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11th Ott2017

Sun Q – Charms

by Marcello Zinno

Sun Q - Charms finalSfatiamo un po’ di miti sui Sun Q. Arrivano dalla fredda Russia ma di russo non hanno proprio niente, anzi hanno un suono che più internazionale non si può. Da molti vengono inseriti nella scena stoner, da altri in quella garage, ma noi li vediamo semplicemente come una grande rock band; sì, è vero che i suoni di chitarra scelti fanno sembrare il loro appiglio stoner, ma ritmica, arrangiamenti, la presenza di una voce femminile (rara nel genere) e tanti altri aspetti li avvicinano molto di più ad una realtà rock. Elena Tiron, la cantante appunto, non è la sola a conferire dolcezza e spessore artistico, grazie ad una ottima interpretazione, al nuovo album Charms: in brani come Dancing Souls arriva tutto il carisma del quartetto, compreso l’intermezzo strumentale-tribale che ampia lo spettro artistico dei Sun Q. Poi arriva Secret Ways con quella psichedelia alla Hendrix, un po’ voodoo, un po’ hard blues, e l’orologio si immobilizza, i punti aumentano di parecchio, il fumo ci avvolge e ci sentiamo strattonare da qualcosa di grosso; un po’ come Circus Is Coming, un pezzo che sembra anticipare una tipica scena splatter firmata Tarantino. Come un crescendo in un film dalle tinte dark segue Space, un pezzo dal sapore anni 70, da colonna sonora a passi lugubri che poi esplodono in un rock a metà rock’n’roll e a metà garage sul finale.

Non temete quindi ad ascoltare i Sun Q, non si tratta di un progetto indigesto, pezzi come Jimmy The Pirate o Winter Lady confermano l’appiglio elettrico dei russi ma guai a considerarli solo come dei grandi fornitori di rock. Qui c’è classe e ricercatezza. E poi non dite che non ve l’avevamo detto.

Autore: Sun Q

Titolo Album: Charms

Anno: 2017

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Rock, Psichedelia, Stoner

Voto: 7,5

Tipo: CD

Sito web: https://soundcloud.com/sunqband

Membri band:

Elena Tiron – voce

Ivan Shalimov – chitarra

Denis Baranov – basso

Pavel Potseluev – batteria

Tracklist:

  1. Petals & Thorns

  2. After This

  3. Dancing Souls

  4. Secret Ways

  5. Space

  6. Jimmy The Pirate

  7. Circus Is Coming

  8. Plankton

  9. Winter Lady

Category : Recensioni
Tags : Rock
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13th Set2017

Bushi – Bushi

by Marcello Zinno

Bushi - BushiDalle idee nascono nuove idee. Forse è per questo che spesso musicisti attivi in formazioni diverse si uniscono e creano nuove realtà musicali. Chiamarli super gruppi o nuovi progetti emergenti dipende solo dal punto di vista con cui si osserva la cosa, quello che è certo è che un nuovo melting pot sta vedendo la luce. Alle volte si tratta di un semplice miscuglio delle idee precedenti, altre volte si spinge oltre. Nel caso dei Bushi (con membri di Bologna Violenta, Infernal Poetry, Kingfisher, Ronin, Above The Tree & E-side) possiamo dire che i ragazzi si sono spinti davvero oltre. Perché in tutte queste formazioni non si è mai puntato al rock rotondo come fuoriesce da questo omonimo esordio. Rotondo non vuol dire semplice né scontato, vuol dire sporco ma diretto, graffiante ma orecchiabile. Si dice ispirato all’epopea dei Samurai ma in quanto a suono l’album è molto più vicino agli States che non al Sol levante; a noi ricorda i Queens Of The Stone Age più cattivi (in A Well-Aimed Blow Of Naginata c’è perfino qualche passaggio che ne sottolinea le similitudini), assumendo però uno spirito metal che non esce fuori dai suoni ma sicuramente dall’animo delle tracce (Runaway Horses e il suo incedere sono emblematici in ciò).

