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20th Feb2013

At The Dawn – From Dawn To Dusk

by Antonluigi Pecchia

Oggi ci troviamo a parlare degli At The Dawn, giovane realtà proveniente dall’Emilia Romagna, formatasi solo nel 2011 e che, dopo aver pubblicato solo l’anno successivo l’EP Countdown To Infinity giunge già, nel 2013, al debutto discografico con il presente From Dawn To Dusk. La fretta di questa band a pubblicare lavori potrebbe fare storcere il naso ai più, ma non facciamoci prendere da inutili pregiudizi e andiamo a scoprire insieme questo album. Il sound proposto dal combo nostrano è un tipico power metal d’impatto in stile tedesco ma dalle forti tinte epiche, il cui songwriting punta molto sulle melodie dei ritornelli e tra i brani presenti nell’opera alcuni, come Post Fata Resurgo e la conclusiva Wake Up At Dusk, di cui melodie e ritornelli una volta ascoltati difficilmente si riescono a dimenticare. La buone doti canore di Stefano De Marco vengono ben messe in evidenza grazie ai riff tirati ad opera dei due Michele della band con le loro chitarre sostenute alla perfezione dal batterista Mattia Ughi, il suo doppio pedale e dalle linee di basso di Vittorio. Inoltre ad arricchire e a rendere ulteriormente godibili le composizioni di questa opera è il compito svolto dagli inserti di tastiera, sempre piuttosto semplici ma che riescono a supportare le melodie donandogli quel tocco di atmosfera necessaria.

Insomma, ci troviamo di fronte ad un lavoro che, senza puntare in alto, fa centro nell’idea per cui è stato composto, un piacevole ascolto per un pubblico senza troppe pretese, amante delle sonorità più melodiche del metal. Per la band sembra che la strada per giungere alla personalità e alla maturità stilistica è ancora lontana ma il futuro ci potrà dire di più a riguardo, per ora possiamo constatare che la strada intrapresa da questi ragazzi sembra sia quella buona.

Autore: At The Dawn Titolo Album: From Dawn To Dusk
Anno: 2013 Casa Discografica: Buil2Kill Records
Genere musicale: Power Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://atthedawn.weebly.com
Membri band:

Stefano De Marco – voce

Michele Viaggi – chitarra

Michele Vinci – chitarra

Vittorio Zappone – basso

Mattia Ughi  –   batteria

Tracklist:

  1. Prelude
  2. At The Dawn
  3. Red Baron’s Kiss
  4. Winter Storm
  5. Balthazar
  6. Post Fata Resurgo
  7. Countdown To Infinity
  8. Louder To Heaven
  9. Sunset Rider
  10. Wake Up At Dusk
  11. Ari’s Melody
  12. Disaster Recovery Plan (Bonus Track)
Category : Recensioni
Tags : Power metal
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12th Feb2013

Revoltons – 386 High Street North: Come Back To Eternity

by Giancarlo Amitrano

La Terra Promessa (musicale) a volte non è troppo lontana: inutile sobbarcarsi voli transoceanici per scoprire tesori che magari si hanno a portata di mano a pochi passi. Ad esempio, la proposta dei nostrani Revoltons non ha nulla da invidiare alle quotate band d’oltreoceano ed oltremanica in quanto a tecnica e capacità compositiva. Missando saggiamente hard, power, thrash e progressive (?!), il gruppo si destreggia alla grande nell’affrontare generi di sicuro impegno e necessitanti di originalità. Sin dalle due iniziali intro strumentali, tra cui la titletrack, la band dimostra idee chiare soprattutto negli arrangiamenti e nelle legature delle parti strumentali. Con Jeremy Bentham la gradevole voce di Andro consente ai germani Corona di svolazzare con leggerezza su di un pentagramma sonoro di sicuro impatto, che conduce ad un’invitante cavalcata quasi epica nel refrain e nel bridge centrale. La buona sezione ritmica detta bene i tempi di battuta, su cui il singer dosa bene i tempi di entrata. Un complesso Blood Of Skynet si dipana attraverso atmosfere molto cupe, che spaziano dal metal classico al progressivo nello slancio iniziale del brano: non pare essere appena al quarto brano, stante la già numerosa variazione di stile nell’esecuzione degli stessi. La voce è qui rallentata ad arte per consentire alle due asce di mettere assieme delle sonorità davvero non artefatte e che escono spontanee dagli amplificatori. Il cantato quasi declamato in alcuni passaggi rende il brano molto ingannevole, nel senso che ad una iniziale malinconia interpretativa segue invece una linea sonora molto rocciosa e stentorea, che rendono il pezzo tra i migliori dell’album.

L’ospite Francesca Sanavro offre con la sua voce angelicata un notevole servigio al breve interludio di Souffle De Vie, declamato in francese e reso molto delicato. Ideale ponte verso Come Back To Eternity, strutturato attraverso un lungo preludio iniziale che probabilmente appesantisce leggermente l’economia del brano. Le asce qui appaiono troppo “tirate” nella loro distorsione, mentre anche il singer cerca di rendersi eccessivo nel trattenere le note sui toni alti. Probabilmente, l’intenzione di rendere il brano una ideale testa di ponte verso la seconda parte dell’album mal si concilia con la linea sonora sin qui intrapresa dalla band. Tuttavia, l’alternanza del tapping in sottofondo rende comunque il pezzo egualmente gradevole nell’insieme, sia pur con i distinguo del caso e con la piacevole semiacustica centrale che dipinge un breve e nostalgico ghirigoro medievale davvero interessante. The Ancient Dragon è l’immancabile ballad: supportata da una buona iniziale evoluzione elettrica, la canzone si rafforza con il canto trasognato del singer, qui molto ispirato. Ammiccante al power in alcuni passaggi, il brano è tuttavia un vero esempio di poliedricità; non si discosta dai dettami sinora seguiti e tuttavia riesce ad emozionare con facilità. Le asce si mettono a disposizione del testo, che qui strizza l’occhio a tematiche tanto care alla leggenda Ronnie James Dio, che idealmente dall’olimpo benedice questa performance.

