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06th Ago2012

Pearl Jam – Binaural

by Giuseppe Celano

Il sesto disco dei Pearl Jam, all’indomani del successo mondiale di Yield, è caratterizzato da seri problemi di riabilitazione da droghe per il chitarrista Mike MaCready e con il blocco dello scrittore per Eddie che, per la prima volta nella sua carriera, si trova impegnato a fronteggiare la sindrome del foglio bianco. Nel frattempo qualcos’altro è cambiato, Brendan O’Brien è stato rimpiazzato, almeno in parte, da Tchad Blake, famoso per l’utilizzo del doppio microfono per un effetto 3D. E non solo, anche la struttura fondamentale della sezione ritmica cambia con l’ingresso di Matt Cameron al posto di Jack Irons. Come per l’album precedente, anche queste sessioni sono il frutto di un lavoro individuale che poi confluisce in studio pronto per essere missato. Binaural risulta un album meno rock e decisamente orientato verso sperimentazioni dal piglio punk. I Pearl Jam cercano brani più complessi e meno facili da assimilare costringendo i loro ascoltatori ad un approccio più difficoltoso che richiede molta concentrazione. E con l’arrivo di Cameron anche la sezione ritmica assume un’altra forma, più stratificata e stabile. Il disco si avvita su cambi di tempo, atmosfere riflessive, virate postpunk, code psichedeliche e ballate quasi al limite del folk. Il nuovo lavoro è più rilassato, libero insomma dalla morsa del grunge, i brani sono eterogenei, il suono secco sembra urlare a chiare note la voglia di distaccarsi da un genere che loro malgrado li ha fagocitati.

Nessun antagonismo con i Nirvana, basta gare per il podio e pochi ammiccamenti al pubblico i cinque cavalieri di Seattle scelgono di suonare ciò che amano attraverso uno stile ormai consolidato. Nessun brano sembra un vero e proprio singolo, il senso di omogeneità prevale su tutto, Binaural è un album più pacato ma non domo. La guardia è sempre alta, come maestri di arti marziali, riflessivi e letali come l’attacco di un cobra reale. Se nel precedente lavoro avevamo citato Neil Young come maggiore influenza oggi possiamo dire che Vedder e soci guardano con più attenzione al suono che ha reso grandi gli The Who. È Breakerfall con i suoi due minuti a violare il silenzio affettandolo chirugicamente nota dopo nota. God’s Dice e Grievance sono il piglio punk di cui sopra che, mischiato all’indomabile gene dell’hard rock, danno vita a un connubbio vincente e incendiario, modello MC5 tanto per capirsi. I testi spaziano dall’onnipresente disagio di Eddie alla critica sociale contro eventi come la strage della Colombine High School. Non mancano i momenti di romanticismo, e i primi segnali d’innamoramento per l’ukulele in Soon Forget.

Binaural è un album basico, forse scontenterà molti fan di vecchia data abituati a riff granitici e brani spaccaossa, ma sarebbe un errore considerarlo un album figlio di dei minori.

Autore: Pearl Jam Titolo Album: Binaural
Anno: 2000 Casa Discografica: Epic Records
Genere musicale: Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.pearljam.com
Membri band:

Eddie Vedder – voce

Stone Gossard – chitarra

Mick McCready – chitarra

Jeff Ament – basso

Matt Cameron – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Breakerfall
  2. God’s Dice
  3. Evacuation
  4. Light Years
  5. Nothing As It Seems
  6. Thin Air
  7. Insignificance
  8. Of The Girl
  9. Grievance
  10. Rival
  11. Sleight Of Hand
  12. Soon Forget
  13. Parting Ways
Category : Recensioni
Tags : Grunge, Pearl Jam
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30th Lug2012

