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14th Gen2021

Flavio Ferri – Testimone Di Passaggio

by Paolo Tocco
Scrivo di getto. Ci sono mille ragioni per non mollare la presa, non arrendersi a questo stato di cose superficiali e immensamente omologate su basi di follia becera (stupida, non romantica). Ci sono mille ragioni per continuare a desiderare il bello e a non giustificare il luogo comune. In I Nemici Della Musica, ultimo libro di Antonello Cresti, che devo ancora capire quanto io sia d’accordo o meno sul tutto, si dice una cosa meravigliosamente saggia: basta giustificare questo stato di cose con frasi di comodo del tipo “noi non abbiamo gli strumenti per capire i nuovi linguaggi dei giovani”… basta! Noi gli strumenti ce li abbiamo eccome. E questi nuovi linguaggi sono di una povertà che dovrebbe mettere paura solo a veder quanta stupida superficialità seminano e raccolgono in breve tempo. I nuovi teenager avvinghiati nelle trame di questo “nuovo mondo” che da pochissimo tempo abbiamo tirato su, mi fanno pena. E lo dico con amore e rispetto verso la loro immensa energia che – grazie alle altrettanto immense opportunità di oggi – potrebbe risolversi tutto in una bomba atomica pronta ad esplodere ogni giorno. E non solo i teenager sia chiaro. Ci sono cinquantenni rimbecilliti più dei loro nipoti. E invece, non per colpa loro e contro ogni loro coscienza e consapevolezza (sia chiaro!), sono sottilmente ed invisibilmente ridotti a questo pattume di superficiale ignoranza. Lo capiamo benissimo noi altri. E, riprendendo i concetti di Cresti, trovo che un gesto salvifico o quantomeno rispettoso per il loro bene, sia denunciarlo a gran voce. Almeno questo possiamo farlo. Oggi, il nuovo linguaggio musicale dei giovani, che poi diviene anche il nuovo linguaggio di vita quotidiana, fa davvero paura per la sua povertà. Agli artisti, se vogliono protestare, chiedo un linguaggio alto.

Detto questo ci sono mille ragioni per non mollare la presa. Ed una la capisco ogni volta che guardo casa mia priva di televisione, radio e finestre a portata di centri commerciali. Fuori dal mondo? Sì, quanto basta per far buoni i polmoni. Ascolto vinili, mi siedo, blocco il mio tempo e respiro cose. Sono un partigiano non un coglione. Testimoniare il passaggio per Flavio Ferri – secondo me – significa anche e soprattutto questo. Nella follia (romantica questa volta) che usa nel deformare i suoni, nel rompere le abitudini, nel nascondere voci che neanche avrei mai sentito, nello straziare la forma. Testimone Di Passaggio è un disco visual, PARTIGIANO, che i dormienti inebetiti di oggi neanche hanno gli strumenti per ascoltarlo, figuriamoci di capirlo. E loro sì che non hanno strumenti. A questo disco ho dedicato molto spazio anche nella mia nuova piccola radio – Radio Terapia. Lo conosco bene tanto da riascoltarlo quando sento che il tempo ne ha bisogno. Perché di dischi così ferrosi, così di rottura, così privi di abitudini e di simbologie sistemiche, il tempo ne ha sempre bisogno…l’uomo in prima battuta ne ha bisogno. Flavio Ferri testimonia il suo passaggio denunciando che la verità è come ferro fuso, rovente, parla dell’odio, di burattini, di canzoni, di segreti, di convenzioni comode.

Non si racconta questo disco distorto e lisergico fatto da non-canzoni, fatto di declamazioni, di liriche figurative scritte da Luca Raganin, dove il tutto non ha forme comode e non si può certo catalogare con etichette che i più omologati direbbero di post-industrial o robe simili. E per questo invito a non mettere etichette all’album. Il suono si cementa dentro, se abbiamo coscienza. Tutto il resto sono chiacchiere per i colletti bianchi di qualsivoglia girone organizzato dell’umana condizione. Testimone Di Passaggio è parte di quella scellerata follia (alta questa volta) che io riconosco in artisti degni di stima e di encomio per la loro guerra, quotidianamente partigiana. Ascoltatelo questo disco. Non per gusto o per moda. Ma per bisogno.

