Le leggende del Rock raccontate dal Prof. Garage: Motörhead
Il Prof. Garage è docente di Storia del Rock all’Università della Musica e siccome il rock è nato e cresciuto negli scantinati più decrepiti e sui palchi più fumosi non troverete la sua cattedra né in un prestigioso ateneo, né in qualche rinomata facoltà e nemmeno vicino a qualche polverosa biblioteca. No, le sue lezioni si tengono sulla strada dove, in perenne viaggio sul suo furgone sgangherato, è immancabile testimone della Storia del Rock. E queste sono le sue avventure…
Questi ragazzi spaccavano di brutto! Sul finire degli anni ‘70, in una Londra ancora alla ricerca di una nuova identità culturale, erano in pochi a saper suonare come loro. Quei pochi mancavano di carisma o non esprimevano altrettanta selvaggia energia. Nati e cresciuti nella scena underground i Motörhead hanno conquistato consensi dai palchi più rugginosi e squallidi per approdare solo molto tempo dopo alla ribalta del mainstream. Per così dire: si sono fatti da soli…in tutti i sensi tra l’altro. Rockofili e rockofagi di ieri e di oggi per questa prima lezione sulle leggende del Rock parleremo di una band storica che con ventidue album, trenta milioni di dischi venduti in una carriera lunga quarant’anni ha segnato e influenzato la scena hard’n’heavy come poche altre. Forti di uno stile inconfondibile che li ha resi unici i Motörhead sono passati alla storia tanto per la loro musica quanto per una coerenza artistica e una genuinità rara all’epoca e introvabile oggi giorno. Si potrebbe addirittura parlare di onestà intellettuale se non fosse che l’intelletto non sarebbe di certo stata la prima caratteristica a colpirvi se li aveste incrociati per strada. Non si scambi comunque questa “resistenza al cambiamento” per una forma di superbia. Non è così, non si credevano affatto i migliori, volevano soltanto suonare la loro musica che, rifuggendo ogni etichetta, hanno sempre chiamato semplicemente rock’n’roll. Chi li ha conosciuti sa che questi ragazzi sono rimasti gli stessi umili bastardi degli esordi per tutta la loro vita. Ed è stato proprio questo non volersi conformare alle regole del business a frenarne l’ascesa. Se si fossero piegati a cambiare il loro sound come gli era stato chiesto, se si fossero trasformati nelle rockstar patinate che il sistema voleva…oggi non staremmo parlando di loro.
Ian Fraser Kilmister, universalmente conosciuto come Lemmy, è stato il fondatore, l’anima nonché l’unico membro sempre presente in formazione ed è a lui che va gran parte del merito per il successo che i Motörhead hanno saputo strappare con le unghie e con i denti ad un ambiente che, tra alti e bassi, ha tentato di snobbarli e sabotarli in tutti i modi…ma invano. Leggendo la biografia di quest’uomo si nota subito che le parole più usate, oltre a diverse metafore piuttosto colorite e a qualche aneddoto davvero pittoresco, sono “fan” e “culo” perché lui sapeva quello che voleva e se non riusciva ad ottenerlo la sua risposta era quella. Come detto non si comportava così per presunzione o perché pensasse di detenere verità assolute e nemmeno perché si sentisse superiore. Semplicemente lui voleva fare quello che gli andava e se ne fregava di tutto il resto. Quelli che lo accettavano potevano restargli accanto e scoprire un professionista preparato e dalla creatività inesauribile o guadagnare un amico sincero e spietatamente leale, gli altri indovinate un po’ da soli dove potevano andare.