Pearl Jam – Yield

by Giuseppe Celano

A due anni di distanza dalla momentanea battuta d’arresto, testimoniata da No Code (1996) che aveva fatto prendere un colpo a molti fan, i Pearl Jam si buttano a capofitto nel loro quinto album, intitolato Yield. Se il suo predecessore viveva di luci e ombre, quest’ultime proiettate sul futuro molto incerto della band tanto da ventilare l’ipotesi dello scioglimento, il nuovo lavora cambia registro e, mettendo una marcia in più, si riporta sui livelli di Ten e Vs. ma con una maturità che lo eleva per qualità e ispirazione. Non solo ritrovano la capacità di scrivere insieme i brani, riequilibrando le varie parti in un’armonia compositiva, ma si riappropriano della capacità di scolpire riff granitici, tipici del loro impetuoso rock da stadio. La conseguenza di tutto ciò è visibile anche nei testi, spesso ispirati da opere letterarie che vanno da Bukowski a Il Maestro e Margherita di Mikhail Bulkagov passando per Daniel Quinn. A differenza del passato infatti le liriche sono più aperte e positive, Eddie indaga sempre sulla psiche dell’uomo nelle sue varie forme, ma in maniera più pacata e riflessiva. L’unica cosa immutata, in questi anni di cambiamenti, rimane la scelta di collaborare con Brendan O’Brien, saldamente ancorato al timone della produzione. Con Yield il combo di Seattle non s’impone limiti di tempo, si registra alla vecchia maniera, ogni membro porta dei frammenti che diventano formato canzone. I loro detrattori potrebbero accusarli di una svolta pop con atteggiamento radio-friendly, ma la verità è che le nuove composizioni sono efficaci e vivono in un equilibrio stabile. Per quanto riguarda il titolo, la teoria più accreditata è che si riferisca al tema centrale di Ishmael, romanzo di Daniel Quinn, che suggerisce di “arrendersi e concedersi alla natura”.

Passando alla musica, Yield si apre sulle note urgenti di Brian Of J. in cui Eddie passa dal canto muscolare al sussurro con un’eleganza invidiabile, le chitarre sferzano come vento caldo del deserto alzando una sabbia bruciante che arriva dritta negli occhi. Il piglio energico e graffiante dell’opener si stempera velocemente nella successiva Faithful, ballata in pieno stile Pearl Jam che sceglie una melodia accattivante e chitarre ben strutturate su cui Eddie fornisce un buona prova vocale. L’andamento lineare della sezione ritmica in No Way è contrappuntato dal lavorio incessante di chitarre sepolte nel missaggio che, dissociandosi dal rifferama portante, creano un effetto straniante, reso piacevole dalle linee melodiche della voce. Ma è con Give To Fly, gemella legittima di Going To California e riconosciuta da Robert Plant (durante quel tour la eseguirà proprio come Eddie) che i Nostri toccano uno degli highlight dell’intero lavoro. La melodia cristallina, le vette emozionali, la somiglianza ormai definitiva con gli Zeppelin colpiscono l’ascoltatore nel profondo, risvegliando le emozioni più nascoste.

Le buone intenzioni e i sogni sono impressi nella lista dei desideri della successiva Whishlist che, come le precedenti ballate, gioca sull’ormai consolidata coppia melodia e ugola di Vedder, vocalmente più credibile e vero rispetto al passato. L’assolo elegante e austero s’infila fra gli arpeggi delle chitarre mai invadenti per un risultato vincente. Con Do The Evolution, brano dedicato al controllo maniacale delle vite attraverso l’ossessione per la tecnologia, i Nostri sferrano un uppercut dritto sul mento, di quelli che ti mettono al tappeto. Ottimo anche il video che l’ha reso un classico delle loro esibizioni. Bisogna attendere otto brani per ritrovare un minuto di quella sperimentazione tanto cara alla band in Untitled, brano scritto da Jack Irons. Il tentativo sperimentale è raddoppiato in Push Me, Pull Me. MFC scivola via veloce con andamento dritto su binario lasciando spazio a un’altra ballata, e siamo a quota cinque, intitolata Low Light. Non si fatica a immaginarli mentre la eseguono dal vivo con quella melodia delicata, l’andamento sinuoso con le chitarre che accarezzano il cuore e gli accendini del pubblico in totale adorazione.