Autore: Flavio Ferri Titolo Album: Testimone Di Passaggio
Anno: 2020 Casa Discografica: Vrec label
Genere musicale: Psichedelia Voto: 8,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/FlavioFerriProducer
Membri band:
Flavio Ferri
Tracklist:
1. Beckett
2. Bambina Da Canzone
3. Le Verità Roventi
4. Moderna
5. Houdini
6. Testimone Di Passaggio
7. Odo
8. Ligeti
9. Scoppio Di Oppio
10. Xfiles
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Psichedelia
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29th Set2020

Khadavra – Hypnagogia

by Raffaele Astore
I Khadavra sono una band proveniente dalla Svezia, e precisamente da Goteborg. La loro è una storia che con il disco di esordio, A True Image Of The Infinite, li catapulta direttamente nell’underground, un disco che secondo la mia opinione personale, vale la pena di ascoltare anche per capire il percorso che i Khadavra stanno attualmente compiendo. Così accade che nel 2019, a ben cinque anni dall’esordio, gli svedesi si ripresentano al pubblico con questa nuova produzione, Hypnagogia, che ricalca in parte alcuni passaggi del precedente lavoro anche se qui è marcatamente ascoltabile una accresciuta maturità. Le sonorità di cui è intriso Hypnagogia viaggiano tra psichedelia ed un progressive non marcato che non manca, comunque, di fare il suo effetto nella linearità delle composizioni. In alcuni passaggi fanno ricordare anche il sound delle Orme e comunque la loro è una padronanza di idee alcune volte originali, altre volte un po’ meno. La presenza del mellotron poi la dice tutta anche su queste nostre osservazioni, così come gli incastri del basso nelle varie composizioni che insieme alle tastiere rendono il lavoro piacevole e, come dicevamo prima, maturo.

Nonostante ciò si possono comunque intravedere le influenze che marcano la band soprattutto se definiamo il loro come un rock in bilico tra progressive ed un post-rock psichedelico, insomma un sapiente miscuglio di Pink Floyd, Genesis, Opeth, Tool. Sarà un caso? Non ci è dato saperlo ma l’uso così disciplinato degli strumenti ci mette (e non è un caso considerato che anche loro sono svedesi) nelle condizioni di chiederci quanta affinità c’è con i gruppi che abbiamo menzionato prima. La musica poi si divide bene tra passaggi fantastici capaci di pescare anche nel rock gotico, ma sempre con la necessaria leggerezza.

E comunque i Khadavra sono una band dalla quale non bisognerà distogliere tanto facilmente lo sguardo perché, come con Hypnagogia hanno dimostrato, rispetto all’esordio con A True Image Of The Infinite una notevole crescita. Sarà difficile in futuro trovarsi di fronte ad una sorta di blocco musicale e creativo perché i Khadavra hanno finora dimostrato di voler solo crescere. Lo dimostrano brani come Dissolve e Tryptophan.

Autore: Khadavra Titolo Album: Hypnagogia
Anno: 2019 Casa Discografica: Black Widow Records
Genere musicale: Psichedelia, Progressive Rock Voto: 7
Tipo: mp3 Sito: https://www.facebook.com/khadavra
Membri band:
Sebastian Eriksson – chitarra, sitar, didgeridoo, voce
Nils Erichson – tastiere, organo da chiesa, pianoforte, chitarra, voce
Jón Klintö – basso, corno francese
Alexander Eriksson – batteria, percussioni, marimba, voce
Tracklist:
1. Horisontens_Himlavalv
2. Down_The_Rabbithole
3. Dissolve
4. Mordangel
5. Tryptophan
6. Kollektiv
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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28th Set2020

Invisible Wave – Stay Safe

by Marcello Zinno
Gli Invisible Wave si presentano con un EP tutt’altro che unidirezionale. I primi 20 secondi di Stay Safe (anche titolo dell’album) sembrano estratti da un album di Nick Cave, ma non è esattamente quello l’habitat dei Nostri: gli IW si muovono tendenzialmente in maniera agiata tra un rock ricercato e psichedelico e un altro molto più orecchiabile che li tramuta in un animale radiofonico. Nel primo contesto citiamo Out Of The Comfort Zone, un rock languido e che non intende mordere, molto british nel suo stile; da apprezzare anche l’intermezzo e poi la ripartenza, costruita molto bene per regalare quel giusto pathos prima di una carica elettrica. Nel secondo loro profilo musicale invece va inserita Call My Name, di ispirazione anni 80, brano che con le sue tastiere si presenta per essere perfetto per le playlist da ballad o da musica leggera. In mezzo a questi due animi si colloca Fake News, un brano che ha sicuramente più carattere e che gioca in maniera più trasversale con la musica, sapendo urlare un messaggio preciso legato alla comunicazione ma in una veste sicuramente più decisa rispetto alle altre tracce, il che è coerente con il messaggio stesso.

È con Moments Of Real Life che sembrano comparire gli echi di band come U2 ma gli Invisible Wave hanno le potenzialità per creare una musica artisticamente più spessa, questo lo percepiamo e ciò ci incuriosisce riguardo un loro futuro album. Nel complesso quindi Stay Safe è un EP affascinante, che esce dai canoni tipici del rock per donarci una veste ricercata, sì melodica ma non per questo banale.

