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08th Apr2021

Hapnea – Hangover & Love

by Marcello Zinno
Nato come un progetto alternative rock, gli Hapnea si sono presto evoluti verso sonorità rock blues e l’eleganza chitarristica che predilige la filosofia delle “poche note” alla distorsione presente nel loro EP d’esordio lo conferma a gran voce. Hangover & Love infatti è sicuramente un EP rock: la titletrack è uno dei momenti che, soprattutto nella seconda parte, scalda i motori; Ultraviolenza Baby ha dei testi punk ma anche una sei corde fuzz che diventa ancora più potente in Whiskey Sour. Un rock blues in continuo conflitto con se stesso: infatti a nostro parere non si può parlare di blues nell’ “accezione pentatonica” del genere, piuttosto come filosofia compositiva che poggia su battute quasi mai veloci, sei corde spesso clean che intesse costrutti pacatamente, senza la fretta che solitamente il rock inietta (solo Moonlight Bar ha un refrain di chiaro stampo blues). A fianco di un rock comunque spesso evidente compaiono anche passaggi più pacati come Panama e (appunto) Moonlight Bar, due tracce che poggiamo su ritmi lenti e costruzioni relativamente melodiche, pur lasciando un certo spazio alla chitarra elettrica (qui molto meno distorta) e anche ad accordi inaspettati.

Ci piace lo stile degli Hapnea che fonde il gusto con una certa maturità musicale, difficile entrare bene nella loro filosofia di musica con un EP così breve ma 20 minuti bastano per comprendere che il percorso è tracciato e se continueranno così faranno grandi cose.

Autore: Hapnea Titolo Album: Hangover & Love
Anno: 2021 Casa Discografica: Homeless Records
Genere musicale: Rock Blues Voto: s.v.
Tipo: EP Digitale Sito web: www.facebook.com/hapnea.official
Membri band:
Paolo Tasso – batteria, percussioni, synth
Lorenzo Cespi – basso
Gabriel Medina – voce, chitarra
Danilo Cosci – tastiera, chitarra
Tracklist:
1. Oh Marcelle
2. Ultraviolenza Baby
3. Panama
4. Moonlight Bar
5. Whiskey Sour
6. Hangover & Love
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Rock Blues
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31st Mar2021

Black Banjo – Out Of The Skies

by Aldo Pedron
I Black Banjo sono composti da quattro musicisti di grande esperienza. F. Caporaletti e A. Macrillò hanno suonato in Europa e Stati Uniti con artisti internazionali, come Ian Paice e Don Airey (Deep Purple), David Grissom (chitarrista della Joe Ely Band), Uli Jon Roth (Scorpions) e italiani come Andrea Braido (chitarrista di Vasco Rossi) e molti altri. A. Alessandrini, già co-fondatore degli E.Z. Riders, con i quali ha scritto e pubblicato 4 album, ha suonato oltre che in Italia, anche negli U.S.A. e UK, ha aperto i concerti di Deep Purple e Slash. Un power rrio iniziale poi diventato quartetto di stampo blues rock, che presenta brani originali e alcune “perle” di questo genere. Registrato nello studio Potemkin di Macerata, il nuovo album dei Black Banjo è nato durante il lockdown.  Un disco con l’inaspettata e straordinaria partecipazione del sassofonista dei mitici Blues Brothers, Lou Marini, personaggio illustre che abbiamo ammirato nella indimenticabile scena del film Blues Brothers in cui salta il balcone del ristorante e suona il sax in Think accanto alla regina del soul Aretha Franklin. Lou “Lou Blue” Marini (1945) di origini italiane, il nonno emigrò negli Stati Uniti nel 1940 da Darzo (Trento) ha fatto parte dei Blood Sweat & Tears (1972-1974) e dei Blues Brothers dal 1988. Contattato a distanza ha accettato di buon grado di partecipare al loro disco ed oltre ad aver registrato le parti da solista, ha anche scritto e suonato gli arrangiamenti di accompagnamento di tre brani: The Contest, If It Wasn’t For The Music e Miss Daisy.

