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21st Ott2019

Trivium – The Sin And The Sentence

by Marcello Zinno
Dopo due capitoli che avevano fatto calare le quotazioni della band (Vengeance Falls e Silence In The Snow) il rischio che la parabola dei Trivium fosse definitivamente discendente era più che un timore e molti fan aspettavano il nuovo album per capire se la band avesse ancora da dire in ambito metalcore. Sul finire del 2017 arrivò The Sin And The Sentence con l’ennesimo cambio di drummer (Alex Bent al posto di Mat Madiro) e un livello qualitativo decisamente più alto. Innanzitutto si tornò con coraggio allo stile delle origini, Matt Heafy decise di “rispolverare” il suo growling e diverse furono le tracce che svettarono sull’album. Già l’opener e titletrack mostra un ottimo pre-chorus e chorus con un’alternanza tra voce pulita e growl, azzeccatissimo per le occasioni live; inoltre la traccia presenta una parte finale che sancisce l’intenzione della band di voler ripristinare la sua leadership nella scena metalcore. Betrayer, The Wretchedness Inside (quest’ultima ispirata ai primissimi album), Sever The Hand (con una parte centrale al fulmicotone) sono i passaggi più decisi con i quali si vuole ripartire dal perioro pre-In Waves e puntare a incursioni decisamente metal pur sempre con la melodia che ha sempre caratterizzato il progetto. Ma proprio nella ricerca di avere una resa live ottimale la band piazza Beyond Oblivion come seconda traccia: anche qui da notare il pre-chorus che viene cantato da una folla di persone (esperienza da replicare sul palco) e un chorus in classico stile Trivium dei primi tre album.

Non mancano brani in cui Matt opta per la sola voce pulita (Other Words, Endless Night) ma a differenza degli album passati qui il risultato è decisamente migliore complice un songwriting decisamente più ricercato e strutturato. Vero anche che la timbrica di Matt è sicuramente maturata e a tratti ci sembra di ascoltare brani dei Queensrÿche e questo la dice lunga. La maturazione è comunque dei Trivium nel complesso e questo viene dimostrato da pezzi come The Heart From Your Hate, un brano che ha una strofa pop metal ma che esplode in un ritornello che elargisce energia come loro non facevamo da anni e dal risultato complessivo più che positivo, ma anche da brani dal sound decisamente moderno come The Revanchist (di nuovo quotiamo i Queensrÿche dell’ultimo periodo al netto del growl ovviamente). Non c’è da aggiungere, con The Sin And The Sentence i Trivium sono tornati e si riprendono lo scettro di band metalcore dal valore planetario.

Autore: Trivum Titolo Album: The Sin And The Sentence
Anno: 2017 Casa Discografica: Roadrunner Records
Genere musicale: Metalcore Voto: 7,75
Tipo: CD Sito web: http://www.trivium.org
Membri band:
Matt Heafy – voce, chitarra
Corey Beaulieu – chitarra, voce
Paolo Gregoletto – basso, voce
Alex Bent – batteria, percussioni
Tracklist:
1. The Sin And The Sentence
2. Beyond Oblivion
3. Other Worlds
4. The Heart From Your Hate
5. Betrayer
6. The Wretchedness Inside
7. Endless Night
8. Sever The Hand
9. Beauty In The Sorrow
10. The Revanchist
11. Thrown Into The Fire
Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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14th Ott2019

Trivium – Silence In The Snow

by Marcello Zinno
Il percorso imboccato dai Trivium con il precedente Vengeance Falls di cui abbiamo parlato a questa pagina, che si allontanava pian piano dal thrash metal abbracciando un heavy metal più rotondo, trova consolidamento nella successiva uscita Silence In The Snow. Se però questo sembra essere un dato scevro da giudizi di sorta, con questo seguito dobbiamo riconoscere che la band perde mordente. L’artwork di Silence In The Snow è rivelatore: nella storia dei Trivium non si era mai vista una copertina così poco accattivante e forse dovrebbe far intuire qualcosa a chi si avvicina a queste undici tracce per la prima volta. Come sempre i Nostri ci tengono a piazzare le più poderose hit ad inizio tracklist e subito dopo un’intro (Snøfall, diversamente ispirato dalla musica classica) arriva la titletrack che se tradisce in potenza sicuramente trasmette tanto pathos con il pre-chorus e il chorus, benzina per le corde vocali del pubblico in sede live. Matt Heafy si concentra nel suo cantato su linee pulite, sul giocare con le tonalità e sul rafforzare l’aspetto melodico, a discapito della irruenza dei primi lavori che avevamo ritrovato anche in In Waves. Questo è uno dei maggiori punto di debolezza dell’album che spesso porta i Trivium su lande pop (Pull Me From The Void, Rise Above The Tides) e più in generale potremo dire che li allontana dalle radici molto Metallica style e li avvicina a realtà come gli Avenged Sevenfold (Bling Leading The Blind).