Ma torniamo alla nostra storia. Dicevamo che prima del ‘75 non li conosceva ancora nessuno però erano in pochi a proporre spettacoli tanto coinvolgenti da ritagliarsi il privilegio di avere sempre il “tutto esaurito”. Non potendo essere ignorati ulteriormente alla fine trovarono una casa discografica e sfondarono dando inizio alla loro storia e alla loro leggenda. Il segreto? Un mix di talento, esperienza, spregiudicatezza, incoscienza e… droghe. Molte droghe. Purtroppo non si può parlare di Motörhead senza raccontare che erano costantemente strafatti. Non lo dico per dire, la storia del rock è piena di giovani drogati fino allo sfinimento ma Lemmy alzò l’asticella a dei livelli a cui pochi sono sopravvissuti…letteralmente. Erano anni in cui impazzavano misture mortali di ogni tipo e le forze dell’ordine erano inadeguate quanto la giurisprudenza per affrontare una simile crisi. Lemmy ebbe abbastanza saggezza da non lasciarsi mai coinvolgere nel giro dell’eroina e sufficiente perizia da saper dosare anfetamine e calmanti in modo da poter rimanere sveglio per giorni senza risentirne troppo. Fortunato? Non sta a me stabilirlo ma val la pena di notare come lui stesso sconsigliasse di provare la sua ricetta! Se qualcuno stesse maturando la convinzione che alla fine tutto questo lo abbia ucciso… beh, permettetemi lo spoiler: è stato stroncato a settant’anni da un cancro che lo avrebbe colpito comunque. Pazzesco! La morale di questa storia ve la lascio dibattere con il professor SoTuttoio nel corso di Etica, a me preme sottolineare uno stile di vita che sarebbe eufemistico definire dedito a sesso, tabacco, droghe, alcool e a qualsiasi altro eccesso vi venga in mente. Stiamo parlando di un uomo che negli anni 80, seguendo la moda dell’epoca, aveva deciso di ripulirsi facendosi sostituire il sangue integralmente. Prima di lui molte altre rockstar si erano sottoposte con ottimi risultati allo stesso trattamento e invece lui venne rimandato a casa dai medici perché, a quanto emerse dagli esami preliminari, il suo organismo era così assuefatto agli altissimi livelli di sostanze chimiche a cui era sottoposto che un sangue pulito lo avrebbe immancabilmente ucciso! Inutile dire che gli venne categoricamente proibito di donare il sangue e chicchessia perché nessun altro sarebbe mai sopravvissuto ad una simile intruglio. Con questo credo di aver dato un’idea dello stile di vita che si conduceva nei Motörhead. Vi dico questo anche perché non si creda che della decina di persone che hanno militato nella band nel corso degli anni possa essercene stata una anche solo approssimativamente “pulita”…
Ora che abbiamo inquadrato i protagonisti del nostro racconto è tempo di dedicarci ad una breve panoramica sulla loro evoluzione stilistica. Penso non ci sia al mondo rockettaro degno di questo nome che non sappia tratteggiare almeno a spanne le caratteristiche principali del sound dei Motörhead. In estrema sintesi, giusto per completezza di informazione, possiamo riassumerle così: ad una voce così roca da aver ispirato il cantato growl, che verrà usato successivamente nel death metal, si unisce un basso sempre distorto e tanto presente da fungere spesso e volentieri da chitarra ritmica. Nulla di strano se pensate che Lemmy nasceva come chitarrista e non fu mai contento di dover cantare! Su questo impianto una batteria a mezza strada tra un tritasassi e un mitragliatore da campo accompagna assoli e riff suonati a ritmi costantemente molto sostenuti suppur con un suono mai troppo estremo. Non meno importanti nella definizione della band sono le tematiche dei testi che, come è facile prevedere, sono incentrate su sesso, droga, eccessi, guerra e disagio sociale. Praticamente sulla vita della band… un aspetto importante perché, come nessun altro, i Motörhead cantavano la vita che conoscevano e vivevano per continuare a farlo. Ultima, ma da non sottovalutare nell’esame del loro stile, viene una caratteristica che rende fruibili e al tempo stesso coinvolgenti tutti i loro brani. Parlo della quasi proverbiale immediatezza ottenuta tanto attraverso la linearità delle composizioni, non banali ma certamente mai cervellotiche, quanto alla registrazione in presa diretta che da sempre dona ai dischi una freschezza altrimenti irraggiungibile. A tal proposito è curioso notare come per registrare, arrangiare e produrre un disco dei Motörhead fosse sufficiente una settimana, e in questo tempo era spesso compreso anche scrivere o riscrivere qualche brano. Così possiamo capire come abbiano potuto tenere per così tanto tempo la media di un album ogni due anni scarsi e già che ci siamo possiamo riparametrare il concetto di “spontaneità” in un disco…con buona pace dei tanti loro colleghi che per le stesse operazioni impiegavano e impiegano mesi se non anni.
