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08th Mar2022

PRP – No Pristine Rubbery Perception

by Raffaele Astore
Pubblicato il 12 novembre dello scorso anno, i finlandesi PRP si presentano con questo disco dalle sfaccettature progressive dal titolo No Pristine Rubbery Percpeption, un disco che raccoglie in sé tutto il gotha delle sfumature progressive che si rispettino. La band, anzi il duo, è composto da Rami Turtiainen e Petteri Kurki che con le loro grandi abilità di musicisti confezionano un prodotto dal largo e “consumato” respiro. Perché diciamo consumato? Ci riferiamo espressamente alle grandi ariosità che il rock finlandese, oggi, è in grado di offrirci; ed in particolare a quel rock progressivo nordico rappresentato ad esempio dai Petteri Kurki, forse più propensi ad un jazz rock caratterizzato dalle propensioni progressive, o ancora come i Wigwam che con quel lavoro del 1975 dal titolo Nuclear Nightclub dipinsero un album sfacciatamente progressive con venature pop che non guastavano davvero ed alle quali, anche band italiane, ci pare, si siano poi ispirate in quel periodo. Ma torniamo a No Pristine Rubbery Percpeption che oltre a presentare un buon sound è spesso sostenuto da un condensato effetto canoro che non dispiace. Di sicuro, il classico underground dei due musicisti finlandesi qui è molto presente, lo si sente sin dall’inizio, sin dalle prime battute di Rubber Hands, Pt. 0 – Prelude of the Distant Past, interrotto da un urlo alla Pink Floyd periodo Ummagumma che introduce alla Rubber Hands piena di quelle sonorità plasmate allo Steven Wilson solista che è più conosciuto dal pubblico meno difficile da soddisfare. Ne è esempio la poetica It’s Never Always che di Wilson prende la parte più morbida allo stesso modo in cui prende alcune sonorità Jethro Tull ma stavolta con un folk rock più rigoglioso.

Ma le progressioni musicali qui ci sono tutte come ci sono in No, anche questo giocato come in quei cambi che spesso erano e sono la prerogativa di grandi nomi come quello dei Porcupine Tree. Ma al di là di tutti i paragoni che qui è possibile richiamare, vedi ad esempio Rubber Hands, Pt. II – Days capace di ricordare in parte David Gilmour come lo stesso Mike Oldfield, c’è da dire che al di là di tutte le emozioni che i brani dei PRP richiamano, questo è un disco che di certo non entusiasma in fatto di novità sonore, ma è comunque gradevole ascoltare, magari in una domenica di pioggia quando non ti va di uscire. Resta il fatto comunque che anche il rock finlandese è quel rock che in un periodo oscuro per tante band è riuscito a dire la propria durante questo lungo periodo di “oscurità” sensoriale.

Autore: PRPTitolo Album: No Pristine Rubbery Perception
Anno: 2021Casa Discografica: Inverse Records
Genere musicale: Progressive RockVoto: 6,5
Tipo: CDSito web: www.facebook.com/PRPprog
Membri band:
Rami Turtiainen (Grus Paridae) – voce, chitarra, synth, batteria
Petteri Kurki (Grus Paridae) – voce, chitarra, basso, synth, batteria
Tracklist:
1. Rubber Hands, Pt. 0 – Prelude Of The Distant Past
2. Rubber Hands
3. No
4. Rubber Hands, Pt. II – Days
5. Exp
6. It’s Never Always
7. Rubber Hands, Pt. III – The Sea of Streets
8.SunSon (Bonus Track)
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Progressive
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05th Mar2022

OSI – Blood

by Fabio Loffredo
Con il terzo album, Blood, gli OSI cercano di tornare ad atmosfere più progressive rock e progressive metal e questo sicuramente grazie al lavoro chitarristico di Jim Matheos che ricalca qualche riff dei Fates Warning e a volte li amplifica di potenza nonché Kevin Moore che dà il suo supporto più sperimentale. Alla batteria non c’è più Mike Portnoy ma Gavin Harrison dei Porcupine Tree e anche il suo drumming, seppur diverso da quello di Portnoy, è parte integrante e molto importante per la riuscita di ogni brano e anche stavolta le parti di basso sono opera dello stesso Matheos. The Escape Artist è un brano dove il progressive metal primeggia, duri i riff di chitarra di Matheos e spettacolare è il drumming di Gaving Harrison; Terminal sposta l’attenzione su atmosfere progressive e psichedeliche ma anche un po’ spaziali. False Start è un brano più breve e molto heavy con le chitarre di Matheos molto potenti e il drum work di Harrison sempre molto efficace; We Come Undone che torna ad esplorare effetti elettronici, spaziali e new wave. Radiologue è un brano più lungo, più di 6 minuti di atmosfere progressive, acustiche e di derivazione Pink Floyd e Be The Hero inizia sommessamente e quasi new age per avventurarsi poi in un progressive metal molto trascinante e anche tecnico.

