• Facebook
  • Twitter
  • RSS

RockGarage

      

Seguici anche su

        Il Rock e l'Heavy Metal come non li hai mai letti

  • Chi siamo
  • News
  • Recensioni
  • Articoli
  • Live Report
  • Foto Report
  • Interviste
  • Regolamento
  • Contatti
  • COLLABORA
19th Set2018

T.Rex – Unicorn

by Raffaele Astore

T.Rex - UnicornAnticipando di gran lunga quello che diventerà il glam rock, con questo Unicorn, Marc Bolan si avvia lungo un percorso che, pur nella sua complessità, ma anche nella sua brevità, lo porterà ad essere quella stella del firmamento rock che tutti conosciamo. Unicorn è il simbolo del folk di matrice anglosassone che si interseca con il rock stile anni cinquanta e quella psichedelia che diventerà oltre che uno stile, un vero e proprio “pensiero musicale”. I brani di questo lavoro targato 1969 sono, come già nelle prime uscite del folletto, brevi e concisi, spesso generati quasi a mo di filastrocche come se Bolan e Took si divertissero a giocare e, probabilmente lo fanno. Tra cantati litanici, passaggi country e vellutati, a volte sembra di sentire la presenza di quegli “scarafaggi” che diventeranno il simbolo di un’Inghilterra che dirà sempre la sua in fatto di rock. Come per gran parte dei lavori di Marc Bolan, anche qui i pezzi che compongono Unicorn ruotano principalmente attorno ad accordi di chitarra aperti, robuste armonie ed una produzione quasi elementare che dà enfasi a quello che da lì a breve diventerà il fenomeno glam rock. E questo disco, apparentemente semplice, nasconde in realtà una brillantezza ed una bellezza uniche.

Come per la maggior parte delle produzioni iniziali di Bolan, anche qui l’ispirazione dell’artista passa attraverso testi che raccontano di fantasy ed infatti i riferimenti a quel Signore Degli Anelli è abbastanza capibile anche attraverso le immagini che lo stesso Marc ci tramanda: “Oh the throat of winter is upon us, barren barley fields refuse to sway…”. Unicorn è l’album che introduce di fatto alla prima fase della carriera di Bolan, ne stabilisce appieno quello che da lì a breve diventerà il suo stile inimitabile, le influenze che lo contamineranno nella sua breve vita terrena e che lo porteranno a plasmare la sua creatura Tyrannosaurus Rex. Unicorn poi è il lavoro di Bolan che si inserisce appieno nella parentesi di quel folk psichedelico che farà ulteriori proseliti non solo in patria, ma in tutto il pianeta. Infatti, le combinazioni create da Bolan con le melodie acustiche, arricchite dagli intrecci di mellotron, gong e pixiephone egregiamente suonati da Took danno vita a quelle ambientazioni che rendono questo disco quasi surreale, così come quella onirica figura di un Bolan che ha scritto pagine di storia nel rock e che ha dato il via alla nascita di mostri sacri sul suolo inglese.

In Unicorn tutto si lega alla perfezione con quanto fino ad allora sviluppato dall’artista con un suono che anticipa i Tyrannosaurus Rex che da lì a breve verranno. Non ne sono sicuro ma probabilmente questo è il lavoro dei T. Rex al quale sono più affezionato perché di fatto costruisce il sound della glam band per eccellenza che verrà ed a ciò basti pensare a pezzi come Pon A Hill o Iscariot che nella loro semplicità e nella breve durata delle composizioni, sanno però come raggiungere chi ascolta lasciando quel segno che porta molti a dire che Bolan, con i suoi primi lavori e con la carriera avuta nei T.Rex, ha davvero scritto pagine musicali da sogno. Stavolta non vi dico di andare ad ascoltare Unicorn, ve lo propongo per cena. Ah me ne ero quasi dimenticato, ma quando parlo dei tirannosauri mi accorgo di aver saltato anche il pasto.

Autore: T.Rex

Titolo Album: Unicorn

Anno: 1969

Casa Discografica: Regal Zonophone, Blue Thumb

Genere musicale: Rock Psichedelico, Folk Rock

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: https://it.wikipedia.org/wiki/T._Rex

Membri band:

Marc Bolan – chitarra, voce, harmonium, organo, phonofiddle

Steve Peregrin Took – bongo, voce, afro percussioni, basso, pianoforte

Special guest:

Tony Visconti – piano

John Peel – voce

Tracklist:

  1. Chariots Of Silk

  2. Pon A Hill

  3. The Seal Of Seasons

  4. The Throat Of Winter

  5. Cat Black (The Wizard’s Hat)

  6. Stones For Avalon

  7. She Was Born To Be My Unicorn

  8. Like A White Star, Tangled And Far, Tulip That’s What You Are

  9. Warlord Of The Royal Crocodiles

  10. Evenings Of Damask

  11. The Sea Beasts

  12. Iscariot

  13. Nijinsky Hind

  14. The Pilgrim’s Tale

  15. The Misty Coast Of Albany

  16. Romany Soup

Category : Recensioni
Tags : Psichedelia, T.Rex
0 Comm
23rd Lug2018

Palmer Generator – Natura

by Marcello Zinno

Palmer Generator - NaturaNon è trascorso molto tempo da Discipline (di cui avevamo parlato a questa pagina) e la famiglia Palmieri è pronta a pubblicare il nuovo album dal titolo Natura. L’approccio che viene seguito in questo nuovo lavoro è quello della sperimentazione: lo dimostra ad esempio la lunga parte centrale dell’opener che si poggia su un arpeggio di chitarra e su effetti che si accavallano ma che restano ai margini della composizione e che non aggiungono molto, spessore che arriva solo con i controtempi successivi della batteria. Stesso discorso per Natura 2, oltre 7 minuti di musica che si muovono sulle medesime coordinate dove sfumature ed effetti caratterizzano i singoli passaggi su una matrice standard per l’intero brano (fatto salvo l’ultimo minuto e mezzo). Corposità zero piuttosto evanescenze, pattern pochissimi piuttosto suoni. Certo, non ci sono linee vocali come non ci sono mai state nella musica dei Palmer Generator, ma si segue (anche in questo album) un approccio figlio del post-metal e post-rock, reso più particolare da un forte alone di psichedelia, che talvolta finisce per rendere i brani davvero troppo lunghi (Natura è composto da 4 brani per una durata totale di 38 minuti).

Addirittura in Natura 3 si arriva alla musica ambient, l’approccio heavy psych perde il suo aspetto a vantaggio dell’avantgarde musicale. Il trio per certi versi restringe la propria “nicchia di mercato”, per cultori di questi suoni, ricercatori sonori, per chi mastica la psichedelia settantiana in una veste moderna in cui non c’è rock o metal che tenga ma solo sinuose danze che vagano nello spazio.

Autore: Palmer Generator

Titolo Album: Natura

Anno: 2018

Casa Discografica: Bloodysound Fucktory, Brigadisco Records

Genere musicale: Psichedelia, Post-Rock, Heavy Psych

Voto: 6

Tipo: CD

Sito web: http://palmergenerator.blogspot.it

Membri band:

Tommaso Palmieri – chitarra

Michele Palmieri – basso

Mattia Palmieri – batteria

Tracklist:

  1. Natura 1

  2. Natura 2

  3. Natura 3

  4. Natura 4

Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
0 Comm
03rd Lug2018

Ropsten – Eerie

by Marcello Zinno

Ropsten - EerieCi si chiede spesso quale possa essere il suono del rock del futuro. E’ una domanda che ci poniamo ogni volta che ascoltiamo un album che pesca dal passato, perché non è detto che proprio da lì non vengano pescate alcune soluzioni e riproposte in maniera diversa. Non è un caso che effetti, riff, soluzioni in fase di produzione siano ripescati e riutilizzati a iosa non solo dal mondo emergente ma anche da quello mainstream, in tutti i generi musicali. Eernie, il primo vero full-lenght dei Ropsen dopo due EP, può essere considerato un album del futuro. Il sapore psichedelico e la forte cornice space rock in cui è stato costruito l’album si combaciano alla perfezione con una ritmica incessante e una quadratura del cerchio fortemente rock; il resto lo fanno gli arrangiamenti e gli effetti alla sei corde che spesso diluiscono i suoni e rendono più fascinosa la proposta avvicinandola, in alcuni tratti, a soluzioni post-rock. Ci piacciono i pattern stoppati in Grandma’s Computer Games, un brano che tra l’altro mette in scena un crescendo elettrico-elettronico ad alto quantitativo di ottani, dal retrogusto psycho western ma che sicuramente riscalda gli animi se provato in sede live; Kraut Parade è un pezzo imprescindibilmente rock, incalzante e che con la sua velocità avvicinerà chi è in cerca di accelerazioni e riff, anche se a noi affascina maggiormente Brain Milkshake con un basso e chitarra che fanno da contrasto per poi ricontrarsi nel (simil) ritornello e far lievitare le palpitazioni.

D’altro canto però il costrutto esclusivamente strumentale spesso appesantisce i brani, i sei minuti di Globophobia ad esempio sembrano molti di più, anche perché si poggiano su una sezione ritmica portante che varia poco, lasciando il resto agli strumenti, per così dire, melodici. Coraggiosa la proposta, apprezziamo che non si cade in una sperimentazione inconcludente ma probabilmente è necessario mettere più carne sul fuoco e offrire quella consistenza ai brani per evitare di farli sembrare annacquati ed estremamente lunghi.

