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29th Set2011

The Stooges – The Stooges

by Tiziana

La produzione artistica degli Stooges è davvero limitata se si guardano soltanto i numeri, tanto cari all’industria discografica. Solo 4 album tra il 1969 e il 1976, 5 contando l’ultimo dopo la reunion nel 2007. Pochi ma buoni: se si va oltre, se si ascolta anche solo uno dei loro pezzi, non si può che rimanere folgorati. The Stooges è il debutto ufficiale della omonima band e con le sue 35.000 copie non è certo da considerare un successo, dal punto di vista commerciale. Poco importa, in quanto questo lavoro pone ufficialmente le basi per la nascita di moltissimi generi musicali: non solo il punk, di cui gli Stooges sono le vere radici. Ma anche il metal, il garage, il glam, il noise… Insomma, tutto parte da questi tipi “poco raccomandabili” che fagocitano il grigiore industriale freddo di Detroit e te lo sputano in faccia senza troppi complimenti. E catturano molto più di tutti gli altri.

Il sound di questo disco è infatti graffiante, incisivo, potenza pura. Non ha nulla a che vedere con niente di contemporaneo, anzi se ne distacca in maniera netta, diventando una realtà a sè stante. E’ a tutti gli effetti il capolavoro della band, violenza allo stato puro mischiata ad oscenità, droga, sesso perverso. E’ chitarra malata, voce rabbiosa e bestiale, basso cattivo: rock brutale e realismo. E’ così che nasce il proto-punk. Con la copertina dell’album in stile molto doorsiano, la Elektra vorrebbe avvicinare gli Stooges agli illustri colleghi. Ma ovviamente loro non si faranno mai borghesizzare, i loro sguardi incazzati fanno presagire che qualsiasi tentativo di arginare il fenomeno risulterà assolutamente inutile. Quel carisma intellettuale è svanito per lasciare il posto a volgarità, sodomia ed iconografia nazista. The Stooges vogliono far morire tutte le speranze e dare un calcio in culo agli hippies, non vogliono nessuna redenzione perchè sono peccatori nati e felici di esserlo. Il loro primo album viene registrato in soli cinque giorni, sotto la guida esperta di John Cale (membro fondatore dei Velvet Underground, di cui fece parte fino al ‘68) e viene seguito da alcune date in cui Iggy dimostra realmente ciò di cui è capace, con esibizioni ai limiti dell’arresto: il pubblico impazzisce letteralmente per lui.

Probabilmente al loro ingaggio, nessuno avrebbe scommesso troppo su questi teppisti del Michigan, troppo sfacciati e ribelli per resistere. Avevano ben poca voglia di dimostrare qualcosa al di fuori del loro malessere e volevano provocare solo per il gusto di farlo, punto. Niente sogni di gloria. E invece al giorno d’oggi, passati ormai oltre 4 decenni, le nuove generazioni trovano ispirazione profonda nella figura di Iggy, considerata a pieno titolo una delle poche vere rockstar ancora in vita e in attività. Probabilmente in maniera del tutto inconsapevole, per giunta. Pur avendo 64 anni, dopo un periodo di  eccessi, con l’eroina che lo portò a toccare davvero il fondo, la vecchia iguana Iggy è forse l’unico a non esser mai diventato la caricatura di sè stesso, neanche dopo la morte di Ron Asheton nel 2009; è il solo a non aver mai perso, nel corso degli anni, la sua genuinità (pur tralasciando alcune piccole cadute di stile che, se paragonate al resto della sua vita, non lasciano comunque alcuna ombra – tipo quando fu testimonial di Versace…). Ma torniamo a The Stooges: già dalla prima traccia i nostri mettono in chiaro che non c’è nulla da fare, in 1969 le speranze della loro generazione non li sfiorano, perchè tutto è noia, si può solo ballare al ritmo ossessivo del rock’n’roll: “Beh è il 1969 ok negli USA/ E’ un altro anno per me e te/Un altro anno senza niente da fare”; sembra essere stato concepito come un trascinante inno volto a sovvertire, a colpire il sistema da dentro con riff rabbiosi e vertiginosi. Poi ecco giungere I Wanna Be Your Dog con la sua carnalità irrefrenabile, con la sua indecenza che celebra la filosofia Stooges, fortemente dannosa per l’epoca e fottutamente innovativa: “Adesso sono pronto/ A chiudere gli occhi/ E adesso sono pronto/ A spegnere il cervello/ E adesso sono pronto/ A sentire la tua mano/ E perdere il mio cuore/ Sulle sabbie ardenti”.

