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30th Nov2011

Emerson, Lake And Palmer – Pictures At An Exhibition

by Amleto Gramegna

Niente da dire…più ascolto vecchi album più mi rendo conto di quanto il mondo sia cambiato (in peggio). Come diceva la mia professoressa di latino del liceo “o tempora o mores”! E vabbè sfogo iniziale fatto, frase classica per impressionare le masse detta…e andiamo avanti: nel 1971 una band si permette il lusso di presentare dal vivo (si avete capito bene, stiamo parlando di un album live) un’opera inedita e per di più un arrangiamento di “quadri di un’esposizione” del compositore russo Modest Musorgskij, ed è anche diventato un classico del rock prog! (ora capito il “o tempora o mores”? vallo a presentare ora un album così, ma chi lo ascolterebbe?). Come al solito via la lacrimuccia, torniamo nel 2011, e vediam di cosa si tratta. Allora, anno domini 1971 Keith Emerson, vero Deus ex machina dei Emerson Lake & Palmer, decide di dare vita ad un suo vecchio pallino, portare la musica classica alle masse nel modo a lui più congeniale, ossia filtrato dai suoi moog modulari e dai suoi organi hammond (regolarmente “accoltellati” dal vivo). Un pò per la sua esperienza con i Nice, un pò perché, parliamoci chiaro, la colonna sonora di Arancia Meccanica dell’anno prima era stata un successone (a proposito piccola curiosità: il primo a voler portare il libro di Burgess su pellicola non fu Stanley Kubrick, bensì Tinto Brass ed in più anche a Brass, come poi a Kubrick, venne l’idea di chiamare i Pink Floyd per le musiche. Non lo sapevate? Ora sì) quindi i tempi erano maturi. Giustamente poi, quando nella tua band militano due virtuosi dei propri strumenti come Lake e Palmer, beh viene tutto più facile!

Così come l’opera originale di Mussorgsky consiste in una sorta di “visita” ad una esposizione di quadri, lo stesso è nel disco in oggetto. La prima traccia che introduce l’opera è Promenade (che ritroveremo altre due volte), una strumentale simboleggiante il movimento del compositore tra le varie tele; la prima versione è solo per organo (in Italia la conosciamo come accompagnamento musicale de La Corazzata Potionkin ne’ Il Secondo Tragico Fantozzi) e ci introduce al primo vero “quadro” ossia The Gnome. Magistrale lavoro percussivo di Carl Palmer in duetto con Keith Emerson (con Lake a reggere il tutto con il suo basso). Come terza traccia torna Promenade in una versione per organo e voce che, essendo molto meno marziale della prima versione, fa dimenticare facilmente Fantozzi e le sue corazzate. Il vero capolavoro del disco è la successiva The Sage: struggente ballata per chitarra acustica e voce. Da sottolineare il bellissimo assolo di chitarra acustica di Greg Lake, forse uno dei più sottovalutati chitarristi della sua generazione (e anche sottovalutato bassista, diciamo la verità): quinta traccia è The Old Castle: la traccia inizia con un delirio di moog per poi evolversi in un lungo assolo di synth ben sostenuto dal basso di Lake che sfumerà in Blues Variation, un’improvvisazione rock blues utilizzante la melodia di The Old Castle,a ben vedere un pò fuori contesto dal disco originale.

Giriamo il vinile (si!!!) e riascoltiamo la Promenade questa volta condotta da Palmer, che ci introduce il secondo capolavoro del disco The Hut Of Baba Yaga piccola suite composta da tre parti: la prima frenetica condotta da Emerson; la seconda, The Curse Of Baba Yaga, più cupa introdotta dal basso con il wah di Lake, ed opera originale del trio, presenta un’andamento simile a ciò che ascolteremo successivamente in Karn Evil 9; la terza (di nuovo The Hut Of Baba Yaga) nuovamente frenetica introduce l’ultimo brano appartenente all’opera originale del Maestro Musorgskij (in realtà molti brani non furono riarrangiati, bensì solo una piccola parte) ossia The Great Gates Of Kiev, brano epico nella sua struttura, con un Lake al top della forma canora e un Emerson al top della forma di sperimentatore (ascoltarsi il solo di moog prego!).