Si va verso il finale con Microburst Alert, altro brano molto particolare, strumentale e dalla vena sperimentale: Gavin Harrison è incredibilmente ispirato e ha portato in questo brano la sua esperienza con i Porcupine Tree. Si prosegue con Stockholm, il brano più lungo (quasi 7 minuti) e il più riuscito con le parti vocali affidate a Mikael Akerfeldt degli Opeth, il brano più progressive e psichedelico dell’album. Gli ultimi due brani sono Blood, la title track, che torna ad essere un ottimo esempio di progressive metal sperimentale e No Celebrations, con alla voce stavolta un altro ospite, Tim Bowness, compagno d’avventura di Steven Wilson nei No Man, ottimo progressive metal magnetico e avvincente e dove c’è uno dei rari e avvincenti guitar solo di Jim Matheos. Nella versione limited ci sono altri due brani, Chrtistian Brothers. cover di Elliot Smith con sound hard rock e alternative e Terminal (Endless) versione diversa estesa a 10 abbondanti minuti con maggiori divagazioni elettroniche.

Blood è un album più apprezzato da chi si aspetta quello che, almeno in quel periodo, Jim Matheos e Kevin Moore non vogliono fare più, o almeno se ne vogliono allontanare.

Autore: OSITitolo Album: Blood
Anno: 2009Casa Discografica: Inside Out
Genere musicale: Progressive Metal, Progressive RockVoto: 7,5
Tipo: CDSito web: www.osiband.com
Membri band:
Jim Matheos – chitarra, basso, tastiere
Kevin Moore – tastiere, voce
Gavin Harrison – batteria
Tracklist:
1. The Escape Artist
2. Terminal
3. False Start
4. We Come Undone
5. Radiologue
6. Be The Hero
7. Microburst Alert
8. Stockholm
9. Blood
10. No Celebrations
11. Our Town
Category : Recensioni
Tags : Progressive
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26th Feb2022

OSI – Free

by Fabio Loffredo
Free esce a tre anni di distanza dal primo album omonimo degli OSI, già recensito su queste pagine (leggi a questa pagina la recensione) e mostra una vena più sperimentale. I due principali autori di questo album e sound sono Kevin Moore e Jim Matheos e stavolta Mike Portnoy si limita a delineare e suonare le parti ritmiche senza partecipare alla scrittura dei brani. Forti tentazioni elettroniche aprono Sure You Will, subito a seguire il basso di Joey Vera e il drumming preciso di Mike Portnoy e Kevin Moore si occupa di tutte le parti vocali e di tastiere in funzione più che altro di effettistica ma c’è la chitarra di Jim Matheos che dà quel sound heavy metal e Free, la title track è alternative metal e i riff di Matheos graffiano prepotentemente. Si aprono le porte ad atmosfere acustiche e più progressive in Go, ottimo brano che mette in grande risalto la voglia di sperimentare di Kevin Moore e in All Gone Now tornano chitarre più heavy e trascinanti anche se non mancano affatto arpeggi più atmosferici. Il brano è anche sperimentale ed emerge anche l’egregio lavoro del drumming di Portnoy.

A seguire c’è Home Was Good, brano più progressive e atmosferico, caratterizzato da arpeggi di chitarra acustica e tastiere intimiste e un po’ dark e Bigger Wave, song tra ambient, progressive e musica elettronica. Ci sono altri brani molto particolari come Kicking, che ci riporta alla new wave anni 80-90, come Better, dove chitarre heavy si mescolano al synth pop e alla synth wave sempre degli anni 80-90. C’è ancora spazio per Simple Life, dove regna sempre un po’ di musica elettronica e la ritmica diventa drum’n’bass, brano che disorienta ogni amante dei Dream Theater e dei Fates Warning, ma anche per Once, che sembra fuoriuscire da composizioni dei Kraftwerk; ancora Our Town, brano acustico e dai lineamenti pinkfloydiani e anche un po’ country.