Autore: Invisible Wave Titolo Album: Stay Safe
Anno: 2020 Casa Discografica: New Model Label
Genere musicale: Rock Psichedelico, Rock Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: https://www.invisiblewave.it
Membri band:
Guido Tonizzo – voce, tastierista, synth
Cristina Spadotto – chitarrista
Stefania Della Savia – basso, synth, voce
Alberto Zenarolla – batteria
Tracklist:
1. Stay Safe
2. Call My Name
3. Fake News
4. Out Of The Comfort Zone
5. Moments Of Real Life
6. Invisible Presence
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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23rd Set2020

Richard’s Orchestra – Nothing Nothing

by Raffaele Astore
Già dall’avvio di Nothing Nothing, ultima produzione realizzata dalla Richard’s Orchestra sembra di essere all’ascolto di uno dei brani del compianto Chris Cornell che ha, probabilmente, influenzato anche alcuni modi compositivi di questa giovane band che vanta, dalla sua, creatività e musicalità. Ed infatti, proprio il pezzo di apertura, You Cant Hear Me ha proprio atmosfere dell’ultimo Cornell, ma quella e tutta un’altra storia. Con il successivo Bare Lake scopriamo che le vellutate note proposte qui ci proiettano, come già accaduto con il pezzo di apertura, in una produzione tutta psichedelica anzi di psichedelia da vecchi tempi vissuti a suon di vinili che ora ritornano. Piacevole come il pezzo di apertura capiamo che ormai dobbiamo aspettarci immersione totale nella musica liquida che più ci piace e questo almeno per i prossimi otto brani. Passati dalla formazione a tre a quella attuale a cinque, i Richard’s Orchestra hanno arricchito anche la loro forma canzone che naviga in diversi generi con la grande capacità di saperli fondere per creare poi una struttura propria. Ed è questa loro capacità che oltre a farli diventare grandi li ha portati a partecipare all’IPO Festival di Liverpool.

La Richard’s Orchestra continua a farsi sentire anche con Out Of My Shell che, personalmente, ci richiama alla mente passaggi del tanto amato Jeff Buckley, mentre con Nothing Nothing, se ce ne fosse bisogno, giunge quel segno di maturità profonda di questa band emiliana che ha fatto bene ad ampliarsi nella formazione per un sound più compatto e deciso. Poi il giungere di Amazing Sunrise ci ricorda che questo è il singolo estratto dall’album nonché il pezzo sul quale è stato realizzato il video promozionale dell’intero lavoro. Ed è giusto quando i Richard’s scrivono nel loro comunicato stampa che la loro è una fluida psichedelia pop che pulsa per 50 minuti: suggestioni astrali da gustare in solitaria, per perdersi nella propria orbita personale. E guardate che se mi sono perso anch’io, abituato come sono ad ascolti psichedelici e progressive, è davvero tutto. Con la successiva Too Early invece ritorna alla mente una mitica band del 1966, i Blues Magoos che colpirono con il loro Psychedelic Lollipop e che, ancora oggi sembrano affascinare come ci prende tutto quest’album dei Richard’s Orchestra. Ed i segni di questi colpi sono tutti lì, come il brano The Lover un vero e proprio classico psichedelico.

Guardate, nel periodo della psichedelia spesso si accomunava la musica prodotta alle visioni procurate dall’assunzione di LSD, ebbene sia altre band dell’epoca, e per i nostri giorni, lo dimostrano questi ragazzi emiliani dei Richard’s Orchestra che hanno stoffa da vendere, non c’è bisogno qui di assumere nulla, anzi, basta chiudere gli occhi e lasciarsi andare. Non ci spingiamo mai nei nostri commenti, ci limitiamo a recensire quanto nelle nostre orecchie entra, ma il cervello ci dice che questa band ha stoffa, tanta. E se, quasi a chiusura dell’album, con She’s Fine sembra di trovarsi davvero al Cavern o in un improvvisato concerto elettrico ad Hyde Park, dopo la frenetica The Spark la chiusura in grande spolvero che tocca a Whale’s Poem diventa la ciliegina sulla torta di questo interessante e piacevole Nothing Nothing della Richard’s Orchestra.