Per godere di un po’ di palm mute e chitarre prodotte con coraggio bisogna attendere l’intro di Dead And Gone ma nel prosieguo del brano (e della tracklist) viene fuori molto di più la voce di Matt che non l’irruenza degli amplificatori; anche Until The World Goes Cold va in questa stessa direzione. The Ghost That’s Haunting You è un brano davvero troppo semplice per i Trivium che conosciamo, peggiorato dalla sensazione di ricordarci i Dream Theater del periodo Six Degrees Of Inner Turbulence, quindi fuori dal loro habitat naturale. Qualcosa si salva in Until The World Goes Cold e The Thing That’s Killing Me ma comunque troppo poco rispetto a quanto gli americani ci hanno abituati.

C’è qualche brano che piacerà a chi è abituato a masticare heavy metal, nel senso più stretto del termine, ma a nostro parere Silence In The Snow resta il punto più basso della discografia dei Trivium. Fino ad ora.

Autore: Trivum Titolo Album: Silence In The Snow
Anno: 2015 Casa Discografica: Roadrunner Records
Genere musicale: Metalcore Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://www.trivium.org
Membri band:
Matt Heafy – voce, chitarra
Corey Beaulieu – chitarra, voce
Paolo Gregoletto – basso, voce
Mat Madiro – batteria, percussioni
Tracklist:
1. Snøfall
2. Silence In The Snow
3. Blind Leading The Blind
4. Dead And Gone
5. The Ghost That’s Haunting You
6. Pull Me From The Void
7. Until The World Goes Cold
8. Rise Above The Tides
9. The Thing That’s Killing Me
10. Beneath The Sun
11. Breathe In The Flames
Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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10th Ott2019

As I Lay Dying+Chelsea Grin+Unearth+Fit For A King@Magazzini Generali (MI)

by Marcello Zinno
A memoria del sottoscritto era davvero molto tempo che un festival (o anche mini festival) dedicato alle sonorità metalcore non avesse luogo ai Magazzini Generali, location cupa e sufficientemente spaziosa per ospitare i tantissimi (giovani) fan di queste sonorità. Ieri è stata l’occasione perfetta, non solo per festeggiare il ritorno in Italia degli As I Lay Dying (dalle nostre parti 11 mesi fa) ma anche per assistere ad esibizioni di band di primo livello nella scena e che stanno raccogliendo consensi anche nel “vecchio continente”.

Siamo giunti ai Magazzini Generali alle ore 20:00, orario riportato nelle informazioni sull’evento come ora di inizio concerti; purtroppo però non solo i Fit For A King erano già sul palco ma erano giunti già ai brani di chiusura e abbiamo potuto ascoltare solo Tower Of Pain che comunque ha regalato un vigoroso circle pit. Il pubblico, arrivato a fine serata all’incirca a 600-700 presenze, era già numeroso e in trepida attesa degli Unearth, seconda band americana a scaldare il pubblico. Il quintetto ha mostrato tutta la sua professionalità, comprovando i 20 anni di carriera alle spalle anche tramite un Trevor Phipps (cantante) che ha messo in luce la padronanza di palco, voce e pubblico. Uno show da vera band internazionale che ha colpito anche per l’impatto sonoro, ben ancorato al metalcore ma con delle incursioni in un territorio technical che ha ulteriormente rafforzato le loro quotazioni. Zombie Autopilot è stato uno dei momenti che ha acceso la miccia anche di là del palco, con pogo forsennato e sudore che si misurava con il termometro. Ad essere pignoli avrebbero meritato un posto diverso nel bill, ma ciò che importa è la resa finale.