Come già detto poco sopra la musica degli OSI e specialmente questo Free, disorienta non poco i fan dei Dream Theater e dei Fates Warning, ma è proprio questo l’intento dei due principali musicisti coinvolti nel progetto, allontanarsi dal passato e proiettarsi in un futuro diverso.

Autore: OSITitolo Album: Free
Anno: 2006Casa Discografica: Inside Out
Genere musicale: Progressive Metal, Progressive RockVoto: 7
Tipo: CDSito web: www.osiband.com
Membri band:
Jim Matheos – chitarra, basso, tastiere
Kevin Moore – tastiere, voce
Mike Portnoy – batteria
Joey Vera – basso nei brani 1, 2, 4, 6 e 7  
Tracklist:
1. Sure You Will
2. Free
3. Go
4. All Gone Now
5. Home Was Good
6. Bigger Wave
7. Kicking
8. Better
9. Simple Life
10. Once
11. Our Town
Category : Recensioni
Tags : Progressive
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10th Gen2022

Yasna – Twilight Of Idols

by Marcello Zinno
Gli italianissimi Yasna, dopo anni di attività, giungono all’esordio scritturato dalla Nova Era Records. Con loro ci muoviamo nel vasto panorama del prog metal, di quello caratterizzato da una predominante dose metal, partiture sghembe sì ma senza folli pentagrammi; quello che viene fuori è una forte carica adrenalinica, un buon profilo compositivo, una forte ispirazione a livello canoro e un buon connubio dei vari strumenti. In alcuni frangenti si percepiscono anche influenze un po’ fuori genere, come in Circular Reality si assaggia un po’ di NWOBHM in stile Iron Maiden e di vena epica, ma in generale si respirano comunque varie forme di prog e ci sentiamo di segnalare anche Howling Mind, un brano che non si limita al metal ma si apre ad una visione più ampia. Into The Battle è un pezzo davvero ben costruito: a fianco di pattern metal dritti come un pugno in faccia compare anche un intermezzo strumentale e subito dopo un assolo che sfoderano ottime carte, da band con almeno una decade di musica alla spalle. La titletrack, anche singolo dell’album, sfoggia da subito passaggi più prog e presenta una sei corde dalla buona personalità che si destreggia in riff e sforbiciate impreviste ed imprevedibili.

La pecca dell’album, che comunque riteniamo un prodotto più che interessante, sono i suoni. La produzione, se fosse stata molto più curata, avrebbe davvero presentato una band moderna, con ottime doti tecniche e in cui i singoli strumenti sarebbero stati valorizzati al massimo. Invece il sound è a volte un po’ impastato e soprattutto la sei corde avrebbe potuto assumere molta più potenza e pulizia sonora; l’impressione è quella di tornare ai primi album prog metal, quelli ancora influenzati da un sound vecchio pur essendo avanti a livello concettuale (Images & Words è solo un esempio, ma calzante). Ma siamo sicuri che la sfida sarà vinta con il seguito di questo, comunque molto interessante, Twilight Of Idols.

Autore: YasnaTitolo Album: Twilight Of Idols
Anno: 2021Casa Discografica: Nova Era Records
Genere musicale: Prog MetalVoto: 7,25
Tipo: CDSito web: https://www.facebook.com/YasnaBand/
Membri band:
Davide De Stefano – voce
Andrea Magrofuoco – chitarra
Alfredo Cavalieri – chitarra
Armando Fiorello – basso
Simone Bombaci – batteria
Tracklist:
1. 31.8
2. Humankind’s Prerogative
3. Into The Battle
4. Circular Reality
5. Twilight Of Idols
6. Void Inside
7. Howling Mind
8. Animal Shape
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Progressive
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23rd Dic2021

