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23rd Ott2017

Stratovarius – Dreamspace

by Ottaviano Moraca

Stratovarius - DreamspaceEd ecco giungere anche gli Stratovarius alla prova del terzo disco in studio. Tipicamente crudele mannaia e infallibile spartiacque che divide i gruppi in due categorie: quelli che falliscono annacquando la propria proposta o addirittura sciogliendosi da lì a poco e quelli che imboccano il luminoso sentiero della gloria. E’ a questa seconda schiera che si iscrive la compagine scandinava con un album in netta crescita rispetto al predecessore. Là dove la produzione poteva essere migliorabile c’è un lavoro assolutamente allineato ai migliori album dell’epoca. Dove ancora si sentivano richiami troppo marcati ai padri del genere c’è una nuova vocazione a sonorità progressive che aggiunge raffinatezza e spessore a tutte le quattordici tracce di questo lungo platter. La maggior esperienza e un approccio più smaliziato in fase compositiva poi completano l’opera donando ai brani un equilibrio, un’armonicità e una varietà sconosciuta ai precedenti capitoli della discografia dei Nostri. Protagonista assoluto della scena, come già successo negli altri episodi, è il talentuoso frontman Timo Tolkki che, una volta acquisita la leadership del gruppo, si è fatto carico dell’intero impianto compositivo, delle parti di chitarra nonché, ma con minor successo, dell’onere di cantante. Ed è proprio in questo ultimo frangente che va sottolineato un netto miglioramento rispetto al passato ottenuto tra l’altro senza perdere nulla nelle straripanti dimostrazioni di tecnica che avevano già mandato in solluchero gli amanti dei virtuosismi di mezzo mondo.

Un impegno a tutto tondo insomma che rischiava di essere troppo ma che il Nostro eroe porta sulle spalle con sufficiente disinvoltura ed anzi permettendosi addirittura di alzare la proverbiale asticella tanto che Dreamspace ricevette unanimi consensi di critica e pubblico proiettando di fatto gli Stratovarius nell’olimpo dei grandi. Ovviamente sentito oggi l’album ha un po’ perso la patina di freschezza che lo ricopriva all’epoca e accusa leggermente il peso degli anni, soprattutto in termini di sound, ma è ben poca cosa per un lavoro con davvero pochissimi punti deboli e che va ricordato anche per il coraggio che ebbe nel mostrarsi in un periodo non felice per il metal nonché perché seppe portare una ventata di novità in una scena certamente non frizzante. La storia continua (e il meglio deve ancora venire).

Autore: Stratovarius

Titolo Album: Dreamspace

Anno: 1994

Casa Discografica: Noise Records

Genere musicale: Progressive Metal, Power Metal

Voto: 8

Tipo: CD

Sito web: http://www.stratovarius.com

Membri band:

Timo Tolkki – chitarra, voce

Jari Kainulainen – batteria

Jari Behm – basso

Antti Ikonen – tastiera

Tracklist:

  1. Chasing Shadows

  2. 4th Reich

  3. Eyes Of The World

  4. Hold On To Your Dream

  5. Magic Carpet Ride

  6. We Are The Future

  7. Tears Of Ice

  8. Dreamspace

  9. Reign Of Terror

  10. Thin Ice

  11. Atlantis

  12. Abyss

  13. Shattered

  14. Wings Of Tomorrow

Category : Recensioni
Tags : Power metal
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16th Ott2017

Stratovarius – Twilight Time

by Ottaviano Moraca

Stratovarius - Twilight TimeCorreva l’anno 1992 quando i finlandesi diedero seguito al tiepido, acerbo ma promettente debutto di qualche anno prima. Questa nuova fatica inizialmente si intitolava “Stratovarius II” ma visto il buon successo riscontrato in patria le venne dato un nome più interessante prima di sbarcare sul mercato internazionale. Nei tre anni che intercorsero tra il primo e il secondo disco il pubblico ebbe modo di conoscere la talentuosa compagine scandinava attraverso molti concerti e un paio di singoli che contribuirono a rendere chiaro quanta classe si celasse “sotto il cofano” di questa nuova proposta. Nel medesimo lasso di tempo i Nostri, raccolti intorno al virtuoso axeman e principale compositore Timo Tolkki, aggiustarono il tiro sistemando tutti i problemi di produzione e composizione che affliggevano il primo capitolo senza perdere quanto di buono vi era racchiuso. Nacque così un album fresco, ispirato, dalla tecnica strabordante e dalla velocità a tratti persino eccessiva ma mai a discapito della melodia. Proprio quest’ultima caratteristica è la miglior chiave di lettura per interpretare i lavori degli Stratovarius che infatti hanno, oggi come allora, la capacità di fondere un tiro micidiale con linee melodiche di cui è facile innamorarsi al primo ascolto. Il risultato sono brani traboccanti di energia che mostrano come un’esecuzione magistrale e prevalentemente votata all’iper-tecnicismo possa essere messa al servizio della resa finale del pezzo.