Sui Chelsea Grin avevamo aspettative molto alte, l’ultimo Eternal Nightmare ci aveva positivamente impressionati anche grazie ad una ricetta più vicina al deathcore che non al metalcore internazionale. In sede live non hanno sicuramente deluso il pubblico, che ha dimostrato di essere in forma anche durante la loro esibizione, ma dobbiamo ammettere che la resa in cuffia paradossalmente ci è piaciuta di più. Molto forte l’impatto della sezione ritmica, il suono della chitarra al contrario restava in secondo piano non riuscendo a conferire quella giusta potenza (anche melodica) al sound complessivo; ottimo il contributo del drummer mentre ci aspettavamo qualcosa di più in termini di riff e muro del suono, cosa che ascoltando l’album fuoriesce con una certa evidenza. Lo show si è concluso con la decisa Hostage, brano estratto proprio dall’ultimo lavoro.

Infine hanno preso possesso del palco gli attesissimi As I Lay Dying con uno show assolutamente incendiario. Tim Lambesis, dall’alto del suo fisico possente e delle sue instancabili prestazioni vocali in growling, ha attirato l’attenzione dei presenti; inoltre la giusta alternanza tra parti in growl e le parti clean del bassista Josh Gilbert durante i chorus hanno sottolineato uno degli elementi portanti della proposta degli As I Lay Dying, il binomia che firma molti dei loro successi. Non a caso la maggior parte dei chorus sono stati cantati da gran parte del pubblico presente, il coinvolgimento è stato molto elevato, segno che anche al di qua dell’oceano ci sono molti fan della band americana. Anche i brani dell’ultimo lavoro, Shaped By Fire uscito meno di un mese fa, erano ben noti al pubblico e spesso cantati a squarciagola. Il momento più violento si è presentato senza dubbio con la titletrack che non è riuscita a tenere nessuno fermo. Un’esibizione potente anche nei suoni, un macigno la batteria di Jordan Mancino, coerente all’impatto stilistico della band. Così si è concluso il quadro delle quattro formazioni statunitensi che sono attualmente in tour in Europa e che stanno portando ciascuna nuova linfa alla ormai variegata (e iper popolata) scena metalcore mondiale.

Live del 9 ottobre 2019

Category : Live Report
Tags : Metalcore
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07th Ott2019

Trivium – Vengeance Falls

by Marcello Zinno
Con In Waves i Trivium avevano alzato le loro quotazioni, dopo un interlocutorio Shogun, e dato ancora più potenza al loro stile. Ormai avevano poco da dimostrare che non avevano già offerto tramite le precedenti uscite, eppure dopo soli due anni uscirono con un nuovo lavoro dal titolo Vengeance Falls. Pur se ancorati al metalcore dagli appigli thrash, i Trivium avevano alternato album in cui il growl era l’unica forma di espressione vocale ad altri in cui il Matt clean e le linee più melodiche prendevano il sopravvento, seppur negli ultimi album avevano mescolato le carte e mostrato entrambe le personalità. In Vengeance Falls sembra che la vena più metalcore, inteso nel senso più potente e muscoloso del termine, lasci spazio ad un heavy metal più affilato con riffing sì molto compatti e appuntiti ma anche più sottili rispetto alle esuberanze metal del passato in cui il quartetto poteva essere apprezzato anche da chi era abituato ad ascoltare metal estremo. Basta ascoltare la title track per capire che pur trovandoci dinanzi i Trivium, il loro approccio è cambiato, ma anche l’incipit di Strife dice molto, praticamente potete dimenticare i Metallica a cui la band si rifaceva in passato e potete citare band più allineate all’heavy metal classico come i Judas Priest. Un altro esempio è il brano To Believe che, per come è impostato, fino a qualche anno prima sarebbe stato caratterizzato da un growling continuo e invece qui Matt opta per una voce molto pulita.

In questo contesto i chorus, che già in passato erano caratterizzati da una certa vena melodica, acquisiscono una leggerezza maggiore e si fanno ascoltare con più facilità. Buoni comunque alcuni brani come Through Blood And Dirt And Bone in cui il rifferama esce fuori o anche Villainy Thrives con le sue strofe con un palm-mute e chitarre asimmetriche, per comprendere che Vengeance Falls non è un album da scartare, piuttosto un lavoro diverso che se paragonato con la precedente discografia dei Trivium perde su diversi fronti; la nostra opinione è che andrebbe messo al confronto con album più in generale di heavy metal, lì di sicuro può giocarsi le sue carte.