Personalmente poi colgo un vago sentore alla Voivod, quell’elettricità cupa e rumorosa che ti entra nel cervello e si fa spazio tra i neuroni per trovare il luogo preciso in cui implodere (la conclusiva Death Pomes ne è un preciso esempio). Come se non bastasse arriva The Book Of Five Rings un brano interessante in quanto vede il power trio giocare con i tempi, rallentarli e velocizzarli a piacimento. Una prova che ci piace, pericolosa ma non appuntita, si lascia apprezzare dopo diversi ascolti e vuole essere qualcosa di heavy rock distintivo senza però inventare nuovi schemi o coordinate. Bushi promossi.

Autore: Bushi

Titolo Album: Bushi

Anno: 2017

Casa Discografica: Dischi Bervisti

Genere musicale: Rock

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/BushiOfficial

Membri band:

Alessandro “Urmuz” Vagnoni – chitarra, voce

Matteo “Tegu” Sideri – voce, batteria

Davide Scode – basso, voce

Tracklist:

  1. Rolling Head

  2. The Cherry Tree

  3. A Well-Aimed Blow Of Naginata

  4. Runaway Horses

  5. The Book Of Five Rings

  6. Typhoons

  7. Hidden In Leaves

  8. Death Poems

Category : Recensioni
Tags : Rock
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27th Ago2017

The Shiver – Adeline

by Marcello Zinno

The Shiver - Adeline finalTornano gli italiani The Shiver dopo tre anni dal loro secondo album The Darkest Hour recensito da noi a questa pagina. Il tempo passa ma, nonostante i numerosi tentativi che ammettiamo aver fatto, non riescono a convincerci del tutto. Eppure confermiamo che i The Shiver hanno un potenziale immenso: dalla loro hanno una produzione molto curata, dei suoni compatti e davvero piacevoli, un sound il loro che con orgoglio e soddisfazione collochiamo nel genere rock, per una volta lontano da prefissi o settorializzazioni del caso. Ma, ed ecco il ma, non troviamo delle venature originali, delle caratteristiche che meritano di far emergere il nome The Shiver tra i nuovi portavoce del rock. Sia chiaro, non siamo dinanzi ad una band emergente nel senso stretto del termine. La band diretta da Federica Sciamanna e Francesco Russo (2/4 della band sono cambiati rispetto alla precedente uscita) possiede un sound e un appiglio molto mainstream, un brano ad esempio come Rejected, con il suo pathos nella strofa e l’esplosione nel ritornello, troverebbe terreno fertile nelle radio se opportunamente spinto; ancora High, che ruggisce di più, propone un carattere più forte legato anche alla più intensa interpretazione di Federica alla voce; infine Miron-Aku è un pezzo dall’ottimo tiro con un rifferama che coinvolge, bellissime aperture e un pizzico di growl che inserisce qualcosa di diverso nella big picture. Buono anche l’esperimento strumentale Electronoose che prende le sonorità dal suo titolo

Probabilmente per chi mastica solo del buon rock i The Shiver possono essere una nuova riproposizione del rock anni 90 per molti dimenticato, ma per chi invece ascolta tantissima musica nuova i ragazzi sono un po’ un cioccolatino dalla forma accattivante e dal cioccolato finissimo ma con dentro un biglietto dalla frase banale: all’inizio lo assaggi e trovi il tuo appagamento ma poi resti amareggiato. Brani come How Deep Is Your Heart How Dirt Is Your Soul o Awaiting non rappresentano niente di nuovo in chi ascolta rock da decenni ed è davvero un peccato che una realtà come loro non sfoggi qualcosa di più personale. Noi li continueremo a seguire, non perdiamo le speranze.

Autore: The Shiver

Titolo Album: Adeline

Anno: 2017

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Rock

Voto: 6

Tipo: CD

Sito web: http://www.theshiver.net

Membri band:

Federica “Faith” Sciamanna – voce, chitarra, synth

Francesco “Finch” Russo – batteria

Matteo Menichelli – chitarra

Mauro Morris Toti – basso

Tracklist:

  1. Awaiting

  2. Adeline

  3. Rejected

  4. Wounds

  5. How Deep Is Your Heart How Dirt Is Your Soul

  6. Light Minutes

  7. High

  8. Pray

  9. Miron-Aku

  10. Electronoose

Category : Recensioni
Tags : Rock
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25th Ago2017