Welcome Coffee – Light Years Away

by Marcello Zinno
Tornano sulla lunga distanza i Welcome Coffee, band tricolore che crea uno stile sicuramente affascinante per chi vive oltre i confini nazionali, anche grazie ad una produzione (come sempre nella loro discografia) molto curata. Già l’esordio Uneven e poi l’EP The Mirror Show ci avevano colpiti grazie ad un crossover moderno e ben costruito, ma il nuovo Light Years Away mostra una maturità raggiunta per il quintetto. Se infatti uno chef ad inizio della sua carriera prova varie sperimentazioni per potersi distinguere e dimostrare il proprio talento, è poi quando ha una grande occasione che mette a fattor comunque tutte le proprie competenze per realizzare un prodotto sì complesso ma costruito con raziocinio e saggezza: questa un po’ la metafora per spiegare come abbiamo percepito il nuovo (e secondo) full-lenght dei Welcome Coffee, un album che non perde mordente ma che lo fa senza l’imprevedibilità degli esordi, con sapienza e capacità di collocazione. Diversi sono i momenti che ci dimostrano questi aspetti, uno per tutti è Sick, un brano che sarebbe difficile comporre in un album d’esordio, in quanto le tentazioni di “uscire fuori dai bordi” sarebbero molte, mentre la band calibra il tiro e realizza una song “pronta” per il mercato discografico.

Eppure i ragazzi non abbandonano il prog (metal) e lo sfoggiano in Light Years Away, un brano che forse ha come unica pecca la presenza troppo marcata delle tastiere: tutti gli strumenti hanno la capacità di poter dire la propria, ma in diversi passaggi proprio le tastiere si prendono molto spazio non come estro del singolo musicista bensì come stile musicale adottato dalla band; a nostro parere avrebbero potuto fare altrettanto anche gli altri strumenti. L’animo moderno prende forma con We’ve Broken Up, altro momento prog metal non completamente innovativo ma sicuramente affascinante e ben costruito ed infine con The Man Who Cried The World, pezzo di hard prog che presenta tutti i (diversi) profili dei volti dei Welcome Coffee.

Un percorso in crescita quello dei Welcome Coffee, caratterizzato da meno spigoli e più rotondità ma pur sempre di valore.

Autore: Welcome CoffeeTitolo Album: Light Years Away
Anno: 2021Casa Discografica: Overdub Recordings
Genere musicale: Hard ProgVoto: 7,5
Tipo: CDSito web: http://welcomecoffee.com
Membri band:
Andrea “Armando” Scarcia – voce, armonica
Alessandro Cassese – chitarra
Stefano Ferrara – basso, chitarra
Andrea Parlante – tastiere
Michele Manfredi – batteria
Tracklist:
1. 4th Dimension
2. She
3. Light Years Away
4. Sick
5. Rainbows & Clouds
6. Ice In My Mouth
7. Just Say No
8. We’ve Broken Up 9.
Stolen Land 10.
The Man Who Cried The World
Category : Recensioni
Tags : Progressive
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23rd Nov2021

UMI – Nostalgia

by Marcello Zinno
L’idea di un musicista di mascherarsi o comunque di mantenere l’anonimato lasciando spazio alla sola musica non è di certo innovativa, ma va perdonato UMI, sia per il bellissimo artwork del suo nuovo album, che a livello grafico non fa rimpiangere la sua di immagine (qualsiasi essa sia), sia per il vero valore artistico di Nostalgia. Il suo lavoro risente fortemente del periodo della pandemia, per sua stessa ammissione: questo è evidente non solo nelle trame dell’opener ma anche in brani come Voices, sicuramente down in quanto a tonalità ma soprattutto quasi cervellotiche in quanto a trame, capaci di dimostrare quanto le note sia collocate secondo una scrittura specifica e non come evidenza di un’espressione emotiva liberatoria. Il metal è sicuramente il territorio su cui UMI si muove più a proprio agio: Memory’s Forest è il perfetto connubio tra quello che qualcuno chiamava “self-indulgence” e gusto musicale: il risultato è un pezzo che sfiora il progcore e che trova nella costruzione il suo punto di forza. Questa compattezza sonora e musicale arriva anche con Invisible, altro brano consigliato che, in questo caso, mescola djent a prog metal.

Al contrario i brani (e i passaggi) meno metal pongono troppa enfasi su arpeggi e partiture arzigogolate che poco rendono dal punto di vista artistico, appagando solo un profilo tecnico-compositivo (come nella prima parte di Hollow Love). Eppure sono tutte in queste due chiavi di lettura le possibili interpretazioni di Nostalgia che potrebbero variare da orecchio a orecchio. Noi pensiamo che in un periodo di composizione “normale” l’album sarebbe risultato più emotivo e fluido. Probabilmente è quella la direzione che prenderà il progetto.