Autore: Trivum Titolo Album: Vengeance Falls
Anno: 2013 Casa Discografica: Roadrunner Records
Genere musicale: Metalcore Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: http://www.trivium.org
Membri band:
Matt Heafy – voce, chitarra
Corey Beaulieu – chitarra, voce
Paolo Gregoletto – basso, voce
Nick Augusto – batteria, percussioni
Tracklist:
1. Brave This Storm
2. Vengeance Falls
3. Strife
4. No Way To Heal
5. To Believe
6. At The End Of This War
7. Through Blood And Dirt And Bone
8. Villainy Thrives
9. Incineration: The Broken World
10. Wake (The End is Nigh)

Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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30th Set2019

Trivium – Shogun

by Marcello Zinno
Ascendancy e The Crusade erano stati dei grandi successi che avevano catapultato i Trivium sullo schermo del metal internazionale. Diversi per certi versi ma pur sempre aderenti ad una visione di metalcore che è ancora oggi il marchio di fabbrica della band e più in generale del genere. Dopo soli due anni da The Crusade (di cui abbiamo parlato a questa pagina) arrivò Shogun, un album influenzato dalla cultura giapponese, e in parte potevamo immaginarlo dopo aver ascoltato il brano Becoming The Dragon. Niente paura, non ci sono incursioni in suoni e musiche orientali, siamo sempre nel metalcore che ha reso famosa la band, eppure questo lavoro lo consideriamo un album di transizione tra The Crusade e In Waves. Ancora una volta la band intende aprire l’album con dei brani killer, e così Kirisute Gomen presenta distruzione in ogni passaggio, riprendendo anche il growling che in The Crusade era mancato ai fan della prima ora e che invece aveva caratterizzato Ascendancy; il growling caratterizza anche altri brani come in Throes Of Perdition e addirittura in alcuni momenti Matt opta per strofe in clean e ritornello in growl (Insurrection) mentre in passato capitava quasi sempre il contrario. Nel complesso è una dichiarazione di intenti, nel senso più death metal del termine, che prosegue in diversi momenti molto potenti.

Ad un ascolto attento si noterà che la struttura dei brani è praticamente quasi sempre la stessa: strofa/bridge/strofa/bridge/chorus/parte strumentale/bridge/chorus. Si tratta della colonna portante del songwriting di Matt Heafy a cui vengono apportate piccole variazioni ma che in parte smorza l’ “effetto sorpresa” dell’ascoltatore. Dal punto di vista strettamente musicale non ci sono molte novità rispetto al passato: Torn Between Scylla And Charybdis sembra un (bellissimo e potentissimo) estratto di The Crusade, Into The Mouth Of Hell We March (che ispirò il titolo del loro tour) non è nuovo ai fan storici, Like Callisto To A Star In Heaven è un ottimo connubio di metal e di melodie. Da segnalare la riuscitissima Insurrection un brano che ricalca le radici thrash metal del gruppo dimostrando però un’irruenza che molte band anche all’esordio si sognerebbero, meno riuscita invece He Who Spawned The Furies che non possiede quel metal luccicante delle altre tracce. La titletrack che chiude l’album non ci convince a pieno ma presenta un intermezzo quasi acustico che ci piace, non solo perché rappresenta l’ (unico?!) elemento di rottura rispetto al passato.

Il punto di forza dei Trivium è ancora una volta legato ai ritornelli che rendono i brani non solo identificabili ma un must da urlare a squarciagola durante i loro concerti; in questo Shogun non è altro che l’ennesima conferma. Purtroppo proprio poco prima del tour di promozione di questo album il batterista Travis Smith decise di lasciare la band e, dopo forti dubbi sul prosieguo del progetto, i restanti decisero di continuare con il nuovo entrato Nick Augusto. Ne uscirà In Waves.