Si torna in riga con Sharpened Fog, dove alcuni inserti di tastiera rendono il brano un classico hit-metal, che senza dannarsi l’anima più di tanto riesce a raggiungere lo scopo di tratteggiare le note caratteristiche della band, devota al sound tipico dei gloriosi ‘80, in cui le asce la fanno da padrone. Chameleon esula ancora una volta dagli schemi: anche qui riscontriamo toni cupi e pesanti, dovuti alla sezione ritmica molto rallentata, che indugia quel secondo in più nella battuta e nella dettatura dei tempi. Per apparire molto “dark” nella fase centrale del pezzo, il gruppo non esita a sacrificare le tonalità alte del cantato, che qui fa molto uso di growl, sia pur sommesso ad arte. Ancora un lento con London Again, lo sforzo lodevole della band di proporre un momento molto intimista cozza con l’idea che di essa ci siamo sinora fatti. La tecnica del combo è indubbia e pur tuttavia il gruppo continua a farsi preferire sulle tracce più incisive che rendono meglio la natura anche tecnica della band, tuttavia impeccabile. Nagual Touch ci riconsegna al meglio i nostri eroi: la breve intro iniziale pregna di acustica lascia presto il passo ad una sventagliata di metal classico che riporta in auge la band. Il volutamente ritardato arpeggio delle asce consente al singer di esplodere con toni ben più spiritati, che in alcuni frangenti raggiungono addirittura vette hardrockeggianti. L’ossessiva semielettrica di sottofondo consente al singer di dettare i tempi della sua durata, presente ad iosa nella fase centrale, in secondo piano nell’enunciazione finale dei testi.

La conclusiva e lunghissima Space And Time Reflex, proveniente dal loro precedente Lost Remembrance, è la summa finale delle esperienze musicali sin qui maturate dalla band. Lungo tutto il minutaggio del brano, si alternano tutti gli stili cui all’inizio abbiamo fatto riferimento: dall’iniziale momento progressivo (con tutta la strumentazione volutamente sotto tonalità), si passa alla fase tipica del metal più spassionato, dove anche il singer si imbarca su vette vocali trattate in precedenza e con successo. Caratteristica del brano è la sua interruzione a metà durata, salvo poi ripartire con un sound che pare provenire da molti metri sottoterra e che pare nulla aver a che fare con quanto sin qui sentito. Un pizzico di suspence, che indurrà molti a voler rendersi conto di persona cosa accade e che di certo, non resterà deluso, grazie alla buona intenzione del gruppo, che avrà altre ideucce come questa in seguito.

Autore: Revoltons Titolo Album: 386 High Street North: Come Back To   Eternity
Anno: 2012 Casa Discografica: My Graveyard Productions
Genere musicale: Power Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.revoltons.com
Membri band:

Andro – voce

Alex Corona – chitarra e tastiere

Matt Corona – chitarra

Roberto Sarcina – basso

Elvis Ortolan – batteria

 

Giovanni Venier – voce traccia 4

Francesca Sanavro – voce tracce 5 e 9

Aydan – chitarra traccia 3

Fabrizio Cenci – piano traccia 7

Alex Carli – basso tracce 9 e 12

Tracklist:

  1. London Gates
  2. 386 High Street North
  3. Jeremy Bentham
  4. Blood Of Skynet
  5. Souffle De Vie
  6. Come Back To Eternity
  7. The Ancient Dragon
  8. Sharpened Fog
  9. Chameleon
  10. London Again
  11. Nagual Touch
  12. Space And Time Reflex
Category : Recensioni
Tags : Power metal
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06th Feb2013

Martiria – Roma S.P.Q.R.

by Marcello Zinno

Finalmente una band in grado di creare un concept album dedicato all’Italia e in particolare alla storia romana: si tratta di Roma S.P.Q.R. dei Martiria, una band che annovera tra le proprie fila influenze e artisti di un certo calibrio. Rick Anderson (in arte Damien King III, cantante dei Warlord) è stato a lungo alimentatore del progetto Martiria, fino ad un anno fa quando si è separato dal progetto per lasciare il microfono al nuovo singer Freddy; lo stesso chitarrista Andy Menario ha partecipato ad un progetto con Carl Sentance (ex Krokus), Carlos Cavazo (ex Quiet Riot), Jeff Pilson (ex Dokken) e Vinny Appice (ex Black Sabbath e Dio) per la registrazione di un album dal titolo Dinosaurs. Ma cosa rappresentano i Martiria oggi? Dopo 25 anni dalla loro nascita si può dire che i Martiria rappresentano un loro stile compatto, senza cedimenti o indecisioni, e che con questo concept album hanno compiuto un ulteriore passo nel proprio processo di maturazione. La costruzione sonora è ben precisa e non si presentano impasti di suoni, come a volte accade per lavori di questo tipo; il songwriting viene valorizzato adeguatamente e gli appassionati di classic heavy metal posso trovare diversi spunti interessanti, pur trattandosi fondamentalmente di power/epic metal. Ovvio che il fan tipo di Helloween e di Kai Hansen (tutta la discografia, Gamma Ray inlcusi) è a rischio overdose con la quasi ora piena di Roma S.P.Q.R. ma questo non vuol dire che si tratta di un album per ‘defender’ e basta (chiedetelo ai fan dei Virgin Steele!). Anzi la forza di questo lavoro è quella di piacere ad un pubblico eclettico: pur essendo ancorato alla scuola power, l’album risulta fruibile senza presentare rinuncie ad un sound duro e deciso.