Uno stile compositivo vario e complesso rende poi questi otto brani articolati e avvincenti completando un quadro sbavato solo da una personalità che ancora paga un pesante tributo ai grandi nomi del genere e da una produzione perfettibile. Gli spunti di originalità, sparpagliati per tutti i quaranta minuti di questo CD, lasciarono però subito capire come l’unica cosa che mancava fosse qualche altro passo nell’inevitabile percorso di maturazione che ogni band deve affrontare e fu quindi facile presagire il glorioso futuro che attendeva gli Stratovarius…e infatti puntualmente fu così, ma questa storia ve la racconteremo la prossima volta.

Autore: Stratovarius

Titolo Album: Twilight Time

Anno: 1992

Casa Discografica: Noise Records

Genere musicale: Speed Metal, Power Metal

Voto: 7,5

Tipo: CD

Sito web: http://www.stratovarius.com

Membri band:

Timo Tolkki – chitarra, voce

Tuomo Lassila – batteria

Jari Behm – basso

Antti Ikonen – tastiera

Tracklist:

  1. Break The Ice

  2. The Hands Of Time

  3. Madness Strikes At Midnight

  4. Metal Frenzy

  5. Twilight Time

  6. The Hills Have Eyes

  7. Out Of The Shadows

  8. Lead Us Into The Light

Category : Recensioni
Tags : Power metal
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17th Lug2017

Rage – End Of All Days

by Ottaviano Moraca

Rage - End Of All DaysSi sarebbe portati a pensare che dopo dieci e più anni di attività un artista possa tranquillamente sentirsi appagato e che possa meritatamente adagiarsi sugli allori. Allo stesso modo non ci sarebbe da stupirsi se nello stesso arco di tempo la vena creativa finisse per esaurirsi o l’interesse spaziasse verso lidi differenti. E invece poi (fortunatamente) spuntano personaggi dello spessore di Peter Wagner che dopo una decade buona passata con i suoi Rage si permette, praticamente nell’arco di un anno, di sfornare due album che per di più superano in spessore e magnificenza quanto di già pregevolissimo la band avesse affermato fino a quel momento. Stiamo parlando dell’inarrivabile Lingua Mortis, in cui i Nostri ripropongono i loro classici suonandoli con l’orchestra di Praga (avviando una moda che coinvolgerà diversi nomi blasonati), e del qui presente End Of All Days in cui il gruppo invece insiste su tutti i canoni e gli stilemi che li hanno resi celebri e al contempo vira il genere verso un power metal che si era affacciato nella loro produzione già dal precedente Black In Mind e che ora trova la propria ufficialità diventando vera e propria bandiera della compagine teutonica.

I (pochi) difetti evidenziati in passato vengono sigillati in una scatola etichettata “passato” e stipati nella più inaccessibile delle soffitte. Così la produzione diventa uno spettacolo per le orecchie: chi inizia ad avere qualche capello sbiadito sulla testa ricorderà che quando questo album uscì fece subito un certo scalpore per l’utilizzo estremizzato degli effetti di stereofonia. Oggi non sembra così innovativo ma a fine millennio in pochi avevano osato registrare un chitarrista sul canale sinistro e uno sul destro, espediente che garantiva all’ascoltatore un esperienza simile a quella che si poteva provare sotto il palco di uno dei loro concerti. Ovviamente, per goderne al meglio, questo comportava la necessità di un super-impianto Hi-Fi da pompare a tutta manetta…ma vogliamo mettere la soddisfazione di cantare a squarcia gola pogando con gli amici?! Sì, questo è quello che ci si può aspettare dopo aver messo il CD nel lettore. E se lo dico è a ragion veduta: conosco qualcuno, non proprio un metallaro nel senso stretto del termine, che all’epoca uscì di testa per questo lavoro, tanto che non si poteva passare da casa sua senza ripassarne almeno tre o quattro brani. Questo aneddoto è significativo per sottolineare come, pur rimanendo in ambito assolutamente metal, le linee melodiche siano tanto azzeccate da poter essere apprezzate anche da palati dai gusti meno che estremi.

