – che pone particolare attenzione all’analisi del film-documentario dell’esibizione degli Stones, “Gimme Shelter”, per la regia di Albert e David Maysles – persegue, nei confronti del lettore, un duplice obiettivo: fornire un’approfondita riflessione sulla controcultura del tempo e sul contesto socio-musicale che incorniciò l’avvenimento. Senza tralasciare che, come scrive Fadda: “Il 1969 è stato per la musica rock un anno da ricordare ma anche da dimenticare”.

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18th Set2020

The story of life: gli ultimi giorni di Jimi Hendrix

by Massimo Canorro
Sempre più spesso, grazie alla rete, delle rockstar passate a miglior vita conosciamo vita, morte e miracoli. Sappiamo (quasi?) tutto di loro: dall’infanzia all’adolescenza spesso tormentate, fino al grande salto nell’olimpo della musica, passando (non di rado) per eccessi, ricadute e risalite. Eh ahinoi, inevitabilmente, per la loro dipartita. Da qui il peso specifico del volume scritto a quattro mani da Enzo Gentile e Roberto Crema e dedicato agli ultimi giorni di esistenza del genio mancino di Seattle, della chitarra che costruì la storia del rock, del musicista e cantautore capace di innovare l’uso dello strumento nella musica di genere. Ergendosi tra i più grandi rappresentanti artistici del Novecento. “Jimi era stato vestito di broccato di seta verde e aveva l’aria tranquilla e pacifica, quasi come se stesse dormendo o semplicemente pensando con gli occhi chiusi al suo prossimo progetto musicale. È così che mi piace immaginarlo a distanza di cinquant’anni”, scrive Leon Hendrix nella prefazione del libro – dedicato al fratello maggiore – The story of life: gli ultimi giorni di Jimi Hendrix (Baldini+Castoldi/La nave di Teseo, brossurato con alette, 336 pagine, 20 euro), nel quale Gentile – milanese, giornalista professionista, “hendrixiano” dalla nascita – e Crema (presidente dell’associazione culturale “jimihendrixitalia.blogspot” nonché curatore dell’omonimo blog) cercano di capire – soprattutto, di far comprendere al lettore – e scandagliare l’incredibile parabola di Jimi Hendrix, scomparso nella City il 18 settembre 1970 all’età di 28 anni (proprio oggi ricorre il cinquantenario della sua morte).

Il referto medico parlerà di soffocamento da vomito ed uso eccessivo di tranquillanti, nonché di “insufficient evidence of the circumstances”. Circoscrive Gentile: “L’avventura di Hendrix, che stampa e tv da subito annovereranno tra le vittime di overdose, collocando l’artista tra i tanti caduti stroncati dalla droga, viene qui narrata e smentita attraverso uno scrupoloso lavoro di ricostruzione del suo ultimo periodo di vita”. Bizzarro ed impareggiabile già a partire dal nome (all’anagrafe era stato registrato come Johnny Allen Hendrix, ma qualche anno dopo il padre lo fece registrare di nuovo come James Marshall), il ciclone Jimi Hendrix – incrocio fra indiani, neri e bianchi – emerge al pari di un dipinto a figura intera nel ritratto che ne fanno Gentile e Crema. Un’effige sorprendente, intorno alla quale ardono – proprio come la famosa chitarra data alle fiamme sul palco del festival di Monterey, il 18 giugno del 1967 – interrogativi e ambizioni, progetti e riflessioni, gioie e fatica di un musicista che il tempo non ha scalfito. A scalfire l’uomo, semmai, è stata proprio la solitudine dei suoi ultimi giorni, lontano anni luce – ad esempio – dalla mattina del 18 agosto 1969, quando Hendrix salì sul palco del festival di Woodstock davanti a 400mila persone.

Scrive ancora Leon Hendrix: “Un evento, la morte di Jimi Hendrix a Londra, che sarà a lungo esibito e strumentalizzato, oggetto di false informazioni, ipotesi fantasiose e versioni distorte. Ancora oggi qualcosa affiora, di tanto in tanto, nelle cronache e nei libri di storia, come l’overdose per droga spacciata quale causa del decesso”. In The story of life: gli ultimi giorni di Jimi Hendrix, gli autori ricostruiscono, in modo minuzioso, i movimenti, gli incontri, i viaggi, le esibizioni live, la quotidianità sia privata sia professionale di un musicista magistrale (tra i più rilevanti esponenti e promotori del blues revival a Chicago a partire dalla seconda metà degli anni sessanta, il chitarrista Michael Bernard “Mike” Bloomfield definì “un’esplosione di bombe atomiche e missili teleguidati che volavano ovunque” la prima esibizione di Hendrix alla quale assistette). Nel presentare il volume – che è arricchito da un inserto fotografico di 40 pagine, con alcuni scatti inediti, a colori e in bianco e nero – Gentile e Crema sottolineano: “Per comprendere ed esplorare la parabola di Jimi Hendrix nell’ultimo mese di vita ci siamo affidati alle fonti più attendibili: documenti, riviste, giornali dell’epoca, vagliando le interviste più intriganti rilasciate in quei giorni e ascoltando le persone che ne avevano condiviso non solo il palco, ma anche le trasferte e il tempo libero”. Non solo, però, le voci di chi aveva frequentato l’adrenalinico Hendrix.