Autore: Ropsten

Titolo Album: Eerie

Anno: 2018

Casa Discografica: Seahorse Recordings

Genere musicale: Space Rock, Post-Rock, Psichedelia

Voto: 6,5

Tipo: CD

Sito web: https://soundcloud.com/ropsten-1/

Membri band:

Simone Puppato – chitarra, tastiere

Claudio Torresan – chitarra, effetti, tastiere

Leonardo Facchin – basso, tastiere

Enrico Basso – batteria

Tracklist:

  1. Y. L. L. A.

  2. Grandma’s Computer Games

  3. Globophobia

  4. Batesville

  5. Kraut Parade

  6. Brain Milkshake

  7. 180 MmHg

Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
0 Comm
30th Apr2018

The Yardbirds – Roger The Engineer

by Giuseppe Celano

The Yardbirds - Roger The EngineerRoger The Engineer (uscito come Yardbirds mentre in America, Germania e Francia con il titolo “Over Under Sideways Down”) è un disco degli Yardibirds immesso sul mercato nel 1966. Contiene materiale inedito con Jeff Beck come chitarrista su tutte le tracce. Prodotto dal bassista Paul Samwell-Smith e dal manager Simon Napier-Bell, questo successivo capitolo della saga prende il nome dai disegni dall’ingegnere del suono Roger Cameron e Chris Dreja. È anche l’unico disco a risalire le chart inglesi fino alla ventesima posizione mentre con Over Under Sideways Down, singolo uscito nel maggio del 1966, negli stati Uniti raggiunge la 52a di Billboard. La versione americana, con titolo e copertina diversa, è orfana di The Nazz Are Blue (cantata da Jeff Beck) e Rack My Mind con un mix alternativo. Nel 1983 una reissue della Epic, con la copertina inglese originale, rimette a posto le cose inserendo i due brani mancanti, il mix dell’edizione inglese e due bonus track, Happenings Ten Years Time Ago e Psycho Daisies, entrambe con Jeff Beck e Jimmy Page alle chitarre. Roger The Engineer è un album psichedelico (I Can’t Make Your Way e Over Under Sideways Down) dal quale molte band famose hanno preso a piene mani. La band non dimentica la lezione imposta dal blues elettrico (The Nazz Are Blue) che di lì a poco, grazie anche agli Stones e Cream, sarebbe decollato verso l’empireo del rock.

Si parte sulle note dell’opener Lost Women su struttura pentatonica e giro di basso percussivo, armonica suadente e sezioni psicotrope in rapida ascesa nel segmento centrale in rave up, rinforzato da pattern ritmici e schitarrate degne degli Who. Sebbene le tracce siano frammenti, mutuati dal rifferama di Elmore James, Slim Harpo, Sonny Boy Williamson, mostrano comunque equilibrio compositivo e una propria personalità. A testimoniare il tutto ci pensano Psycho Daisies e Happening 10 Years Ago in cui potrete ascoltare la collaborazione fra Beck e Jimmy Page. Rhythm & blues su scale veloci, rallentamenti e ripartenze emergono in Jeff’s Boogie per poi spostarsi poi sulla mefistofelica He’s Always There. In Turn Into Earth si può apprezzare il collante che tiene unito questo lavoro di fino, potente e penetrante, imperniato su fraseggi furiosi, dilatazioni psicotrope e tentativi di estrapolare elementi seminali, e innovativi, che avrebbero trasfigurato ancora una volta il modo di suonare e percepire la chitarra elettrica. Roger The Engineer si può considerare l’ultimo vero disco prima dell’inizio del declino portato da Little Games, profondamente trasfigurato dalla presenza di un produttore troppo ingombrante e alla ricerca di singoli veloci e vincenti.

Autore: The Yardbirds

Titolo Album: Roger The Engineer

Anno: 1966

Casa Discografica: Columbia, Epic Records

Genere musicale: Psichedelia, Rock Blues

Voto: 7,75

Tipo: CD

Sito web: http://www.theyardbirds.com

Membri band:

Keith Relf – voce eccetto su The Nazz Are Blue, armonica

Jeff Beck – chitarra, voce su The Nazz Are Blue, basso

Chris Dreja – chitarra, voce, piano

Paul Samwell-Smith – basso, voce

Jim McCarty – batteria, percussioni, voce

Tracklist:

  1. Lost Woman

  2. Over Under Sideways Down

  3. The Nazz Are Blue

  4. I Can’t Make Your Way

  5. Rack My Mind

  6. Farewell

  7. Hot House Of Omagarashid

  8. Jeff’s Boogie

  9. He’s Always There

  10. Turn Into Earth

  11. What Do You Want

  12. Ever Since The World Began

  13. Psycho Daisies

  14. Happenings Ten Years Time Ago

Category : Recensioni
Tags : Psichedelia, The Yardbirds
0 Comm
22nd Apr2018

Kevin Ayes – Joy Of A Toy

by Raffaele Astore

Kevin Ayes - Joy Of A ToyJoy Of A Toy, album di Kevin Ayers del 1969, è un disco piacevole, oseremmo dire quasi pigro. E non c’è male per l’esordio solista di una delle menti più raffinate del psychedelic rock considerati anche i nomi dei musicisti di cui si circonda per realizzarlo. Primo album da solista dopo la fuoriuscita dai Soft Machine, Ayers concretizza un lavoro dove la creatività esplode in tutta la sua consistenza riuscendo, tra l’altro, ad ottenerne un controllo inusuale su tutto il percorso che porterà a realizzare Joy Of A Toy. Certo a ciò ha contributo anche la presenza di David Bedford nelle vesti di arrangiatore, così come di Paul Buckmaster conosciuto dai più per aver arrangiato molti brani di artisti famosi tra i quali si ricorda, in particolare, Space Oddity di David Bowie; insomma una molteplicità di artisti che hanno contributo a sviluppare l’idea iniziale che Kevin Ayers aveva di questo suo primo lavoro da solista che è diventato una vera e propria pietra miliare della scena di Canterbury. Joy Of A Toy sembra essere una macchina capace di viaggiare nel tempo, la musica che si fonde in un unicum con le parole ed anticipa i tempi che verranno. Sin dalla copertina Joy Of A Toy lascia intravedere quanto è predestinato ad accadere nei solchi: la psichedelia si fa arte e l’arte si fa realtà già dal primo pezzo, quel Joy Of A Toy Continued che sembra essere l’unione tra il passato e il presente di Ayers, una specie di marcia senza nessuna pretesa tranne quella di trovarsi nel bel mezzo di un gioco. Il violoncello poi presente in molte partiture, fa pensare ad una sorta di unione con quel classicismo cui sono legati alcuni degli ospiti del disco i quali danno il proprio contributo nell’allestire un lavoro capace di rendere la scena di Canterbury oltre che divertente anche entusiasmante.

D’altronde il talento qui non si discute, e non solo quello di Ayers; ma se riflettiamo attentamente capiamo subito quanto Joy Of A Toy sia quell’album che è una logica prosecuzione dei capolavori dei primi Soft Machine anhe se, qui, Ayers mostra appieno come la sua creatività non abbia limiti, capace com’è di spaziare anche oltre la propria appartenenza alla soffice macchina. Infatti in Joy Of A Toy le influenze allegre e scanzonate di Sgt. Peppers ad esempio non mancano, così come non mancano in The Clarietta Rag altro pezzo di influenza beatlesiana, ma così come accade anche con l’ultimo pezzo che chiude il primo lavoro solista di Ayers, Oleh Oleh Bandu Bandong. Probabilmente nelle intenzioni di Ayers, Joy Of A Toy doveva essere solo una piacevole collezione di brani, nessun legame con le suite progressive dovevano essere di ispirazione, e se queste sono state le sue idee va detto che Ayers è riuscito nell’intento perché, al di là di piccolissimi passaggi, tutto il lavoro è sublime e come dicevamo all’inizio piacevole all’ascolto. I nostalgici, probabilmente, avranno da ridire sull’abbandono di Ayers dai Soft Machine, ma è comunque lampante che il suo lavoro da solista possedeva concezioni ben diverse da come il pubblico era abituato a vederlo con i Soft. E poi, i Soft andavano ormai verso una concezione musicale che li avrebbe avvicinati di più al jazz mentre la sensibilità di Ayers qui cambia profondamente, l’approccio è molto più vicino alla vita in generale ed alle composizioni personali e lo confermeranno i successivi album. Joy Of A Toy è davvero l’album di Kevin Ayers e lo confermano pezzi come la grandiosa Lady Rachel, la stessa Clarietta Rag, la bella e sognante Girl On A Swing, la malinconica Song For Insane Times e la rievocativa All This Crazy Gift.

Chi ha spesso letto le mie recensioni sa bene quanto amore nutra nei confronti di un artista che, tra alti e bassi nella carriera, ha segnato la storia del rock e, probabilmente non sarà ciò a limitarmi nelle considerazioni, ma Kevin Ayers potremmo paragonarlo a Lou Reed anche se qui a farla da padrone assoluto è quel psychedelic rock ben lontano dalle acide composizioni dei Velvet Underground che, guarda caso, sono state per lo più fatte proprio da Lou Reed. Joy Of A Toy è un disco dove gli stili variano da brano a brano navigando dal progressive tipico di Canterbury alla psichedelia con pennellate di un certo rock barocco che può e non può piacere, insomma un disco raffinato anche se con qualche sbavatura. Con questo disco e con i lavori che verranno, Kevin Ayers diventa un punto di riferimento fondamentale nel mondo del pop sperimentale e lo sarà fino alla sua morte avvenuta il 18 febbraio 2013. Ayers è ancora oggi l’artista che suscita stupore in chi lo ascolta ma è anche l’uomo carismatico che, con la sua innata semplicità, ha contributo a creare quella leggenda che va sotto il nome di “Canterbury Scene” e di tutta la musica che verrà dopo. Joy Of A Toy resterà sempre il miglior lavoro di Ayers, un disco che ostenta umiltà ed ingenuità, un disco che è anche una lezione per chi compone musica, e già, perché la musica è piacevole quando non è artefatta ma semplice, lineare, quando viene dal di dentro e non quando è arricchita di tutti quei campionamenti e sovraincisioni da mille e una notte.