End of All Days è infatti uno di quegli album universali che riescono a piacere a tutti senza nemmeno sfiorare l’idea di commercialità. Caratteristica questa che è già difficile trovare in ambito musicale ma che diventa estremamente rara se si parla di metal…e infatti il successo non tardò ad arrivare proiettando i Rage verso vette fino a quel momento ritenute irraggiungibili. Per il resto il disco si può descrivere come intriso di arrangiamenti ariosi e al contempo cattivissimi, di un songwriting mai così ispirato coniugato con una tecnica efficacissima, nonché di composizioni ricche e complesse ma anche altrettanto dirette ed immediate. Molta retorica che possiamo tranquillamente risparmiarci perché questo è un piatto così ricco che, oggi come allora, con i suoi settanta minuti è in grado di fare la felicità di praticamente qualsiasi orecchio sappia apprezzare la buona musica a trecentosessanta gradi. In una parola: imperdibile!

Autore: Rage

Titolo Album: End Of All Days

Anno: 1996

Casa Discografica: GUN Records

Genere musicale: Power Metal

Voto: 9

Tipo: CD

Sito web: http://www.rage-official.com

Membri band:

Peter “Peavy” Wagner – voce, basso

Spiros Efthimiadis – chitarra

Sven Fischer – chitarra

Chris Efthimiadis – batteria

Tracklist:

  1. Under Control

  2. Higher Than The Sky

  3. Deep In The Blackest Hole

  4. End Of All Days

  5. Visions

  6. Desperation

  7. Voice From The Vault

  8. Let The Night Begin

  9. Fortress

  10. Frozen Fire

  11. Talking To The Dead

  12. Face Behind The Mask

  13. Silent Victory

  14. Fading Hours

Category : Recensioni
Tags : Power metal
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14th Lug2017

Dragonforce – Reaching Into Infinity

by Marcello Zinno

Dragonforce - Reaching Into InfinityI Dragonforce procedono con il loro passo pesante. Quasi alle soglie del ventesimo anno di attività firmano il settimo capitolo discografico in questo 2017 senza però restare fermi più di tanto tra un’uscita e l’altra. La band multietnica infatti è incorsa negli ennesimi cambi di line-up, tradizione ormai di casa Dragonforce, che li porta ad oggi ad avere solo la coppia di chitarristi quali membri fondatori del progetto. Elemento che avrebbe spinto una “band normale” ad inserire elementi nuovi nel proprio songwriting ed invece i Dragonforce non cadono (purtroppo) in questa tentazione. Anche il fatto che quasi tutte le tracce siano state composte dal bassista Frédéric Leclercq non fa prendere le dovute distante da Reaching Into Infinity rispetto agli album precedenti. Gioia immensa per i fan intransigenti di Herman Li e Sam Totman ma forse tutti gli altri metaller si sarebbero attesi qualcosa di più anziché la ripetizione di un cliché che ormai la band porta avanti da decenni. Ashes Of The Dawn subito svela le radici dei Dragonforce che si aggiungono ad un retrogusto marcato a la Stratovarius; con Judgement Day ci sembra di ravvisare, almeno nella parte iniziale, un approccio diverso, una sovrapproduzione che fa sperare in scelte differenti ed invece si ricasca subito in questo approccio da “videogame sound” tipico del modo di intendere lo speed metal dei Dragonforce (ricordate i suoni usati dagli Helloween in Keeper Pt. 2 o in Master Of The Rings?!) fino a giungere ad un chorus sul finale che sfiora il pop metal.

La velocità (speed) presente in brani come Astral Empire o Land Of Shattered Dreams, sono elementi che già conosciamo della band e che ci hanno proposto in svariate forme anche nei capitoli precedenti. Salviamo la ballad Silence che potrebbe produrre una eco sul moniker Dragonforce, War! un pezzo che parte con un’attitudine thrash-core che vi farà credere di aver inserito nel lettore il CD dei Municipal Waste e non quello dei Dragonforce; infine va citata anche la lunga The Edge Of The World che tocca terreni power metal sinfonici con tanto di growl a metà brano e fa ben sperare per il loro futuro. Rimandati al prossimo (speriamo più innovativo) capitolo.