We will fall è il brano più psichedelico, che non a caso vede la partecipazione di John Cale alla viola, il quale  tenta invano di portare la band verso un suono più velvettiano. Infatti risulta quello più sperimentale, come una lenta e chiara frenata prima di No Fun, il più punk, quello che più di tutti celebra il nulla, il non senso, l’annullamento della coscenza umana, una vera visione anarchica della realtà che diverrà negli anni ideologia. Segue Real Cool Time sempre sulla stessa onda cinica fine a sè stessa, poi la bellissima Ann che giunge inaspettata, dove Iggy si trascina dapprima in modo lento, cupo e morboso, poi esplode lasciando il posto al riff delirante e vorticoso. E’ molto di più di una canzone d’amore, è qualcosa di più corrotto e sporco, il cui tema è ripreso in Little Doll che assieme a Not Right porta l’adrenalina in circolo per poi lasciarci così, senza fiato, desiderosi di un’altra dose di cattiveria, di colpi bassi tesi a lasciare il segno nell’anima.

Il progresso è sempre stato qui, tra queste poche preziose tracce di puro estro, imprigionato in un disco che bisogna ascoltare prima di cercare di capire. Un suono che oggi, tra tanto (forse troppo) rumore, resta ancora l’emblema della vera ribellione, l’archetipo di quasi tutto quello che è seguito.

Autore: The Stooges Titolo Album: The Stooges
Anno: 1969 Casa Discografica: Elektra
Genere musicale: Punk Rock Voto: 9
Tipo: CD Sito web: http://www.iggyandthestoogesmusic.com
Membri band:

Iggy Stooge – voce

Ron Asheton – chitarra, cori

Scott Asheton – batteria

Dave Alexander – basso

John Cale – viola, piano

Tracklist:

  1. 1969
  2. I Wanna Be Your Dog
  3. We Will Fall
  4. No Fun
  5. Real Cool Time
  6. Ann
  7. Not Right
  8. Little Doll
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Punk
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20th Set2011

Gli albori del punk: i primi passi dei Sex Pistols (Parte 2)

by Stefano Mancuso

Siamo nel 1976 e l’intervista ad una emittente privata tv di punta britannica si conclude con il conduttore Bill Grundy insultato sonoramente da Steve Jones per le attenzioni rivolte alla ragazze con seni nudi (alias Siouxye, l’unica del giro di “Sex” assieme a Jhon Lydon che avrà un solido futuro artistico). In realtà l’episodio sta al gioco di Malcom Mclaren che ottiene pubblicità gratuita, pur subendo l’oscuramento dei media. I Sex Pistols come detto, avevano inziato a lavorare ad un album con la EMI (nel 1997 i nastri pirati di questo periodo verranno pubblicati sul secondo disco della versiore commemorativa del 1997 di Never Mind The Bollocks a titolo Spunk, un’accozzaglia di suoni senza alcuna soluzione logica, che per diventare il primo album ufficiale dovette subire parecchi riadattamenti e sovraincisioni), dopo appena 1 anno e mezzo di carriera hanno uno sterminato numero di nemici, diventa un problema serio trovare locali che li ospitino per suonare, e qui viene fuori il genio di Malcom Mclaren, il Brian Epstein cinico e spietato dello show bussines di fine anni ‘70.