White Mosquito – Superego

by Ottaviano Moraca

White Mosquito - SuperegoCon quella che è la loro terza fatica in studio quest’anno tornano in scena i White Mosquito. La compagine genovese questa volta si cimenta addirittura in un concept sulle sfaccettature dell’ego, un progetto ambizioso che i Nostri si dimostrano ampiamente in grado di affrontare a testa alta. Anche Led Zeppelin, Ac/Dc e Afterhours vengono citati dalla cartella stampa tra le maggiori influenze e fonti di ispirazione, ma su tutte l’impronta che si sente maggiormente è quella dei Litfiba e, aggiungo, dei Negramaro. Non che Supergo manchi di carattere, piuttosto questo ogni tanto viene annacquato eccessivamente e i richiami a quanto già detto da altri diventano un po’ troppo insistenti. Niente di fastidioso comunque, soprattutto per chi ami la band di Pelù. Non mancano poi episodi più intimisti in cui la personalità della band si esprime più liberamente e, dando sfogo alla propria creatività, mostra tutto il proprio valore. La produzione rende giustizia a tutto questo e pur mettendo talvolta molto (anche troppo) in evidenza la voce, come è tipico di tante proposte nostrane, si può considerare come un valore aggiunto di questo disco soprattutto per aver saputo rendere al meglio il sound graffiante del gruppo. Più che soddisfacente anche la tecnica esibita dai genovesi, non solo attraverso gli eleganti assoli ma anche con soluzioni ritmiche e melodiche non banali. Anche dietro il microfono si sfoggia una certa maestria per lo più espressa da un’ottima versatilità e da tanta intensità.

Il vero fiore all’occhiello di questo CD sta però nella composizione dei brani che, uno per l’altro, sono tutti articolati e movimentati da soluzioni inusuali e ben congegnate. E’ soprattutto questo a tenere lontana la noia e ad accattivare l’ascoltatore che così può concentrare la propria attenzione sui testi, che offrono spesso spunti interessanti, e sul riffing che roccioso e variopinto non risulta mai monotono. La confezione di questo Supergo si può definire minimale ma se si considera che l’album è frutto di una campagna di crowdfunding non sarebbe stato giusto chiedere di più. I White Mosquito sono quindi in tutto e per tutto degni figli dei nostri tempi e ancora una volta dimostrano di sapersi muovere sbagliando poco o nulla e mettendo anche in campo una crescita e una maturazione che potrebbero portarli molto in alto. Per il prossimo capitolo bisognerà, come è normale che sia, solo smussare alcuni spigoli e levigare alcune imperfezioni cercando magari con più insistenza quell’originalità e quel marchio personale che, con questi livelli di impegno e ispirazione, potrebbe davvero fare la differenza nella scena musicale nostrana.

Le capacità, e a questo punto anche l’esperienza, ci sono tutte quindi non farlo sarebbe davvero un delitto. Personalmente penso che parteciperò alla campagna per finanziare il prossimo album.

Autore: White Mosquito

Titolo Album: Supergo

Anno: 2017

Casa Discografica: Orzorock Music, Halidon

Genere musicale: Rock

Voto: 6,75

Tipo: CD

Sito web: http://www.whitemosquito.it

Membri band:

Sergio Antonazzo – voce

Matteo Magnani – chitarra

Simone Pani – basso

Stefano Ruiu – batteria

Tracklist:

  1. Complice

  2. Rivoluzione

  3. Destino

  4. Contrordine

  5. Male in pillole

  6. Per non morire

  7. Senza Amore

  8. Vorrei

  9. Hey Man

  10. Da Qui

Category : Recensioni
Tags : Rock
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21st Ago2017

Inarmonics – A Thing Of Beauty

by Marcello Zinno

Inarmonics - A Thing Of BeautyPer una volta vi diamo un suggerimento in contraddizione con il nostro ruolo: cliccate su quella X in alto a destra del vostro monitor e lasciate andare la musica. Sì perché le note, e ancora di più l’intensità della musica degli Inarmonics, si lasciano descrivere da sole e meglio di qualsiasi parola o aggettivo che possiamo usare. Musica elegante quella del quartetto tutto italiano, rock sopraffine che si fa spazio tra Sting e Skunk Anansie (al nostro orecchio) ma che crea proprio musica prima che pattern. Molto sentite le influenze black, soprattutto per il contributo di Gianluca Gabrielli alla voce (splendido in Gone Too Fast), anche se troviamo lo stile complessivo degli Inarmonics molto personale. Ciò nonostante la nostra insistenza musicale non ci permette di ignorare alcuni sapori alla Jeff Buckley (In The Park) così come un certo rock raffinato alla Deep Purple. Ogni strumento ha il suo spazio e dice la sua in uno scenario pieno di colori nel quale affiorano le diversità pur se pensate e realizzate all’unisono; ogni brano trova la sua forma e la sua identità, in un contesto comunque coerente con un certo modo di intendere l’espressione musicale.