Una quarantena forzata quella del quartetto maceratese che suonando e recuperando per l’occasione l’essenza del blues non vogliono certo paragonarsi con la loro esperienza in lockdown alla situazione degli schiavi. Ciò nonostante Alessandro Alessandrini, leader, cantante, compositore e chitarrista del gruppo in questo stop obbligato ne ha approfittato per riprendere in mano alcuni brani che aveva scritto precedentemente lavorandoci dalla mattina alla sera per poterli rivisitare e migliorare. In seguito il gruppo durante l’estate li ha incisi e mixati. Il titolo dell’album Out Of The Skies (fuori dai cieli, fuori dal nulla) è un richiamo biblico e contiene undici tracce, tutte di matrice blues, ma che spaziano tra il classico rock, le ballate ed alcuni ritmi più country. Out Of The Skies, la canzone che dà il titolo al disco, è dedicata alle popolazioni ancora oggi invisibili, quelle che non hanno i diritti e che sono escluse da ogni sistema economico per le quali il blues e la musica in generale può rappresentare una valvola di sfogo e un grido di riscatto. Si parla quindi dei nativi americani che vivono nelle riserve ma è ugualmente fortissima l’analogia con il popolo messicano che tenta di attraversare il confine, il muro verso gli Stati Uniti o con gli africani che hanno tentato la traversata del Mediterraneo per raggiungere l’Europa.

A questo lavoro hanno partecipato anche altri ospiti illustri come Nathaniel Peterson, già cantante solista e bassista dei Savoy Brown nel periodo 1994-1999. Un bassista che ha suonato e collaborato in passato tra gli altri anche con Spencer Davis, Peter Green (Fleetwood Mac), Jeff Porcaro (Toto), Coco Montoya e Kenny Loggins (Loggins & Messina) ed è qui in Alive And Well, Paolo Ercoli al dobro in Alive And Well e in If It Wasn’t For The Music e la cantante marchigiana Jenny Rosini in 4 brani. Alive And Well è pregevole per l’interpretazione di Nathaniel Peterson come voce solista, Last Man Standing è decisamente rock, The Contest un boogie con chitarra slide ed un assolo di sax di Lou Marini. Splendida Bumps Boogie, uno strumentale con l’organo in particolare evidenza, la chitarra di Alessandrini (dotato di una tecnica superlativa alla chitarra in ogni brano) e Nathaniel Peterson all’armonica in un pezzo di oltre 4 minuti. Tainted Love è un rock blues, Youth Of The Nation una ballata con l’organo che dipinge le sonorità e la conclusiva She’s Gone Away di grande atmosfera e dai suoni semi-acustici.

È previsto per il gruppo, covid permettendo, un tour europeo tra giugno e luglio con oltre una decina di concerti che li vedrà condividere il palco con la leggendaria formazione inglese The Animals ed alcune date in Italia, Belgio, Germania e Spagna. Il sogno poi resta (magari a settembre) di andare negli Stati Uniti, nella costa Est per suonare con lo stesso Lou Marini restituendo il favore.

Autore: Black Banjo Titolo Album: Out Of The Skies
Anno: 2021 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Rock Blues Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.blackbanjo.eu/
Membri band:
Alessandro Alessandrini – cantante, chitarra
Francesco Caporaletti – basso, voce
Massimo Saccutelli – organo, piano
Archelao Macrillò – batteria
Tracklist:
1. Alive And Well
2. Stone Cold Killer
3. The Contest
4. Out Of The Skies
5. If It Wasn’t For The Music
6. Last Man Standing
7. Youth Of The Nation
8. Miss Daisy
9. Bumps Boogie
10. Tainted Love
11. Sue’s Gone Away
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Rock Blues
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28th Mar2021

Honshu Wolves – Cosmic Creature Capture

by Aldo Pedron
Dai vicoli di Berna, dal parcheggio del loro trailer parcheggiato nella zona assai nota del movimento giovanile autonomista chiamato Zaffaraya nel bel mezzo della capitale svizzera e marcato dalle nebbiose e fredde montagne elvetiche, Maryanne Shewolf ed il suo magnifico trio ci propongono e ci deliziano con il loro originale genere che si potrebbe definire un “acido psichedelico e desertico delta space blues”. Marianne diventata madre in giovane età, non aveva certo tempo per immergersi o perdersi via con scappatelle con la droga, dedicandosi invece a comporre musica ispirata da alcuni concerti da lei visti e vissuti degli Spiritualized, Make Up, Alan Vega, The Cure, Radiohead e i Royal Trux o dedicandosi e partecipando alla band dei suoi partner per lungo tempo, Roy & the Devil’s Motorcycle. Maryanne è influenzata anche da altri artisti come P.J. Harvey, The Staple Singers, Solki, Nina Simone, Jessie Mae Hemphill, Shilpa Ray, T- Model Ford, Spaceman 3. Gli Honshu Wolves realizzano il loro primo disco a 10 pollici Shine On Menel 2010 per l’etichetta di Mama Rosin, Moi J’Connais Records, un secondo singolo split edito nel 2011 con sulla facciata A Mama Roisin in Back A La Maison e sul retro gli Honshu Wolves con Homegoing. In seguito pubblicano un LP Silver Ashes Line The Lane dato alle stampe dalla Sacred Hood Records nell’ottobre del 2014 (entrambe etichette svizzere).