Abbiamo già detto che queste caratteristiche primordiali del sound sono rimaste invariate per tutta la vita del gruppo e si possono infatti ravvisare tanto nei seminali Motörhead e Overkill, che portarono la band al successo, quanto nei successivi Ace Of Spades, Orgasmatron e Sacrifice, considerati a buon diritto gli album della maturità, nonché nei lavori dell’ultima decade come Hammered, Afterschock e Bad Magic. Quanto detto non deve però far pensare ad un immobilismo artistico o ad una monotona autoreferenziazione perché un certo desiderio di sperimentazione ha nel tempo coinvolto anche i Motörhead. Certo non ci furono cambi di genere o introduzione di elettronica. A queste soluzioni, che hanno lusingato e sedotto molti nomi importanti, i Nostri sono sempre rimasti insensibili. Dalla metà degli anni ottanta alla metà del decennio successivo, tanto per fare un esempio, la formazione del gruppo cambiò, passando dal classico terzetto voce-basso, chitarra e batteria ad un quartetto che prevedeva due chitarristi. Ma non fu certo una scelta commerciale. No, molto più semplicemente in fase di casting Lemmy non volle scegliere tra due candidati e… li assunse entrambi! Avrebbe potuto rivelarsi un azzardo invece il maggior impatto sonoro garantito da una compagine più ricca consentì alla band di rivaleggiare con i grandi nomi alla ribalta nel periodo d’oro del metal nonché di attraversare la successiva crisi del genere con eguale disinvoltura.
A proposito dell’ascesa del grunge, che per chi non lo sapesse oscurò quasi ogni altro genere nei primi anni novanta, c’è da notare un fatto curioso. Mentre le altre metal band che fino ad allora avevano spopolato venivano messe a mal partito tanto da vendite imbarazzanti quanto dalle loro stesse case discografiche, i Motörhead firmavano il loro primo contratto con una major. Questo a dimostrazione che Lemmy aveva ragione almeno su due aspetti. Primo: l’etichetta di “metal-band”, spesso associata al loro nome, non si addiceva poi così bene all’identità del gruppo. Secondo: le case discografiche maggiori non sapevano quel che facevano altrimenti non ci avrebbero messo quindici anni per scritturare i Motörhead. Nemmeno vi dico che in contratti di questo calibro bisogna sottostare a molte regole, chinare la testa davanti agli interessi del mercato e non ultimo adeguarsi alle necessità del business quindi, se avete capito qualcosa di quanto detto finora, avrete già indovinato che un tale rapporto non avrebbe mai potuto funzionare. Per la cronaca: durò solo tre anni dopo i quali Lemmy e soci tornarono presso un’etichetta minore e, suppongo senza il ben che minimo rancore, autopubblicarono un nuovo album evocativamente intitolato Bastards. Concludiamo questa breve analisi sull’evoluzione stilistica sottolineando, per dovere di precisione, un vago e a tratti millantato ammorbidimento del sound ravvisabile però solo nel lunghissimo periodo. Potreste notarlo ad esempio ascoltando il granitico Bomber, divenuto un classico del metal di fine anni settanta, e di seguito il più recente Kiss Of Death, in qualche modo più vicino all’hard rock. Tale cambiamento, badate bene, non è però dovuto né all’invecchiamento della band né alla maturazione artistica dei Nostri ma piuttosto si rende evidente in confronto alle altre proposte del mercato e al loro progressivo incattivirsi. In altre parole quello che una volta chiamavamo “metal” oggi lo etichetteremmo “hard rock” quindi, come ci farebbe notare Lemmy, in fondo siamo noi ad essere cambiati… non i Motörhead!
Voglio dedicare un’ultima annotazione riguardante lo stile allo Snaggletooth, la mascotte ufficiale della band. Amatissima fin dalla prima apparizione sulla cover dell’album d’esordio venne reinterpretata a più riprese ma mai snaturata. Era un misto veramente ben riuscito tra un cane, un gorilla e un cinghiale e, disegnato su specifica richiesta di Lemmy, decorerà in varie versioni comunque ferocemente agguerrite praticamente ogni maglietta, copertina o poster prodotti dalla band per quasi quaranta anni. Un vero mito nel mito che oggi, dopo i vari Eddie, Soundchaser, Fangface, Jack O’Lantern, Rattlehead, Hector, ecc… non desta poi tanto scalpore ma che allora, nel ‘77, ti lasciava con la stessa espressione che hai oggi quando il tecnico della lavatrice di dice “sono 250€, grazie”! A proposito: siete proprio sicuri che tutte le succitate mascotte ci sarebbero se lo Snaggletooth non avesse spianato loro la strada?