“Volete ancora un pò di musica?” urla Greg Lake al termine e quindi via di Nutrocker un arrangiamento (di Kim Fowley) del celebre tema del balletto Lo Schiacchianoci di Pëtr Il’ič Čajkovskij. In realtà poco più di un divertissement per Emerson e soci (e che forse poco lega con tutto il disco in precedenza) che si divertono a suonarlo anche a tempo di swing. Insomma sicuramente una pietra miliare del genere prog, se non altro per capire quali siano le radici, culturali oltre che musicali, di tutto quel periodo fantastico (e ovviamente parliamo dei ’70) che ha sfornato dischi da conservare nella cassaforte di casa (e ovviamente intendiamo in vinile).

Autore: Emerson, Lake & Palmer Titolo Album: Pictures At An Exhibition
Anno: 1971 Casa Discografica: Cotillon
Genere musicale: Progressive Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.emersonlakepalmer.com
Membri band:

Keith Emerson – organo, synth

Greg Lake – voce, basso, chitarra

Carl Palmer – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Promenade
  2. The Gnome
  3. Promenade (Reprise 1)
  4. The Sage
  5. The Old Castle
  6. Blues Variations
  7. The Hut Of Baba Yaga (Part One)
  8. The Curse Of Baba Yaga
  9. The Hut Of Baba Yaga (Part Two)
  10. The Great Gates Of Kiev
  11. The Nutrocker
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Progressive
1 Comm
15th Nov2011

Genesis – Selling England By The Pound

by Amleto Gramegna

“Can you tell me where my country lies???” Piange l’Unifauno in un dialogo con la Regina dei Forse “Vendendo l’Inghilterra a peso”…cerchiamo di capire di cosa si parla e chi sono questi due personaggi. Dunque siamo nel ’73 e facciamo un salto indietro in quel periodo: in Italia si parla di “Austerity”, non abbiam petrolio, tiriam la cinghia e andiamo a piedi. I dischi si vendono come 33 e come 45 giri. In vetta alle hit parade del periodo abbiamo Crocodile Rock di Elton John (seguito da Pazza Idea della Pravo…strana classifica) e tra gli LP troviamo al quarto posto i Genesis con Selling England By The Pound.. un momento i Genesis?!? In Italia? Chiederete voi? Ebbene sì in Italia…bel periodo i ’70, oggi trovi spazzatura in classifica, sottoprodotti da televisione e da programmacci, con giurie fatte da gente che di musica ne capisce quanto il sottoscritto di fisica quantistica e all’epoca ci trovavi i Genesis. E teniamo conto che Genesis, The Police, Gentle Giant divennero famosi prima in Italia poi nel resto dell’Europa…non lo sapevate? ora che lo sapete chiamate Giacobbo e fatevi spiegare il perchè. Ma andiamo avanti.

Insomma i nostri cari Genesis dopo aver dato alle stampe quel capolavoro di Foxtrot e aver definitivamente trovato la line up definitiva con Collins (alla batteria) e Hackett (alla chitarra), continuano a dare voce ai deliri di un Peter Gabriel sempre più maturo e sicuro nel ruolo di leader. Nuovi personaggi si aggiungono al suo vasto repertorio artistico (che darà definitivamente vita all’art rock…in Italia gli Osanna ne furono folgorati!). Nel Tour che seguirà il disco il personaggio di Britannia, farà compagnia al Fiore, all’uomo-bambino, alla donna con testa di volpe e così via. Il primo brano Dancin With The Moonlit Knight inizia con Peter che canta, non accompagnato da alcuno strumento, le prime strofe; subito dopo una esangue chitarra elettrica accompagna la voce fino al temino principale (che si ripeterà più volte nel corso del disco), via via gli altri strumenti si aggiungono alla voce dando luogo al crescendo che porterà al primo, maestoso, cambio di tempo. Iniziano qui i problemi legati ai testi in quanto molti dei protagonisti delle canzoni dell’album sono, naturalmente, invezioni legate a giochi di parole di Peter Gabriel (ad esempio la Regina dei Forse è una contrazione con The Queen of May, ossia la Regina della primavera, figura mitologica inglese) comunque ci torniamo dopo non preoccupatevi!