Un plauso va però a Funkarabian Scat, una strumentale quasi funky, molto intensa che si diverte sul finale a lasciar spazio al prog di Manuel Prota in un turbinio di emozioni che avrebbe potuto durare anche il doppio (e speriamo che in sede live sia così). Un progetto davvero pregevole che ci sentiamo di consigliare a chi ama prima di tutto la musica.

Autore: Inarmonics

Titolo Album: A Thing Of Beauty

Anno: 2017

Casa Discografica: New Model Label

Genere musicale: Rock

Voto: 7,5

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/inarmonics

Membri band:

Gianluca Gabrielli – voce, chitarra

Massimiliano Manocchia – chitarra

Gianpaolo Simonini – basso

Manuel Prota – batteria

Tracklist:

  1. Disma

  2. A Thing Of Beauty

  3. In The Park

  4. Funkarabian Scat

  5. History

  6. Farabutto

  7. Gone Too Fast

  8. More Wine

Category : Recensioni
Tags : Rock
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07th Ago2017

Mojis – Migrations

by Marcello Zinno

Mojis - Migrations“Please only listen to this music at very high volumes“. Questa la scritta che capeggia nel lato interno di spalle al CD, una volta tolto per poterlo ascoltare. Ammettiamo che dato questo alert collocato in maniera strategica ci saremo attesi una partenza con il botto e invece l’opener dei Mojis, (attenzione: il brano con cui la band decide di presentarsi al mondo), è una ballad pop (ricordate Hedonism degli Skunk Anansie?!). Punto in meno ma non ci sconfortiamo e decidiamo di non farci condizionare più di tanto. Il rock infatti arriva, un rock molto indie, sicuramente dal sapore britannico come il quartetto ammette dichiaratamente, con chitarre pulite e molto affilate ma anche buoni arrangiamenti (si ascolti ad esempio New Found Land). Eppure gli stili sono tanti. Le tracce rock ci sembrano comunque scritte e realizzate molto con la testa, un songwriting un po’ troppo quadrato, che non esce dai confini, che non rischia, che cerca di regalare watt ma che in fondo manca di robustezza. In Lady Death ad esempio ci colpisce quel timido assolo nel bridge prima di aprire al ritornello, sicuramente il momento più “coraggioso” del brano. Eppure non possiamo dire che le canzoni siano brutte perché in generale restano in piedi e comunicano anche se non stupiscono (ascoltare Small Is Beautiful per credere). I Mojis ci ricordano quel disegni pieni di tratteggi neri che vanno colorati al loro interno: si possono colorare in maniera perfetta, collocare ogni singola tinta nella maniera giusta e abbinarla a quella vicina…ma vuoi mettere uno di questi disegni colorato da un bambino con le imprecisioni a sottolineargli la personalità?

Un esempio opposto è dato da Find The People che con la sua chitarra ai confini con il funky esce fuori e ci immagina immersi in un loro live con un’atmosfera calda e coinvolgente. Momenti pacati tornano anche con Different Shoes e I’m With You, brani che a dir il vero spiazzano un po’ l’ascoltatore perché non si tratta di semplici ballad inserite in una tracklist rock bensì di un profilo espressivo molto diverso rispetto alla vena elettrica delle altre tracce. Ricerca di brani dal grande ascolto o semplice ispirazione più intima? Questo non ci è dato saperlo ma avremo preferito un debut più chiaro sulla linea stilistica della band e magari con qualche spigolo in più.