Yield non solo è l’album del ritorno, non che se ne fossero mai andati davvero, ma rappresentata anche il consolidamento interno della band e la cristallizzazione agli occhi della critica e del pubblico che ormai li ha eletti a vere e proprie star. Il valore emotivo e musicale di quest’album non sarà mai più eguagliato in seguito anche se il quintetto manterrà alta la bandiera di un rock poderoso e sempre socialmente impegnato. Vi aspettiamo lunedì prossimo con il nuovo capitolo di questa saga intitolata semplicemente Pearl Jam.

P.S. Per i più curiosi Push Me, Pull Me contiene un passaggio di Happy When I’m Criying, scritto da Irons e rilasciato successivamente nel 1997, e All Those Yesterdays contiene Hummus.

Autore: Peral Jam Titolo Album: Yield
Anno: 1998 Casa Discografica: Epic Records
Genere musicale: Rock Voto: 8,5
Tipo: CD Sito web: http://www.pearljam.com
Membri band:

Eddie Vedder – voce

Stone Gossard – chitarra

Mick McCready – chitarra

Jeff Ament – basso

Jack Irons – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Brain Of J.
  2. Faithful
  3. No Way
  4. Given To Fly
  5. Wishlist
  6. Pilate
  7. Do The Evolution
  8. Untitled (The Color Red)
  9. MFC
  10. Low Light
  11. In Hiding
  12. Push Me, Pull Me
  13. All Those Yesterdays
Category : Recensioni
Tags : Grunge, Pearl Jam
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23rd Lug2012

Pearl Jam – No Code

by Giuseppe Celano

È il 1996 quando i Pearl Jam danno seguito all’ottimo Vitalogy licenziando il loro nuovo lavoro. È corretto chiarirlo da subito: No Code è un album minore che segna una battuta d’arresto significativa. Al di là delle vendite alquanto scarse e delle posizioni in classifica anche le recensioni sono spesso contrastanti, se non addirittura fredde. La copertina è un collage di 156 polaroid (2×2) apparentemente scollegate fra loro. Sul titolo del disco la band fornisce varie contrastanti versioni, quella più vicina alla realtà indicherebbe il totale fallimento del nuovo lavoro per cui la band adotta una locuzione medica per indicare l’impossibilità di recuperare un paziente che ha perso la capacità di respirare o di far battere il cuore senza l’ausilio di macchinari artificiali. La band rischia lo split e i vari side-project sono lì a testimoniarlo. McCready si dedica anima e corpo ai Mad Season, Jeff Ament dà sfogo alle sue necessità psichedelico/acustiche con i Three Fish e Stone Gossard impegna le sue energie con l’etichetta Loosegroove. Infine l’ennesimo cambio di batterista (Irons per Abruzzese) indebolisce ulteriormente una stabilità interna già seriamente minata. A complicare il tutto sottraendo altre energie c’è l’invito del mentore Neil Young che li ospita come back band per la registrazione di Mirrorball.

A differenza dei suoi predecessori molto più a fuoco e diretti il quarto album (con)vive con contrasti e incertezze che si riflettono impietosamente nella struttura dei brani. Il disco appare disomogeneo e sebbene i più ottimisti possano azzardare che la band spazi in altri generi che vanno dalla sperimentazione al punk garage, la verità è che il risultato è altalenante. No Code è un disco di transizione che rimane sospeso fra il ricordo e la voglia di esprimere un concetto molto diretto con piglio punk e la smania di ritrovare i riff granitici che hanno reso grandi i Nostri. Tutto questo si può leggere facilmente nella sommessa opener Sometimes seguita dall’urgenza accademica di Hail Hail. La possibilità di sperimentare, tanto cara al combo di Seattle, emerge chiaramente nella psichedelica e quasi tribale Who You Are, bissata a sua volta da In My Tree, una specie di figlia illegittima di W.M.A.. Bisogna attendere quota cinque per sentire qualcosa di più vicino ai classici della band, è Smile che apre un sentiero verso il ritorno al passato e ammicca lascivamente al buon vecchio Neil Young. Poi arriva Off He Goes e per un attimo fugace di sei minuti tutto sembra ritornare al proprio posto. La soluzione melodica, il ritornello accattivante, la struttura del brano e la voce suadente di Eddie rimettono in gioco tutto. Allo stesso modo agisce l’urgenza a gola rossa di Habit che si stempera nella viscerale e quasi blues Red Mosquito.