Il consiglio che possiamo darvi dopo che avrete letto questa recensione? Prendete Joy Of A Toy, mettetelo sul piatto, ascoltatelo ed attendete che la poesia si impadronisca di voi. E non pensate a chi in quel momento vi sta chiamando, lasciate che vi chiami.

Autore: Kevin Ayes

Titolo Album: Joy Of A Toy

Anno: 1969

Casa Discografica: Harvest Records

Genere musicale: Rock, Psichedelia

Voto: 9

Tipo: CD

Sito web: http://www.kevin-ayers.com

Membri band:

Kevin Ayers – chitarra, basso, canto

Robert Wyatt – batteria

David Bedford – pianoforte, mellotron, arrangiamenti

Mike Ratledge – organo

Hugh Hopper – basso in Joy Of A Toy Continued e Song For Insane Times

Paul Buckmaster – violoncello

Rob Tait – batteria in Stop This Train (Again Doing It) e Oleh Oleh Bandu Bandong

Paul Minns – oboe

Tracklist:

  1. Joy Of A Toy Continued

  2. Town Feeling

  3. The Clarietta Rag

  4. Girl On A Swing

  5. Song For Insane Times

  6. Stop This Train (Again Doing It)

  7. Eleanor’s Cake (Which Ate Her)

  8. The Lady Rachel

  9. Oleh Oleh Bandu Bandong

  10. All This Crazy Gift Of Time

Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
0 Comm
19th Apr2018

The Noise Figures – Telepath

by Marcello Zinno

The Noise Figures - TelepathLi avevamo conosciuti con Aphelion di cui avevamo parlato a questa pagina, ma sono tornati con un nuovo album: i The Noise Figures presentano al mondo del rock Telepath. Rock, perché è di questo che si tratta, il duo innanzitutto punta al rock e gli inserti psichedelici qui si fanno ancora più marginali. Ritmica e riff prendono il sopravvento e a scapocciare ci vuole un attimo: strutture semplici dei brani, pezzi che spesso entrano in mente al primo ascolto ma che presentano anche delle buone attenzioni rivolte ad arrangiamenti ed effetti (come in Stay Forever Child). Per impostazione e suoni troviamo delle similitudini con i Black Keys come nella ritmata e radiofonica Strange Mediumd Child, una canzone in cui la ripetizione forse è portata un po’ ai limiti del sostenibile però il ritmo coinvolgente appiana tutti i mali. Ascoltare la personalità del suono della chitarra ci fa veramente tornare agli anni 70 come se nel mezzo non ci sia stato nulla: la genuinità dei riff di Out Of Touch sono “la testa” mentre il rock’n’roll di momenti come Healing Light sono “la croce” di una moneta, quella dei The Noise Figures, che non ha prezzo, non ha valuta e non ha tempo. Nelle tracce finali il ritmo viene messo un po’ da parte e l’animo psichedelico del duo torna a galla, anche questo è un profilo di spessore per lo stile della band.

Veloci?! Non eccessivamente, ma il giusto. Rock, decisamente. Metal, per nulla. Una ricetta musicale che va avanti come un treno e che nella loro mente (e nella nostra) è tanto semplice quanto intensa. Le linee vocali sembrano strizzare l’occhio ad un certo brit rock d’oltre Manica ma è qualcosa che non distoglie dall’animo rock del duo, un progetto che se fosse italiano avrebbe un seguito importante e diverse etichette indipendenti a far loro il filo.

Autore: The Noise Figures

Titolo Album: Telepath

Anno: 2018

Casa Discografica: Inner Ear Records

Genere musicale: Rock, Psichedelia

Voto: 7,25

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/thenoisefigures

Membri band:

George Nikas – voce, batteria, percussioni

Stamos Bamparis – chitarra, voce

Tracklist:

  1. Taste Like Time

  2. Strange Medium Child

  3. Stay Forever Young

  4. Out Of Touch

  5. Healing Light

  6. Telepath

  7. Hypnotized

  8. Lethargy

  9. Never Sleep

  10. Glow Electric

Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
0 Comm
12th Mar2018

Killer Boogie – Acid Cream

by Giuseppe Celano

Killer Boogie - Acid CreamI Killer Boogie producono una quantità impegnativa di riff anni ’70 usando tonnellate di fuzz, note psichedeliche e dissonanze per una band con i piedi profondamente immersi in quegli anni ma con l’occhio puntato verso il futuro. Gabriele Fiori (chitarre e voce), Luigi Costanzo (batteria) e Nicola Cosentino (basso) sono i fautori di Acid Cream. Dopo il loro debutto intitolato Detroit (2015), e un cambio di formazione, oggi i Killer Boogie immettono sul mercato questo nuovo album, registrato durante l’estate, in uscita in questi giorni sempre per la Heavy Psych Sounds Records. Mischiano Blue Cheer, The Stooges, MC5 e Cactus, ma non disdegnano Deep Purple (Escape From Reality) e una certa melodia studiata per ballate corroboranti come Brother In Time. Undici tracce ispirate alla fulgida decade ‘60/’70, producendo canzoni pesanti ma seducenti nel rifferama e appiccicose nei chorus (Mississippi) ma anche capaci di forme più aggressive come in The Black Widow con cui ritornano alle radici del rock’n’roll in salsa boogie.