Autore: Mojis

Titolo Album: Migrations

Anno: 2017

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Rock

Voto: 6

Tipo: CD

Sito web: http://www.mojismusic.com

Membri band:

Marco Spiezia – voce, chitarra

Ivan Esposito – batteria

Francesco Romano – chitarra

Stefano Romano – basso, percussioni

Tracklist:

  1. Broken Chord

  2. Dog’s Teeth

  3. New Found Land

  4. Different Shoes

  5. Lady Death

  6. Find The People

  7. Small Is Beautiful

  8. I’m With You

  9. The Night Is Over

Category : Recensioni
Tags : Rock
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02nd Ago2017

Lou Reed – Lou Reed

by Raffaele Astore

Lou Reed - Lou Reed23 Agosto 1970. Una data questa che gli estimatori dei Velvet Underground non possono dimenticare perché, oltre che coincidere con il famoso concerto al Kansa’s, è il giorno fatidico in cui Lou Reed appare per l’ultima volta con la band. Infatti, proprio dopo il concerto, fu lo stesso Reed a dirlo per primo a Moe Tucker che la sua storia con i Velvet finiva lì. Ed i successivi due anni furono per Reed quasi una normalità; infatti quello che insieme a Cale era considerato la mente dei Velvet Undeground passò molto di quel tempo rifugiato presso la famiglia a Long Island. Ma dietro l’abbandono di Reed c’era sicuramente la perdita del controllo della band, un controllo che Lou Reed aveva sempre caparbiamente vantato insieme a Cale e fu proprio Lou stesso a contattare poi Sterling Morrison per convincerlo ad abbandonare la band ed a seguirlo in nuovi progetti che aveva in mente. Lou Reed sembrava essere davvero stanco della routine dei tour, avvilito del fatto che non potesse dedicarsi alla composizione ma anche frustrato per la mancanza di un minimo di ritorno economico. Tra l’altro l’artista era molto arrabbiato con il produttore per la sequenza delle canzoni data su Loaded, ma talmente “incazzato” che solo nel 1971, quando intentò causa al produttore Sesnick quest’ultimo addivenne ad un accordo che fruttò a Reed l’esclusiva paternità dei brani contenuti sia in Loaded che in The Velvet Underground.

Ma torniamo indietro al 1971 ed al 1972, gli anni che Lou Reed trascorre lontano dai riflettori: sono sì due anni sabbatici, ma l’artista Reed non è mai riuscito davvero a staccare la spina e così, durante questa sorta di ritiro spirituale, la sua mente fervida partorisce una serie di pezzi che poi confluiranno nella sua prima opera da solista dopo i Velvet, un album che segna l’avvio di un nuovo, lunghissimo percorso e che porta semplicemente il nome di Lou Reed. E’ a Londra, presso i Morgan Studios che l’operazione si conclude perché Londra è l’incrocio di molti generi che portano i nomi di Led Zeppelin, T. Rex ma anche di nuovi generi che hanno negli Yes, Emerson, Lake & Palmer i capostipiti. E’ lì che Lou Reed si inserisce, ma nessuno ancora lo sa. Nonostante però la struttura della band che affianca Lou Reed alla realizzazione dell’album, tra i quali vi sono alle chitarra elettrica Steve Howe ed al pianoforte Rick Wakeman, l’LP è un quasi disastro destinato ben presto ad essere cancellato. Delle nuove composizioni proposte con Lou Reed solo Wild Child e Berlin sono destinate a restare. Ed infatti fu proprio lo stesso Reed a dire che in quella produzione c’erano troppe cose sbagliate e noi spesso ci siamo chiesti se ciò dipendesse poi dal fatto che gran parte di quel materiale faceva parte di produzioni destinate ai Velvet Underground, quei Velvet di cui Lou Reed si era stancato di far parte.

Di Berlin ci sarà e c’è sempre modo da parlarne perché è un pezzo destinato a fare storia come la storia l’ha fatta anche l’omonimo album, un pezzo da un fascino particolare che il produttore Ezrin, al lavoro anche con un certo Alice Cooper, riuscirà a rendere unico per il suo charme alla Marlene Dietrick. Wild Child, invece, è un vero e proprio magnetismo, il centro di un vortice anfetaminico che riporta alle vecchie esperienze dei Velvet consumati dalle droghe, ed è un brano che ha una struttura narrativa unica nel genere louridiano, narrazione che è frustrazione si ma illuminante allo stesso tempo, si perché da qui, da questi due pezzi si può già intuire quale sarà il futuro di Lou Reed: grande, unico, rivoluzionario.