I testi riflettono le contrastanti sensazioni della band e del singer che si occupa di spiritualità, moralità e auto analisi della propria condizione psicologica. L’uso di vari strumenti non propriamente canonici, la voglia di sperimentare nuove strade sono allo stesso tempo il punto di forza e la debolezza di cui poggia l’intero album. Parlavamo di transizione all’inizio, per scoprire dove i Nostri sono andati a parare non dovrete far altro che aspettare il prossimo lunedì (perché noi non andiamo in vacanza) in cui ci occuperemo del nuovo capitolo della saga Pearl Jam.

Autore: Pearl Jam Titolo Album: No Code
Anno: 1996 Casa Discografica: Epic Records
Genere musicale: Rock Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: http://www.pearljam.com
Membri band:

Eddie Vedder – voce

Stone Gossard – chitarra

Mick McCready – chitarra

Jeff Ament – basso

Jack Irons – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Sometimes
  2. Hail, Hail
  3. Who You Are
  4. In My Tree
  5. Smile
  6. Off He Goes
  7. Habit
  8. Red Mosquito
  9. Lukin
  10. Present Tense
  11. Mankind
  12. I’m Open
  13. Around The Bend
Category : Recensioni
Tags : Grunge, Pearl Jam
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16th Lug2012

Pearl Jam – Vitalogy

by Giuseppe Celano

A solo un anno dall’uscita di Vs. (1993) i Pearl Jam danno alla luce Vitalogy. Tanto per sfatare la regola del terzo difficile disco, con cui tutte le band si devono confrontare, Vedder e soci fanno le cose in grande senza sbagliare mira. Come per il precedente lavoro anche il nuovo album viene scritto mentre la band è impegnata nel tour a supporto di Vs. Rilasciato prima in edizione vinile, e solo successivamente in cd, Vitalogy vanta un packaging intrigante, nero e con il titolo dorato, simile a una raccolta medica del 1920. Considerato l’ottimo risultato ottenuto in precedenza, la band rinnova la fiducia al produttore Brendan O’Brien che non manca il bersaglio, ma a differenza del suo predecessore Vitalogy ha un piglio diretto (Last Exit), i pezzi sono più nervosi e connotati da un’urgenza tipicamente punk (Spin The Black Circle). La tensioni interne, tanto importanti da far pensare che Gossard stia per abbandonare la nave si riflettono in modo sensibile sul lavoro. È proprio in questo periodo che Vedder diventa il portavoce e l’uomo delle decisioni importanti. Il singer contribuisce in modo significativo alla stesura dei brani, dimostrando ottime doti anche come chitarrista. Vitalogy è un disco più difficile, di vedute alte, non accetta compromessi e si spinge oltre con un eclettismo che lo rendono ancora oggi unico.

I brani come Tremor Christ impattano violentemente contro il lato melodico di Nothing Man, allo stesso modo Whipping si oppone alle stranezze di Bugs (con tanto di accordion suonato da Eddie) e Pry, To. I quarantatre secondi di quest’ultima, apparentemente no sense, aprono la strada a Corduroy che vanta potenza, sapiente soluzione melodica e interpretazione magistrale del singer. I testi riflettono il loro stato d’animo: la band sente la pressione dell’industria discografica e della fama, la privacy violata dalla continua esposizione ai riflettori. In Bugs Eyes, sempre per rimanere in tema di stranezze, la sezione ritmica viene registrata mentre il batterista Dave Abbruzzese è bloccato in un letto d’ospedale per l’asportazione delle tonsille. Poco prima della fine arriva la delicata Immortality la cui melodia da sola basta a mietere vittime entrando di forza nei cuori dei fan e, lo crediamo fermamente senza paura di essere smentiti, anche dei loro detrattori. Sigilla il tutto Hey Foxymophandlemama, That’s Me, inquietante registrazione di pazienti di un ospedale psichiatrico mandata in loop tanto per aumentare le stranezze di questo disco.

