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07th Nov2013

Kiss Gene Simmons: L’autobiografia

by Cristian Danzo

Kiss Gene Simmons L'autobiografiaGene Simmons: o lo si ama o lo si odia, come i Kiss. La maggior parte dei suoi detrattori pensa che sia un bassista veramente mediocre, una persona piena di sé che ha fatto successo solo per il suo trucco ed il suo personaggio con la lingua chilometrica. Da fan sfegatato dei Kiss posso affermere tranquillamente alcune cose. Simmons non è per niente un bassista mediocre. Certo non è Jaco Pastorius ma basta ascoltare i primi album del “bacio”, quando se la suonava davvero alla grande ed il suo basso risaltava bene nelle registrazioni in studio. In quanto ad avidità e boria, sicuramente, il nostro raggiunge livelli davvero molto alti e difficilmente eguagliabili. Ma quale rockstar non è piena di sé? Basta girare l’angolo della strada per trovare uno che si crede Dio sceso in Terra. Ma non è detto che questo vada ad inficiare il suo lavoro. Di certo il signore in questione non ebbe per niente un’infanzia felice. Figlio di un’ebrea ungherese scampata miracolosamente al campo di concentramento e all’Olocausto e nato ad Haifa quando lo stato d’Israele era appena stato fondato, fu abbandonato dal padre all’età di 3 anni. Nemmeno si chiamava Gene: il suo nome di battesimo era Chaim Witz. Avendo dei parenti negli Stati Uniti, sua madre con il piccolo decise di emigrare per poter vivere in condizioni almeno dignitose. Fu per l’abbandono di suo padre che appena poté il Demone cambiò nome in Eugene Klein. Da lì in poi si tratta di un bambino che scopre New York, i suoi grattacieli, il cinema, la televisione, i supereroi e, soprattutto, una sera nel salotto di casa sul tubo catodico appaiono quattro individui tutti pettinati e vestiti allo stesso modo che suonano mandando in estasi le ragazzine urlanti: sono i Beatles. Il background culturale di Gene nello sviluppo dei Kiss e del suo personaggio all’interno della band sta tutto qui. Ma ovviamente lui ancora non lo sa.

Così il ragazzone al liceo inizia a suonare in alcune band, a disegnare copertine per fanzine e a comprare fumetti per pochi spiccioli e rivenderli a prezzi di mercato. Ecco apparire il Simmons con un fiuto per gli affari madornale e una gestione da impresa delle sue cose. Tant’è vero che ogni volta che metterà su una band anche amatoriale, redigerà contratti ufficiali battuti a macchina. Anche se assomiglia al fratello illegittimo di Adriano Celentano piuttosto che ad uno scafato rocker, Gene si innamora del fare musica e di tutte le ragazze che gli passano accanto. L’incontro che gli cambierà la vita avverrà quando si stuferà di suonare cover e gli presenteranno un altro ragazzo che compone musica tutta sua, un certo Stanley Eisen. Nascono i Wicked Lester una band con un’idea precisa: i suoi componenti devono tutti assomigliarsi fisicamente, fare rock duro e letteralmente shockare il pubblico. Reclutano un batterista, Peter Criscuola, di origini italiane e con uno stile al limite della malavita. Dopo avere affittato un loft nel Queens e accortisi che come trio la cosa non girava, misero un annuncio sul Village Voice, una rivista che circolava nella grande mela. Ecco presentarsi centinaia di candidati per il ruolo di chitarra solista. Ed ecco apparire un dinoccolato ragazzo con una scarpa arancione ed una rossa che risponde al nome di Paul Frehley. Il puzzle è completo e nascono i Kiss.

I primi anni sono durissimi sempre tra concerti in locali infimi e poi in giro per il Nord America, dopo aver firmato un contratto con la Casablanca Records, acquistando file di fan per le loro performance live estreme, tant’è che il buon Simmons racconta che dopo un certo periodo nessuno voleva più i Kiss come opening act. E poi l’esplosione a livello mondiale con Alive!, lo storico album dal vivo che rivoluzionò il modo di concepire i concerti. Simmons racconta di come la casa discografica non volesse realizzare un live album che in quel periodo era considerata una cosa fuori moda, soprattutto per una band che non aveva venduto tantissimo dei tre precedenti dischi in studio. Eppure il “lingua lunga” aveva ragione. Il suo era un assioma semplice: se non vendiamo tanto in studio ma dal vivo facciamo soldout e mandiamo in visibilio le persone perché non portare l’esperienza su disco? Infatti poco dopo Alive! fu doppio platino.