Il 1977 è l’anno del gubileo della regina Elisabetta, tutta la Gran Bretagna si stringe attorno alla sua monarca, dimentica i drammatici problemi in cui versa il paese, e vive sogni di passata grandezza. La copertina del singolo God Save The Queen, uno degli inni punk più celebri e uno dei brani simbolo per comprendere le dinamiche del punk sul costume britannico e occidentale, reca un ritratto della Regina Elisabetta con uno spillone nella guancia. La Gran Bretagna si rebella alla ribellone, il 45 giri schizza questa volta al numero 2 delle classifiche britanniche, in realtà per molto è addiruttura la numero 1: si sostiene infatti che qualcuno dell’organismo che settimanalmente riceve i dati relativi alle vendite per fini politici abbia fatto in modo che siano i Faces di Rod Stewart a prendere la numero 1. Intanto Mclaren organizza una festa sul Tamigi a bordo di una imbarcazione in contemporanea del giubileo reale: la polizia inglese interviene, blocca il tutto, mette i Pistols in stato di fermo e manda a nanna tutti. Intanto la Virgin, ambiziosa casa discografica emergente che aveva quale principale big nella sua squadra uno dei bambini d’oro del rock progressivo inglese Olfield, autore della colonna sonora del celebre film l’esorcista, ha ingaggiato i Sex Pistols che nel frattempo avevano scarico Matlock reo di amare troppo Beatles e pop, e ingaggiato uno dei disadattati più celebri del sottoborsco londinese, tale Sid Vicius un tipo rozzo a caccia di notorietà, famoso per aver ferito una ragazza propio ad un concerto dei Pistols nel 1976.

A questo punto l’atteggiamento dell’industria discografica britannica nei confronti del punk è bivalente: tutte le principali case discografiche major o indie hanno fatto man bassa dei principali gruppi punk nel biennio 1976-1977, da The Damned, ai Clash, ai Buzzcocks, per arrivare a band di indubbio valore tecnico e artistico propio più distanti da questo stile, Jam e Stranglers comunque buttati nel calderone ed etichettati frettolosamente. Tuttavia l’esplosione della disco music come fenomeno di moda dalle ben più ampie potenzialità commerciali, che eredita dal punk il formato 45 giri sicuramente limitato ma più economico e adattto alle nottate nelle gigantesche discoteche alla moda newyorkesi, porta i discografici a rivedere i loro progetti, anche perchè il primo album delle band punk, venne registrato quasi in presa diretta (Pistols a parte), e con ingegneri del suono di fiducia delle band. Basti pensare a The Clash, i Jam, i The Damned e i Buzzcocks la sindrome da secondo album è quasi fatale: messi a lavorare con i vari Sandy Pearlman, Dave Mason dei Pink Floyd e altri produttori di fattura, i tempi e i costi in sala di registrazione salgono alle stelle, e il suono perde quella resa genuina e di bassa fedeltà che tanto aveva trovato consenso nei primi lavori delle band.

I Pistols pubblicano Holiday In The Sun, un’invettiva sul muro di Berlino e la guerra fredda, e poi l’orecchiabile Pretty Vacant, nato dopo aver letto un articolo assai sarcastico e ironico sui Bay City Rollers di Aberdeen (sono così carini…….): se nel primo caso sono ancora polemiche in quanto l’agenzia di turismo belga è protagonista di una querela contro la copertina di Holiday in quanto la Virgin avrebbe copiato il loro simbolo violando il coyright, nel secondo viene stabilito un singolare primato, è la prima pubblicazione dei Pistols dove non si sono verificate né polemiche e né incidenti di ordine legale. Ma la quiete non è pane per i quattro londinesi: siamo nel 1977, e quello che sarà il primo album, praticamente un greatest hits dei Pistols riproposto a più riprese e con altri titoli e compilation, dopo un laborioso lavoro di sovraincisione e vari mixaggi (i primi quasi tutti infelici) vede la luce, e subito la commissione censura si scaglierà contro la Virgin definendo il titolo dell’album offensivo e volgare. Con il vinile e le copertine appena stampate il disco rischia di non uscire.

Category : Articoli
Tags : Punk
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14th Set2011