Questa era facile, ora ne ho per voi alcune ben più impegnative. Perché ci prendiamo la briga di parlare tanto dei Motörhead e della loro integrità? E perché sono così importanti? Ve lo dico io: perché in un music business in cui tanti hanno venduto la propria musica, la propria arte, i propri compagni, talvolta la propria stessa anima, i Motörhead sono rimasti sempre e comunque loro stessi. E non si pensi che sia stato facile o un dono della fortuna perché tra problemi personali, noie legali, incidenti, inganni, liti e macchinazioni ordite ai loro danni vi assicuro che se la sorte ci ha messo lo zampino non è stato di sicuro per favorirli. Hanno suonato a più riprese negli stadi e sui palchi più importanti come nei palazzetti e nei locali più pulciosi. Hanno vinto premi e riconoscimenti in tutto il mondo e sono stati più volte dimenticati da tutti. Hanno viaggiato su jet privati e in camioncini addirittura più scalcagnati del mio. Hanno partecipato a feste a cui solo le vere celebrità potevano sperare di accedere e ne hanno snobbate altrettante per lo stesso motivo. E in tutto questo non si sono mai dimenticati da dove venivano, chi erano o quale fosse la loro maggior ambizione: suonare davanti al loro pubblico. E basta. Ecco perché ne parliamo: perché, nonostante le droghe e il tenore di vita dissoluto, musicalmente sono un esempio…che nessuno ha più la forza di seguire!
Trattandosi dei Motörhead non si possono risparmiare due parole su quella che dunque è stata la parte fondamentale e più cospicua della loro carriera: l’attività live. Interminabili tour a cui si inframmezzavano, una volta tornati a casa, altri concerti. La vicinanza del pubblico tirava fuori il meglio da questi ragazzi che infatti spesero soldi, tempo ed energie a profusione per allestire show sempre più magnifici. Famosi per aver portato sul palco locomotive e aeroplani i Nostri non si fecero mancare nemmeno giochi di luci ed effetti pirotecnici di cui erano persino precursori. E’ così, se state pensando ai Kiss sappiate che anche loro, come tanti altri più tardi, presero l’idea di rischiare di incendiarsi sul palco dai Motörhead…che qualche volta quasi ce la fecero. Per dirla tutta tentarono anche di farsi schiacciare da un gigantesco pezzo di sceneggiatura che precipitò sul palco… ma, tranquilli, tutto andò bene, nella band nessuno si fece male e anzi il volume era così alto e la confusione tale che se ne accorse solo qualche spettatore troppo ubriaco per realizzare cosa fosse successo o il pericolo che ne derivò! Oggi li chiameremmo “animali da palcoscenico” ma ho idea che anche questa definizione prima di loro non ci fosse. Pensate che Lemmy arrivò a dover suonare appoggiato ad una cassa e con i tacchi degli stivali incastrati nelle assi del palco perchè, tra droghe e alcool, non riusciva a reggersi in piedi da solo… e nonostante tutto portò a termine la performance! Certo, questo succedeva in altri tempi, addirittura prima dei Motörhead ma ci dà un’idea della dedizione di quest’uomo alla musica e al suo pubblico. Dunque vi lascio con questo esercizio: trovare qualcuno che amasse suonare sul palco e che rispettasse i propri fan più di Lemmy. Vi sarà utile considerare che, volendo terminare a tutti i costi il tour per il quarantennale della band, finì per esibirsi l’ultima volta appena quindici giorni prima di soccombere alla malattia che lo strappò ai suoi sostenitori. Per nessun altro motivo avrebbe abbandonato i suoi fan che infatti rimasero increduli, attoniti quanto l’intero mondo del rock che da tempo ormai lo credeva immortale.
Sono stati una presenza costante e concreta per così tanto tempo che spesso molti li hanno dati per scontati. Senza dubbio un grave errore perchè ascoltati superficialmente potrebbero non trasmettere tutto quello che hanno rappresentato davvero. Quando però vi sentirete pronti ad accordare il cuore con la doppia cassa, l’anima con la distorsione del basso, la mente con la velocità del metronomo allora forse potrete capire perché i Motörhead siano stati l’ultima vera band rock’n’roll e perché ci mancheranno così tanto!
Vi aspetto alla prossima lezione sulle Leggende del Rock. Parleremo di… anzi no, sarà una sorpresa! Follow The Professor!