Qualche influenza dreamtheateriana in Callistus Wake e l’interlocutoria Britannia che sa molto dell’epicità dei Bathory (o anche dei Blind Guardian ai tempi di Nightfall In Middle Earth) sono solo alcune sfumature rintracciabili dal passato, ma le armi vincenti dei Martiria sono ben appuntite ed escono fuori con Tale Of Two Brothers, che rappresenta la canonica power track con pomposità annesse da gloria e conquista, con l’accoppiata The Scourge Of God/Elissa tirate e complesse al punto giusto e con la ballad Ides Of March. Qualche passaggio meno personale c’è (come The Northern Edge), ma non si tratta di riempitivi in un album che va comunque osservato da un punto di vista complessivo. A livello ideativo Roma S.P.Q.R. è creato con tantissima attenzione sviscerando i periodi più caldi della storia dell’Impero Romano non trascurando citazioni ad immagini e fonti in latino provenienti dal passato.

E Freddy? È necessario presentare la nuova voce dei Martiria quale timbro vocale dalla particolarità non eccessiva ma con delle doti che riescono in parte a renderla piacevole in un contesto in cui anche gli altri musicisti spiccano molto per idee e tecnica. In uno scenario musicale del genere, a nostro parere, una voce con un’estensione vocale maggiore avrebbe reso l’opera ancora più epica. Al di là di tutto si tratta di un album davvero ben costruito, migliorabile sotto certi aspetti, ma in grado di forgiare un interesse di rilievo tra legioni di fan appartenenti a generi diversi. Anche per questo per noi è promosso.

Autore: Martiria Titolo Album: Roma S.P.Q.R.
Anno: 2012 Casa Discografica: My Graveyard Productions
Genere musicale: Power Metal, Epic Metal Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.martiria.com
Membri band:

Andy Menario – chitarra

Derek Maniscalco – basso

Umberto Spiniello – batteria

Freddy – voce

Marco R. Capelli – testi

Tracklist:

  1. Nihil Aliud Quam Superstitione
  2. Callistus Wake
  3. Tale Of Two Brothers
  4. Byzantium
  5. Britannia
  6. The Northern Edge
  7. Hannibal (Sons Of Africa)
  8. Omens
  9. Ides Of March
  10. The Scourge Of God
  11. Elissa
  12. Burn, Baby Burn (Magnum Incendium Romae)
  13. Are You Afraid To Die?
  14. Spartacus
Category : Recensioni
Tags : Power metal
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03rd Feb2013

Rhapsody Of Fire – From Chaos To Eternity

by Alberto Lerario

From Chaos To Eternity sancisce la fine di un’epoca, narrando l’ultimo capitolo della “The Dark Secret” saga iniziata nel lontano 1997 con il primo capitolo della serie Legendary Tales, trampolino di lancio per la band triestina oramai conosciuta e apprezzata in tutto il mondo metallaro. L’ultima fatica dei Rhapsody esce a breve distanza, circa otto mesi, dal predecessore The Cold Embrace Of Fear, dimostrando come la vena creativa di Luca Turilli e Alex Staropoli non sia affatto esaurita. Certo il lasso di tempo ridotto tra un lavoro e l’altro non ha consentito la rifinitura ottimale dei dettagli, anche se questo non ha intaccato lo stile complessivo della band. Le complesse orchestrazioni su cui si poggiano cori dal sapore epico sono squarciate da riff taglienti, la maestria alla chitarra di Turilli è pareggiata dalla voce di Lione. Da notare la presenza ufficiale di una seconda chitarra, Tom Hess, ex componente degli HolyHell e vecchia conoscenza di Turilli. From Chaos To Eternity è un album complesso, non immediato, che per essere capito e apprezzato necessita più di un ascolto. Meno melanconico di altri lavori, caratterizzato da un’energica retorica epica coinvolgente l’album si apre subito in maniera elettrizzante con Ad Infinitum in cui un poderoso riff accompagna la narrazione dell’attore Christopher Lee (impeccabile anche questa volta nel prestare la sua voce alla band). Si continua con la title track From Chaos To Eternity  sull’onda dell’energia sonora gonfiata dalla voce di Lione che esplode nel coro della traccia.

Tempesta Di Fuoco è un estratto arrangiato di Sonata per pianoforte n 1 Opera 2, quarto movimento di Beethoven. Si possono apprezzare non solo influenze neoclassiche, ma anche progressive, a dimostrazione del lavoro impeccabile dal punto di vista tecnico musicale da parte della band. La traccia risulta inoltre peculiare poiché il testo cantato da Lione è interamente in italiano. Ghosts Of Forgotten Worlds è un brano dal sapore quasi metal vintage (lontanamente ricorda i Judas Priest) per quanto riguarda la sezione ritmica, in cui si inseriscono i grandi duetti tra chitarra e tastiera. Anima Perduta è un pezzo lento, che fa perdere un po’ di ritmo all’album, cantato comunque magistralmente da Lione. In Aeons Of Raging Darkness esplode un’aggressività thrash metal rappresentato dallo screaming di Lione, una delle sfaccettature della complessa anima della band che solo di rado hanno fatto emergere durante la loro carriera. Un’altra sorpresa ce la regala I Belong To The Stars, un mid tempo di stampo hard rock, nel complesso riuscito, ma che fa storcere il naso ai puristi del metal o ai fan di vecchia data. Con Tornado si torna sulle strade sicure di metallo. Ottima sezione ritmica, potente e melodica, dove Alex Staropoli con le sue tastiere spicca tra tutti.

Heroes Of The Waterfalls’ Kingdom è la traccia conclusiva dell’album. Film-score metal allo stato puro, divisa in cinque tracce, legate insieme dalla lunga narrazione di Christopher Lee, in cui ritroviamo momenti folk medievali e l’epica sinfonica che rappresenta il marchio di fabbrica della band. La lunga durata della traccia doveva rappresentare il degno finale della saga iniziata nel 1997, ma la band ha forse finito per strafare rendendola troppo pomposa e dilatata perdendo un po’ di pathos. From Chaos To Eternity risulta nel complesso un tantino affrettato nella produzione. Doveva essere, o forse ci aspettavamo che fosse, una conclusione epocale di una saga epica lunga quattordici anni. Si tratta di certo di un buon album, impeccabile dal punto di vista tecnico, poderoso, ma che presenta alti e bassi al suo interno e raramente tocca vette di assoluto valore, complice anche una produzione non limata alla perfezione. Insomma un buon finale che merita sicuramente l’ascolto, ma non un gran finale, per una delle saghe musicali più lunghe della storia del metal.