Autore: Trivium Titolo Album: Shogun
Anno: 2008 Casa Discografica: Roadrunner Records
Genere musicale: Metalcore Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.trivium.org/
Membri band:
Matt Heafy – voce, chitarra
Paolo Gregoletto – basso
Travis Smith – batteria
Corey Beaulieu – chitarra, voce
Tracklist:
1. Kirisute Gomen
2. Torn Between Scylla And Charybdis
3. Down From The Sky
4. Into The Mouth Of Hell We March
5. Throes Of Perdition
6. Insurrection
7. He Who Spawned The Furies
8. Of Prometheus And The Crucifix
9. The Calamity
10. Like Callisto To A Star In Heaven
11. Shogun
Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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23rd Set2019

Trivium – The Crusade

by Marcello Zinno
Il sogno targato Trivium continua e dopo Ascendancy di cui avevamo parlato a questa pagina, la band pubblica un nuovo album dal titolo The Crusade. L’album è ideato completamente durante il tour del precedente lavoro, tour che ha portato la band ad aprire per act miliari del metal, come Korn, In Flames e Metallica. Si dice che per molte realtà il terzo album sia quello della consacrazione e nessuna definizione può essere più azzeccata nel caso di The Crusade che permette ai Trivium di avviare il primo tour europeo da headliner, prima accompagnati da band minori, ma poi in una seconda tornata con in apertura realtà del calibro di Annihilator e Gojira. Eppure The Crusade non è la semplice conferma di Ascendency, bensì un cambio di rotta: il growling viene abbandonato e le influenze dei Metallica diventano molto più evidenti.

Già dall’opener Ignition si intuisce la nuova direzione stilistica che con cantato solo in clean piace e non perde un’oncia dello stile Trivum, stesso dicasi per Entrance Of The Conflagration, brano fitto e veloce, adatto per i thrasher più incalliti ma che apprezzano una produzione moderna (da premiare la parte strumentale). Detonation è un piccolo salto al passato, soprattutto quando viene urlato “De-to-na-tion” anche se il momento più affascinante del pezzo è ancora una volta il chorus. Anthem (We Are The Fire) possiede un ritornello capace di incendiare il pubblico in sede live, ma anche in questo album non è la morbidezza l’elemento ricercato dal quartetto. Dobbiamo ammettere che a partire da questo The Crusade vengono fuori le influenze thrash proprie dei Metallica, due brani come Becoming The Dragon e To The Rats sono la prova inconfutabile di questo fenomeno, anche se indizi sono sparsi in varie tracce.

Ma i Trivium non sono solo riff bensì anche testi. In Embrage Of The Conflagration parlano della religione vista come una prigione per la mente umana, in Unrepentant raccontano la storia di un padre che ha saputo che una delle sue figlie ha commesso adulterio e lui, per una questione di onore, preferisce ammazzarle tutte (curioso il gioco tra “daughter” e “slaughter” già usato dagli Iron Maiden con il brano Bring Your Daughter…To The Slaughter del 1990). Un plauso al bassista Paolo Gregoletto che viene fuori in alcuni momenti con grande sapienza e caparbietà e una sottolineatura per la titletrack sul finale che vira verso un technical prog metal davvero incredibile. Un lavoro che sarà la loro consacrazione e che per certi versi porrà ogni futuro album targato Trivium ad un ovvio confronto rispetto a The Crusade e al suo predecessore.

Autore: Trivium Titolo Album: The Crusade
Anno: 2006 Casa Discografica: Roadrunner Records
Genere musicale: Metalcore Voto: 8,5
Tipo: CD Sito web: http://www.trivium.org/
Membri band:
Matt Heafy – voce, chitarra
Paolo Gregoletto – basso
Travis Smith – batteria
Corey Beaulieu – chitarra, voce
Tracklist:
1. Ignition
2. Detonation
3. Entrance Of The Conflagration
4. Anthem (We Are The Fire)
5. Unrepentant
6. And Sadness Will Sear
7. Becoming The Dragon
8. To The Rats
9. This World Can’t Tear Us Apart
10. Tread The Floods
11. Contempt Breeds Contamination
12. The Rising
13. The Crusade
Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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16th Set2019