Autore: Dragonforce

Titolo Album: Reaching Into Infinity

Anno: 2017

Casa Discografica: earMusic

Genere musicale: Speed Metal, Power Metal

Voto: 5

Tipo: CD

Sito web: http://www.dragonforce.com

Membri band:

Marc Hudson – voce

Herman Li – chitarra, cori

Sam Totman – chitarra, cori

Frédéric Leclercq – basso, chitarra su The Edge Of The World e Our Final Stand, cori

Gee Anzalone – batteria, voce

Vadim Pruzhanov – tastiere, piano, cori

Tracklist:

  1. Reaching Into Infinity

  2. Ashes Of The Dawn

  3. Judgement Day

  4. Astral Empire

  5. Curse Of Darkness

  6. Silence

  7. Midnight Madness

  8. War!

  9. Land Of Shattered Dreams

  10. The Edge Of The World

  11. Our Final Stand

Category : Recensioni
Tags : Power metal
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24th Giu2017

Sailing To Nowhere – Lost In Time

by Marcello Zinno

Sailing To Nowhere - Lost In TimeSe il power metal è stato per anni legato a doppia mandata con il metal tedesco, è necessario rispondere sottolineando che anche noi in Italia abbiamo contribuito al rafforzamento del genere con band davvero valide. Se il power metal è reputato da alcuni un genere in declino, va detto che i live, e in parte il fronte discografico, capovolgono questa conferma. È vero che poche sono le realtà di un certo livello che confidano ancora sui luccichii di una scena power tricolore, ma queste formazioni sfornano brani che sono sicuramente all’altezza di ascolti internazionali e i Sailing To Nowhere rientrano a pieno in questo discorso. Il loro ultimo Lost In Time conferma il peso del loro nome, soprattutto per attenzione alla produzione e ambivalenza (molto apprezzata) tra voce maschile e femminile, elemento che, insieme ad una buona attenzione alle melodie, accosta molto la band a realtà sinfoniche o comunque di power melodico. Non siamo nei territori tipici dei Gamma Ray che ci abituano a sferzate di riff appuntite come solo in passato i Judas Priest ci avevano abituati, siamo più in prossimità di realtà come Avantasia, Rhapsody Of Fire (meno epici), Epica.

L’assolo di Apocalypse, la ballad Start Again, i ritornelli e i cori di brani come Ghost City ci raccontano di una band che a cavalcate ritmiche e riffing affilati predilige ricerche melodiche, chitarre pesanti e compatte e tutti gli elementi cari ai defender di mezzo pianeta; lungo la seconda parte dell’album partono dei momenti più decisi come in Suffering In Silence, un brano agguerrito e sicuramente irruente in sede live, che lascia qualche alone anche nella successiva Our Last Night On Earth, traccia in cui le chitarre lavorano a dovere mentre le voci continuano a cercare delle linee orecchiabili. Quello che ci stupisce è che una band di tale caratura non osi nell’inserimento di soluzioni davvero innovative, uscendo un po’ dai cliché tipici del genere e puntando ad uno stile personale pur appagando la fame dei fan di power metal. Questo è un approccio che noi caldeggiamo fin dall’inizio della propria discografia, sia come elemento di differenziazione sia per evitare di cambiare rotta dopo svariati anni e finire per non essere capiti dal proprio seguito una volta divenuto corposo (vedi quello che accadde con Chameleon agli Helloween). Insomma una strada interessante quella che i Sailing To Nothere hanno imboccato e che potrebbero sviluppare con un po’ di coraggio in più.