Autore: Richard’s Orchestra Titolo Album: Nothing Nothing
Anno: 2020 Casa Discografica: Seahorse Recordings
Genere musicale: Psichedelia Voto: 7
Tipo: CD Sito: https://www.facebook.com/RichardsOrchestra
Membri band:
Ivan “King” Torelli
Alessandro Corradi
Enrico Torreggiani
Dan Cavalca
Alessandro Bertolotti
Tracklist:
1. You Cant Hear Me
2. Bare Lake
3. Out Of My Shell
4. Amazing Sunrise
5. Too Early
6. Gimme Sunshine
7. The Lover
8. She’s Fine
9. The Spark
10. Whale’s Poem
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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12th Set2020

23 And Beyond The Infinite – Elevation To The Misery

by Simone Rossetti
Benevento è una ridente cittadina del sud Italia, per raggiungerla le sue coordinate sono 41°08’N 14°47’E; va bene, non sarà stata la città natale di personaggi famosi del calibro di Martin Luther King o John Lee Hooker ma se non altro da oggi potrà celebrare tra i suoi figliol prodighi questi 23 And Beyond The Infinite che con l’album in questione dimostrano che è possibile “musicalmente” osare e proporre qualcosa di diverso che non sia il solito pensiero plasticizzato (e pubblicizzato), e credeteci, nell’attuale panorama nostrano non è poco. Formatisi nel 2012 rilasciano l’anno successivo un primo EP, Dumbo Gets Drunk e nel 2014 il loro primo album Faces From The Ancient Gallery seguito da Loath: Insane Mind Festival del 2016 ed infine per arrivare ai giorni nostri, questo ultimissimo Elevation To The Misery del 2020; un album suonato e registrato ottimamente (suoni grassi e sporchi ma abbastanza definiti), testi in inglese che sembrano aver trovato una loro collocazione naturale, l’unica perplessità che ci sentiamo di evidenziare riguarda l’uso dell’effettistica che purtroppo in alcune tracce va ad appesantire inutilmente l’ascolto, ma trattasi appunto di una “sensazione” ovviamente non per forza condivisibile. Nella prima traccia Brave New World questa “pesantezza” la si percepisce in modo particolare, ma in Playhouse già risulta meno invadente, è un bel pezzo tirato al punto giusto tra dissonanze e feedback, un misto tra garage funk ed un jazz rock ad alto tasso alcolico, ma forse la traccia che riassume meglio le coordinate stilistiche di questo album è It Is What It Is, un mid tempo dalle melodie psichedeliche e malsane, riverberi di settantiana memoria e divagazioni di stampo free jazz, un brano dalle grandi potenzialità in sede live

Segue Magnetic Glance dai toni più morbidi, un pezzo che non si mette a fuoco subito e lascia un pò disorientati ma vi assicuriamo che ha grandi qualità (un bel refrain ed un crescendo di buona intensità); una cosa che si può intuire da queste prime tracce è che questa dimensione (da studio) gli vada un pò stretta, come volersi infilare dei pantaloni taglia 48 quando in realtà avremmo bisogno di una 54 (il buono non si deve contenere); si prosegue comunque con Pendejo altro pezzo con un buon intro funky che poi si perde un pò appesantendosi inutilmente ma le carte buone ci sono tutte e verranno fuori nel finale; si torna a pestare duro con That Pig Was Right, strutturalmente altalenante passa da momenti più soft ad altri più caotici, difficile “centrarla” ad un primo ascolto ma l’impatto è puro rock; un’altra bella traccia è A Mild Lie, atmosfere giuste, chitarre dissonanti, un buon ritmo e la voglia di andare oltre anche con il rischio di perdersi; a chiudere questo lavoro ci pensa Las Vegas, pezzo altamente psichedelico e pulsante di humus nero, qualcosa di perverso che affiora dall’oscurità ma stenta a rivelarsi.

Autore: 23 And Beyond The Infinite Titolo Album: Elevation To The Misery
Anno: 2020 Casa Discografica: Dirty Beach, I Dischi Del Minollo, All Will Be Well Records, Aumega Project
Genere musicale: Psychedelic Rock Voto: 7,25
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/23AndBeyondTheInfinite
Membri band: Vincenzo Concia – voce, chitarra, synth Cosimo Boscaino – voce, basso, chitarra Gianluca Timoteo – batteria, percussioni Alessio Del Donno – voce, chitarra, basso Tracklist:
1. Brave New World
2. Playhouse
3. It Is What It Is
4. Magnetic Glance
5. Pendejo
6. That Pig Was Right
7. A Mild Lie
8. Las Vegas
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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30th Ago2020

Holy Monitor – This Desert Land

by Marcello Zinno
E per dimostrare che ogni Paese ha la propria scena musicale arrivano dalla Grecia gli Holy Monitor che in verità sono alla loro terza fatica seppur nel caso di This Desert Land si tratti di un EP di 4 tracce, al contrario dei due precedenti full-lenght. Questo quintetto ci sposta di peso nei seventies, con il suo sapore profondamente psichedelico ma senza rinunciare a marciate elettriche in cui la chitarra sa il fatto suo. Tempi lenti, batteria poco incisiva che lascia spazio alle melodie amplificate delle due chitarre (ben amalgamate tra loro) e della tastiera che in brani come la titletrack conferisce quel sapore fortemente psych. Tutto il marchio di fabbrica di questa band è qui, non vi aspettate passaggi stravaganti o sperimentazioni, non è quello che intendono fare gli Holy Monitor, piuttosto il potere (e ce l’hanno tutto) di farvi viaggiare in un’altra epoca (passata) con un sound pieno di polvere ma consapevolmente affascinante. Sicuramente un’arma a doppio taglio perché ascoltare pezzi come Bloodworm per alcuni potrebbe essere una sfida stancante, sempre sul filo, in attesa di un cambio di rotta che non arriverà mai (va già meglio con Radiant Child che resta sui 3 minuti), ma loro sono così.