Trivium – Ascendancy

by Marcello Zinno
Se Ember To Inferno (di cui abbiamo parlato a questa pagina) fu il trampolino di lancio dei Trivium, Ascendancy fu la vera esplosione tanto che portò due grandissimi risultati alla band, due di quei traguardi che ogni band sul pianeta sogna di poter raggiungere prima o poi: la firma con un’etichetta discografica dalla visibilità internazionale, nel loro caso la Roadrunner Records, e una serie di live che li hanno portati in diversi contintenti e Paesi, dall’Europa al Giappone. Risultati assolutamente meritati visto che Ascendancy sarà un album amatissimo dai fan fino ai giorni nostri. L’album si apre con un intro curatissimo da brividi, che fa calare subito l’ascoltatore in uno stato di ansia predisposto a scontarsi contro il muro di Rain, prima vera traccia dell’album, un tir che trasporta metalcore oltre la portata massima prevista. La ricetta è quella collaudata dalla band: strofe e pattern in pieno stile metalcore, con tanto di growling e riffing death, per poi aprirsi a chorus clean che ti si stampano nella mente e creano dipendenza, spingendoti al riascolto perpetuo. Ma se Rain ha stupito, Pull Harder On The Strings Of Your Martyr (uno dei quattro singoli estratti dall’album) non può che lasciare a bocca aperta, sia per irruenza metal sia per melodia nel chorus; i sostantivi che compongono il titolo scanditi nel ritornello fanno di questa traccia una killer attack per le esibizioni live, passaggio che viene poi ammorbidito adeguatamentedal chorus ma sempre in un contesto metal e con chitarre ispiratissime. E siamo solo alla traccia numero 3.

Cattivissima la titletrack, compatta e che non rallenta minimamente dimostrando che la band non intende diluire il proprio stile a favore di impronte meno pungenti. Approccio diverso (le parti clean vengono solo sul finale con un’imprinting thrash) ma medesimo risultato in A Gunshot To The Head Of Trepidation, altro pezzo da 90, un brano che non può che far innamorare ogni fan del metalcore; lodevoli il doppio assolo e la parte strumentale. Su queste coordinate va assolutamente ascoltato un altro singolo estratto dall’album, ovvero Like Light To The Flies; da sottolineare anche la parte centrale di Suffocating Sight con delle chitarre che sembrano un mitra impazzito e delle linee vocali quasi rappate nel bridge. Accanto a queste ottime tracce compaiono dei buoni ed interessanti momenti, come Drowned And Torn Asunder, Departure o Dying In Your Arms (quest’ultima molto USA nello stile), che però non raggiungono gli apici (davvero molto alti) dell’album anche se va detto che in un altro full-lenght avrebbero stupito.

La seconda parte dell’album spinge su parti più estreme sempre garantendo la ricetta descritta prima, ma costruita talmente tanto bene che non si possono muovere critiche ai Trivium. Anche la copertina possiede un fascino particolare. Promossi a pieni titoli.

Autore: Trivium Titolo Album: Ascendancy
Anno: 2005 Casa Discografica: Roadrunner Records
Genere musicale: Metalcore Voto: 8,5
Tipo: CD Sito web: http://www.trivium.org/
Membri band:
Matt Heafy – voce, chitarra
Paolo Gregoletto – basso
Travis Smith – batteria
Corey Beaulieu – chitarra, voce
Tracklist:
1. The End Of Everything
2. Rain
3. Pull Harder On The Strings Of Your Martyr
4. Drowned And Torn Asunder
5. Ascendancy
6. A Gunshot To The Head Of Trepidation
7. Like Light To The Flies
8. Dying In Your Arms
9. The Deceived
10. Suffocating Sight
11. Departure
12. Declaration
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Metalcore
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09th Set2019

Trivium – Ember To Inferno

by Marcello Zinno
Spostiamoci per un attimo ad inizio del nuovo millennio. La giovane scena metalcore stava nascendo, alcune formazioni stavano inasprendo quello che i loro avi avevano proposto in generi più facilmente catalogabili (hardcore, death metal…) e stava dando alla luce un nuovo genere visto come un mix di tante sfumature differenti ma sempre afferenti al mondo del metal. In Florida una giovane formazione stava compiendo i primi passi, e dopo le solite esperienze con cover e classici cambi di line-up, giunsero ad un demo omonimo e subito dopo (nello stesso anno) ad un primo vero full-lenght. Stiamo parlando dei Trivium e del loro Ember To Inferno, un album che segnò molto la formazione del combo di Orlando. Di sicuro i contributi del nuovo arrivato Corey Beaulieu alla sei corde e di Matt Heafy sia alla chitarra che alla voce hanno dato alla band la virata di cui avevano bisogno e inoltre la allora fiorente scena metalcore ha fatto da fermento ad uno stile, quello dei Trivium, che si stava formando proprio in quegli anni. Se consideriamo che iniziarono a partecipare a tour insieme a Machine Head e Killswitch Engage capiamo benissimo su quale trampolino di lancio i Nostri si stavano collocando.