Autore: Sailing To Nowhere

Titolo Album: Lost In Time

Anno: 2017

Casa Discografica: Underground Symphony Records

Genere musicale: Power Metal

Voto: 6,75

Tipo: CD

Sito web: http://www.sailingtonowhere.it

Membri band:

Marco Palazzi – voce

Helena Pieraccini – voce

Alessio Contorni – tastiere

Andrea Lanzillo – chitarra

Emiliano Tessitore – chitarra

Carlo Cruciani – basso

Giovanni Noè – batteria

Clara Trucchi – voce, cori

Tracklist:

  1. Lost In Time

  2. Scream Of The World

  3. Ghost City

  4. Apocalypse

  5. Suffering In Silence

  6. Our Last Night On Earth

  7. Fight For Your Dreams

  8. New Life

  9. Start Again

Category : Recensioni
Tags : Power metal
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19th Giu2017

Rage – Black In Mind

by Ottaviano Moraca

Rage - Black In MindEcco in casa Rage l’ennesima rivoluzione che, come era già successo in passato, portò con sé solo miglioramenti, ad ulteriore dimostrazione e conferma delle qualità del Sig. Wagner come leader della compagine tedesca. Questo ottavo album, con la scusa della defezione dello storico chitarrista Manni Schmidt, porta con sé la rivisitazione della line-up che, in un ritorno al passato che non sa comunque di nostalgia, torna a prevedere due asce. Come è facile intuire il sound divenne immediatamente più roccioso e moderno ma il vero cambiamento lo portò la ventata di freschezza che i due nuovi elementi portarono in fase compositiva. Il thrash ruvido proposto finora sterzò verso il power e attivò introni latenti nel cantato di Peavy che abbandonò gli acuti alla Kai Hansen per uno stile più personale e simile a quello che presto diverrà definitivamente il suo marchio di fabbrica. Black In Mind potrebbe essere considerato l’album della maturità dei Rage ma l’innata propensione all’innovazione e all’evoluzione del suo anfitrione rende difficile una valutazione di questo tipo. Quel che conta è la qualità sempre e comunque altissima della produzione di Wagner e soci che per questo capitolo adottano uno stile compositivo più complesso e articolato lasciando l’esibizione tecnica leggermente in secondo piano rispetto al passato per concentrarsi su cambi di tempo e d’atmosfera dalla resa piuttosto suggestiva.

I brani di conseguenza si allungano, tanto che questo disco sfiora i settanta minuti in cui c’è anche tempo per ampie concessioni alla melodia. Ma non c’è noia o ripetitività in queste undici tracce che anzi mostrano una varietà e un’ispirazione che è davvero raro trovare in una band con già dieci anni di carriera sulle spalle. Ma i Nostri non sono metallari qualunque e dunque possono sventolare alta la bandiera di questo Black In Mind sicuri di avere per le mani un prodotto d’impatto che può anche contare su una produzione impeccabile e su arrangiamenti mai ascoltati nella discografia del gruppo. Unica pecca è l’artwork della copertina che non è né brutto né malfatto ma che avrebbe potuto essere più accattivante, soprattutto se avesse riproposto Soundchaser, l’amata mascotte del gruppo già vista su altre cover.

Insomma siamo al cospetto di una gemma di metallo pesante e rovente che consacra definitivamente i Rage a solidissima e autorevole realtà del panorama mondiale sdoganandoli finalmente anche nella mente e nei cuori dei più resistenti alle novità. Se ci concedete una storpiatura: imperdibilissimo.

Autore: Rage

Titolo Album: Black In Mind

Anno: 1995

Casa Discografica: Gun Records

Genere musicale: Power Metal

Voto: 8,75

Tipo: CD

Sito web: http://www.rage-official.com

Membri band:

Peter “Peavy” Wagner voce, basso

Spiros Efthimiadis – chitarra

Sven Fischer – chitarra

Chris Efthimiadis – batteria

Tracklist:

  1. Black In Mind

  2. The Crawling Chaos

  3. Alive But Dead

  4. Sent By The Devil

  5. Shadow Out Of Time

  6. A Spider’s Web

  7. In A Nameless Time

  8. The Icecold Hand Of Destiny

  9. Forever

  10. Until I Die

  11. My Rage

  12. The Price Of Warstart!

  13. All This Time

Category : Recensioni
Tags : Power metal
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05th Giu2017