Gli Holy Monitor negli anni 90 con qualche bel videoclip avrebbero spaccato in TV, eppure la loro musica è in grado di funzionare ancora oggi, la conferma che il loro stile è davvero senza tempo.

Autore: Holy Monitor Titolo Album: This Desert Land
Anno: 2020 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Rock Psichedelico Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: https://www.facebook.com/holymonitor/
Membri band:
Stefanos Mitsis – chitarra
George Nikas – voce, chitarra
Alex Bolpasis – basso
Vangelis Mitsis – tastiere
Dimitris Doumouliakas – batteria
Tracklist:
1. This Desert Land
2. Summer Of Thorns
3. Bloodworm
4. Radiant Child
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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09th Ago2020

Mother Island – Motel Rooms

by Fabio Loffredo
Terzo album in studio per i Mother Island, band vicentina che cerca di recuperare suoni dei bei tempi passati. Dieci brani registrati agli Outside Inside Studio di Volpago Del Montello che risentono delle esperienze avute con gli album precedenti e con il tour nella West Coast statunitense. Till The Morning Come è molto anni sessanta, tra beat e psichedelica e la voce di Anita Formilan ci riporta alla mente Grace Slick e Stevie Nicks; anche in Eyes Of Shadows si respirano gli anni sessanta, atmosfere solari e che rispecchiano anni in cui la musica iniziava a prendersi le sue libertà. And We’re Shining, altra song che esprime la parola “vintage”, ha un sound che può sembrare antico ma che in realtà abbiamo tutti voglia di riascoltare. Ci sono altri brani che affascinano come Summer Glow e We All Seem to Fall To Pieces Alone, dove ci sono più spunti melodici e la voce di Anita sa osare di più, non mancano interventi di strumenti a fiato e ancora come Demons, brano alquanto breve e dalle tinte anche soul e alcuni riferimenti li possiamo ritrovare nei Blues Pills e c’è una presenza più marcata della chitarra con un guitar solo semplice ma d’effetto.

Chiudono il CD Dead Rat, breve e veloce, beat, rock e psichedelia a tutto spiano e Lustful Lovers, stavolta più di sei minuti di melodie più avvolgenti e magnetiche, ma sempre molto anni sessanta. Motel Rooms è un album ben costruito e la voglia di “vintage” sembra essere sincera e non solo per cavalcare l’onda.

Autore: Mother Island Titolo Album: Motel Rooms
Anno: 2020 Casa Discografica: Go Down Records
Genere musicale: Psychedelic Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: www.godownrecords.com/mother-island
Membri band:
Anita Formilan – voce
Nicolò De Franceschi – chitarra
Nicola Tamiozzo – chitarra
Giacomo Totti – basso
Nicola Bottone – batteria
Tracklist:
1. Till The Morning Comes
2. Eyes Of Shadows
3. And We’re Shining
4. Summer Glow
5. We All Seem To Fall To Pieces Alone
6. Demons
7. Song For A Healer
8. Santa Cruz
9. Dead Rat
10. Lustful Lovers
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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24th Lug2020

Beesus – 3eesus

by Marcello Zinno
Vita difficile per i Beesus, con i vari cambi di line-up e di sound, ma la band non si arrende, anzi sceglie di viverla in pieno questa vita difficile e osare. Infatti con il nuovo 3eesus la band (ormai un trio) decide di registrare l’album live, in presa diretta, presso un locale, il noto Monk di Roma, attivo da sei anni. E l’album si presenta proprio così, per nulla semplice, piuttosto sofisticato e per certi versi ambizioso. Rock psichedelico che ama rifugiarsi in passaggi fuzz (Sleng Footloose), attingendo ora dal grunge, ora dall’alternative, ora dallo stoner e in questo schema-non-schema la formazione a tre crediamo sia perfetta. Ascoltando Sand For Lunch ci sembra di assistere ad un concerto degli Smashing Punpkins nel pieno di uso da LSD, ma i ragazzi sanno tirar fuori i muscoli e lo fanno con Suffering Bastards, una traccia in cui l’assenza di una seconda chitarra non è solo una scelta stilistica ma anche la natura propria del brano stesso, su trame liriche rappate. Un approccio non convenzionale, potremo definirlo “anti-pop”, suoni elettrici sporchi e smaccati, brani dalle trame complesse e intricate, assenza di un copione strofa-ritornello-strofa…i ragazzi ce la mettono tutta per uscire dai soliti schemi e a nostro parere lo fanno molto bene. Certo, un ascolto superficiale non coglierebbe il songwriting ma si perderebbe nei diversi passaggi, ma la musica dei Beesus non è per nulla superficiale, quindi nel caso avete sbagliato band. Sicuramente l’anima psichedelica prevale nella musica della band e la registrazione in presa live è una scelta azzeccata per conferire quel suono polveroso e seventies ai brani.