Tra il successo che cresce e che porta i Kiss ad essere uno dei gruppi più famosi del mondo e le infinite donne che passano dal suo letto, Gene parla anche di come iniziò a gestire la cosa. Lui ha sempre visto i Kiss non solo come musica ma come un universo che poteva spaziare nel cinema, nel fumetto e nei giocattoli. E qui, a sorpresa, il Nostro narra di come si rese conto, ad un certo punto, che forse si era andati troppo in là, accorgendosi che i bambini erano le facce più presenti ai concerti rispetto alle persone adulte. Strano per lui fare un ragionamento del genere visto che i dollari continuavano a infilarsi nelle tasche dei Nostri come un fiume in piena. Ed è stupefacente sentirlo dire che aveva lasciato da parte la band dopo il suo trasferimento a Los Angeles e le proposte di fare cinema. Simmons letteralmente ci svela che frequentare tutti quei vip gli fece aumentare il suo già immenso ego a scapito della sua creatura originaria. E meno male che tornò alle origini rendendosi conto di essere uno scarso attore e di non essere onnipotente. Glielo ricordò anche la morte improvvisa di Eric Carr.

Le pagine del libro ci svelano inoltre i suoi pensieri riguardo a Peter Criss ed Ace Frehley. I problemi e gli abusi dei due sono noti a tutti da anni ormai ma le differenze tra Catman e Spaceman emergono nettamente nei giudizi di Simmons. Il batterista viene fondamentalmente descritto come un bullo di quartiere che minaccia a voce ma poi non arriva mai a concretizzare le sue parole, uno che non è mai cresciuto e che crede sempre che l’arroganza e gli eccessi usati in strada da giovane funzionino ovunque. Insomma, forse stupirà, ma Peter viene descritto come un odioso coglione. Ace invece viene descritto come persona intelligentissima e di gran talento ma pigro oltre che schiavo dei vizi che antepone ai suoi doveri verso la band. Gene ha parole di lode verso lo Spaceman, uno sorta di fratello minore scapestrato che non sfrutta a fondo le sue possibilità. Tant’è che quando Criss fu allontanato fu una decisione irrevocabile, mentre con Ace ci fu una lunga mediazione per convincerlo a rimanere.

Uno dei passi più emozionanti è sicuramente quando Gene racconta della reunion dei Kiss e di come venne annunciata. Vestiti e truccati come 30 anni prima, si presentarono al fianco di Tupac che doveva premiare, semplicemente questo. Il primo ad alzarsi fu Eddie Vedder. Poi tutti gli altri che scoppiarono in un boato. La parte invece più noiosa è la narrazione dell’innamoramento da parte del nostro della sua compagna (a tutt’oggi) Shannon Tweed. Un libro prezioso per i fan e per i detrattori. Che potranno odiarlo, così, ancora di più.

Category : Articoli
Tags : Libri
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22nd Ott2013

The Dirt (Mötley Crüe)

by Cristian Danzo

TD_C2.inddPremetto subito che questo libro lo ordinai dagli Stati Uniti per un semplice motivo: la prima edizione italiana a cura della Sperling & Kupfer non era integrale. Probabilmente per i fini palati italici certe parti erano troppo sopra le righe, ma parlando dei Crüe alla fine cosa credevano di dover pubblicare? Non di certo il “Manuale delle giovani marmotte”. Finalmente la Tsunami edizioni lo riedita per il mercato italiano privo di qualsivoglia taglio. Uno dei pregi più grandi di The Dirt sta nel fatto che i quattro Mötley narrano in prima persona gli eventi della loro vita che li hanno portati poi ad imbracciare gli strumenti musicali e dare origine a questo mostro ambulante. Già, proprio così, mostro. Sicuramente in ambito hard rock negli anni ’80 non esisteva nessuna band così sopra le righe soprattutto fuori dal palco. Si parte proprio dall’infanzia di Nikki, Vince, Tommy e Mick. Perché per capire i tormenti e gli atteggiamenti che affliggevano il combo californiano è necessario indagare le basi su cui si sono formate le loro personalità. Soprattutto Nikki Sixx. Abbandonato e sempre rifiutato dal padre, con una madre depressa e afflitta da varie dipendenze, al di là dell’atteggiamento spavaldo mostrato anche in gioventù si viene in realtà a scoprire che il bassista andava a riempire con la musica e, soprattutto, con sostanze di ogni tipo il vuoto che si era sempre portato dentro. Dagli inizi in un appartamento di Los Angeles sempre teatro di alcol, droghe, scopate, spazzatura e sporcizia fino all’incredibile successo planetario raggiunto con quell’album perfetto che risponde al titolo di Dr. Feelgood, all’esaurimento di quel tour infinito che registrava sold out ovunque arrivasse, all’allontanamento violento di Vince Neil. Tutto questo è racchiuso nelle pagine di The Dirt.