Avenger – Prayers Of Steel

by Ottaviano Moraca

Avenger - Prayers Of SteelE’ sempre difficile recensire un album con più di trent’anni sulle spalle. Bisogna calarsi nell’epoca per capire le scelte stilistiche adottate, bisogna tener conto dell’evoluzione tecnologica quando si valuta la bontà dei suoni e delle registrazioni, bisogna pesare le influenze considerando le proposte di allora e non quelle contemporanee e, non ultimo, bisogna classificare il genere paragonandolo con gli ascolti del tempo tralasciando tutto ciò che è venuto dopo. In poche parole bisogna ascoltare con le orecchie di allora e non con quelle di oggi. Nonostante tutto questo non cambierei il mio incarico per nessun altro disco e anzi, grazie a qualche capello bianco (ma pochi), questo è decisamente il mio pane e dunque sono strafelice di poter recensire un album seminale come l’esordio degli Avenger. Sì, Avenger, perché all’epoca era questo il nome della band di Peter “Peavy” Wagner. L’anno successivo il moniker verrà cambiato in Furious Rage e poi abbreviato in Rage, come lo conosciamo oggi. Quindi cosa racchiudono questi tre quarti d’ora scarsi di preghiere d’acciaio? E’ presto detto: dieci tracce di velocissimo e immediatissimo speed/power ante litteram ovvero un genere che allora ancora non c’era o comunque non aveva dei connotati ancora perfettamente definiti e che quindi prende a prestito più di qualche spunto dall’altrettanto neonato thrash teutonico.

Le melodie non risentono più di tanto di queste influenze e dunque, tanto dietro il microfono quanto alle chitarre, le linee sono movimentate e piacevolmente articolate anche se non possono essere definite orecchiabili. Brillante invece l’applicazione della tecnica che sia gli axemen, sia il cantante, sia la sezione ritmica applicano più pensando alla resa e all’impatto che non per mettere in risalto qualità personali, comunque indubbiamente presenti sebbene a tratti magari ancora un po’ acerbe. Le note più dolenti arrivano quando si affronta il discorso produzione, magari valida per l’epoca ma oggi inesorabilmente datata nonostante mostri quel fascino analogico che oggigiorno in molti stanno rivalutando. Identico discorso si potrebbe fare per il sound che strizza l’occhio all’heavy metal mancando forse un po’ di personalità se ascoltato con le orecchie di oggi ma va di nuovo ricordato che risultò invece modernissimo quando il disco arrivò sugli scaffali dei negozi per la prima volta. Ultima parola come sempre per l’artwork che oggi non ci stupisce ma che allora mostrò un’apprezzabile fattura e persino una certa originalità.

In due parole questo album è ormai fruibile con soddisfazione solo dai nostalgici e da quei fan della band che vogliano conoscerne tutta la discografia. Anche per gli storici del metal questo lavoro è senz’altro essenziale mentre tutti coloro che si riveleranno incapaci di calarsi nella sua epoca nonché i più giovani lo troveranno ormai eccessivamente anacronistico. In ogni caso nessuno potrà mai definirlo superfluo. Rimane quindi come un’importante pietra miliare nel lungo cammino del metal. Da non dimenticare.

Autore: Avenger

Titolo Album: Prayers Of Steel

Anno: 1985

Casa Discografica: Wishbone Records

Genere musicale: Power Metal, Speed Metal

Voto: 7,5

Tipo: CD

Sito web: http://www.rage-official.com

Membri band:

Peter Wagner – voce, basso

Jochen Schroeder – chitarra

Thomas Gruning – chitarra

Jörg Michael – batteria

Tracklist:

  1. Battlefield

  2. Southcross Union

  3. Prayers Of Steel

  4. Halloween

  5. Faster Than Hell

  6. Adoration

  7. Rise Of The Creature

  8. Sword Made Of Steel

  9. Blood Lust

  10. Assorted By Satan

Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Power metal
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02nd Giu2017

Athlantis – Chapter IV

by Marcello Zinno

Athlantis - Chapter IVGli Athlantis rappresentano ad oggi un progetto sì longevo ma poco noto per il suo nome nella scena metal tricolore. Piuttosto sono molto noti i musicisti che a vario titolo hanno militato nella band o che hanno collaborato con loro, partendo da Pier Gonella, passando dall’inossidabile coppia Trevor/Talamanca e finendo a Roberto Tiranti (ma i nomi sono molto di più). Per questo il progetto è sicuramente interessante ma va detto subito, a scanso di equivoci, che gli Athlantis si collocano inamovibilmente della scena power metal, quella che sul finire del secolo scorso faceva proseliti con una faciltà incredibile e che oggi è un po’ in affanno (almeno a livello discografico, meno invece a livello live). E probabilmente questo è il lato positivo e negativo di Chapter IV, esattamente il quarto album della band, perché se da un lato le uscite di pari genere sono poche e quindi c’è meno concorrenza, dall’altro non vi sono qui molti spiragli di modernità o di ricerca in una ricetta che ricalca un po’ tutti i cliché del genere e che propone tracce dalla medesima struttura.