Autore: Lou Reed

Titolo Album: Lou Reed

Anno: 1972

Casa Discografica: Rca

Genere musicale: Rock

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: http://www.loureed.com

Membri band:

Lou Reed – voce, chitarra

Caleb Quaye – chitarra, pianoforte

Steve Howe – chitarra

Paul Keogh – chitarra

Rick Wakeman – pianoforte

Les Hurdle – basso

Brian Odgers – basso

Clem Cattini – batteria

Helene Francois – cori

Kay Garner – cori

Tracklist:

  1. I Can’t Stand It

  2. Going Down

  3. Walk And Talk It

  4. Lisa Says

  5. Berlin

  6. I Love You

  7. Wild Child

  8. Love Makes You Feel

  9. Ride Into The Sun

  10. Ocean

Category : Recensioni
Tags : Lou Reed, Rock
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30th Lug2017

Vitanova – Controluce

by Marcello Zinno

Vitanova - ControluceNuovo EP per i Vitanova, veloce, fresco, orecchiabile, simpatico. Quattro caratteristiche, oltre che elettrico, perché il rock del terzetto è davvero rock nel suo senso più vivo ma osserva non proprio da lontano un certo modo di scrivere brani per puntare al tasto “repeat” dei lettori (per quelli che ce l’hanno ancora). 20 minuti scarsi ma brani che si lasciano ascoltare molto volentieri, accordi semplici, giri di quelli che restano in testa, frutto di una certa sapienza in fatto di scrittura, non di band di primo pelo con tutti gli spigoli da arrotondare del caso. Bella Elsa con un basso in evidenza e chorus da ripetere già dopo il primo ascolto, forse il finale un po’ troppo già sentito; indie rock con tanta energia ma zero superficialità Bel Giro, buoni stacchi e tanto respiro alla traccia, altro momento interessante. Vi è anche qualche momento in cui l’orecchiabilità prendere il sopravvento sia sulla ritmica che su soluzioni più interessanti, questo è Fiume, ma una traccia un po’ fuori dal coro è assolutamente accettabile, soprattutto se consideriamo lo spessore artistico dell’EP che fa davvero pensare ad un futuro prospero ma in primis se analizziamo il livello qualitativo veramente interessante. Noi lo auguriamo ai Vitanova perché i presupposti sono davvero superlativi.

Autore: Vitanova

Titolo Album: Controluce

Anno: 2017

Casa Discografica: Alka record label

Genere musicale: Rock

Voto: s.v.

Tipo: EP

Sito web: https://www.facebook.com/Vitanova2017

Membri band:

Alessio Busi – chitarra, voce

Federico Mariotto – batteria

Andreas Busi – basso, voce

Tracklist:

  1. Intro

  2. Giuda

  3. Come Va

  4. Elsa

  5. Bel Giro

  6. Fiume

  7. Tu E Dio

Category : Recensioni
Tags : Rock
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17th Lug2017

Royal Thunder – Wick

by Marcello Zinno

Royal Thunder - Wick finalIncredibile come una rock band abbia aperto a concerti di così tante metal band e abbia presenziato a festival di caratura internazionale. Un segno forte che spesso non esiste un confine chiaro tra rock e metal, che non è una questione di decibel o di strumenti, ma di visioni. I Royal Thunder hanno una visione tutt’altro che semplice e intuitiva: anche con questo Wick continuano nel solco di un rock influenzato sì dalla scena settantiana ma che possiede un animo spirituale, alternativo quasi mistico, occulto. C’è melodia, non si possono ignorare infatti le parti vocali di Mlny Parsonz che vivono di personalità nera, ma c’è un alone di misticismo nella loro musica che rende davvero affascinante il battesimo di fuoco di questo loro ennesimo album. L’attitudine più classica emerge da momenti più trasversali in termini di ascolti, come We Slipped classica rock song che potrebbe simpatizzare anche con le radio, ma il loro punto forte è in altri passaggi: pattern inviluppati (anche se mai concettuali) ritmi lisergici e ondate di fumo che travolgono i nostri occhi lasciandoci un panorama musicale poco chiaro ma molto affascinante. Così le prime tracce