In conclusione, se qualcuno di voi pazzi lo avesse mancato per un motivo o più motivi, che comunque consideriamo comunque imperdonabili, si affretti ad affacciarsi nel caleidoscopico mondo di Vitalogy.

Autore: Pearl Jam Titolo Album: Vitalogy
Anno: 1994 Casa Discografica: Epic Records
Genere musicale: Rock Voto: 9,5
Tipo: CD Sito web: http://www.pearljam.com
Membri band:

Eddie Vedder – Voce

Stone Gossard – Chitarra

Mick McCready – Chitarra

Jeff Ament – Basso

Dave Abbruzzese – Batteria e percussioni

Tracklist:

  1. Last Exit
  2. Spin The Black Circle
  3. Not For You
  4. Tremor Christ
  5. Nothingman
  6. Whipping
  7. Pry, To
  8. Corduroy
  9. Bugs
  10. Satan’s Bed
  11. Better Man
  12. Aye Davanita
  13. Immortality
  14. Hey Foxymophandlemama, That’s Me
Category : Recensioni
Tags : Grunge, Pearl Jam
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09th Lug2012

Pearl Jam – Vs.

by Giuseppe Celano

Con un tiro micidiale e nettamente superiore a Ten, nel 1993 esce Vs. secondo disco dei Pearl Jam. Proprio mentre il tempo, e la tossicodipendenza di Cobain, decretano l’ormai inarrestabile declino dei Nirvana, i Pearl Jam diventano il fulcro della scena grunge. Totalmente adorati dal pubblico e rispettati dalla critica, i Nostri portano avanti un discorso iniziato due anni prima. Per quanto riguarda il packaging la pecora in copertina è un riferimento alla schiavitù in generale e in particolar modo al mood della band che si sentiva incatenata e senza possibilità di fuga. Da questa insofferenza nasce un album complesso, ricco d’idee contrastanti, che vive una dicotomia stilistica testimoniata dal lato più prettamente hard-rock/punk (Go e Animal) e altri introspettivi come la stupenda Indifference. Nel mezzo troviamo stranezze, contro il razzismo violento della polizia, nella straordinaria e imprevedibile W.M.A.. Nato durante il tour a supporto di Ten, in cui Vedder buttò giù i testi, l’album è aggressivo e violento. Le liriche diventano più complesse, il sound è irrobustito dal lavoro di Brendan O’Brien, produttore esperto nell’arte di affilare armi già vincenti. A differenza del lavoro precedente però la band decide di non sfruttare la potente spinta propulsiva delle immagini di MTV, evitando di rilasciare singoli per la tv.

Registrato traccia per traccia in modo da ottenere un sound più vicino al live, come se le tracce fossero prese direttamente dalle jam in studio, il nuovo lavoro mostra contaminazioni con il funk ma mantiene una potente anima hard-rock. Vedder appare in splendida forma, mentre la sezione ritmica sostiene il tempo lasciando le due asce libere di sbizzarrirsi in quel sound seventies che tanto affascina il combo. L’ottimo equilibrio fra le parti emerge deciso in Dissident, mentre la successiva Blood (dedicata ai media) riparte nervosa e senza rifiatare, una prova di forza assoluta tutta giocata su ritmiche funk, guidate dall’uso esasperato del wah-wah e dalla batteria secca e precisa. Ma è nella successiva Rearviewmirror che la band alza il tiro toccando uno degli apici del lavoro e dell’intera loro carriera. Il suo attacco dritto, il crescendo micidiale e la voce carica di pathos non temono confronti né critiche. Sempre attenti ai temi politici e sociali e soprattutto ai loro fan, i Pearl Jam salgono in cattedra in quel decennio durante il quale la musica torna a fermentare come del buon vino, le idee esplodono in proiezioni pirotecniche che rinnovano la pelle del rock.

Questa è solo una parte della loro storia, il resto ve lo racconteremo come sempre di lunedì se avrete la voglia e la pazienza di leggerci.