Autore: UMITitolo Album: Nostalgia
Anno: 2021Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Prog Metal, DjentVoto: 7
Tipo: CDSito web: www.facebook.com/umimusicproject
Membri band:
UMI – chitarra
Loris Bersan – basso
Larsen Premoli – tastiere
Federico Paulovich – batteria
Tracklist:
1. Distant Sea
2. Memory’s Forest
3. Voices
4. Lonely Night
5. Hollow Love
6. Invisible
7. Lost
Category : Recensioni
Tags : Progressive
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22nd Ott2021

Royal Hunt – Land Of Broken Hearts

by Giancarlo Amitrano
Questa volta l’avventura inizia da lontano, molto lontano. Ad incrociare i destini di una tra le più influenti band prog metal sono la polare Danimarca e l’altrettanto gelida Unione Sovietica, che danno i natali rispettivamente alla band ed al suo fondatore. Tastierista e polistrumentista, infatti, Andrè Andersen crea dal nulla un gruppo di affiatatissimi musicisti che in fretta legherà il suo nome ad alcune delle più belle pagine del genere con una naturalezza inconsueta la quale, unita ad una tecnica individuale non indifferente, contribuirà a sfornare album quasi mai al di sotto di una più che ampia sufficienza. Al disco di debutto, il leader si circonda di una schiera di più che validi compagni di viaggio, che contribuiscono non poco alla buona riuscita del prodotto: è un prog metal apparentemente di difficile interpretazione, ma che viene facilmente proposto (come detto) dalla band attraverso sonorità molto gradevoli che si uniscono all’abilità tecnica dei musicisti coinvolti. Si inizia, dunque, con Running Wild e la bella contrapposizione (che sarà molto presente nel disco) tra la voce imponente di Brockmann e la melodia imperante della traccia, connotata da ampie tastiere ed asce dalla delicatezza inconsueta e pur pronte a farsi sentire quando necessario il tutto, al servizio dell’esito finale del brano che mette subito in risalto il refrain ampiamente ripetuto e comunque di una orecchiabilità piacevolmente intrigante che fa risaltare il buon intento del gruppo.

Easy Rider mette in luce l’abilità di Andersen nel rendere gradevole all’ascolto anche una traccia dalla struttura elementare come questa che consente al tastierista di estrapolare dei significati musicali anche in un brano ruvido in alcuni passaggi, ma sempre orientato ad una melodia non indifferente e di livello piacevolmente alto. Se l’ascoltatore dell’epoca avesse avuto ancora qualche remora ad approcciarsi a siffatto sound, ecco che l’ardita esecuzione di Flight spazza via tutti i dubbi: un drumming infuocato viene pure messo in secondo piano dalle gagliarde voci di coro che rafforzano potentemente un brano di proporzioni davvero notevoli ed ancora oggi cavallo di battaglia live della band, che ci mette davvero tutto per realizzare già un piccolo gioiello all’epoca colpevolmente misconosciuto, ma che ad ascoltarlo oggi fa venire i brividi per l’abilità di incrociare alla perfezione gli assoli e le alte evoluzioni tastieristiche di Andersen. Il gruppo sta ingranando la quarta, perché con Age Gone Wild si mette il turbo con una ottima esecuzione di Brockmann che si eleva all’interno di un brano dal pathos elevatissimo, a tratti intimista che via via degrada verso sua Maestà la melodia ad intersecarsi con un crescendo di asce infuocate cui i cori notabili donano ulteriore linfa vitale alla parte finale.