Subito dopo arriva I Know What I Like, un brano mid tempo che fa tornare la pace. Si narra della copertina del disco ossia di un giardiniere che, in luogo di lavorare, si fa la pennica su una panchina del parco. La musica è molto solare e rilassante proprio come un bel sonnellino in un pomeriggio di sole. Terza traccia: la maestosa Firth Of Fifht, intro di piano, dannazione di ogni giovane promettente pianista, cambi di tempo astrali, un senso di vuoto dentro incolmabile (vedi assolo di flauto di Gabriel) e Hackett che ci tiene a far sapere che suona la chitarra; la quarta traccia More Fool Me è un’anticipazione dei futuri Genesis in quanto canta il batterista Phil Collins (è il primo brano in assoluto cantato per intero da Collins) e la traccia non ha nulla di progressive quanto di una semplice, seppur bella, ballata chitarra e voce “falòsullaspiaggia-piccolograndeamore-girodidò-nonsofareilbarrè”. The Battle of Epping Forest è la cronaca di uno scontro tra bande giovanili, per una questione di territorio, raccontato alla maniera di una guerra civile: da questo punto di vista è giusto l’iniziale incedere marziale per poi spostarsi in tempi dispari complessi. After The Ordeal è una strumentale con un magnifico lavoro di chitarra classica di Stephen Hackett che sfocerà poi in un bellissimo assolo elettrico.

Arriva il capolavoro dell’album: The Cinema Show. Una delicatissima chitarra elettrica a 12 corde ci introduce in questa suite di 11 minuti. Abbiamo un Giulietta appena tornata dal lavoro che si prepara ad andare al cinema con suo bel Romeo metalmeccanico, per tacere della figura mitologica di Tiresia. La struttura della suite può ricordare vagamente la vecchia The Musical Box specie per quegli arpeggi sognanti di chitarra, il recitato sognante di Gabriel, ed il furore finale che darà di nuovo spazio al tema di chitarra già ascoltato nel primo brano che porterà ad Aisle Of Plenty vero brano collegamento con il primo (si parlò di un concept album ma in realtà solo il primo ed ultimo brano sono legati da una vera continuità); infatti il tema musicale citato sarà, ripetuto ad libitum, la vera chiusura dell’album. Avevamo accennato ai testi, Peter Gabriel era (o è) un appassionato del non sense, delle opere di Lewis Carrol (come John Lennon del resto), dei giochi di parole, roba che Bartezzaghi ed Eco ci possono scrivere saggi maestosi. Quindi, considerando che nel ’73 internet non esisteva, la casa discografica decise di far tradurre i testi dell’album in italiano da Armando Gallo che faticò non poco, considerando ciò che aveva davanti.. Unifauno? Sogni di Wimpey? Ma che vuol dire? E non parliamo di Aisle Of Plenty! Consiglio da amico che vi do è cercare il vinile originale del ’73 edizione italiana (la ristampa del ’94 su cd non aveva i testi tradotti) almeno per dare un’occhiata alla traduzione (ovviamente andare su internet è la soluzione più facile ma il vinile ha più fascino.. Punto!). Ma “it’s scrambled egg” in chiusura ad Aisle Of Plenty a cosa è riferito? Perchè il disco si chiude con questa frase? Semplice! Foxtrot (album precedente) si chiudeva con “Supper’s ready” (tradotto “la cena è pronta”) fanta-avventura di due innamorati che, all’ora di cena, affrontavano un’apocalisse improvvisata. Le “uova strapazzate” erano la cena, non consumata, dei due ragazzi!

Sicuramente un gran disco che non può mancare nella classica raccolta di dischi (vinile vi prego!), se vogliamo ultimo lavoro della classica formazione (no, non ho dimenticato il successivo The Lamb Lies Down On Broadway ma, nonostante sia un lavoro collettivo da molti “genesis-fan” è considerato il primo lavoro solista di Peter Gabriel…ma ne parleremo tranquilli!).

Autore: Genesis Titolo Album: Selling England By The Pound
Anno: 1973 Casa Discografica: Charisma
Genere musicale: Progressive Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.genesis-music.com
Membri band:

Peter Gabriel – voce, flauto, oboe, percussioni

Stephen Hackett – chitarra

Michael Rutherford – basso, sitar, chitarra 12 corde

Phil Collins – batteria, percussioni,voce

Tony Banks – tastiere, chitarra 12 corde

Tracklist:

  1. Dancing With The Moonlit Knight
  2. I Know What I Like (In Your Wardrobe)
  3. Firth Of Fifth
  4. More Fool Me
  5. The Battle Of Epping Forest
  6. After The Ordeal
  7. The Cinema Show
  8. Aisle Of Plenty
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Progressive
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05th Nov2011

Emerson, Lake & Palmer – Brain Salad Surgery

by Amleto Gramegna

“Welcome back my friends…”. Un teschio (opera di quel gran genio di H. R. Giger) con parte del volto di donna, ci squadra dalla cover  del disco in questione, opera del 1973 del super trio E, L & P. Già, super trio…unire tre mostri sacri è sempre un azzardo (vedi alla voce “Cream”), ma unire tre mostri sacri del prog quali Keith Emerson, fresco fresco dai Nice, Greg Lake scappato dai King Crimson e Carl Palmer, che aveva appena tolto il  grembiulino dagli Atomic Rooster di Vincent Crane, poteva essere un’impresa davvero disperata. La sfida, almeno fino all’obbrobrioso Love Beach con copertina degna di Albano, fu decisamente vinta  in quando se piazzi un poker d’assi quali Trilogy-Tarkus-Pictures-Brain devi decisamente vincere.