Ottime le linee di basso (anche se è davvero difficile scorporare uno strumento dalla musica dei Beesus) che sanciscono benissimo il loro contributo, riempiendo anche un vuoto solitamente ad appannaggio di altri strumenti. 3eesus non è consigliato a chi è alla ricerca del “killer riff”, piuttosto chi esige qualcosa di più dal rock.

Autore: Beesus Titolo Album: 3eesus
Anno: 2020 Casa Discografica: Go Down Records, More Fuzz Records, New Sonic Records
Genere musicale: Rock Psichedelico, Stoner Voto: 7
Tipo: LP Sito web: www.facebook.com/beesusindope
Membri band:
Mudd – batteria, voce
Pootchie – chitarra, voce
Johnny – basso, voce
Tracklist:
1. Reproach
2. Sand For Lunch
3. Suffering Bastards
4. Sleng Footloose
5. Flags On The Sun
6. Gondwana
7. Sacoph
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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15th Mag2020

Jefferson Airplane – Long John Silver

by Giancarlo Amitrano
E così “lemme lemme” ( ma nemmeno tanto) anche per gli amici californiani si appropinqua il canto del cigno: tanto fiammante la loro apparizione sugli “schermi”, altrettanto roboante il loro progressivo congedo dalle scene, almeno sotto questa forma. Le tensioni ormai latenti tra le varie componenti del gruppo, unite ai già diversi progetti solisti registrati per la stessa label, portano ad implodere e i rapporti interpersonali e soprattutto il prodotto offerto con questo lenght. A testimoniare la ormai drammatica carenza di inventiva, il fatto che fosse stato chiamato a collaborare ai testi perfino lo storico amico David Crosby, prontamente stoppato nell’intento dalla sua stessa casa discografica, che evidentemente non voleva legare il nome di uno dei suoi artisti di punta al fallimento della band, ormai incombente. E dire che, nonostante fosse reduce dalla pubblicazione del loro album solista Sunfighter, la coppia a tutto tondo Slick/Kantner si impegna egualmente per indirizzare le sue idee verso un disco non disprezzabile, coadiuvati in questo dagli altrettanto impegnati “parallelamente” Kaukonen/Casady ed i loro Hot Tuna, i cui echi si fanno sentire sin da subito nella titletrack: corposamente eseguito, il brano si discosta dalle atmosfere spesso disincantate che la band ha spesso percorso in divina rilassatezza, preferendo concentrarsi invece su di un solido lavoro delle asce, che qui non paiono per nulla psichedeliche, ma vanno anzi dritte al sodo, consentendo alla coppia Kaukonen/Kantner di condurre danze stavolta più sfrenate, sulle quali si eleva ancora forte la voce limpida della Slick.

Aerie conferma ancora il predominio vocale della singer, qui autrice di musiche e testi. La vena folk che pervade anche la sacerdotessa della band trova qui piena espressione soprattutto nel songwriting che la sostiene bene nelle sue evoluzioni e nei suoi connotati, pur senza giungere a vette un tempo familiari. Twilight Double Dealer è uno spigliatissimo brano rockeggiante, a firma Kantner e della sua chitarra non più “innocente” come un lustro addietro, quando le sue melodie erano appunto molto delicate ed avrebbero “aborrito” la deriva settantiana ora intrapresa dal chitarrista, che tuttavia conserva intatto il tocco magico. Milk Train vibra con forza attraverso il violino dell’ormai stabile Creach: precedendo di qualche incollatura un altro combo leggendario che di tale strumento ha fatto vanto, la band californiana anticipa con questa traccia il lirismo ed i toni epici che i conterranei Kansas offriranno anch’essi di lì a poco. Si giunge all’ennesima traccia controversa: The Son Of Jesus fu subito censuratissima dalla casa discografica per un aggettivo irripetibile anteposto al titolo. Condotta a miti consigli, la band attenua le sue insofferenze e riesce comunque a sfornare un brano toccante, colmo di allusioni e renitente ormai a tutto, pur tenendosi ancora a galla grazie all’abilità dei suoi esecutori.