Nel 2021 eccoli di nuovo in pista con il nuovo album Cosmic Creature Capture inciso nel 2019 a Torino nello studio Nomad con Massimiliano “Mano” Moccia al mixer (già collaboratore di Movie Star Junkies, Wow, Love Trap, Lame). Tutti i 9 brani sono composti da Maryanne Shewolf e dagli stessi Honshu Wolves. Per Maryanne Shewolf, il partner e padre dei suoi figli è Christian Stahli, membro fondatore della band Roy And The Devil’s Motorcycle, formazione a cui lei è particolarmente legata fin dai suoi esordi. Maryanne, cantante, chitarrista e compositrice è un personaggio davvero incredibile che richiama sicuramente la britannica PJ Harvey (indie rock) guru di un’intera generazione femminile e certi fraseggi di Jeffrey Lee Pierce (lunatico leader californiano dei Gun Club che passa alla storia per l’avvincente ed innovativa sintesi di irruenza punk e riscoperta della tradizione blues). Ma la prima e primaria ispirazione degli Honshu Wolves è sicuramente The Reverend Beat-Man alias Beat Zeller (non a caso artista svizzero e proprietario della Voodoo Rhythm Records). Un trio che ricorda le atmosfere blues care a The Gun Club o alla parte più oscura dei Creedence Clearwater Revival. Una sorta di swamp rock in stile garage.

L’iniziale Something’s In The Air è pervasa di atmosfere alla Blasters con un pizzico dark. Won’t Let Fear It dai riff di chitarra ossessivi e compulsivi rispecchia i suoni del Delta con il fascino arcano e morboso del voodoo. Tell Me è puro blues punk, una love song (edita anche come singolo) che fa venire alla mente Chris Isaak e James Calvin Wilsey (chitarrista della band di Chris Isaak) che la avrebbe suonata proprio così. In White Dress si respira un clima motoristico. Bellissima Goddess con atmosfere cosmiche, chitarre twang, percussioni martellanti e la voce di Maryanne in grande spolvero che canta in un inglese graffiante. La conclusiva Come Closer in stile PJ Harvey è un forte richiamo a liriche particolarmente ambigue, sussurri e grida a carattere sessuale ma un brano decisamente seducente. Questo è il rock’n’roll contemporaneo dei nostri giorni. Un album del trio svizzero di psichedelia, blues e rock’n’roll malinconico particolarmente riuscito. Un gruppo che naviga tra rock psichedelico, space rock, folk elettrico, punk, psychobilly, rock’n’roll e il blues vecchia maniera. 9 brani davvero notevoli, affascinanti, accattivanti, suonati divinamente e di grande atmosfera.

Autore: Honshu Wolves Titolo Album: Cosmic Creature Capture
Anno: 2021 Casa Discografica: Voodoo Rhythm Records
Genere musicale: Rock Blues, Psychedelic Blues Voto: 8
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/honshuwolves/
Membri band:
Maryanne Shewolf – voce, chitarra, percussioni, piano
Fabu (Fabian) – chitarra, basso, organo, cori
Mige – batteria, percussioni
Tracklist:
1. Something’s In The Air
2. Won’t Let Fear In
3. Last Night
4. Marina
5. Goddess
6. White Dress
7. Tell Me
8. AHA
9. Come Closer
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Rock Blues
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21st Mar2021

Ruben Minuto – The Larsen’s Sessions / Live In Studio

by EriKa SKorza
Uscito a gennaio su tutte le piattaforme digitali tramite Delta Promotion, è The Larsen’s Sessions-Live In Studio, tredicesimo album del musicista Ruben Minuto. Fin da subito si possono apprezzare le fortissime influenze country e blues di Ruben, che lo hanno portato nel corso della sua carriera non solo a partecipare all’Owensboro Bluegrass Ibma Festival, ma anche ad essere eletto Artist Of The Week dal Chicago Blues Magazine grazie alla sua partecipazione al Festival Blues di Chicago. L’album interamente registrato dal vivo senza l’uso di sovraincisioni, si compone di dieci tracce divise in sette riarrangiamenti di brani tratti dai precedenti album del musicista, più tre cover rivisitate delle canzoni Molly & Tenbrooks, You’re The One That I Want direttamente dal film Grease, e Why Should I Be So Lonely di Jimmie Rodgers. Apprezzatissime sono Jimmy Two Steps, dal sound grintoso tipico di un blues movimentato, e High Heel Shoes dalle influenze più rock, le quali spingono l’ascoltatore ad immaginarsi nel bel mezzo di un concerto.