Alcuni passi sono molto curiosi. Ad esempio Nikki Sixx racconta che mentre componeva Shout At The Devil dovette cambiare alcuni testi delle canzoni poiché strani eventi soprannaturali stavano succedendo nella casa in cui lui e Lita Ford, la sua fidanzata dei tempi, vivevano. Erano terrorizzati e convinti che il tutto si stesse verificando perché il bassista studiava la magia nera e l’occulto visto che il disco doveva affrontare quelle tematiche. Oppure leggere di un Tommy Lee completamente succube e disperato per l’abbandono da parte di Pamela Anderson. È abbastanza sconcertante e sorprendente vedere come un menefreghista che si è passato nella sua vita non si sa nemmeno quante ragazze possa ridursi per quello che ai tempi considerava l’amore eterno della sua vita. Per il resto i Crüe parlano a ruota libera in maniera molto aperta dell’odio che provavano l’uno per l’altro, del fatto che Nikki e Tommy fossero uniti non per un’amicizia sincera ma solamente perché erano quelli che si facevano di eroina. Addirittura si rimane sbalorditi quando Sixx afferma che Girls, girls, girls è un album di merda tenuto a galla solo dai due singoli e dal fatto che la band si trovasse sulla cresta dell’onda e il tutto per colpa sua, non in grado di comporre, in quel periodo in cui lui pensava solo a farsi e a come reperire continuamente droga. Cosa che lo porterà ad un passo dalla morte e che sfocerà nella sua convinzione di ripulirsi completamente, generando poi Dr. Feelgood.

Sicuramente i momenti più drammatici ed emotivi del libro sono le pagine che narrano della malattia e morte di Skylar, la figlia di Vince Neil scomparsa a soli 4 anni per un tumore che si era diffuso in tutto il corpo. Il biondo cantante racconta delle terapie, le numerose operazioni subite, le giornate intere passate negli ospedali. Ed anche la morte di Razzle, il batterista degli Hanoi Rocks, provocata sempre da Neil che, alla guida della sua auto e completamente ubriaco, stava andando a comprare altre bottiglie in compagnia del suo amico. Neil a quel punto, in vista del tour di Theatre Of Pain e con un’accusa di omicidio che pendeva sulla sua testa, con il rischio di una pena carceraria elevatissima, venne abbandonato dagli altri che lo vedevano come causa di un eventuale tour sospeso e quindi della fine della carriera dei Crüe. L’unico a parlare anche dell’aspetto musicale è Mick Mars che fin dall’inizio era l’unico dei quattro a concepire la band non come un modo per fare bagordi e sesso (non che il chitarrista si sia risparmiato sotto questo punto di vista, anzi) ma come la via per mantenersi e per fare musica e per rivalersi contro chi fin da bambino lo considerava uno sgorbio a causa della sua malattia alle ossa ultradolorosa che non aveva cura e che gli causava non pochi problemi di postura, deambulazione e aspetto.

Un grandissimo libro da gustare fino all’ultima pagina. Per comprendere l’universo Mötley Crüe e calarsi interamente nella storia della band più oltraggiosa del mondo.

Category : Articoli
Tags : Libri
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25th Set2013

Led Zeppelin – La storia orale: il libro

by Giuseppe Celano

Di libri sui Led Zeppelin ne sono stati scritti un numero consistente, a partire dal celeberrimo Hammer Of The Gods fino a quest’ultimo Led Zeppelin – La storia orale, licenziato da Barney Hopkins e uscito per l’attenta casa editrice Arcana. Cosa dire sulla band che ha polverizzato tutti i maggiori record del mondo (musicale) stabilendone di nuovi e a quanto pare inarrivabili? Cos’altro c’è d’aggiungere sui mitici concerti di più di 4 ore, sulle quantità spropositate di droghe assunte, sulle innumerevoli groupie che si contendevano le quattro menti (forse sarebbe meglio dire corpi) geniali che la fortuna aveva messo insieme per puro caso? Niente che non sia stato già detto in varie salse. La differenza con gli altri lavori sta nella capacità di Hopkins di fotografare su carta le opinioni spesso contrastanti degli addetti ai lavori, dei conoscenti, degli amici e di quelle figure chiave che dietro lo Starship hanno reso possibile questo mitico volo. Da Ahmet Ertgun a Peter Grant (vero quinto membro della band) passando per il poco raccomandabile tour manager Richard Cole fino al temibile Bindon, Barney scava profondamente nella psiche dei narratori ricavando uno squarcio quanto più fedele a ciò che veramente successe in quegli anni. Si va dalle sbornie micidiali che trasformavano John Bonham nell’incontrollabile “bestia” alle quantità di cocaina tirate su da Grant con un mestolo, dal rapporto di Jimmy Page con il magico mondo di Aleister Crowley alla sua dipendenza da eroina “gentilmente” offertagli da Keith Richards. Lo scrittore arriva dove gli altri si erano bloccati fornendo un quadro completo del mondo zeppeliniano e dell’estenuante vita in tour, dalle minacce di morte alla paranoia assoluta del tour americano del 1975 che già il buon Stephen Davis ha descritto nella sua ultima fatica.