Ma vediamo di cosa tratta quest’album. Lasciando perdere il titolo (pare sia uno slang  inglese per alludere alla fellatio ed occhio a cosa compare, anche se in ombra, vicino la bocca della donna!) un gran suono d’organo ci introduce Jerusalem, di cosa parla? Semplice, è la versione rock (che brutto termine!) di un canto religioso inglese con testo di William Blake; probabile che l’idea di riarrangiare i classici, dopo Pictures at an Exhibition ad Emerson non sia del tutto svanita, in ogni caso Lake si mette in luce, oltre che per le sue eccezionali doti bassistiche, per la pulizia della sua voce. Segue Toccata e qui ritorniamo al pallino della classica. Eh sì, perché l’idea di arrangiare un concerto per pianoforte del compositore argentino Alberto Ginastera doveva frullare in testa al buon Keith da parecchio, tant’è che ne fa una direzione decisamente curata tanto da accaparrarsi (chi ha il vinile originale del ’73 lo confermerà) i complimenti di quest’ultimo stampati all’interno della busta. Mica cotica! Ora tocca alla ballatona (alla Lucky Man che piace a tutti) ed ecco Still…You Turn Me On un bel momento di un Greg Lake, tenero ed acustico, con la sua dodici corde accordata con il re basso. Brano a dir poco fantastico (qui Lake fa davvero sentire la sua voce), peccato per il ritornello che, con quell’effetto wah wah, rovina praticamente tutta l’atmosfera facendo precipitare un sogno in una atmosfera semi-western (qualcuno ha parlato di assolo di moog in coda ad un brano??).

Ritorna l’atmosfera da saloon con Benny The Boucer e forse le uniche parole adatte per definire questo brano sono “riempitivo”, pianoforte honky-tonk e noia che affiora…saltiamola a piè pari ed arriviamo al vero capolavoro del disco: 29 minuti, tanto dura l’ultima traccia Karn Evil 9 (ovvio gioco di parole tra “carnival” ed “evil”, ma quel 9? Richiamo ai Beatles del White Album? chissà!) in realtà suddivisa in tre “impressioni”, ove spicca un secondo movimento totalmente strumentale. Il primo, ricordato per quel “Welcome back…” che diventerà titolo di un album live è magistralmente condotto da Keith Emerson, ben coaudivato dalla batteria di Palmer. Lake si destreggia in modo sicuro tra basso e voce (testi di Pete Sinfeld, vero deus ex machina della scena prog-rock inglese) imbracciando, anche se per pochi istanti anche una chitarra elettrica. Il secondo, come anticipato, è completamente strumentale e l’atmosfera che si respira è di quella fusion anni ’70 (penso ai Return To Forever) che tanto andava di moda allora. L’ultimo movimento cambia atmosfera passando al maestoso con un bel dialogo tra un uomo e un computer (e non so il perché ma questa parte mi ricorda un po’ il dialogo tra Bowman e Hal 9000 di 2001: Odissea Nello Spazio). Insomma 29 minuti che volano.

Quest’album fu considerato un pò il canto del cigno del trio in quanto, tutti i lavori successivi, non riusciranno mai ad attestarsi su quella genialità, ma al momento: “Welcome back my friend…to the show that never ends!”.

Autore: Emerson, Lake & Palmer Titolo Album: Brain Salad Surgery
Anno: 1973 Casa Discografica: Manticore
Genere musicale: Progressive Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.emersonlakepalmer.com/
Membri band:

Keith Emerson – tastiere

Greg Lake – basso, chitarra, voce

Carl Palmer – batteria e percussioni

Tracklist:

  1. Jerusalem
  2. Toccata
  3. Still…You Turn Me On
  4. Benny The Bouncer
  5. Karn Evil N.9

 

Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Progressive
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27th Set2011

Dream Theater – A Dramatic Turn Of Events

by Marcello Zinno

Dopo mesi di trepida attesa e soprattutto dopo l’abbandono di Mike Portnoy e le difficoltà della band di ripartire cercando un batterista all’altezza, giunge il nuovo capitolo discografico intitolato (non a caso) A Dramatic Turn Of Events. La curiosità che origina una nuova uscita targata il “Teatro dei Sogni” è sempre forte anche se bisogna ammettere che ultimamente i Nostri hanno di molto abbassato le aspettative dei propri fan. In più la lunga telenovela costruita sui provini mirati e la scelta del nuovo membro non hanno fatto altro che incrementare la percezione di quanto la band sia attenta ad eventi più commerciali e meno artistici in senso stretto.