In Along The Way, canzone riflessiva e a tratti malinconica, troviamo nel ritornello interessanti cambi armonici che lo rendono orecchiabile ma per nulla scontato. In Be Alive Ruben ci regala una versione in acustico arricchita dalla presenza dei cori che ben si sposano con l’ambient generale della canzone. Forse il tasto dolente lo si trova nella cover You’re The One That I Want, versione interessante sulla prima parte del brano perché inaspettata, ma che tende a dare la sensazione di non concludersi mai. Who Cares è la ballad, intima e delicata, performata assieme ad una giovanissima voce, quella di Sophie Elle. E non è l’unica a prestare la sua voce per questo disco. Troviamo infatti un feat. con Jane Jeresa nella track di Grease, e la cantautrice Lucia Lombardo nell’emozionante ed intensa In The Hands Of Time. Ottima la scelta di inserire come ultima traccia la cover di Why Should I Be So Lonely, dove Ruben con la sua voce dal timbro caldo e avvolgente, pare quasi volerci cantare una ninna nanna sussurrandoci “per oggi ho finito, ma ci rivedremo presto”.

Il disco nel complesso è coerente con la scelta di tutti i vari arrangiamenti curati dal chitarrista Luca Crippa, che ben si legano fra loro e che attingono ai vari generi musicali riscontrabili nel southern rock americano. The Larsen’s Sessions/ Live In Studio è un album che si potrebbe ascoltare tranquillamente seduti sul proprio divano sorseggiando un bicchiere di vino, oppure facendoci guidare dal suo sound nell’immaginarci seduti su un prato di fronte ad un live show.

Autore: Ruben Minuto Titolo Album: The Larsen’s Sessions / Live In Studio
Anno: 2021 Casa Discografica: Delta Promotion
Genere musicale: Southern Rock, Rock Blues Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/ruben.minuto/
Membri band:
Luca Crippa – chitarra
Jane Jeresa – voce
Sophie Elle – voce
Lucia Lombardo – voce
Tracklist:
1. Molly And Tenbrooks
2. This Hour Of The Day
3. Jimmy Two Steps
4. Along The Way
5. You’re The One That I Want (Feat. Jane Jeresa)
6. High Heel Shoes
7. Be Alive
8. Who Cares (Feat. Sophie Elle)
9. In The Hands Of Time (Feat. Lucia Lombardo)
10. Why Should I Be So Lonesome (lonely)
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Rock Blues
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22nd Feb2021

Colonel V. – The Millenary Preacher

by Marcello Zinno
Paul Venturi veste i panni di Colonel V. per dare la giusta forma al suo progetto solista e decide di optare per il formato vinile per il suo nuovo lavoro. Scelta assolutamente approvata a nostro parere per il genere proposto, la resa infatti del blues su giradischi è impagabile anche se il blues di Venturi non è propriamente il canonico blues che tutti conoscono. C’è un grande uso dei cori e un concetto di melodia che sembra a tratti scorporato dalla ritmica, a differenza invece del blues noto ai più nei quali questi due ingredienti sono strettamente legati e dipendenti l’un l’altro. Certo, facile premiare i momenti in cui l’energia sembra uscir fuori dagli amplificatori: I Ain’t Gonna Be Your Dog è l’esempio del brano essenziale quanto ballabile, capace di spingere le pulsazioni ad una crescita costante. In questa direzione va citato l’interessante American Stew che a metà corsa vede inserirsi dei passaggi tra lo sperimentale e lo psichedelico, dimostrazione della visione aperta di blues dell’artista.

Ma The Millenary Preacher è qualcosa di più: Polinice Island è una traccia che va oltre le note e che con la sua slide porta il blues ad un livello crudo, viscerale. La conclusiva Mary è una lunga litania blues che ricorda le radici del genere, in alcuni momenti apparentemente contaminato alla gospel. Nel complesso quello di Paul Venturi è un bel lavoro, ma se proprio si vogliono scardinare i confini del blues si potrebbe osare ancora di più. Go Venturi, go!