Autore: Pearl Jam Titolo Album: Vs.
Anno: 1993 Casa Discografica: Epic Records
Genere musicale: Rock Voto: 9
Tipo: CD Sito web: http://www.pearljam.com
Membri band:

Eddie Vedder – voce

Stone Gossard – chitarra

Mick McCready – chitarra

Jeff Ament – basso

Dave Abbruzzese – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Go
  2. Animal
  3. Daughter
  4. Glorified G
  5. Dissident
  6. W.M.A.
  7. Blood
  8. Rearviewmirror
  9. Rats
  10. Elderly Woman Behind The Counter In A Small Town
  11. Leash
  12. Indifference
Category : Recensioni
Tags : Grunge, Pearl Jam
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02nd Lug2012

Pearl Jam – Ten

by Giuseppe Celano

È l’agosto del 1991 quando esce Ten dei Pearl Jam, in Italia l’album uscirà a febbraio dell’anno seguente, maggiorato con tre bonus track fra cui una versione dal vivo di Alive. Come per gli altri gruppi di Seattle anche i Pearl Jam vengono associati al movimento scaturito dall’energia tettonica rilasciata dai Nirvana. Accusati, ingiustamente o no sta a voi deciderlo, di essere saltati sul carrozzone di Kurt Cobain e soci i cinque, a differenza dei Nirvana, hanno un piglio più hard rock, molto vicino alle sonorità degli Zeppelin e un approccio meno punk. Attivissimi sul piano politico e sociale i Pearl Jam si vanno a inserire come quarto elemento di quel poker che per quasi una decade ha guidato il grunge. Ten decolla sulle note dell’introduttiva Once che apre le danze attraverso un incipit ingannevole, subito corretto dal rifferama a due asce e dalla voce cazzuta di Vedder che mettono in chiaro chi comanda. È rock di pregiata fattura che strizza l’occhio alla melodia, ben nascosta nella struttura ma facilmente intellegibile da un orecchio attento. Della produzione se ne occupa il buon Rick Parashar e il risultato, anche se tardo, arriva con ben tre singoli ormai impressi negli annali del rock. E a proposito di singoli Even Flow, piazzata al secondo posto della tracklist, riassume tutto il pensiero sonoro dei Pearl Jam: rock muscolare che flirta con la melodia, la sezione ritmica vitaminizzata spinge al punto giusto su chitarre sfigurate dal wah-wah, sempre nella tradizione del buon Jimi Hendrix.

I testi, spesso autobiografici, tirano in ballo storie reali come il ragazzo suicida di Jeremy, parlano di ospedali psichiatrici in Why Go ma anche di solitudine, depressione e senzatetto. Ma è in pezzi come Garden e la sua forza trascinante o come Oceans, in cui Palmer si diverte a sovraincidere rumori di estintori e shaker come percussioni, che si devono cercare le perle di questo disco. Il resto, tolta la lunga coda psichedelica di Release, è ciò che si potrebbe definire un raid aereo la cui potenza di fuoco si basa sul rifferama anabolizzato delle due chitarre in dialogo serrato con la potente sezione ritmica. I Pearl Jam fanno parte di quella schiera di musicisti facilmente inseribili nella cerchia del “rock da stadio” che ha reso immensi molti gruppi dei seventies, periodo musicale a cui i cinque sono spudoratamente devoti.

Autore: Pearl Jam Titolo Album: Ten
Anno: 1991 Casa Discografica: Epic Records
Genere musicale: Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.pearljam.com
Membri band:

Eddie Vedder – voce

Stone Gossard – chitarra

Mick McCready – chitarra

Jeff Ament – basso

Dave Crusen – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Once
  2. Even Flow
  3. Alive
  4. Why Go
  5. Black
  6. Jeremy
  7. Oceans
  8. Porch
  9. Garden
  10. Deep
  11. Release
  12. Alive (bonus track – live)
  13. Wash (bonus track)
  14. Dirty Frank (bonus track)
Category : Recensioni
Tags : Grunge, Pearl Jam
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