L’opener è affidata a Superpusher ’69, mutuata nel riff iniziale da un brano del primo disco dei Blues Pills. Mostrano anche una sorta di propensione, affaristica, quando mirano a ottenere qualcosa di commerciale e vendibile, nulla di strano, che non dispiace affatto. Anzi quando si sporcano le mani con roba appiccicosa, e molto radio friendly, come in The Day Of The Melted Ice Cream hanno tutta la nostra stima. L’artwork è opera dell’artista svedese Robin Gnista. Acid Cream è stato registrato nell’estate del 2017 e missato nell’autunno dello stesso anno e include nuove composizioni che convivono con una manciata brani dapprima suonati solo da vivo, ma mai incisi su nastro prima di ora.

Autore: Killer Boogie

Titolo Album: Acid Cream

Anno: 2018

Casa Discografica: Heavy Psych Sounds Records

Genere musicale: Heavy Psych

Voto: 7,25

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/killerboogie/

Membri band:

Luigi Costanzo – batteria

Gabriele Fiori – voce, chitarra

Nicola Cosentino -basso

Tracklist:

  1. Superpusher ’69

  2. Escape From Reality

  3. Atomic Race

  4. Am I Daemon

  5. Let The Birds Fly

  6. Dino-Sour

  7. Brother In Time

  8. Mississippi

  9. The Black Widow

  10. The Day Of The Melted Ice Cream

  11. I Wanna A Woman Like You

Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
0 Comm
19th Feb2018

We Are The Bears – Tales From The Ocean

by Amleto Gramegna

We Are The Bears - Tales From The OceanAvete presente le desert session di Josh Homme e dei suoi comprimari? Bene, ora anche noi possiamo vantare le nostre desert session, non tanto al Rancho De la Luna ma alle pendici del Vesuvio. Il duo Sorrentino–Garofalo, chitarre e percussioni, licenzia un album di psichedelia e suoni ambient, concepito interamente in studio, con la volontà di sperimentare riff e idee ben precise, pescando a piene mani dagli anni 70 e 80. L’idea è sicuramente buona, complice il brano di apertura Pompei, formato da una unica e sola frase che si ripete cocciutamente. Lights Out è davvero splendida, quasi un dream pop con richiami ’80. Qui è lì spunta forte una sensazione di deja-vù ma ci sta, anche per il richiamo, voluto o meno, a quelle atmosfere vintage così ardentemente cercate. Bellissime la tribale Fly High, registrata di notte, e la enigmatica Flamingo’s Lips. Il duo ha dalla loro parte la versatilità. Nonostante la strumentazione utilizzata sia ridotta praticamente all’osso, essa rappresenta la loro chiave di volta: intrecciare a più riprese melodie e armonie, grazie al sapiente uso dei effetti di delay e di eco, utilizzate come ulteriori strumenti musicali.

Progetto musicale molto interessante, lo diciamo. Il suono è curato e scolpito in ogni passaggio. Da atmosfere soffuse e rarefatte e violente tempeste psichedeliche. Non è il solito lavoro indie, ringraziando qualcuno lì sopra, è un gradino più alto della produzione musicale odierna, e di questo ne siam felici. Speriamo solo che nel prossimo lavoro il duo possa riuscire a risolvere quei piccoli tocchi di “già sentito” ed andare ancora più oltre.

Autore: We Are The Bears

Titolo Album: Tales From The Ocean

Anno: 2017

Casa Discografica: Bulbart

Genere musicale: Psichedelia

Voto: 8

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/We-are-The-Bears-1398466080432362/

Membri band:

Vincenzo Sorrentino – voce, chitarra

Gaetano Garofalo – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Pompei

  2. Fly High

  3. Lights Out

  4. Everything Is Loud

  5. Shadow Of Your Eyes

  6. Tumbao

  7. Feeling Blue

  8. From Far Away

  9. Feel The Voice

  10. Flamingo’s Lips

Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
0 Comm
07th Gen2018

King Gizzard E The Lizard Wizard – Murder Of The Universe

by Raffaele Astore

King Gizzard E The Lizard Wizard - Murder Of The UniverseI King Gizzard E The Lizard Wizard con Murder Of The Universe dimostrano di possedere buone idee e prolificità compositiva. Con innesti tra psichedelia, space rock e rock, hanno coniato un loro di modo di fare musica che li ha portati a concretizzare le proprie idee che non sono mai banali. Infatti, quello che è il secondo appuntamento del 2017 (hanno prodotto ben quattro album nel trascorso anno), Murder Of The Universe è il nuovo passaggio di un percorso avviato con l’uscita di Flying Micronatal Banana in cui la band conferma la linea musicale verso la quale si sono catapultati i membri di questa band australiana sempre più alla ricerca di una sonorità più marcata tra psichedelia alla Hawkind e garage rock più temerario. Se nella prima fase di un 2017 ambizioso Flying Micronatal Banana ci ha messo di fronte a suoni psichedelici ma anche acidi che riportavano indietro a certe composizioni greatefuldiane, in questo nuovo lavoro ci troviamo invece di fronte ad una delle svolte essenziali per una band che ha davvero tanto da dire in fatto di rock e psichedelica. Eppure ad appena due mesi da Flying Micronatal Banana questo nuovo lavoro è come un libro avventuroso diviso in tre capitoli ed annunciato con l’uscita di Han-Tyumi & The Murder Of The Universe. Di sicuro siamo di fronte al concept più articolato della band che attraverso ben ventuno tracce, come in una sorta di racconto tolkiniano, trasportano l’ascoltatore verso un ignoto che è raffigurato da quello che sarà il prossimo passaggio, quasi un sogno anticipato di ciò che ci aspetta nell’imminente futuro.

Murder Of The Universe viaggia su splendide liriche e suoni che, nella concezione complessiva del disco, è puro psycorock. Dalla loro parte, poi, la presenza di una componente strumentale assolutamente di prim’ordine grazie alla presenza di ben due batteristi e tre chitarre che scintillano per suono che nelle rincorse armoniche generate; davvero un bel corposo terreno su cui muoversi. L’apertura di Murder Of The Universe, affidata al brano A New World tende a proiettare l’ascoltatore (per noi è stato così) in quel mondo che in passato apparteneva ai Black Sabbath di Vol. II, un pezzo quanto emblematico che preannuncia quanto avverrà in seguito (non emulazione nonostante nei Black questo capitasse spesso ma siamo nel 2017 e i Black nella storia). Con Altered Beast I giungono a noi atmosfere più hawikindiane alimentate da un rock ben sostenuto dove intrecci chitarristici e tam tam ritmici velocizzano il corpo del brano portando il tutto verso quel probabile collasso psichedelico che dimostra la devozione dei King Gizzard agli onnipresenti Hawkwind. E veniamo alla storia che i King Gizzard E The Lizard Wizard narrano in questa loro ultima fatica: suddiviso in tre racconti separati, nel primo viene raccontato l’incontro tra un animale ed un essere umano dove, la tentazione di quest’ultimo di diventare una sorta di essere ibrido, un essere metà umano e metà animale, viene accarezzata per la immensa sete di potere. A differenza dell’uomo però la bestia perde ben presto la propria identità con l’assorbimento dell’altra coscienza, quella umana, morendo alla fine di pura follia. Qui la musica è trascinante, ammirevole, il supporto che viene dato alla narrazione con i suoni è da veri maestri; sembra quasi di assistere ad un’opera acida dove la componente principale è il rock, un rock “potente” e ben sviluppato a sostegno dei momenti epici narrati.

La seconda storia è invece incentrata su una battaglia tra due entità che rappresentano la forza della luce contro le tenebre. Anche qui la musica non lascia spazio a nulla, anzi alimenta bene quelle immagini che i King Gizzard E The Lizard Wizard vogliono trasmettere e così, anche in questo passaggio, così come nel primo, il testo e il psychedelic rock/garage che ne scaturisce la dicono tutta su questi ragazzi venuti dalla lontana Australia, ottimi musicisti che pian piano si stanno facendo sempre più largo nel panorama internazionale a suon di rock psichedelico. Nella terza ed ultima storia narrata, un cyborg acquisisce coscienza ma alla fine, confondendosi, decide di creare una nuova creatura che si fonderà con la stessa macchina che il cyborg ha generato spingendola fuori controllo portandola ad una esplosione finale che contribuirà al blocco totale dell’universo. Ecco allora che il titolo dell’album prende finalmente corpo. Ma al di là della storia contenuta in Murder Of The Universe non va sottaciuto il fatto che quest’ultima fatica dei King Gizzard E The Lizard Wizard è davvero valida per la struttura musicale in esso contenuta, così come per la storia raccontata ma lo è anche, e soprattutto, per l’essere riusciti a riportare il pubblico ai fasti di un passato glorioso dove lo space rock è stato degnamente rappresentato da gruppi che ancora oggi sono capaci di influenzare, e molto, i generi delle nuove band in circolazione. E questi australiani hanno capito bene la lezione catapultandosi in un genere che oltre a prevedere innesti psichedelici con il rock ma anche con lo space rock, hanno coniato un loro modo di fare musica che li ha portati a mettere in chiave rock le proprie idee che non sono mai banali. Lo dicevamo prima, i King Gizzard E The Lizard Wizard hanno dalla loro idee e capacità organizzative ben delineate.