Autore: Colonel V. Titolo Album: The Millenary Preacher
Anno: 2020 Casa Discografica: L’Amor Mio Non Muore Dischi
Genere musicale: Blues Rock Voto: 6
Tipo: LP Sito web: https://www.facebook.com/colonelv
Membri band:
Paul Venturi – voce, banjo, chitarra
Piero Perelli – batteria, percussioni
Tiziano Popoli – synth

Don Antonio – piano su Rosy e American Stew, chitarra su Kind O’ Livin’
Mary Eloisa Atti – cori
Sara Zannoni – cori
Tracklist:
1. Rosy
2. Rock Is The Rock
3. Kind O’ Livin’
4. American Stew
5. The Millenary Preacher
6. Polinice Island
7. I Ain’t Gonna Be Your Dog
8. Mary
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Rock Blues
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01st Lug2020

Miguel Y La Muerte – Blaxploitation

by Marcello Zinno
Miguel Y La Muerte si presentano con questo Blaxploitation, album composto da rock blues sfaccettato e multiforme. Certo, il biglietto da visita non è confortante visto che di duo project che puntano su queste sonorità ce ne sono diversi e che il moniker non è altro che la fusione dei nomi dei due membri, ma noi non badiamo alla facciata bensì alla sostanza. Non conosciamo le ambizioni della band, noi non potremo parlare di “stravolgere il rock”, sarebbe inopportuno visto che ha dato origine ad una moltitudine di sottogeneri e band che sarebbe lungo perfino scriverli; in Blaxploitation non vi sono derive innovative né si sentono ambizioni nel voler scrivere pagine storiche di musica, vi sono però sicuramente costruzioni ben fatte, assoli molto ben eseguiti all’interno di cornici blues ormai stranote. Ecco questa è l’essenza del duo, partire da un costrutto ritmico o da accordi relativamente conosciuti o riconoscibili (She’s Got The Trunk sembra uscito da un album degli ZZTop) e aggiungere il proprio marchio, qualcosa che spinga l’ascoltatore ad ascoltarli. A volte sono dei cori ben fatti, altre volte delle chitarre a tratti acustiche a tratti elettriche che offrono un sapore intenso o ancora citazioni colte (Torpedo Fish, PT. I e II), ma in generale, dal nostro punto di vista, manca qualcosa. Secondo noi manca quel groove che ti afferra e ti rapisce, quell’intensità che se stai ascoltando distratto all’interno di un locale ti blocca i pensieri e ti porta a guardare fisso il palco.

L’esempio lampante è STO – CAR un brano che non definiremo mai brutto: i riff ci sono, le variazioni pure e c’è una buona amalgama dei suoni…ma il brano non decolla mai, sembra sempre un passo dietro alla vera esplosione. Nervous ci piace con quel suo sapore hard e l’intenso assolo, Nuclear Flower passa al bluegrass ma quante formazioni già ci sono che propongono queste sonorità?! Infine Experience è un buon pezzo, quasi una ballad ma con diversi ingredienti, non il classico pezzo lento strappalacrime e che si evolve in qualcosa di elettrico. Sicuramente quindi ci sono dei buoni presupposti ma a nostro parere serve più carica e più groove per conquistare gli ascoltatori, un po’ ciò che sembra promesso dalla splendida copertina di questo lavoro. O almeno per noi è stato così.

Autore: Miguel Y La Muerte Titolo Album: Blaxploitation
Anno: 2020 Casa Discografica: Mr. Blue Records
Genere musicale: Rock Blues Voto: 6
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/MiguelYLaMuerteArexicanAcousticBand/
Membri band:
Miguel Sanchez – chitarra, voce, armonica a bocca, basso, bass drum
Pedro Lamuerte – chitarra, voce, armonica a bocca, basso, batteria
Tracklist:
1. Pendular Blues
2. Nervous
3. She’s Got The Trunk
4. Nuclear Flower
5. Torpedo Fish, Pt. I E Ii
6. STO – CAR
7. Foocheck – Yo’s Black
8. Experience
9. Crognolo Man
Category : Recensioni
Tags : Rock Blues
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21st Giu2020