Easter? non è da meno, quanto a sfacciataggine e dissacrazione: gridando a pieni polmoni il suo disincanto verso il mondo, la band dimostra di riuscire ancora a padroneggiare i grandi temi sociali, battendosi di nuovo contro la violenza e le discriminazioni di ogni genere, essendo maestra la Slick in tali agoni di protesta. Trial By Fire rappresenta (inutilmente) il binario Hot Tuna che Kaukonen, qui autore di testi e musiche, ormai percorre speditamente: non a caso, sulla traccia suona anche il suo drummer “personale” Sammy Piazza, con il risultato di un non indifferente passo falso attraverso un folk che non si attaglia più alla band di San Francisco. Con Alexander The Medium torna il buon Kantner ad impadronirsi della scena: nonostante il discreto impegno profuso, anche questa traccia appare scontata e quasi un filler, riflettendo marcatamente l’ormai assodata involuzione anche di uno dei leader storici del gruppo. Band che chiude i giochi con Eat Starch Mom ed il suo sound inaspettatamente duro e grezzo, ma sempre contestatore e sarcastico: in un gruppo che ormai dimostra apertamente di pensare maggiormente ai progetti paralleli dei componenti, non poteva esservi che conclusione più “degna” di questa traccia, che servirà almeno a rendere chiarissime le cose all’interno della band californiana.

Autore: Jefferson Airplane Titolo Album: Long John Silver
Anno: 1972 Casa Discografica: Grunt
Genere musicale: Rock Psichedelico Voto: 6
Tipo: CD Sito web: www.jeffersonairplane.com
Membri Band:
Grace Slick – voce, piano
Paul Kantner – voce, chitarra
Jorma Kaukonen – chitarra, voce
Jack Casady – basso
Papa John Creach – violino
John Barbata – batteria
Joey Covington – batteria su tracce 3 e 5
Sammy Piazza – batteria su traccia 7
Tracklist:
1. Long John Silver
2. Aerie
3. Twilight Double Leader
4. Milk Train
5. The Son Of Jesus
6. Easter?
7. Trial By Fire
8. Alexander The Medium
9. Eat Starch Mom
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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01st Mag2020

Jefferson Airplane – Volunteers

by Giancarlo Amitrano
Stavolta non basteranno i canonici commenti di rito, per analizzare la nuova fatica degli eroi della psichedelia: il quinto lenght dei Nostri necessita di ampia ed esaustiva considerazione, sia per il lavoro in sé sia soprattutto per la sua genesi e per la pletora di ospiti presenti sul disco. Ma non si può parlare dell’album prima di avere evidenziato che la band è appena reduce da memorabili esibizioni al Fillmore East e soprattutto al Central Park ed a Woodstock. Siamo in piena “epoca Vietnam” ed ecco che il gruppo non poteva esimersi dal lanciare il suo messaggio politico ed antimilitarista in tutte le suddette esibizioni, tra l’altro sommamente interpretate. Tutto questo substrato viene riversato, di conseguenza, nell’odierno lenght che di riflesso non poche polemiche e guai procurerà alla band californiana. Prodotto da Al Schmitt, l’album risente di tutto questo “cataclisma” interiore dei Nostri, offrendo un sound aspro, duro e violento: in contrasto con le atmosfere sognanti, acide e lisergiche dei lavori precedenti: è come se la band intendesse, attraverso la musica, far sentire forte la sua voce di protesta sia contro la guerra vietnamita sia contro la forte repressione politica e sociale all’epoca imperante negli States.

Già il titolo fu oggetto di controversie, dato che la casa discografica si oppose all’aggiunta del termine “Of America ” a Volunteers . la band decide allora di “vendicarsi” inserendo in diverse tracce un corollario di cattive parole che a stento si salveranno dagli strali della censura. Ad iniziare da We Can Be Together , il sound è isterico e gridato senza ritegno, con le chitarre a pompare note a più non posso e la voce che si eleva forte come in una tribuna elettorale indipendente, senza che nessuno si possa opporre al fluire potente delle note, aiutate a sgorgare in questo caso anche dalla presenza del piano fluido di Nicky Hopkins, il cui tocco magico tanta gloria procurerà ad altri gruppi dell’epoca e successivi (bastano The Who, Rolling Stones e Beatles? ). Si procede con Good Sheperd e pare esservi un ritorno, brevissimo, all’amato folk degli esordi, in cui la band torna ad occuparsi della vita a sé stante non inserita nelle problematiche mondiali; ed anche il canto è più rilassato, teneramente nostalgico e sognante, di stampo quasi religioso, con le chitarre che non si limitano al semplice accompagnamento, ma si delineano con delicatezza a presentarci immaginarie praterie su cui correre senza paura, mettendo in risalto la vera natura del gruppo, qui del tutto avulso da ogni diatriba sociale o impegnata.