Gli albori del punk: i primi passi dei Sex Pistols (Parte 1)

by Stefano Mancuso

Il punk non è nato con i Sex Pistols, era già in enbrione da almeno una dozzina d’anni, almeno da quando Don Gallucci (poi divenuto produttore dei primi Stooges – ironia della sorte!) e suoi Kingsmen incisero la versione più famosa di Louie Louie, nel lontano 1963, e i Beatles stavano diventando la cosa più nuova che il rock potesse proporre. Nel 1975 invece il rock veleggiava nella acque putride di artisti già affermati che si autocelebravano, e nelle ambizioni artistiche fini a se stesse e ripetitive della progressive, che anche in Italia aveva ottenuto i favori della critica nostrana sempre incline a tutto quanto odori perniciosamente di retrò. Allora cosa c’è di nuovo nel 1975? il mondo è appena uscito un paio di anni prima da un’allerta nucleare, e dai drammatici giochi di Monaco, l’Europa è in piena recessione, gli Usa reduci dal Vietnam sono più o meno nelle stesse acque. “Andate al diavolo qui non ci sono più soldi”, più o meno così disse il Presidente Gerald Ford a chi faceva osservare che New York, la grande mela, presentava le prime “rughe” di fatiscenza, e sarà propio New York e Cleveland, la terra dei primi figli schizzati con catene e catenine al collo, e vestiti stracciati che sanno di sesso consumato clandestinamente, il retaggio dei leggendari Velvet Underground di Lou Reed e della sensuale e perversa Nico è evidentissimo.

Ma torniamo alla Gran Bretagna, il biennio 75-76 è irto di malcontento, tensione sociale e disordini razziali. Un giovane brillante ragazzo ebreo di buona famiglia, Malcom Mclaren, con un pallino per la moda e gli affari, dopo aver visto e sentito i New York Dolls di David Johansen se ne innamora, si improvvisa manager, e quando il gruppo ormai sul punto di deragliare e ognuno dei membri se ne andrà per la sua strada dopo due album di indubbio valore artistico ma dallo scarso successo di vendite all’epoca, torna in Inghilterra e decide di tentare di fondare una band tutta sua. Mclaren con la sua compagna (Vivienne Eastwood, stilista) ha un negozio eccentrico di moda chiamato “Sex” e grazie ad un giro di giovani altrettanto eccentrici che in questo posto sinistro si ritrovano e vi passano il tempo, Mclaren individua fra questi un oriundo irlandese di nazionalità britannica dallo sguardo attraversato da una vena di follia, Jhon Lydon al secolo Jhonny il marcio (che da bambino subì un potentissimo attacco di meningite), un cleptomane Steve Jones, un giovane studente d’arte Glenn Matlock e un apprendista idraulico Jhon Cook.

Amano tutti quel tipo di rock, considerato all’epoca da reietti, e gli ultimi sedimenti del grande pop rock britannico dei sixities, i mods Who e Small Faces, poi Alice Cooper, gli Stooges e la loro padronanza tecnica che è praticamente canina. Fra le prime imprese di Jones e Cook già prima di finire nella band c’è il furto della strumentazione di David Bowie prima di un concerto londinese. I ragazzi amano l’azzardo. Iniziano come tutte le band, suonano alla loro maniera i pezzi dei loro eroi, poi poco alla volta stimolati dal genio provocante di Malcom Mclaren arrivano i primi prezzi scritti in proprio. In breve la band diventa la cosa più potente che gira nella zona di Londra del West e Sheperd Bush, in pratica una versione da Arancia Meccanica degli Who di Pete Townshend che fra l’altro ne diventerà fans. È il 1976, e la voce stridula e indecifrabile del febbricitante Jhonny Rotten supportata dai riffs potentissimi di chitarra sul singolo Nevermind On The Bollocks, suona la carica scatenando il disgusto della mid class britannica, entrando nella top 20 inglese.
La EMI li ha messi sotto contratto, nel 1975 quella che era la prima casa discografica inglese può vantare solo i grandi Queen, e mangia pane e ufo grazie ai diritti di autore di una band come i Beatles scioltisi ormai da sei anni. La miopia dei dirigenti della casa discografica, che credono di poter plasmare la band a propio uso e consumo porterà ad un divorzio e all’oscuramento della band da parte della commissione censura, un bollettino dell’epoca recita più o meno: “Ci sono due o tre band che vanno oltre il buon gusto e rovinano il buon nome dell’azienda dello spettacolo inglese: i Bay City Rollers, gli Stranglers e i Sex Pistols“. Tutto questo mentre Mclaren e suoi quattro piccoli frankenstein stavano lavorando ad un long playing, che diventerà una delle gestazioni più lunghe, controverse e difficoltose nella storia del rock.

Category : Articoli
Tags : Punk
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