ZZ Top – La Futura

by Simone Rossetti
Chiiiiii? Gli ZiZi Tooooop?! Sì, gli ZZ Top, strano come li si consideri sempre un gruppo “minore”, se ci fate caso non si parla mai di loro in termini di “grande gruppo rock”, quasi snobbati dalla critica che conta e dai cosiddetti espertoni. Sarà per il loro stile così “zztopiano” sempre e comunque ostinatamente fedele a se stesso, sarà per il loro essere fieramente sudisti-texani (esteticamente e musicalmente) o forse per la loro ironia un po’ campagnola e “macho” condita dai soliti luoghi comuni (ragazze prosperose e motori), eppure stiamo parlando di una band che nel 2004 è stata inserita nel Rock And Roll Hall Of Fame (per quel che può valere, ma non certo per caso). Il loro “capolavoro” risale addirittura al 1973 con l’album Tres Hombres poi a seguire una serie di album minori; negli anni 80 conobbero la notorietà mondiale da alta classifica grazie ad una serie di singoli di successo (che strizzavano però l’occhio a sonorità proprie di quel tempo), di nuovo la mediocrità fra alti e bassi, attenzione però, parliamo di mediocrità ma bisogna considerare che la loro formula comunque “chiusa e ripetitiva” non lascia molto spazio a variazioni o tematiche diverse, tutto si sviluppa all’interno della classica forma-canzone, quindi, o si indovina il pezzone da classifica o si resta in un limbo fatto di brani buoni ed altri meno.

Questo preambolo per arrivare all’oggi, cioè al 2012, anno di pubblicazione del loro, finora, ultimo album dal titolo La Futura: la solita zuppa quindi?! Sì, ma una zuppa di quelle di una volta, come sapevano fare le nostre nonne: povera, pochi ingredienti ma sostanziosa, nutriente, naturale e soprattutto fatta con amore e passione. Dimenticatevi gli zupponi infarciti di ingredienti (effetti) speciali, solo ed unicamente la ricetta classica, un po’ di vecchio buon blues del Texas su tessiture più rock, tanto basta e avanza per riempirsi il palato e la pancia. Si parte con il mid-tempo di I Gotsta Get Paid, basso pesante, riffone sostenuto, buon solo di chitarra e la calda e rassicurante voce di Gibbons che sa di deserto e buon whisky; Chartreuse ha lo sferragliare di un treno in corsa, si tira dritto, nessuna sosta, buon refrain e via; Consumption rallenta ma sostanzialmente riprendendo la struttura della precedente con variazioni nel più profondo blues texano, arriva Over You, ed ecco un pezzo da novanta, cioè, uno non se lo aspetterebbe e invece eccolo qui, e va detto, è perfetto, introdotto da pochi arpeggi di chitarra, una voce che più roca non si può, un pezzo scarno e povero ma che si apre in un refrain senza tempo ed un solo di chitarra senza inutili fronzoli che colpisce al cuore. Heartache In Blue è orecchiabile e leggera arricchita dall’armonica di Harman, un onesto e semplice blues dalle tinte rock; si torna a spingere con I Don’t Wanna Lose, Lose, You altra cavalcata blues rock con un genuino chorus che resta impresso. Flyin’High è più ottantiana con un ritornello (non banale) che sarà perfetto per la vostra autoradio; It’s Too Easy Manana altro gran pezzo “old style”, una ballata rocciosa e crepuscolare dai sapori settantiani, Big Shiny Nine è un polveroso e alcolico rock’n’roll blues texano senza fissa dimora; si chiude con Have A Little Mercy, se vi aspettate una qualche apertura o variazione cromatica sbagliate, niente di tutto ciò, si procede a testa bassa con un blues sporco e polveroso da Route 66.

È arrivato il momento di concludere e di tornare alla zuppa, un profumo così riconoscibile ed intenso da sembrare quasi di essere lì mentre vostra nonna ve la sta preparando (registrazione in presa diretta) compresi tutti i rumori classici di una cucina dove si cucina per davvero (noterete che molti dei brani terminano quasi di netto e bruscamente, ma non è un errore o un difetto), il profumo è quello di ingredienti veri, oggi quasi spariti (un blues senza mediazioni), vi assicuriamo (ma lo saprete già) che quando la zuppa è fatta da chi la sa fare si ritorna sempre perché è onesta e maledettamente vera, proprio come questo La Futura.