Autore: King Gizzard E The Lizard Wizard

Titolo Album: Murder Of The Universe

Anno: 2017

Casa Discografica: Ato Records

Genere musicale: Rock Psichedelico, Prog Rock, Acid Rock

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: https://kinggizzardandthelizardwizard.com

Membri band:

Stu Mackenzie – voce, flauto mellotron, coro mellotron, basso

Michael Cavanagh – synth

Joey Walker – chitarra

Ambrose Kenny-Smith – armonica

Cook Craig – basso

Lucas Skinner – basso

Tracklist:

  1. A New World

  2. Altered Beast I

  3. Alter Me I

  4. Altered Beast II

  5. Alter Me II

  6. Altered Beast III

  7. Alter Me III

  8. Altered Beast IV

  9. Life / Death

  10. Some Context

  11. The Reticent Raconteur

  12. The Lord of Lightning

  13. The Balrog

  14. The Floating Fire

  15. The Acrid Corpse

  16. Welcome to an Altered Future

  17. Digital Black

  18. Han-Tyumi the Confused Cyborg

  19. Soy-Protein Munt Machine

  20. Vomit Coffin

  21. Murder of the Universe

Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
0 Comm
02nd Gen2018

Monolithic Elephant – Monolithic Elephant

by Trevor dei Sadist

Monolithic Elephant - Monolithic ElephantPrima di mettermi a scrivere la recensione di quest’album autoprodotto ho voluto buttare occhio sulla biografia della band. L’omonimo debut dei Monolithic Elephant contiene tutti gli elementi che hanno reso immortale la musica rock e psichedelica legata agli anni 70. L’intenzione del trio milanese è quella di far riflettere l’ascoltatore attraverso note dissonanti, atmosfere elettriche, il tutto condito da riff granitici che anche in questo caso trovo non sia casuale il rimando all’epoca seventies e qui come per molte altre volte chiamare in causa i Black Sabbath è cosa giusta e doverosa. L’omonimo album d’esordio è costituito da sei tracce, nonostante la band riesca ad ottenere oltre un’ora di musica grazie alla durata media di 10’ ciascuna, tuttavia i brani scorrono bene, complice la versatilità degli stessi dove all’interno della singola song troviamo repentini sali/scendi e dove il passaggio dall’electro all’hard rock non è mai forzato anzi il connubio risulta essere naturale.

Ascoltando i Monolithic Elephant si apre un mondo tanto caro a Tarantino (guardare il logo per credere), dove la polvere generata dalle ruote di un bedford si posa sulle piante a bordo strada, il dramma si percepisce nell’aria, i Monolithic Elephant hanno fatto strike è difficile privarsi del loro sound specie se siete in viaggio, un viaggio oltreconfine. L’elefante è animale roccioso, duro da abbattere, per questo motivo attendiamo con ansia il prossimo capitolo della band lombarda. Per il momento sinceri complimenti, la partenza è stata davvero molto buona. In alto il nostro saluto!

Autore: Monolithic Elephant

Titolo Album: Monolithic Elephant

Anno: 2017

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Psichedelia, Rock

Voto: 7m5

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/monolithicelephant

Membri band:

Andrea Ravasi – chitarra, voce

Alessandro Riva – basso, synth, voce

Santo Carone – batteria

Tracklist:

  1. Moloch

  2. The Unbaptized And The Virtuous Pagans Pt. 1

  3. The Unbaptized And The Virtuous Pagans Pt. 2

  4. Brawing Minds

  5. Carnival Of Souls

  6. Spleen Mountain’s Giants

Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
0 Comm
Pagine:«123456789»
« Pagina precedente — Pagina successiva »
  • Cerca in RockGarage

  • Rockgarage Card

  • Calendario Eventi
  • Le novità

    • At First – Deadline
    • Rainbow Bridge – Unlock
    • Typhus – Mass Produced Perfection
    • Hybridized – Hybridized
    • Methodica – Clockworks
  • I Classici

    • Quiet Riot – Alive And Well
    • Pallas – XXV
    • Offlaga Disco Pax – Socialismo Tascabile (Prove Tecniche Di Trasmissione)
    • Mountain – Masters Of War
    • King’s X – XV
  • Login

    • Accedi
  • Argomenti

    Album del passato Alternative Metal Alternative Rock Avant-garde Black metal Cantautorale Crossover Death metal Doom Electro Rock Folk Garage Glam Gothic Grunge Hardcore Hard N' Heavy Hard Rock Heavy Metal Indie Rock Industrial KISS Libri Marillion Metalcore Motorpsycho Motörhead New Wave Nu metal Nuove uscite Post-metal Post-punk Post-rock Power metal Progressive Psichedelia Punk Punk Rock Radio Rock Rock'N'Roll Rock Blues Stoner Thrash metal Uriah Heep
Theme by Towfiq I.
Login

Lost your password?

Reset Password

Log in