E se proprio il sapore più cupo dei Royal Thunder non vi piace vi suggeriamo di non scartarli perché in questo album c’è anche dell’altro. Un esempio è The Sinking Chair, una traccia rock diretta come sarebbe piaciuta sul finire degli anni 90 ma con una produzione di livello anche per gli ascolti attuali; in generale nella parte centrale di Wick compare questo mood un po’ più leggero, non superficiale ma sicuramente meno ricercato, atteggiamento che svanisce con la titletrack ma che ricompare poi con The Well che richiama in parte una matrice alternative ma digeribilissima. Ecco, una doppia spiritualità che apre senza spaccare il pubblico dei Royal Thunder e li predispone ad un futuro difficile da inquadrare ma un presente con un buono spessore artistico.

Autore: Royal Thunder

Titolo Album: Wick

Anno: 2017

Casa Discografica: Spinefarm Records

Genere musicale: Rock

Voto: 6,5

Tipo: CD

Sito web: http://www.royalthunderofficial.com

Membri band:

Mlny Parsonz – voce, basso, piano

Josh Weaver – chitarra

Evan Diprima – batteria, percussioni

Will Fiore – chitarra

Tracklist:

  1. Burning Tree

  2. April Showers

  3. Tied

  4. We Slipped

  5. The Sinking Chair

  6. Plans

  7. Anchor

  8. Wick

  9. Push

  10. Turnaround

  11. The Well

  12. We Never Fell Asleep

Category : Recensioni
Tags : Rock
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10th Lug2017

Wendy?! – Idols & Gods

by Marcello Zinno

Wendy - Idols & GodsCon i Wendy?! e in particolare con l’ultimo Idols & Gods ne approfittiamo per aprire il tema “produzione”. Ci sono band “laccatissime”, che godono di produzioni costose e dai nomi internazionali, e poi c’è la vecchia scuola DIY, anzi per chiarire cosa intendiamo potremo dire che all’altro estremo c’è la scena lo-fi. All’intero di questo range vi sono tantissime sfumature e quello che ci dimostra Idols & Gods è che non serve un album con suoni perfetti, anzi a volte quell’alone di polvere, quello strato di condensa che si (lascia) forma(re di proposito) è uno dei punti di forza della proposta in generale. Il rock dei Wendy?! è interessante anche se non stravolge (né vuole farlo) i canoni del rock così come lo conosciamo, ma ascoltare un loro album ad occhi chiusi ci immerge direttamente in un loro live, con la musica così come potremo percepirla dagli ampli rivolti verso di noi. Bella e cattiva la titletrack che dal riff iniziale (e dal suo suono, appunto) sembra richiamare i Black Sabbath dei primi album, anche se l’attitudine che si respira è decisamente più rock. Un rock che si sente in diversi momenti anche se i ragazzi sanno scrivere anche passaggi intensi come Hate For Free: sarebbe scontato piazzare una ballad e loro lo sanno, per questo l’atmosfera e le melodie sono inserite non a caso.

C’è tutto, ci sono i Rolling Stones, c’è David Bowie, ci sono i riff stoppati che fanno seguire il tempo con la testa, c’è lo spirito punk, c’è Bob Dylan, ci sono i Velvet Underground, c’è Joe Strummer. C’è persino una cover degli Ultravox, coraggiosa, cruda, punk. Affascinanti anche gli assoli, molto sentiti, mai inseriti per caso e studiati per amalgamarsi con il resto della traccia. Insomma un buon lavoro di rock attuale con un’orecchio al passato, sudato e ben confezionato.

Autore: Wendy?!

Titolo Album: Idols & Gods

Anno: 2017

Casa Discografica: Tide Records

Genere musicale: Rock

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: http://www.wendyofficial.com

Membri band:

Lorenzo “Mr. Grady” Canevacci – voce, chitarra

Alessandro Ressa – chitarra, tastiere, voce

Fabio Valerio – basso, voce

Luca Calabrò – batteria

Tracklist:

  1. The Gold Rush

  2. Idols And Gods

  3. Hate For Free

  4. Attitude

  5. Fear In The Western World

  6. No Values

  7. Drunken Prayer

  8. Feed The Doubt

  9. 63 SG

Category : Recensioni
Tags : Rock
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