Autore: ZZ Top Titolo Album: La Futura
Anno: 2012 Casa Discografica: American Recordings
Genere musicale: Rock Blues Voto: 8
Tipo: CD Sito web: https://www.zztop.com
Membri band:
Billy Gibbons – voce, chitarra, piano
Dusty Hill – basso, cori
Frank Beard – batteria
James Harman – armonica
Dave Sardy Joe Hardy – piano, organo
Tracklist:
1. I Gotsta Get Paid
2. Chartreuse
3. Consumption
4. Over You
5. Heartache In Blue
6. I Don’t Wanna Lose, Lose, You
7. Flyin’High
8. It’s Too Easy Manana
9. Big Shiny Nine
10. Have A Little Mercy
Category : Recensioni
Tags : Rock Blues
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16th Giu2020

Farty Wayne – The Walking Wayne

by Marco Pisano
La band piemontese Farty Wayne, con il suo secondo lavoro The Walking Wayne, è riuscita a tirare fuori dal cilindro un album decisamente granitico e concreto, caratterizzato da un dirty blues decisamente selvaggio e sostanzioso, di quelli che ti tiene incollato dalla prima all’ultima traccia. Oltre alla componente blues interpretata nella sua accezione più dirty, ne emerge anche un’altra fortemente influenzata dal garage, genere con cui il blues è andato spesso a braccetto, molte volte con ottimi risultati. E questo è decisamente uno di quei casi; la dimensione più chiassosa e grezza del garage dona al blues dei Farty Wayne quell tocco dirty, aggressivo al punto giusto e quella consistenza densa e grassa che ci piace molto; rendendolo estremamente schietto e sincero, come un buon bicchiere di Jack Daniel’s o di scotch. Emergono anche delle influenze country e roots che contribuiscono a dare all’album un’atmosfera quasi bucolica, quasi fossimo in qualche ranch del Tennessee o del Texas, magari in compagnia di qualche redneck.

Un sound che poco concede ai fronzoli, ai virtuosismi, ai tecnicismi e al superfluo e che invece punta all’essenziale e va dritto al punto. L’album ci è piaciuto molto, specialmente per la sua spontaneità e la sua carica grezza e vitale; la registrazione e il mixaggio lasciano intuire la volontà da parte della band di conservare una dimensione quasi casereccia, da scantinato. E devo dire che, ci piace così.

Autore: Farty Wayne Titolo Album: The Walking Wayne
Anno: 2019 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Rock Blues Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/fartywayne
Membri band:
Alx Bonny – voce, chitarra
Tanaka – basso
Bramba – batteria
Tracklist:
1. Disco Trash
2. Mucho Brutal
3. Ivrea
4. Lost Lullaby
5. The Neighbor Grass
6. The Fat Of My Friend
7. Electric Tomino
8. Uncle Beta
9. Serious Lake
Category : Recensioni
Tags : Rock Blues
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24th Mar2020

TSbluesone – ‘Na Spiranza

by Marco Pisano
“Non è per niente strano che il blues attecchisca così spesso e così tanto nel sud del mondo. Prende forme diverse in periodi e luoghi diversi ma la sua presenza si manifesta sempre.” Così recita la cartella stampa di presentazione del lavoro di TSbluesone (AKA Antonio Spina) e onestamente non saprei trovare parole migliori per descrivere la capacità del blues di diventare la voce degli ultimi, degli emarginati, di rappresentare in tutte le sue sfumature e sfaccettature, la vita di provincia e in generale, delle zone più povere e bistrattate del mondo. Che si tratti dei sobborghi di New Orleans, Chicago, Los Angeles, Nashville, St. Loius (luoghi di elezione e nascita del blues) o del più sparuto e sperduto paesino della provincia catanese (luogo di provenienza di Antonio Spina), rimane inalterata e immutata la sua fortissima carica rappresentativa ed evocativa, anche fondendosi e mischiandosi nella maggior parte dei casi con i costumi e le usanze dei luoghi di adozione, creando così suggestive e particolari creature e forme espressive; come nel caso di questo lavoro, ‘Na Spiranza, diviso fra l’uso del dialetto catanese e dell’italiano per quanto riguarda la parte vocale e testuale.

Attualizzando e rielaborando in maniera coraggiosa e dinamica alcuni dei temi più canonici del blues, quali la sofferenza d’amore, la delusione per una vita al di sotto delle proprie aspettative, le difficoltà della vita quotidiana, Antonio ci prende per mano, e, assieme al suo fidato dobro e alla sua voce calda e densa, ci porta alla scoperta della sua Sicilia e della sua Catania. Ci racconta, con tono schietto e sincero, le difficoltà e le problematiche quotidiane della sua città e della sua gente, affrontate sempre con realismo, ma anche con il sorriso e con la speranza di un avvenire più sereno e felice, di trovare sempre una soluzione ai problemi e una possibilità di riscatto, anche nelle situazioni più disagiate e difficili. Una Catania dipinta con le tinte calde del blues, che si apre anche all’influsso di altre suggestioni musicali, come l’elettronica, il folk, il cantautorato più classico della tradizione italiana e del blues rock anni 60/70. Un blues errante e vagabondo, sempre pronto a far fagotto e a ripartire per chissà quale altra destinazione in ogni momento, un’anima inquieta, che necessità di grandi spazi, di libertà, e che non può essere rinchiusa dentro quattro mura.