Un po’ di durezza arriva con Our Life, una grande interpretazione di Tiranti con Master Of My Fate, ma basta ascoltare l’opener o brani come The Endless Road, Face Your Destiny o nel complesso la stessa Our Life, per capire che la loro musica è sicuramente ben suonata ma un po’ troppo ancorata sull’heavy power già sentito e risentito. Linee vocali molto melodiche, che si lasciano andare in distensioni molto lunghe soprattutto nei ritornelli, sezione ritmica molto precisa che segue come un’orma le sei corde (noi le avremo preferite con una produzione più limpida e tagliente), tutto ok quindi ma non si intravede nulla che ci faccia tirare il fiato, tutto fin troppo ponderato e “accademico”. Eppure le persone che si sono mosse per queste tracce sono tante (già solo i diversi contributi al microfono si sentono) e ci saremo aspettati qualcosa di più coraggioso. Quindi una buona uscita per gli amanti del genere, niente di più, niente di meno.

Autore: Athlantis

Titolo Album: Chapter IV

Anno: 2017

Casa Discografica: Diamonds Prod

Genere musicale: Power Metal

Voto: 6

Tipo: CD

Sito web: https://athlantis.bandcamp.com

Membri band:

Steve Vawamas – basso, tastiera

Pier Gonella – chitarra

Francesco La Rosa – batteria

Alessio Calandriello – voce

Gianfranco Puggioni – chitarra

Special guest:

Roberto Tiranti

Davide Dell’Orto

Jack spider

Barbara D’Alessio

Tracklist:

  1. The Terror Begins

  2. Master Of My Fate

  3. Ronin

  4. Our Life

  5. The Endless Road

  6. Crock Of Moud

  7. Face Your Destiny

  8. Just Fantasy

  9. Reset

  10. The Final Scream

Category : Recensioni
Tags : Power metal
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29th Mag2017

Demons & Wizards – Touched By The Crimson King

by Ottaviano Moraca

Demons & Wizards - Touched By The Crimson KingDopo cinque anni dal comunque pregevole esordio discografico, il Bardo di Krefeld e l’ascia della terra ghiacciata provano a dare un seguito al loro side project con il dichiarato intento di fondere il meglio di Blind Guardian e Iced Earth. Il lungo tempo passato a riflettere sul lavoro già svolto evidentemente ha portato buoni frutti tanto che questo lavoro si rivela da subito maggiormente ispirato e quindi aggiunge sapore proprio in quel frangente in cui il precedente album risultava più insipido. Le composizioni hanno la stessa architettura di sempre ma con più originalità a sostenere melodia e tecnica così che il risultato ne guadagna e non poco. Soprattutto in questo disco c’è più Schaffer ma non meno Kursch e dunque la ricetta appaga maggiormente perché è proprio quello che si vorrebbe sentire inserendo il CD nel lettore. La produzione non è invece migliore che in passato ma non di meno soddisferà anche i più esigenti. Le novità rispetto al precedente album le troviamo invece in una line-up più “liquida” dove gli unici membri stabili sono i due protagonisti. Agli altri è dato solo il ruolo di comparsa ma ciò non toglie nulla ad una formazione completata da molti ospiti, anche alquanto illustri, che ben figurano nelle dieci tracce, per circa tre quarti d’ora, di questo platter.

E’ insomma assai godibile questa nuova impresa dei Nostri che attraverso la consueta classe ci regalano una nuova interpretazione e una nuova faccia di un power teutonico che nelle sonorità strizza anche un po’ l’occhio ai fasti dell’epoca gloriosa del metal. Le tematiche dei testi sono, manco a dirlo, tutte incentrate sul fantasy e, più nello specifico, si basano su una della saghe più famose di Stephen King. Ultima nota per l’artwork della copertina che non sorprende, visto che in questo frangente entrambe le band da cui provengono i Nostri hanno tutto da insegnare e nulla più da imparare, ma che è comunque molto più che ben realizzato. Concludendo direi che Touched By the Crimson King è tutt’altro che imperdibile ma resta comunque un album piacevole e con ottimi spunti che saprà fare la felicità di praticamente tutti i metallari del pianeta. Buon divertimento.