Autore: Rhapsody Of Fire Titolo Album: From Chaos To Eternity
Anno: 2011 Casa Discografica: Nuclear Blast
Genere musicale: Power Metal, Symphonic Metal Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: http://www.rhapsodyoffire.com
Membri band:

Fabio Lione – voce

Luca Turilli – chitarra

Tom Hess – chitarra

Alessandro Staropoli – tastiere

Patrice Guers – basso

Alex Holzwarth – batteria

Christopher Lee – voce narrante

Tracklist:

  1. Ad Infinitum
  2. From Chaos To Eternity
  3. Tempesta Di Fuoco
  4. Ghosts Of Forgotten Worlds
  5. Anima Perduta
  6. Aeons Of Raging Darkness
  7. I Belong To The Stars
  8. Tornado
  9. Heroes Of The Waterfalls’ Kingdom

 

Category : Recensioni
Tags : Power metal
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15th Gen2013

Kamelot – Silverthorn

by Marcello Zinno

Decimo lavoro in studio per una delle band cardine dell’epic power metal non europeo. Si tratta dei Kamelot che si sono trovati negli ultimi anni a vivere dei tempi davvero difficili: prima l’abbandono del bassisa Glenn Barry, poi anche lo storico singer Roy Khan lascia la band ed in un periodo di vera turbolenza l’ormai quartetto si è trovato senza redini. Cercando di colmare il vuoto con il nostro Fabio Lione (già vocalist dei Rhapsody Of Fire) per i live già pianificati, i Kamelot hanno annunciato a metà del 2011 il nome del nuovo singer, lo svedese Tommy Karevik. La scandinavia è di certo una terra molto cara all’epic metal (Nightwish, Epica, Within Temptation, After Forever, Delain…), e forse la scelta è ricaduta su Tommy anche per la nuova linfa creativa che questi poteva portare alla band, date le sue origini. In realtà Tommy Karevik, pur risultando un ispiratissimo singer, non fa altro che proseguire il cammino già imboccato dai Kamelot nel passato e se si vuole a tutti i costi percepire qualche differenza rispetto alle pubblicazioni più classiche della band questo lo si fa a livello musicale più che a livello canoro. La parte del leone è assunta da Oliver Palotai, protagonista assoluto in brani come Song For Jolee, e da Thomas Youngblood, unico ingrediente che riporta in auge le radici power dei Kamelot. A proposito, chi è Jolee? Silverthorn è un concept album (il terzo composto dalla band dalla sua nascita), incentrato su una famiglia con tanti segreti nascosti, uno dei quali la morte della propria bambina di nome Jolee causata dai suoi fratelli gemelli. Contrariamente a quanto fa immaginare l’artwork e il concept, musicalmente parlando le sonorità un pò più cupe registrate in passato scompaiono a vantaggio di orchestrazioni molto più presenti.

In Ashes To Ashes si nota qualche spiraglio progressive, secondi che riappaiono in Falling Like The Fahrenheit ma che svaniscono per la restante parte dell’album. È Veritas il classico brano pomposo alla Kamelot con sovraincisioni di chitarre, sempre in prima linea seppur personalizzate da un tappeto di tastiere e di cori che focalizzano il tutto sul carattere epico della proposta musicale. Bella la voce di Elize Ryd (Amaranthe) in questo brano che riveste comunque il ruolo di comparsa. Si nota tanta attenzione alla fase produttiva, un pò meno a quella compositiva che in alcuni passaggi, come My Confession, non regalano nulla di veramente sbaloriditivo; un maggior tiro invece viene offerto dalla title track, più metal-oriented, ad eccezione della sua parte centrale, un bridge lento che smorza il fiato. La suite Prodigal Son alterna tutto il copione Kamelot prediligendo però i tempi lenti, solo raramente conquistati dal rifferama della sei corde.

Noi non abbiamo dubbi che Silverthorn appaghi in maniera inequivocabile i fan dell’epic metal che troveranno in questi dodici brani tutti gli ingredienti dei propri menu preferiti. Ci chiediamo solo se questo filone possa essere reinterpretato in una visione più innovativa per proiettare nel futuro il metal sinfonico e questo lavoro non ci aiuta a dare una risposta.

Autore: Kamelot Titolo Album: Silverthorn
Anno: 2012 Casa Discografica: SPV/Steamhammer
Genere musicale: Power Metal, Epic Metal, Symphonic Metal Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: http://www.kamelot.com
Membri band:

Tommy   Karevik – voce

Thomas   Youngblood – chitarra

Oliver   Palotai – tastiere

Sean   Tibbetts – basso

Casey   Grillo – batteria

Tracklist:

  1. Manus Dei
  2. Sacrimony (Angel Of Afterlife)
  3. Ashes To Ashes
  4. Torn
  5. Song For Jolee
  6. Veritas
  7. My Confession
  8. Silverthorn
  9. Falling Like The Fahrenheit
  10. Solitaire
  11. Prodigal Son
  12. Continuum
Category : Recensioni
Tags : Power metal
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06th Gen2013