In Ember To Inferno c’è un perfetto gioco tra le linee vocali in growl e quelle in clean che sanno offrire rabbia e ruvidità le prime e melodie le seconde, uno stile che farà da scuola per tantissime altre band metalcore; inoltre con le numerose variazioni e cambi di ritmica all’interno della stessa traccia si offre una musica che, pur se dura ed estrema, può appagare i palati più diversificati. Requiem ha un incedere dannatamente thrash; la titletrack Ember To Inferno e My Hatred sono un vero assalto metal, una dichiarazione di intenti che fa capire di che pasta è fatta la band; Falling To Grey ritorna sulla matrice thrash moderna e regala momenti di intensa emozione grazie ad un connubio perfetto tra voce e sei corde, uno dei pezzi più intensi e spietati dell’album. I chorus, con la voce di Matt sovraincisa, afferrano l’ascoltatore e imprimono il marchio Trivium sulla sua pelle, inoltre il livello tecnico molto alto è un altro punto di forza di questa uscita che sicuramente aggrada anche le orecchie più esigenti.

L’album ha anche dei pezzi che risultano ancora grezzi rispetto alle idee che la band svilupperà: la stessa (vera) opener, Pillars Of Serpents, è un brano decisamente heavy metal e con parti che lambiscono territori estremi ma non è vicina alle coordinate metalcore; Bella Fugue (A Revelation), un pezzo che alterna ritmiche compatte da headbanging a parti che si lasciano cantare alla grande e diventano momenti propedeutici ad un’esibizione live; nella stessa direzione procede To Burn The Eye con l’unica differenza della sua parte centrale, prima piena di pathos ma che successivamente esplode in maniera devastante riportandoci alla violenza targata Pantera. Un lavoro che promette grandi cose per il loro futuro, promesse che non saranno disattese.

Autore: Trivium Titolo Album: Ember To Inferno
Anno: 2003 Casa Discografica: Lifeforce Records
Genere musicale: Metalcore Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.trivium.org/
Membri band:
Matt Heafy – voce, chitarra
Brent Young – basso
Travis Smith – batteria
Corey Beaulieu – chitarra, voce
Tracklist:
1. Inception: The Bleeding Skies
2. Pillars Of Serpents
3. If I Could Collapse The Masses
4. Fugue (A Revelation)
5. Requiem
6. Emper To Inferno
7. Ashes
8. To Burn The Eye
9. Falling To Grey
10. My Hatred
11. When All Light Dies
12. A View Of Burning Empires
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Metalcore
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23rd Lug2019

Architects – Holy Hell

by Matteo Pasini
Il lutto devastante che ha colpito la famiglia degli Architects non ha fermato la voglia di fare musica della band britannica. Il dolore per la perdita del compositore, fondatore e chitarrista Tom Searle è stato il prepulsore principale per creare un album dal forte impatto emotivo, dove sinfonia e potenza si uniscono, creando un connubio perfetto. Doomsday, Herafter e Modern Misery sono i singoli che hanno preceduto l’uscita di Holy Hell, spazzando via anzitempo qualsiasi dubbio sul proseguo artistico della band di Brighton, messo in discussione appunto dopo la tragedia che li aveva travolti. Oltre a dare un segnale forte di continuità, queste tre tracce fanno anche intendere in maniera chiara quale sarà la tematica musicale e di testi che l’album avrà: emozione, tecnica, suoni studiati in ogni minimo dettaglio, voce graffiante e perfettamente incastrata nello spartito. L’apertura è affidata a Death Is Not Defeath, che non può far altro che rimandare il pensiero al compianto Tome Searle; dopo un intro a base di archi ecco l’entrata in mischia delle chitarre che gettano l’ascoltatore in un turbionio di inquietudine e ammirazion.

Come citato poco fa il connubio fra gli elementi sinfonici, costantemente ricercati durante la carriera dei Nostri e la forza devastante dell’elettrico, sono i cardini sui quali si appoggia quest’ultimo lavoro e trova il suo massimo esponenete nella titletrack Holy Hell, il cui picco emozionale è nella sfida fra la doppia pedaliera e gli archi, quasi un confronto fra paradiso ed inferno! La band mostra i muscoli con l’entrata in scena di Damnation e della rapida ma incisiva The Seventh Circle, quest’ultima dai sentori decisamente retrò, con una batteria che prende spunto dai gloriosi anni 80, ma con le chitarre decisamente odierne; indubbiamente il pezzo più violento e asciutto della band in questo album.