“The story of life” presenta al lettore un vasto rapporto sulla battaglia legale per l’eredità del musicista dal blues elettrico inconfondibile, chiosando con una serie di contributi di personaggi che sviscerano il loro punto di vista “hendrixiano”: da George Benson a Eric Burdon, da Pat Metheny a Franco Mussida, da Beppe Severgnini a Fabio Treves a Carlo Verdone (che a Hendrix ha dedicato il suo film “Maledetto il giorno che t’ho incontrato” del 1992). Concludono gli autori: “Con ‘The story of life’ abbiamo voluto, come in un’inchiesta giornalistica, fugare le ombre e i segreti di un caso che appartiene di diritto al costume e alle cronache dell’epoca, qui affrontate come un giallo di cui portare alla luce la verità”.

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08th Set2020

Cose Dell’altro Suono – Avventure Musicali In Italia ’50_’90

by Raffaele Astore
Il nuovo libro di Giordano Casiraghi non è solo un viaggio tra gli avvenimenti musicali ed i personaggi che hanno segnato un’epoca, ma è un vero e proprio tuffo in un mare di conoscenza che, ci auguriamo, proseguirà con un altrettanto stupefacente nuovo lavoro del giornalista e conduttore radiofonico. La pandemia sembra ormai passata anche se, personalmente, credo che potrebbe ancora esserci un ritorno infuocato, e comunque sia è ormai appurato che molto dipende dai nostri comportamenti. Nonostante tutto se con l’epidemia in atto abbiamo riscoperto i valori dei piaceri dimenticati, il piacere dei nostri hobby preferiti, il piacere dei momenti in famiglia, adesso, anche se con le mascherine sul volto, si ricomincia a vivere un nuovo mondo. Qualcuno poi, quel nuovo mondo lo vive in maniera del tutto diversa perché, a volte, la vita, pur riservandoci grosse sorprese, continua a volerci bene e, noi, non dobbiamo mai né illuderla né illuderci perché, proprio quella vita, è comunque un bene troppo prezioso da lasciarsela sfuggire. Ma lasciamo queste riflessioni a momenti più intimi e ritorniamo ad occuparci in questo nostro spazio di quella musica che tanto ci ha accompagnato nel periodo più buio e tormentato del corona virus. Stavolta non ci occuperemo di dischi o di band ma, come già accaduto in passato, visto poi che da quando è esplosa la pandemia ci siamo molto dedicati alla lettura, parleremo e proporremo qui ai nostri lettori un libro che, guarda un po’, non solo parla di musica ma è una sorta di prosecuzione del precedente libro scritto dallo stesso autore (Anni 70, Generazione Rock).

Pubblicato il 25 giugno scorso, Cose Dell’altro Suono – Avventure Musicali In Italia ’50_’90, è un libro che coinvolge in un racconto in cui sono tanti i personaggi che vengono trattati, quei protagonisti che hanno poi segnato un’epoca e non solo; si perché quei personaggi riescono ad essere figure di spicco ancora oggi sia per la gente di una certa età come noi, ma anche per tante giovani leve che si avvicinano ad un certo rock con curiosità, quella curiosità che ha animato anche noi in tempi lontani. Certo, ad esempio, nel 52 ancora non eravamo nati (almeno io) ma leggere l’anteprima jazz della Milan College Jazz Society ci ha spinto a diverse curiosità tant’è che ad un certo punto di quel viaggio ci è venuto spontaneo poi, la sera, andare a rispolverare qualche vecchio disco di musica jazz. Poi il viaggio visivo è un altro bell’aspetto del volume ed infatti, la ricchezza fotografica che si ritrova in ogni capitolo ci ha aiutati ancor più in questo itinerario quasi “maniacale” che Casiraghi ha voluto imporci, un percorso che ci ha coinvolto e che coinvolge chi si ritrova tra le mani questo volume. E non c’è proprio bisogno di ascoltare musica mentre lo si legge perché tra le mani abbiamo un libro che “suona”, portando al lettore tutti quei suoni che vanno dagli anni 50 ai 90. Ed il rock italiano passa anche attraverso Adriano Celentano, Enzo Jannacci, ma poi arriva da oltre oceano il vero rock, vale a dire le tournée italiane del 1965 dei Beatles e quella del 1968 del grande Jimi Hendrix.

Ed il viaggio di Giordano continua ricordando Claudio Rocchi, artefice di una stagione indimenticabile, così come lo furono l’avanguardia e l’arte di John Cage fino a giungere alla voce, l’unica voce che nonostante gli anni continuiamo a risentire, quella dell’indimenticabile Demetrio Stratos al quale Casiraghi dedica un capitolo corposo del libro, scritto nato dall’aver interpellato oltre che conoscenti anche musicisti che con lui hanno percorso un pezzo di strada importante per il nostro rock in genere come gli ex Area, Tofani e Friselli oltre che lo stesso Leandro Gaetano che faceva parte della formazione iniziale. E ne parla lo stesso Dijvas che ha fatto parte degli Area prima di trasferirsi sull’altra sponda del prog, quella della Premiata Forneria Marconi. Poi passando attraverso Freak Antoni degli Skiantos si giunge al “venerato maestro” del periodo più fervido, forse, capace di sfornare album come Fetus nel 1972, album di esordio, fino a Gommalacca del 1998 non dimenticando poi La Voce Del Padrone del 1981, L’era Del Cinghiale Bianco del 1979 e così via.

 Cose Dell’altro Suono – Avventure Musicali In Italia ’50_’90 è non solo un libro che racconta avvenimenti musicali e personaggi che hanno segnato un’epoca ma è un vero e proprio viaggio che, come ci auguriamo, proseguirà con un altrettanto stupefacente nuovo lavoro del giornalista e conduttore radiofonico Giordano Casiraghi.

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