Labyrinth – Return To Heaven Denied pt 2

by Alberto Lerario

Un rombo di tuono, poi un fulmine…i Labyrinth sono tornati! È questa la notizia che elettrizza tutti i metallari nostrani nel 2010. Dopo anni di vicissitudini, cambi di line up e chissà cos’altro, la power metal band si riunisce praticamente in formazione originale. Come atto d’amore verso i fan decidono di tornare a sonorità più ruvide, meno arabesce, tralasciando le sfumature progressive per riabbracciare sia l’hard che l’heavy, ed in stile hollywoodiano decidono di ripartire da dove avevano iniziato. Return To Heaven Denied pt 2 – A Midnight Autumn’s Dream rappresenta idealmente il secondo atto dell’album Return To Heaven Denied, che nel 1998 stupì l’Italia metallara e non solo. Ma si sa, è difficile che i sequel siano all’altezza del capitolo precedente, e spesso dividono i fan. Return To Heaven Denied pt 2 non rappresenta un’eccezione in questo. L’album è suonato alla perfezione, potente, deciso e vigoroso come agli esordi. La band si conferma ad alti livelli sia dal punto di vista tecnico che espressivo (in particolar modo Fabio Tiranti, colui che ha beneficiato più di tutti del ritorno di Thorsen). Dal punto di vista compositivo ricalca in modo molto fedele il precedente del 1998, ed è forse questo il punto. I Labyrinth hanno deciso di non osare scegliendo “l’usato sicuro”. Tale decisione non è un male di per sé, perché l’usato in questione è di ottima fattura, purtroppo l’effetto sorpresa delude chi anelava a qualcosa di nuovo e forse rivoluzionario. Inoltre a livello compositivo le varie tracce risultano un po’ piatte tra loro, scivolando via senza infamia e senza lode.

Le note iniziali di The Shooting Star sono la continuazione di Die For Freedom, ultima song di Return To Heaven Denied, per poi partire a tutta velocità con riff taglienti, oliati a dovere dalla voce di Fabio Tiranti. A Chance è un ottimo brano melodico, in cui Tiranti mostra tutta la sua bravura, alternandosi con l’impeto delle chitarre di Thorsen e Cantarelli capaci di duettare con le tastiere di De Paoli. Like Shadows In The Dark, Princess Of The Night, Sailors Of Time, e To Where We Belong mostrano la memoria delle esperienze passate dai membri della band, melodia, potenza e tecnica mescolati in modo sapiente, la perfetta ricetta per power metal di qualità. La titletrack è una canzone suadente in cui spicca l’emozionante prova di Tiranti. Si torna a correre con sequenza The Morning’s Call, seguita da In This Void, brano caratterizzato dall’elettronica e da un ritmo sincopato, decisamente interessante e poco comune. L’album chiude con A Painting On The Wall.

Se si cerca del buon vecchio power metal, suonato con vigore ed eleganza, interpretato alla grande questo è un album da avere. Come si dice, squadra che vince non si cambia. Invece per chi è abituato a tendere al futuro, per chi pensa che il ritorno al classico sappia di stantio forse è meglio ripiegare su Return To Heaven Denied per avere nella propria discogragafia un classico originale. Per tutti quelli che intendono ascoltare della buona musica senza pensarci troppo su prima di accendere lo stereo vale comunque la pena di dare una possibilità a questo prodotto dei nuovi\vecchi Labyrinth.

Autore: Labyrinth Titolo Album: Return To Heaven Denied pt 2 – A Midnight Autumn’s Dream
Anno: 2010 Casa Discografica: Scarlet Records
Genere musicale: Power Metal, Progressive Metal Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://www.labyrinthband.com
Membri band:

Roberto Tiranti – voce, basso

Andrea Cantarelli – chitarra

Olaf Thorsen – chitarra

Andrea De Paoli – tastiere

Alessandro Bissa – batteria

Tracklist:

  1. The Shooting Star
  2. A Chance
  3. Like Shadows In The Dark
  4. Princess Of The Night
  5. Sailors Of Time
  6. To Where We Belong
  7. A Midnight Autumn’s Dream
  8. The Morning’s Call
  9. In This Void
  10. A Painting On The Wall
Category : Recensioni
Tags : Power metal
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02nd Gen2013

Vision Divine – Destination Set To Nowhere

by Alberto Lerario

Nuove novità in casa Vision Divine: il ritorno nella band di Andrea “Tower” Torricini al basso, al posto di Cristiano Bertocchi, e il cambio di casa discografica con la firma per la earMusic, una sottodivisione della major Edel. Un bel successo per tutto il gruppo e con un po’ di campanilismo, un bel successo anche per tutto il movimento italiano, a dimostrazione che anche alle nostre latitudini si può produrre metal di alto livello, degno di palcoscenici internazionali. I Vision Divine rappresentano degli ottimi porta bandiera, sperando che il tutto porti una ventata di ottimismo ed ispirazione verso altre band nostrane di livello già presenti sul territorio, sulle giovani leve, e soprattutto su qualche produttore. Destination Set To Nowhere, curato in produzione da Olaf Thorsen in persona, è un concept album in cui si narra la storia di un uomo che, insieme alle persone a lui care, scappa dalla Terra, pianeta ormai invivibile, alla ricerca di un nuovo pianeta su cui vivere una vita serena e felice. Durante il viaggio, però, ci si accorgerà che l’equipaggio tenderà ad assomigliare a ciò da cui era scappato. Questo nuovo prodotto dei Vision Divine, rappresenta una summa del bagaglio musicale e delle idee della band dalla sua nascita ad oggi. Ottimo disco, potente, pulito e melodico in cui si possono sentire cavalcate di puro power metal, sconfinare nel progressive; riff taglienti e poderosi, quasi in stile thrash, che richiamano l’energia e la rabbia degli esordi, alternati a momenti più melodici ed acustici.

Le tastiere di Alessio Lucatti sono sempre presenti, in modo elegante e senza mai appesantire il tutto; con il loro tocco space-futurista conferiscono freschezza ai brani. Francesco Lione, dopo il suo ritorno nel 2009 con l’album 9 Degrees West To The Moon, dimostra di aver riacquistato il giusto feeling con il gruppo, sfoderando una prestazione degna di nota, espressiva, potente e più versatile del solito, senza abbandonare le timbriche “metallare” a lui più consone, a differenza del predecessore Michele Luppi, alimentando in questo modo la diatriba tra i fan della band sulle preferenze tra i due cantanti. Il vero demiurgo dell’album naturalmente è Olaf Thorsen, abile nell’amalgamare a meraviglia tutte le componenti, creando dinamiche armoniose e mai noiose, suonando lui stesso con grande eleganza e tecnica, ma evitando di eccedere con il narcisismo chitarristico.