Eccoci a The Farm ed al suo incedere ancora folkeggiante, con linee pianistiche colme di lirismo che si completano con una superba chitarra-pedale del finalmente accreditato Jerry Garcia, grazie al cui lavoro la traccia diventa tra gli echi ancora roboanti della discografia, nonché memorabile per la sontuosa prestazione complessiva della band. Con Hey Fredrick è Grace Slick ad impadronirsi della scena: autentica Musa del panorama a stelle e strisce, qui divide la scena con la valida ed intensa chitarra di Kaukonen, che dipinge un autentico e cadenzato cerimoniale folk: se a questo uniamo il grande piano di Hopkins, ecco che la traccia assurge alla leggenda con la sua cadenza marziale, trascinante e culminante in una conclusiva cavalcata quasi “jammata” tra rock e blues. Turn My Life Down cerca di recuperare la dimensione onirica della band, che qui appare come un mix di sound gospel ed atmosfere quasi mistiche, come a farsi “perdonare” dei viaggi in acido troppo frequenti nella vita del combo californiano, che qui ancora (comunque) si rende protagonista di un’altra performance da sballo, qui corroborata anche dall’Hammond fatato di Stephen Stills. Si giunge dunque ad uno dei brani più controversi del disco: Wooden Ships (a firma Crosby, Stills e Kantner) cristallizza tutto il desiderio del gruppo di urlare il suo disprezzo per la guerra e la violenza in genere: Grace Slick si spolmona per essere al centro del villaggio con la sua voce ad incantare l’uditorio in un richiamo all’incombente Apocalisse, è tutto il suono ad essere ispessito, con la presenza anche del violino e del piano. Curiosità del brano fu quella di essere stato presente anche sull’album di esordio di Crosby, Stills e Nash.

Procediamo in bellezza, per così dire: Eskimo Blue Day ed il suo refrain di parolacce, in un ambito pur dedito a tematiche “naturalistiche” (!!) che vede ancora Grace Slick esibirsi magicamente in una doppia performance sia vocale che al flauto, consentendole di sfornare una performance molto recitata e teatralmente data in pasto al mondo, pur magicamente disincantato dalla voce austera e maestosa della singer. A Song For All Seasons appare come un maldestro tentativo di “appiopparci” nuovamente le tematiche country, sempre disincantate e stavolta fin troppo rilassate, tanto da sembrare quasi un disamato filler, pur ben cantato dall’ospite Laudner (ebbene sì, anche i Titani possono incorrere in questi intoppi). Avviandoci alla conclusione, troviamo lungo la strada la breve e strumentale Meadowlands, la cui decadente tristezza riesce a risaltare anche nei circa 60 secondi della sua durata, quasi raccapricciante per la sua malinconia disperata. Ma eccoci finalmente alla conclusiva e decisiva titletrack: ecco il vero inno che la band non vedeva l’ora di spararci in faccia: trascinante, cadenzato ed aggressivo, nessuno di questi aggettivi potrebbe descrivere con la medesima forza il grido rivoluzionario che il gruppo ordina ai suoi strumenti di sfornare; non più pacifismo edulcorato, ma altresì rivolta a tutto tondo per iscriversi al partito della lotta dura e pura.

Impetuoso il ruggito delle chitarre in uno dei riffoni più famosi dell’epoca,che Marty Balin tramanda essergli stato ispirato (non ridete…) dalla visione mattutina di un camion della spazzatura (!!), denominato appunto “Volunteers Of America”: sia quel che sia, a volte la leggenda supera la realtà, ben venga dunque una degnissima conclusione ad un album ancor oggi storico e fautore di ricordi e memorie indelebili.

Autore: Jefferson Airplane Titolo Album: Volunteers
Anno: 1969 Casa Discografica: Rca
Genere musicale: Rock Psichedelico Voto: 7
Tipo: CD Sito web: www.jeffersonairplane.com
Membri Band:
Grace Slick – voce, piano su tracce 3,4,7, e 10, flauto su traccia 7, organo su traccia 9
Marty Balin – voce, percussioni
Paul Kantner – voce, chitarra
Jorma Kaukonen – chitarra, voce
Jack Casady – basso
Spencer Dryden – batteria
Nicky Hopkins – piano su traccia 1,4,6,8, e 10
Stephen Stills – Hammond su traccia 5
Jerry Garcia – chitarra su traccia 3
Bill Laudner – voce su traccia 8
David Crosby – percussioni su traccia 6
Joey Covington – congas su traccia 5
Tracklist:
1. We Can Be Together
2. Good Sheperd
3. The Farm
4. Hey Fredrick
5. Turn My Life Down
6. Wooden Ships
7. Eskimo Blue Day
8. A Song For All Seasons
9. Meadowlands
10. Volunteers
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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