Questa è la sensazione più spiccata che si ha ascoltando questo disco, di sentirsi costantemente in movimento, mai fermi nello stesso luogo e con una forte esigenza di libertà. Un buon esempio di roots rock e di blues nostrano, a dimostrazione di quanto detto all’inizio, cioè della grande capacità del blues di attecchire nei luoghi più disparati e di scaldare il cuore di chi lo ascolta e di chi lo fa, parlando quel linguaggio universale in grado di abbattere le barriere, i confini e di farsi voce degli ultimi e degli emarginati. Intrigante e interessante la scelta da parte di Antonio di utilizzare il dialetto catanese per i testi, comunicando così un forte senso di appartenenza e di amore per la sua Sicilia e la sua Catania.

Autore: TSbluesone Titolo Album: ‘Na Spiranza
Anno: 2020 Casa Discografica: Dcave Records
Genere musicale: Blues Rock, Folk, Cantautorale Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/TSBluesone/
Membri band:
Antonio Spina – voce, chitarra, dobro
Daniele Grasso – chitarra, basso, elettronica
Peppe Scalia – batteria, percussioni in Sempri No
Tracklist:
1. Sempri No
2. C’Ama Fari
3. Solite Ragioni
4. Canta Ca Passa
5. Segno
6. Uno Come Me
7. Non Ni Vogghiu
8. ‘Na Spiranza
Category : Recensioni
Tags : Rock Blues
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25th Feb2020

Ramrod – Jet Black

by Marcello Zinno
L’hard blues non muore mai, possono trascorrere degli interi lustri o anche più senza ricevere nuovi impulsi discografici da questo fantastico genere musicale, ma poi c’è quella novità, quella formazione che è capace di ricordare a tutti l’impatto emotivo e le intense pulsazioni che l’hard blues è in grado di regalare (chi di voi ha pensato ai Rival Sons?!). Rinasce come la fenice, un po’ come i Deep Purple che sembravano finiti e poi ci hanno regalato quel bellissimo Infinite, e tutt’oggi si rimangiano la parola “addio” per risorgere ancora. E il riferimento ai Deep Purple non è fuori luogo visto che in diversi momenti i Ramrod ci ricordano la storica formazione (seppur nei tanti mark), basti ascoltare Ares Call del nuovo album Jet Black per capire la vicinanza con quei suoni. Ma la loro incredibile capacità sta nell’incantare sia su brani più soffusi, come l’incantevole Bluesy Soul o l’intensa Sorrow, sia in momenti più carichi come Lion Queen che sembra una lunga jam session in cui i singoli strumenti si prendono i loro spazi o come l’opener anc’essa molto Deep Purple; non ci sentiamo di escludere l’ultima traccia con le sue influenze medio orientali e il flauto che trabocca, un lungo viaggio onirico che si conclude anch’essa con una forma di jam.

Eccezionale la voce di Martina Picaro, non solo per tonalità e timbrica (già assolutamente invidiabili) ma per un’interpretazione vocale che fa il pari come per natura al genere di riferimento ed esalta ogni singola nota. Eppure gli altri musicisti non sono assolutamente secondi al grande impatto di Martina, riescono ad entrare nel cuore del blues e far esplodere l’animo rock, emergendo anche strumentalmente (l’intermezzo strumentale di Glass Of Wine è solo un esempio, se pur emblematico) e creando un connubio assolutamente mortale. Jet Black è un album intriso di emozioni e sfumature, hard blues con classe ed eleganza. Un album che passerà la prova del tempo.

Autore: Ramrod Titolo Album: Jet Black
Anno: 2019 Casa Discografica: Black Widow Records
Genere musicale: Hard Blues Voto: 8
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/ramrodband/
Membri band:
Martina Picaro – voce
Marco Picaro – chitarra, flauto
Emanuele Elia – basso
Adriano Roll Nolli – tastiere
Daniel Sapone – batteria
Tracklist:
1. Don’t Call Me Sunshine
2. Ares Call
3. Sorrow
4. Lion Queen
5. Glass Of Wine
6. Turning Bad
7. Bluesy Soul
8. Sweet Mel
9. Leda
Category : Recensioni
Tags : Rock Blues
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