L’album si apre in maniera molto emozionante, con una voce (il doppiatore Leonardo Patrignani, ex cantante dei Beholder) che recita il sonetto di Cecco Angiolieri S’io Fosse Foco accompagnato in sottofondo dalle tastiere, facendoci capire lo spirito irriverente e ardente di chi sta per partire lasciando la Terra. Quindi si decolla con The Dream Maker, pura potenza power prog, che mette le cose in chiaro fin dal primo riff. Beyond The Sun And Far Away ci permette di apprezzare tutta la bravura e l’espressività di Lione, anche grazie alla perfetta melodia che l’accompagna. Se si chiudono gli occhi ascoltando The Ark si ha l’impressione di viaggiare nello spazio profondo portati per mano da Lucatti con le sue tastiere, insieme alle chitarre di Thorsen e Puleri che giocano tra il power ed il progressive. Mermaids From Their Moons è il singolo estratto dall’album per presentare il disco. Ritmo incalzante e melodia che entra subito in testa, forse il brano più valido del disco. The Lighthouse, un gradino più sotto alla traccia precedente, si basa maggiormente sulla velocità ed un riffing deciso, ma di sicuro dal vivo sarà tra i brani più apprezzati. In Message To Home, ballad che trascina nella melanconia narrando le difficoltà di chi è lontano dagli affetti, il protagonista è Fabio Lione che mette in campo tutto il suo carisma e la sua tecnica. The Sin Is You e Here We Die sono due tracce relativamente atipiche. La prima caratterizzata dal basso prepotente è un pezzo catchy coinvolgente, mentre la seconda abbraccia lo stile thrash investendoci con muro sonoro, riff taglienti e ritmica incessante. Il viaggio si conclude con la titletrack Destination Set To Nowhere, melodica e leggera capace di condurci verso i nostri pensieri.

Destination Set To Nowhere è un album valido e coinvolgente, elegante e sapientemente strutturato. Fin dal primo ascolto coinvolge ed emoziona. La band, per rilanciarsi o lanciarsi definitivamente, percorre strade già battute e sicure, ma si percepisce una rinnovata sicurezza in se stessi che porta a sperimentare in alcune tracce (come The Ark) e a non perdere mai la giusta tensione. Manca forse un po’ di pathos, le tracce risultano alla lunga leggermente piatte nel loro complesso. La line up appare però più rodata, con Lione tornato a pieno regime. I Vision Divine ora sono pronti per partire tra le stelle del metal internazionale (grazie anche al nuovo contratto discografico).

Autore: Vision Divine Titolo Album: Destination Set To Nowhere
Anno: 2012 Casa Discografica: earMusic
Genere musicale: Power Metal, Progressive Metal Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: http://www.visiondivine.com
Membri band:

Fabio Lione – voce

Olaf Thorsen – chitarra

Federico Puleri – chitarra

Alessio Lucatti – tastiere

Andrea Torricini – basso

Alessandro Bissa – batteria

Tracklist:

  1. S’io Fosse Foco
  2. The Dream Maker
  3. Beyond The Sun And Far Away
  4. The Ark
  5. Mermaids From Their Moons
  6. The Lighthouse
  7. Message To Home
  8. The House Of The Angels
  9. The Sin Is You
  10. Here We Die
  11. Destination Set To Nowhere
Category : Recensioni
Tags : Power metal
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26th Dic2012

Vision Divine – Stream Of Consciousness

by Alberto Lerario

Talvolta, in seguito ad un percorso di vita doloroso, come una rivelazione scaturisce un flusso di coscienza libero da pensieri distraenti, in grado di attraversare emozioni e mettere a nudo l’essenza di un essere umano. Stream Of Consciousness è un concept album basato su tale idea. I Vision Divine sono inizialmente nati come progetto parallelo dalle menti di Olaf Thorsen (chitarrista dei Labyrinth) e di Fabio Lione (cantante dei Rhapsody) e in seguito ai primi due album ricevono un buon ritorno sia dalla critica che dal pubblico. Nel 2003, però, Olaf Thorsen ha definitivamente lasciato i Labyrinth, sua band di origine, a causa di forti incomprensioni in seno al gruppo, per dedicarsi anima e corpo ai Vision Divine. Oleg Smirnoff tastierista dei Death SS e Matteo Amoroso batterista ex-Athena entrano in sostituzione dei membri precedenti, che lasciano i Vision Divine per tornare nei Labyrinth. Dopo aver abbozzato alcuni brani, il cantante Fabio Lione è costretto ad abbandonare la band per rispettare gli oneri contrattuali dei Rhapsody. Quando tutti erano ormai convinti dell’imminente scioglimento della band, nel 2004 Olaf Thorsen annuncia l’ingresso nel gruppo dell’allora quasi sconosciuto (almeno per il mondo metal) Michele Luppi, membro dei Mr. Pig, cantante con background AOR, diplomato al VIT di Los Angeles.