Non contenti, eppure siamo solo a metà album, ecco un’altra perla da esibire agli stavolta (si spera) colpiti ascoltatori: la strumentale e superiore Martial Arts che diventa campo di battaglia per un infuocato duello tra Andersen e la chitarra come altri giganti del passato hanno già messo in atto; in questo caso è una cavalcata quasi progressiva (appunto) che i due strumenti mettono in scena per tenere chi ascolta incollato sino all’ultimo secondo per sapere come finirà. Nella fattispecie, in un tripudio dei due strumenti che ancora oggi dal vivo e senza esclusione di colpi raggelano il pubblico per la bellezza della traccia. Con One By One è la batteria a ritagliarsi un posto al sole: infatti, la preparazione del brano è molto indaginosa con una ampia introduzione strumentale che conduce al cuore del brano, in seguito adagiatosi appunto sul lavoro di Olsen che quasi circonda la traccia con i suoi pattern molto ben assestati, per far respirare quasi un’aria di mistero e di intrigo che la struttura stessa del brano riveste in più di un passaggio. Heart Of The City è un altro momento clou del disco: le atmosfere divengono quasi oscure, tra luci ed ombre sia nelle strofe che nei ritornelli, mentre i background vocali fanno improvvisamente capolino con la loro vena triste ed intima all’interno di una struttura i cui testi sono anch’essi degni di menzione e non rivolti solo alla platea più melodica, che qui può apprezzare ancora la bravura dei Nostri alle prese con una traccia diversa dalle altre.

Giungiamo allora alla titletrack ed esaminiamola per la sua molteplice caratura: il titolo paventa una landa (appunto) di desolazione, di guerra e marzialità totale, aspetto che il gruppo riprende alla grande con una esecuzione potente ed intensa, in cui anche strofa e ritornello debbono essere allungate con enfasi per strizzare l’occhio sia al prog che (in alcuni tratti) all’AOR, per poi dirigersi verso un finale ricco di pathos persino nei cori che in fretta si fanno da parte per lasciare la scena all’intenso e finale confronto-scontro tra singer e tastiere in cui (non) ne resterà soltanto uno. C’è il secondo momento strumentale cui indulgere: Freeway Jam è ancora tempio per la eterna battaglia tra chitarra e tastiere, la cui staffetta stavolta provoca più di un piacevole capogiro per i repentini cambi di marcia che incalzano all’interno della pur relativa brevità del brano. Kingdom Dark, traccia finale nella normale edizione, chiude l’album mostrando l’animo più ingenuo della band che qui si balocca nella pomposità delle tastiere, nella ruffianeria dei cori pur ammalianti e nella a tratti vena danzante che chiude il brano, che si contorna al suo interno di una sezione fiati che allarga ulteriormente questa parentesi multiforme del gruppo che chiude così un album oggi da rivalutare più che appieno.

Come detto, poiché la band ha il culto dell’eccesso, ecco che l’edizione deluxe si compiace di due tracce extra affatto trascurabili: la infatti monumentale Stranded con il sound epico e coinvolgente e di cui ci si dovrà necessariamente (ri)occupare tra qualche tempo per la sua bellezza variopinta tutta tendente all’AOR stavolta smaccatissimo eppure di pregio; l’incalzante e conclusiva Day In Day Out dal ritmo straripante che all’epoca indusse chi di dovere a ricavarne anche una gradevole clip, che certo non toglie e non mette al valore già indiscusso di un album troppo sottovalutato all’epoca, che comunque ha avuto il merito di introdurre il gruppo ai futuri ed imminenti e meritati fasti.

Autore: Royal HuntTitolo Album: Land Of Broken Hearts
Anno: 1992Casa Discografica: Rondel Records
Genere musicale: Prog MetalVoto: 7
Tipo: CDSito web: www.royalhunt.com
Membri Band:
Andrè Andersen – tastiere, chitarre
Henrik Brockmann – voce
Steen Mogensen – basso
Kenneth Olsen – batteria
Henrik Johannessen – chitarra su traccia 12
Jacob Kjaer – chitarra su tracce 4, 9 e 11
Mac Guanaa – chitarra
Maria Mc Turk – cori
Maria Norfelt – cori
Carsten Olsen – cori
Tracklist:
1. Running Wild
2. Easy Rider
3. Flight
4. Age Gone Wild
5. Martial Arts
6. One By One
7. Heart Of The City
8. Land Of Broken Hearts
9. Freeway Jam
10. Kingdom Dark
11. Stranded (bonus track)
12. Day In Day Out (bonus track)
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Progressive
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21st Ott2021