Autore: Demons & Wizards

Titolo Album: Touched By The Crimson King

Anno: 2005

Casa Discografica: SPV

Genere musicale: Power Metal

Voto: 7,75

Tipo: CD

Sito web: http://www.demonsandwizards.de

Membri band:

Hansi Kürsch – voce

Jon Schaffer – chitarra, basso

Tracklist:

  1. Crimson King

  2. Beneath These Waves

  3. Terror Train

  4. Seize The Day

  5. The Gunslinger

  6. Love’s Tragedy Asunder

  7. Wicked Witch

  8. Dorian

  9. Down Where I Am

  10. Immigrant Song

Category : Recensioni
Tags : Power metal
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22nd Mag2017

Demons & Wizards – Demons & Wizards

by Ottaviano Moraca

Demons & Wizards - Demons & WizardsIl progetto Demons & Wizards mi ha suscitato da sempre sentimenti contrastanti. Da una parte gli spin-off in generale non mi attirano troppo perché raramente sono migliorativi rispetto alle proposte delle band originali, inoltre i side project come questo sono più spesso delle manovre commerciali che delle reali necessità artistiche. D’altro canto ci sono personaggi talmente estrosi e dalle menti così fertili e irrequiete che non si possono comprimere nello stesso modus operandi per troppo tempo. D’altronde, che si timbri il cartellino in ufficio o che si sia frontman di una metal band, prima o poi la routine di lavorare sempre con le stesse facce viene ad esigere il suo tributo. Cosa ci sarebbe poi di più bello se uno di questi virtuosi scatenati decidesse di spendersi per lavorare con un amico di vecchia data in una sincera e sempre troppo rara dimostrazione di stima reciproca? Se i due in questione fossero il cantante dei Blind Guardian e il chitarrista degli Iced Earth si capirebbe facilmente come il progetto possieda il potere di catalizzare l’attenzione del pubblico ancora prima di arrivare negli scaffali dei negozi. E difatti così fu.

Le coordinate musicali avrebbero dovuto mixare il sound e le proposte delle due band principali in una sorta di “meglio dei due mondi” ed effettivamente le promesse vennero mantenute con forse un piccolo sbilanciamento in favore dei bardi di Krefeld. Purtroppo, nonostante la prova assolutamente pregevole dei due protagonisti, nel suo complesso il lavoro non riuscì a risultare altrettanto convincente quanto quelli partoriti dalle band madri a dimostrazione che anni di affiatamento, maturazione ed esperienze condivise hanno comunque un peso sul songwriting di un gruppo. Ad ogni modo il primo ed omonimo CD dei Demons & Wizards è tutt’altro che scadente e anzi mostra alle voci, composizione, produzione e confezione tutta la qualità che ci si potrebbe aspettare dalla coppia Kürsch/Schaffer. In questi frangenti non si sente la mancanza di altri membri delle band di provenienza. Come spesso accade purtroppo le aspettative per un album come questo furono però molto alte e, complice il fatto che l’ispirazione non aveva forse ancora raggiunto la massa critica, il successo del progetto ne risentì. I consensi raccolti furono comunque considerevoli e senz’altro meritati sebbene più tiepidi di quanto non fosse lecito attendersi.

In definitiva le dodici trace di questo disco offrono un’ora di ottimo power metal melodico che può essere considerato una variazione sul tema di quello abitualmente proposto dai due autori principali. Una proposta già ottima e con ampi margini di miglioramento che attendiamo per la prossima prova discografica che, ci è stato assicurato, prima o poi arriverà.

Autore: Demons & Wizards

Titolo Album: Demons & Wizards

Anno: 2000

Casa Discografica: Spv

Genere musicale: Power Metal

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: http://www.demonsandwizards.de

Membri band:

Hansi Kürsch – voce

Jon Schaffer – chitarra, basso

Jim Morris – chitarra

Mark Prator – batteria

Tracklist:

  1. Rites Of Passage

  2. Heaven Denies

  3. Poor Man’s Crusade

  4. Fiddler On The Green

  5. Blood On My Hands

  6. Path Of Glory

  7. Winter Of Souls

  8. The Whistler

  9. Tear Down The Wall

  10. Gallows Pole

  11. My Last Sunrise

  12. Chant

Category : Recensioni
Tags : Power metal
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