Lo spirito tormentato della band, dovuto a questa serie travagliata di eventi, è evidente fin dalla copertina del disco, in cui è raffigurato un angelo (con le sembianze di Olaf Thorsen) rinchiuso in una lugubre stanza di un manicomio, con indosso una camicia di forza. Questo concept album racconta la storia di un uomo che si interroga se sia valsa veramente la pena di impazzire per conoscere il vero senso della vita (una sorta di autobiografia di Olaf). Fin dall’intro, in cui si sente canticchiare un uomo sulle note del quattordicesimo capitolo dell’album Identities, si intuisce che non ci si trova di fronte a convenzionale power metal. The Secret Of Life si apre con un poderoso riff di chitarra che man mano dialoga alla perfezione con gli altri strumenti, in particolare le tastiere, e soprattutto con la voce di Luppi che si scopre al pubblico con impeccabile tecnica, versatilità e potenza. Colours Of My World è caratterizzata da un bel ritornello melodico cantato alla perfezione da Luppi, ed un ottimo dialogo centrale tra chitarra e tastiera. In The Light è un breve preludio angoscioso a The Fallen Feather, ottima armonia poggiata su di un ennesimo solido riff. L’ansia e l’angoscia raggiungono il culmine in La Vita Fugge, basata su un sonetto del poeta Francesco Petrarca. Velocità e melodia lasciano senza fiato, sostenute da un ritmo incalzante. Ma la vera perla è nascosta nella voce di Luppi, precisione ed estensione vocale da extraterreste. L’acuto finale toglie il respiro più a noi per lo stupore, che a Luppi stesso che non da mai l’impressione di far fatica. Version Of The Same ci consente di tirare il fiato, con la sua melodia da hit radio che invoglia a cantare insieme al gruppo. Un mid tempo che calza a pennello a Luppi grazie al suo retroterra AOR. Through The Eyes Of God scorre senza infamia e senza lode. Si riprende ritmo e velocità con Shades, dal gusto classico e barocco. A We Are, We Are Not, un usato sicuro, classico ottimo metal, seguono Fool’s Garden e The Fall Of Reason, puliti e precisi intermezzi strumentali. Out Of The Maze è forse l’altra perla del disco, sullo stile dei Labyrinth impressiona per velocità e precisione tecnica, conditi da ritmo forsennato. Identities è la ballad conclusiva, commovente ed intimista flusso di emozioni, degna conclusione del disco.

Suonato con tecnica inappuntabile, l’album non rappresenta uno sterile esercizio di tecnica, infatti i complessi arrangiamenti di Olaf Thorsen sprigionano emozioni in grado di farci navigare lungo un flusso di coscienza, personale o di Olaf stesso, a seconda della prospettiva con cui ci approcciamo al disco. La voce di Luppi si sposa alla perfezione alle sonorità dei Vision Divine. Versatilità, tecnica, incredibile estensione e pathos (anche grazie alle tracce vocali lasciate in eredità da Fabio Lione) aggiungono maggior respiro al sound della band, valicando i rigidi schemi del power metal conferendogli una dimensione più completa e matura. Le tastiere di Olef Smirnoff, caratterizzate da un sound elettronico, puntuali e mai invadenti, arricchiscono sempre ogni brano, evitando di renderlo banale. In ultima analisi Stream Of Counsciusness è un album emozionante, potente che merita di essere meditato, rivelando tutta la sua profondità dopo alcuni ascolti.

Autore: Vision Divine Titolo Album: Stream Of Consciousness
Anno: 2004 Casa Discografica: Scarlet Records
Genere musicale: Power Metal, Progressive Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.visiondivine.com
Membri band:

Michele Luppi – voce

Olaf Thorsen – chitarra

Oleg Smirnoff – tastiera

Andrea “Tower” Torricini – basso

Matteo Amoroso – batteria

Tracklist:

  1. Chapter I: Stream Of Unconsciousness
  2. Chapter II: The Secret Of Life
  3. Chapter III: Colours Of My World
  4. Chapter IV: In The Light
  5. Chapter V: The Fallen Feather
  6. Chapter VI: La Vita Fugge
  7. Chapter VII: Versions Of The Same
  8. Chapter VIII: Through The Eyes Of God
  9. Chapter IX: Shades
  10. Chapter X: We Are, We Are Not
  11. Chapter XI: Fool’s Garden
  12. Chapter XII: The Fall Of Reason
  13. Chapter XIII: Out Of The Maze
  14. Chapter XIV: Identities
Category : Recensioni
Tags : Power metal
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22nd Dic2012

Helloween – Walls Of Jericho

by Alessandra Mazzarella

Quello di cui si parla è forse il primo vero album power che la storia della musica annoveri tra le sue pagine, un tesoro forgiato dal fuoco di quattro giovani amburghesi che, ispirati dalla New Wave Of British Heavy Metal – corrente musicale che dalla natia Inghilterra portò alla ribalta in tutto il mondo grandi nomi tra cui ricordiamo in primis Judas Priest e Iron Maiden – si sono distinti per aver detto “più forte, più duro, più veloce”, gettando inconsapevolmente le fondamenta di uno dei generi più amati e seguiti del panorama metal. Walls Of Jericho nel 1985 segnò l’inizio di una sfavillante carriera per gli Helloween con il suo sound autentico, cattivo e diretto, i suoi riff veloci e le sue ritmiche martellanti. Le parti vocali di Kai Hansen non brillano di certo per cura tecnica ma i suoi acuti, di chiara matrice halfordiana anche se di minor potenza rispetto agli standard del frontman dei Priest (si pensi all’apertura di Ride The Sky), sono impertinenti, quasi ridicoli, al punto da catturare l’attenzione dell’ascoltatore. Questo album rispecchia appieno ciò che erano gli Helloween a metà degli anni Ottanta: un gruppo di ragazzi poco più che ventenni pronti a cambiare il volto di quel mondo che gli stava stretto, a cercarsi un posto più adatto a loro, lontano dai pregiudizi e dagli schemi sociali a loro imposti (non per niente l’artwork dell’album ritrae Fangface, oggi mascotte dei Gamma Ray, intento a distruggere un muro di cinta, ndr). Il leitmotiv del desiderio di evasione, tipico della produzione di Kai Hansen, autore all’epoca della maggior parte dei brani della band, si ripresenterà anche nei due album successivi, Keeper Of The Seven Keys Part I e II.