Mess Excess – From Another World Part 2

by Marcello Zinno
Il lavoro dei toscani Mess Excess va visto alla luce dell’opera finita: From Another World è un concept album suddiviso in due capitoli, il primo uscito nel 2017 e di cui avevamo parlato a questa pagina, mentre il secondo pubblicato nel 2020 e trattato qui di seguito. Due lati della stessa storia che si evolve e che resta per certi versi aderente alla personalità musicale della band. Pur se questo lavoro risulta musicalmente un passo avanti rispetto al precedente, la band imbocca con convinzione il percorso già tracciato nel proprio passato, fatto di un prog metal curato e più internazionale (dati i vari rimandi) che tipicamente tricolore. In questa Part 2 viene apprezzata anche una maggiore cura dei suoni e talvolta un’intenzione più metal. Deceiver’s Stare, l’opener, è un brano assolutamente convincente che poggia su dei controtempi di stile Symphony X e fa capire subito all’ascoltatore con chi si ha a che fare. La seconda traccia è Brainstorm II, mentre nel precedente album toccava a Brainstorm: stesso copione anche se emozioni diverse, entrambe tracce strumentali vicine allo stile dei Dream Theater e dalla ottima caratura tecnica, un copione che ritroveremo anche in altre tracce.

Seguono due brani che insieme superano i 20 minuti: Moments Of Growth rimarca nuovamente il prog metal che assume il timone di questo From Another World Part 2 (in misura maggiore di Part 1), mentre la seconda traccia, Escape From The Moon Madness: The Final Warning, è davvero una suite tutta da godere, capace di ammaliare tutti i fan del prog metal. Sul finire Showdown fa ripercorrere i paesaggi alla Emerson Lake & Palmer ma con dei suoni più attuali, anche se ben presto prende una direzione sua che fonde emotività alla razionalità del pentagramma intricato. Sicuramente il prog della band ha uno spessore importante che li rende davvero attraenti per chi consuma questo genere, va detto però che nonostante i vari tentativi di inserire parti proprie (come le tastiere romantiche o le parti pinkfloidiane) nel complesso la proposta non risulta innovativa: buona quindi l’interpretazione del prog ma i ragazzi hanno nelle mani dei mezzi capaci davvero di potersi affermare con una propria identità musicale. A valle della pubblicazione dell’album è avvenuto qualche cambio di line-up, speriamo che il prossimo album, fuori da questo concept, sia l’occasione per realizzare quel passo che permetta loro di salire sui gradini dei grandi, quelli che hanno avuto le capacità e il coraggio di dire la loro all’interno di una filosofia musicale già molto nota.

Una considerazione finale sulla grafica. L’artwork dei due album, seppur diverso, si rifà ad una matrice stilistica comune, nonostante ciò in entrambi i casi non fa gridare alla creatività, restando un po’ indietro rispetto alla complessa opera che la band ha voluto costruire. Peggio purtroppo per il logo della band che risulta davvero poco intuitivo, una pecca per chi non conosce il moniker e difficilmente si sforzerebbe nel comprenderlo.

Autore: Mess ExcessTitolo Album: From Another World Part 2
Anno: 2020Casa Discografica: Qua’ Rock Records
Genere musicale: Prog MetalVoto: 7,25
Tipo: CDSito web: https://www.facebook.com/messexcess
Membri band:
Martina Lotti – voce
Helene Costa – voce
Andrea Giarracco – basso, voce
Fulvio Carraro – tastiere
Michel Agostini – batteria
Tracklist:
1. Deceiver’s Stare
2. Brainstorm II
3. Moments Of Growth
4. Escape From The Moon Madness: The Final Warning
5. The Scheming
6. Spaces
7. Showdown
Category : Recensioni
Tags : Progressive
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16th Set2021

The Wring – Project Cipher

by Marcello Zinno
Il Canada non è certo un Paese nuovo nel progressive rock mondiale, i Rush hanno fatto la storia e diverse band hanno cercato di seguire quel solco. Proprio in Canada nascono anche i The Wring, un combo ben rodato e dalla buona esperienza che nel nuovo album riesce ad inserire anche delle special guest d’eccezione come Bryan Beller (Joe Satriani, Steve Vai) e Thomas Lang (Robert Fripp, Peter Gabriel). Nello stile della band emerge più una vena rock rispetto a quella progressive: le chitarre sono aperte e molto in vista, soprattutto nei ritornelli, ma alla band piace giocare con i tempi e ripercorrere i cliché del genere che, quando ben eseguiti (e qui sono davvero molto ben eseguiti) si lasciano sempre apprezzare. Cipher è il brano tipico del prog, a dire il vero a cavallo tra prog rock e prog metal, strumentale con diversi cambi di rotta come i Dream Theater dei primi anni ci avevano insegnato, un brano che ogni progster sulla faccia della terra apprezzerà. Steelier al contrario affascinerà chi mastica heavy rock deciso, in parte settantiano, ma composto sempre con un candore prog; il metal arriva con Dissension, un brano dove la band calca la mano e fa benissimo, impreziosito da un assolo laccato e pattern da veri giovani metallari.