Immancabili i passaggi della morte di Karac, figlio di Plant, dell’incidente a Rodi e del ritrovamento del cadavere di Bonzo nella casa di Page. Ma c’è molto altro, l’interessantissima descrizione di ciò che era il blues in divenire in Inghilterra, partendo dal 1964 fino allo zenith dello stesso per come lo conosciamo ora. Non manca anche la fase successiva allo scioglimento della band, le sporadiche reunion, i progetti collaterali naufragati per vecchi rancori e conflitti fra ego spropositati, le ferite mai rimarginate fra Page e Plant e l’immancabile serie di motivazioni, più o meno valide, per cui la reunion con tour mondiale non è mai andata in porto. In quasi 500 pagine raccontate dai fortunati testimoni di quella che nel 1973 senza ombra di dubbio era e rimarrà la più grande rock band del mondo, troverete squarci emozionanti, passaggi che vi lasceranno a dir poco basiti e altri che vi faranno piombare in un mondo magico di cui avreste voluto esser parte integrante, anche per un solo giorno. Imperdibile!

 

Autore: Barney Hopkins
Arcana Editrice
2013

Category : Articoli
Tags : Libri
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25th Giu2013

La musica è il mio radar: il libro

by Marcello Zinno

Esistono molti libri sulla musica. Tanti trattano biografie, altri sono dei diari degli artisti, altri raccolgono tutti i testi di una band ed altri ancora sono delle vere e proprie classifiche degli album più influenti di un certo genere. Chissà per quale motivo esistono però pochi libri che mescolano la musica in racconti diversi, libri che parlano di persone che nella propria vita hanno “vissuto” la musica e sentono il bisogno di condividerla. Non parliamo di un fan che al concerto della band X ha atteso una giornata intera fuori alla venue per provare l’orgoglio di essere attaccato alla transenna o chi per fortuna o per capacità ha afferrato una bacchetta lanciata dal proprio drummer preferito. Ci riferiamo a racconti normali, di gente comune, per cui in un istante, in un periodo o nel corso della propria intera vita, la musica ha rappresentato qualcosa di veramente importante. Non musicisti, non operatori del music business, ma semplici ascoltatori che sono stati in grado di cogliere le emozioni da una certa canzone e farle proprie per sempre. Questa l’idea di Massimiliano Nuzzolo che ha raccolto una preziosa rosa di amici scrittori e ha dato spazio a ciascuno per un personale racconto in cui, anche se a prima vista non sembra, la musica vive un ruolo centrale.

I racconti sono i più disparati: si va da Ugo Sette e la sua passione per il walkman rigorosamente di marca a Raul Montanari e il progressive rock con i suoi attacchi di panico, o ancora da Federica De Paolis e il suo antagonismo emozionale con Francesco De Gregori e l’immancabile citazione del vinile e del suo splendore per Richard Blandford. Il libro, dal titolo La Musica È Il Mio Radar, si legge con un sorriso tra le labbra e in molti racconti si possono trovare eventi che sono accaduti anche a noi o un certo artista che ha suscitato le stesse emozioni anche nella nostra vita. Bellissimo il racconto di Renzo Di Renzo che si immedesima negli scomodi panni di una ragazza omosessuale a cui la vita ha portato via la sua compagna, ma più di tutti colpisce il racconto di Gianluca Morozzi che prende in prestito la discografia dei Diaframma per raccontare la sua vita, dal primo album acquistato al negozio Nannucci di Bologna (che bei tempi quando c’era…) ai viaggi in auto fino agli amori vagabondi. Interessante anche la storia dello stesso Massimiliano che unisce ricordi e racconti bellici (sacro) con la vita di una sveglia (profano) riuscendo a far convivere umori e stati d’animo completamente differenti.

Un classico libro da leggere a puntate in cui ogni scrittore ha il suo affascinante stile e la sua favola. A noi sono piaciute anche la “grunge-story” di Tommaso Pincio, la bellissima metafora tra vita e album di Federico Moccia, la visione del rock e del punk di Marco Di Marco che avrebbe molto da insegnare a tanti redattori, discografici e genitori. La Musica È Il Mio Radar è pubblicato in collaborazione con AMREF le cui royalty sono devolute a quest’associazione che contribuisce allo sviluppo socio-sanitario dell’Africa da oltre 50 anni (al seguente link il sito web di AMREF). Un ottimo esempio di come la musica possa aiutare spiritualmente e materialmente le persone tutte e noi non possiamo far altro che sostenere questa causa.

Category : Articoli
Tags : Libri
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