Quest’album porta ancora su di sé il marchio del metal degli albori ma l’energia che racchiude fa presagire l’inizio di quella rivoluzione musicale a cui gli Helloween daranno vita negli anni a seguire: Walls Of Jericho contiene infatti alcuni dei brani più blasonati delle zucche di Amburgo, frutto di quell’impeto e quella foga propri di una gioventù inquieta che aveva tanto da (ri)dire. Ricordiamo in particolare Ride The Sky, How Many Tears, Heavy Metal (Is The Law) e la scanzonata Gorgar, dedicata all’omonimo flipper, uno dei passatempi preferiti della band. Ascoltate Walls Of Jericho, amerete il suo approccio insolente e la sua schiettezza; lasciatevi contagiare dalla sua energia, per un attimo crederete che tutto è possibile; evadete dal tedio quotidiano, concedetevi un momento di libertà, perché quando l’ultima nota di Judas sarà uscita dalle vostre casse o dalle cuffie del vostro lettore mp3 capirete che album così non ne fanno più, e la cosa non vi piacerà affatto.

Autore: Helloween Titolo Album: Walls Of Jericho
Anno: 1985 Casa Discografica: Noise Records
Genere musicale: Power Metal Voto: 9
Tipo: CD Sito web: http://www.helloween.org
Membri band:

Kai Hansen – voce e chitarra

Michael Weikath – chitarra

Markus Großkopf  –   basso

Ingo Schwichtenberg – batteria

Tracklist:

  1. Walls Of Jericho
  2. Ride The Sky
  3. Reptile
  4. Guardians
  5. Phantoms Of Death
  6. Metal Invaders
  7. Gorgar
  8. Heavy Metal (Is The Law)
  9. How Many Tears
  10. Judas

 

Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Power metal
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06th Nov2012

Aeternal Seprium – Against Oblivion’s Shade

by Francesco Damiano

Dura la vita del recensore di album rock-metal all’alba dell’anno 2012. L’approccio ad ogni nuova uscita discografica ripropone troppo spesso le solite problematiche sul come valutare il lavoro in questione: capacità e tecnica possono bastare pur in assenza di originalità? Prendete ad esempio gli italianissimi Aeternal Seprium che si cimentano con l’esordio Against Oblivion’s Shade in un dischetto di classico epic metal con (forti) venature power. Le cavalcate classiche prese a prestito dagli Iron Maiden si fondono con toni epici alla Warlord o Virgin Steele: tutto già sentito migliaia di volte e tra l’altro già riproposto in salsa tricolore, prima dei nostri, dai Domine e Rhapsody Of Fire. Il nome della band prende spunto dal Sepro, zona del nord della Lombardia, ed i nostri eroi nelle loro canzoni raccontano proprio le gesta degli guerrieri storici che nel passato hanno combattuto per la conquista del territorio. Leggiamo dalle note del disco che gli Aeternal Seprium arrivano al debutto discografico dopo una gavetta quasi decennale, con un paio di Lp alle spalle ben accolti dalla critica. Ebbene, come accennato già all’inizio, la perizia tecnica dei nostri è evidente, riuscendo gli Aeternal Seprium a sfornare un lavoro che dal punto di vista della confezione e della produzione regge il passo con nomi stranieri ben più blasonati. I problemi purtroppo sorgono quando si passa a valutare la qualità dei brani proposti.

Per usare un ‘immagine presa a prestito dal gergo calcistico, come un soldatino di fascia che passa i novanta minuti della partita a fare su e giù per il campo senza azzardare mai un dribbling, così gli Aeternal Seprium si cimentano in dieci brani stilisticamente ineccepibili, ma banali e scontati. Se con la prima traccia The Man Among Two Worlds si inizia tutto sommato bene, con un pezzo tirato il giusto e con un intermezzo in lingua italiana che vorrebbe essere evocativo, con il resto dell’album la noia fa capolino, ahinoi, spesso. Vainglory scorre via alquanto insignificante, mentre Sailing Like The Gods Of The Sea parte con un acuto del singer Stefano Silvestrini degno del miglior (?!) Kotipelto degli Stratovarius per proseguire poi tranquilla per i sicuri mari del power metal. Soliloquy Of The Sentenced rallenta un poco i tempi ma restando sempre fedele al canovaccio epic. Probabilmente In Sign Of Brenno è la canzone più riuscita del lotto, che dopo un inizio con un cantato da toni quasi parossistici, stupisce con inserti musicali più accattivanti che rendono almeno l’ascolto più fluido.

Proseguendo con le tracce, si arriva a L’Eresiarca, unico pezzo completamente in italiano del lavoro discografico, strada già battuta in passato dai Rhapsody Of Fire. Nulla però che riesca a far sobbalzare l’ascoltatore dalla sedia. Tocca ripetersi: che i nostri con gli strumenti ci sappiano fare è innegabile, ma in un genere già ristretto come l’epic metal, per emergere davvero servirebbero la forza e il coraggio di aggiornare la proposta musicale, cose su cui gli Aeternal Seprium devono migliorare. Insomma ragazzi, va bene essere seri e disciplinati in battaglia, ma senza un guizzo di fantasia la guerra per la gloria musicale non la si conquista.

Autore: Aeternal Seprium Titolo Album: Against Oblivion’s Shade
Anno: 2012 Casa Discografica: Nadir Music
Genere musicale: Epic Metal, Power Metal Voto: 5
Tipo: CD Sito web: http://www.myspace.com/aeternalseprium
Membri band:

Stefano Silvestrini – voce

Leonardo “Unto” Filace – chitarra

Adriano Colombo – chitarra

Santino Talarico – basso

Matteo Tommasini – batteria

Tracklist:

  1. The Man Among Two Worlds
  2. Vainglory
  3. Sailing Like The Gods Of The Sea
  4. Soliloquy Of The Sentenced
  5. In Sign Of Brenno
  6. Victimula’s Stone
  7. Solstice Of Burning Souls
  8. L’Eresiarca
  9. The Oak And The Cross
  10. Under Flag Of Seprium
Category : Recensioni
Tags : Power metal
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