In quest’album c’è un sapore legato agli anni 70 ma sicuramente con maggiore irruenza e alimentato anche (seppur in parte) dal prog metal degli anni 90. A noi hanno ricordato i nostrani Time Machine (anche se loro proponevano questo genere decenni prima), un heavy rock dalle tinte prog ma scritto e suonato con grande maestria. Davvero bravi, è un piacere ascoltare Project Cipher.

Autore: The Wring Titolo Album: Project Cipher
Anno: 2021 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Progressive Rock Voto: 7,25
Tipo: CD Sito web: www.thewring.ca
Membri band:
Don Dewulf – chitarra
Marc Bonilla – voce
Thomas Lang – batteria
Bryan Beller – basso su tracce 2, 4, 5
Jason Henrie – basso su tracce 1, 3, 6, 7
Jason Sadites – assolo di chitarra su traccia 5
Tracklist:
1. The Light
2. Sorceress
3. Cipher
4. Steelier
5. Dissension
6. Dose
7. Touch
Category : Recensioni
Tags : Progressive
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14th Set2021

Secret Alliance – Revelation

by Cristian Danzo
I Secret Alliance giungono al secondo album in poco tempo con questo Revelation che segue a stretto giro Solar Warden del 2020. Una macchina creativa invidiabile vista anche la qualità dei pezzi proposti, cosa per nulla scontata in un lasso di tempo così breve. Certo, i nomi che formano il combo sono di grande spessore e rilievo, ma la storia dice che anche i migliori possono afflosciarsi o cadere nello scontato. Non è questo il caso, comunque. Un bel sound in bilico tra prog alla Spock’s Beard ed AOR maturo alla Giuffria ci accompagna in un viaggio dove le tematiche affrontate nei testi nulla hanno di positivo, visto che parlano di alienazione della società tecnologica e di futuri distopici non troppo lontani dalla realtà attuale, in netta contrapposizione alla musica aperta e solare proposta dal combo.

L’opener Welcome On Planet Earth rimanda subito ai grandissimi Living Colour, mentre la chiosa di First Day Of Life sembra uscire in tutto e per tutto dagli archivi segreti degli Zeppelin e di Jimmy Page. Perché prendiamo la prima e l’ultima canzone subito come citazioni? Perché nel mezzo ci sono altri nove pezzi che sono strutturalmente costruiti su sonorità più affini tra loro, mentre apertura e chiusura vengono affidate a composizioni dal carattere e dall’arrangiamento ben distinti. È un particolare che salta subito all’orecchio nell’ascolto continuativo e senza pause di Revelation e, procedendo per supposizioni, sembra una decisione voluta e cercata dalla band, ed è una soluzione pregevole ed azzeccata.

Musicisti di spessore, produzione di qualità, songwriting di altissimo livello e quello spirito ed alone anni 80 che ci raggiunge e rende il tutto più magico. Revelation si candida tranquillamente ad essere uno dei prodotti musicali più riuscito di tutto il panorama hard’n’heavy del 2021. Sublime.

Autore: Secret Alliance Titolo Album: Revelation
Anno: 2021 Casa Discografica: Punishment 18 Records
Genere musicale: Prog Metal, AOR Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.secret-alliance.com
Membri Band:
Andrea Ranfagni – voce
Gianluca Galli – chitarra
Tony Franklin – basso
Ricardo Confessori – batteria
Tracklist:
1. Welcome On Planet Earth
2. Fire In The Sky
3. No Stars
4. The Sixth Event
5. She Is Green
6. Ley Line
7. Upside Down
8. Requiem For Technology
9. The Arise
10. Seven Sisters
11. First Day Of Life
Category : Recensioni
Tags : Progressive
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