Come risulta questo A Dramatic Turn Of Events? Sicuramente migliore rispetto all’ultimo floscio Black Clouds & Silver Linings nonostante l’approccio compositivo risulti tendenzialmente lo stesso: un encefalogramma (per fortuna non piatto) costituito da una serie di punti, alcuni infimi altri invece che spiccano per lucidità in un quadro che nel suo complesso appare di media bellezza. L’opener, che era stata anticipata da qualche settimana su internet, prosegue i discorsi già fatti e ripetuti nel nuovo millennio targato DT, mentre già con la seconda Build Me Up, Break Me Down iniziano a sopraggiungere i punti dolenti: al di là del riffing per certi versi piacevole emerge da subito la complessità sonora di fondo nonché la ricerca del refrain facile di James LaBrie, stavolta ostacolato anche dall’assenza delle backing vocals (affidate al dimissionario Portnoy), ritornelli orecchiabili e molta melodia che diminuiscono il valore di brani come This Is The Life (scialba e troppo orchestrale), Far From Heaven (una ballad romantica per accontentare il nuovo pubblico, oggi ben più vasto che in passato) e soprattutto l’ultima Beneath The Surface (da non confondere con l’omonimo album degli Incognito che a confronto sono come la lana e la seta).

Diverso il discorso per Lost Not Forgotten nella quale con maestria si crea una vera composizione intorno ad una linea melodica che permette alla band di mettere in mostra il proprio vero punto di forza: le parti strumentali. In questi 10 minuti sono raccolte molte divagazioni, sperimentalismi, che riescono a stare abilmente nel “cerchio canzone” senza sbavature. Così purtroppo non accade in Outcry dove la tecnica avvolte assume le sembianze di puro esibizionismo: pur mostrando un ottimo lavoro di creazione musicale e una significativa coesione tra i musicisti, il cosiddetto scheletro nell’armadio del “self-indulgence” appare lapidario e ricorda all’ascoltatore che l’arte non è qualcosa di non replicabile bensì qualcosa che è in grado di creare emozioni ed aggiunge un ulteriore senso alla propria percezione. Diverso il discorso per Breaking All Illusions, il pezzo in assoluto più convincente dell’album: trascinante e disarmante, intricato come non si ascoltava da anni, capace di trapassare atmosfere, epoche e combinazioni diverse fondendo egregiamente parti lente a ritmi incalzanti e dispari. La breve divagazione folk, il progressive rock che si crea i propri spazi, la psichedelia floydiana tanto cara a Petrucci (l’assolo in crescendo è disarmante), le decine di effetti che si scambiano di ruolo…sembra quasi di rivivere i tempi di Learning To Live quando i Dream Theater stavano costruendo il proprio successo. Ma il sogno dura solo dodici minuti.

Per chi volesse acquistare la versione deluxe con bonus DVD potrà godersi un documentario di 60 minuti con le audizioni tenute all’erede di Portnoy e la scelta finale di Mike Mangini, batterista che compare ovviamente sull’album e che mette in mostra le proprie ottime doti pur non avvicinandosi al suo predecessore per varietà sonora e irruenza tecnica. La mia opinione personale è che i DT avrebbero potuto ottenere una sezione ritmica ben più preziosa con Marco Minnemann dietro le pelli, batterista molto più emotivo e carismatico rispetto all’accademico Mangini.

Autore: Dream Theater Titolo Album: A Dramatic Turn Of Events
Anno: 2011 Casa Discografica: Roadrunner Records
Genere musicale: Prog metal Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: www.dreamtheater.net
Membri band:

James LaBrie – voce

John Myung – basso

John Petrucci – chitarra

Jordan Rudess – tastiere

Mike Mangini – batteria

Tracklist:

  1. On the Backs of Angels
  2. Build Me Up, Break Me Down
  3. Lost Not Forgotten
  4. This Is the Life
  5. Bridges in the Sky
  6. Outcry
  7. Far from Heaven
  8. Breaking All Illusions
  9. Beneath the Surface
Category : Recensioni
Tags : Progressive
1 Comm
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