Gli Architects creano un lavoro fiero, pieno di orgoglio, da dedicare all’amico e compagno di viaggio perso durante il cammino. In tanti pensavano che, dopo tutto questo, la band non si sarebbe più rialzata, ed invece ecco la dimostrazione del talento e della voglia di prevalere su qualsiasi avversità. Holy Hell è un lavoro impeccabile che toglie il fiato per undici tracce, che va ascoltato e riascoltato.

Autore: Architects Titolo Album: Holy Hell
Anno: 2018 Casa Discografica: Epitaph Records
Genere musicale: Metalcore Voto: 8,5
Tipo: CD Sito web: https://www.architectsofficial.com/
Membri band:
Sam Carter -voce
Adam Christianson – chitarra
Alex Dean – basso
Dan Searle – batteria
Tracklist:
1. Death is Not Defeat
2. Here After
3. Mortal After All
4. Holy Hell
5. Damnation
6. Royal Beggars
7. Modern Misery
8. Dying to Heal
9. The Seventh Circle
10. Doomsday
11. A Wasted Hymn
Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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19th Lug2019

Unsylence – In Your Hands

by Marcello Zinno
Arrivano al full-lengh gli Unsylence, giovane formazione che intende affermarsi nella già popolata scena metalcore italica. Per analizzare il loro stile dobbiamo necessariamente scompattarlo: il metalcore dei ragazzi, dal piglio americano, ha sicuramente potenza e personalità, d’altro canto compare anche una forte e a tratti invasiva vena elettronica. Per quanto riguarda la prima componente i ragazzi dimostrano una maturità stilistica e compositiva non da tutti e sicuramente non da debut album: riff compatti e con palm mute si inseriscono molto bene in parti eseguite con la calcolatrice alla mano (sia quelle con ritmiche più intricate sia quelle con bmp più spinti), il tutto corredato da uno studio dei chorus che pur non risultando una assoluta novità nel genere è sicuramente realizzato con una fortissima attenzione. Idem per l’ambivalenza di linee vocali clean e in growl, proposta non nuova ma decisamente ben fatta. Un pezzo interessante è My Own Illusionary World con delle raffiche metalcore che richiamano band come Trivium e che innalzano le quotazioni dell’album.

Poi c’è il secondo elemento, quello dell’elettronica, scelta questa che capiamo, anche per creare uno stile e cercare una differenziazione possiamo dire necessaria in un genere musicale (il metalcore) in cui coordinate elettriche molto simili sono state già percorse da tantissimi progetti. Però in diversi momenti ci sembra che proprio gli inserti elettronici facciano perdere mordente alla cattiveria delle tracce, accostando gli Unsylence più ad una band nu metal (Linkin Park solo per citarne una) che non ad una metalcore. Per comprendere bene l’ambivalenza dello stile della band basta ascoltare Hero Time Is Gone nelle due parti, la prima che rappresenta il pezzo più metal del lotto, un assoluto distruggi sassi, la seconda che risulta essere quasi un remix ad opera della stessa band mettendo in mostra tutto ciò che si può fare con manopole e post-produzione. Vi sono però diversi momenti in cui l’elemento elettronico è ben presente ma lascia spazio alla matrice metal che si distingue in quanto ad irruenza e spigolature (Never Closed Eyes, The Blame), pezzi questi comunque ben riusciti.

La nostra è comunque un’analisi analitica, detto questo crediamo che il quintetto debba continuare a sviluppare questa ricetta che sicuramente risulta ricca di contenuti e sfumature, una proposta che ha tutte le carte giuste per sfondare oltre confine (e oltre oceano).

Autore: Unsylence Titolo Album: In Your Hands
Anno: 2019 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Metalcore Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/UnsylenceOfficial
Membri band:
Dyro – voce, chitarra
Dave – chitarra, voce
Garde – basso
Flavio – batteria
Mirkone – console
Tracklist:
1. Before The Beginning
2. The Blame
3. With A Shotgun
4. Nevermore
5. Hero Time Is Gone Pt.1
6. Hero Time Is Gone Pt.2
7. Awakening Myself
8. My Own Illusionary World
9. Never Closed Eyes
10. Ego
11. Havoc
12. Closure
13. Touch
The Unreal
Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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