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06th Feb2020

Max Zanotti – A Un Passo

by Paolo Tocco
Ho sempre odiato la sabbia del mare, quel certo modo che ha di farsi ritrovare ovunque. Ho sempre odiato quella ruggine che crea negli interstizi delle cose. Ho sempre detestato quel bisogno inenarrabile di acqua per lavarla via come si deve, e di sete anche, ma non sono mai stato in un deserto che immagino sempre come negli scenari un po’ gitani e un po’ da nativi americani. Chissà se la sabbia nel deserto è meno stronza di quella che c’è ai bordi del mare. E chissà anche che effetto fa pensare alla vita con qualche buon distillato nelle vene. Chissà che effetto fa sentirsi addosso i cori angelici pensando che forse la salvezza non è qualcosa che scende dal cielo ma arriva da sotto la pelle che abbiamo. Eppure io non ci sono mai stato in un deserto come si deve per quanto il deserto arriva dentro ogni volta che penso ai miei fallimenti.

E mescolando tutto questo e tanto altro ancora, mantecando il tutto con una buona dose di quello scenario da Dodge del ’69 ai bordi di una periferia americana, consumata di notte ovviamente, a portata di alcool e tra disadattati sociali (ma senza esagerare sia chiaro), cercando anche di figurarsi da una parte le ferrosità scure di Mark Lenagan e dall’altra qualche buon proposito roots di Ane Brun, allora capiremo anche dove trovarci una volta messo su questo bel vinile di Max Zanotti. Il suo secondo lavoro personale dal titolo A Un Passo che davvero puoi rischiare d’averne dipendenza, viste le bellissime tinte in pieno stile acustico come la titletrack che chiude l’ascolto o quella perla di grazia che è On The Other Side dove troviamo la voce di Kayla Parr come protagonista indiscussa per tutto il brano. E poi c’è aria di preghiera, c’è l’aspetto corale a guisa di gospel che richiama istanti tribali, spiritualità noir e tanto altro ancora…e se gli incisi di Love Me Blind mi elevano lo spirito pur restando incollati a trame industriali (rimando immediato alla Los Angeles metropolitana di Harley Davidson & Marlboro Man) allora è anche vero che i riverberi di Blinking Frames e di Devil In My Veins sono inequivocabilmente figli di un deserto, tra sacrifici di danze e rituali indiani.

Porta il fuoco questo disco, lo porta con sé ed è un 33 giri di grande spiritualità che forse, lo dico ancora e ancora ogni volta che ho davanti alle orecchie dischi come questo, vorrei sentire più americano di quel che mi arriva…sarà che pecco di presunzione o di rigidità intellettiva data da banalissimi pregiudizi, ma questo suono è sì sporco ma troppo fermo, antico sì ma fin troppo deciso e sicuro per essere un coccio vecchio o un pezzo di ferro del rigattiere che sta ai bordi della periferia. Per quanto la odio, vorrei sentirla per davvero quella sabbia stronza che ti si ficca dentro le scarpe o stride di ruggine dentro le articolazioni di una cerniera. Vorrei sentirla quella sabbia stronza e invece questo disco, come spesso mi capita nei dischi “desertici”, sembra fin troppo pulito, pronto per l’uso insomma. E forse sono solo mie paranoie, forse questo gusto tutto mio è qualcosa che a Max Zanotti non interessa affatto e non solo ci sta tutto ma anche un sonoro “sticazzi” non farebbe una lira di danno.

Lontano anni luce dai Casablanca che hanno la rabbia dentro il loro rock italiano. Lontano anni luce dalle smielate ricerche folk dei soliti “italiani finto americani” e altrettanto lontano dalle mai riuscite ricerche di quel blues d’epoca che alla fine, gira che lo rigiri, sempre al pop torna. A Un Passo è lavoro di grande spiritualità, tanto per dirlo ancora, e lo dimostra anche la forma canzone, semplice e lineare, mai scontata ma neanche per niente predicibile a priori. A un passo dal nostro naso c’è Sanremo. E finché avremo questa piaga sociale non capiremo mai qual sia lo spazio della bella musica italiana.

Autore: Max Zanotti Titolo Album: A Un Passo
Anno: 2020 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Blues, Rock Acustico Voto: 7,5
Tipo: LP Sito web: www.maxzanotti.com
Membri band:
Max Zanotti
Tracklist:
1. In Una Goccia Di Veleno
2. La Mia Sporca Abitudine
3. Love Me Blind
4. On The Other Side
5. Non Ho Visto Niente
6. Qualcuno Qui Si Ferirà
7. Blinking Frames
8. Ti Salvo L’anima
9. Devil In My Veins
10. A Un Passo
Category : Recensioni
Tags : Rock Blues
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11th Dic2019

Francesco Piu – Crossing

by Aldo Pedron
Visto di recente dal vivo in trio con il nipote Mario Più al basso al Teatro Duse di Besozzo (Va) sabato 30 Novembre 2019, Francesco Piu si conferma uno degli artisti più eclettici, importanti e di spicco dell’intera galassia italiana con una performance in cui esce tutta la sua tecnica e bravura chitarristica accostabile forse soltanto allo stile Allman Brothers Band dei chitarristi Duane Allman, Richard Betts, Derek Trucks, Warren Haynes. Ebbene Francesco Piu in ogni disco spiazza critici ed ascoltatori perché nessun album è uguale all’altro, anzi, in ogni progetto il nostro songwriter, chitarrista, pluristrumentista e cantante sorprende per inventiva, innovazione, tecnica e gusto musicale. Negli altri dischi si era abituati a sentire suoni più spumeggianti, esuberanti e frizzanti, talvolta fragorosi dove trasparivano ritmi soul, funk, blues e rhythm and blues mentre in Crossing si cambia registro e più semplicemente si va alle radici della musica e alle fondamenta del blues, da cui nasce tutto. Nei suoi precedenti dischi Maa-Moo Tones del 2012 e The Cann O’ Now Sessions (registrato in un vigneto nei pressi di Santa Maria La Palma, Alghero) del 2018 il bluesman di Osilo in provincia di Sassari aveva già seminato e rispolverato i suoni della sua terra mentre Peace & Groove del 2016 è una sorta di blues croccante, come Francesco Piu ama definire i propri live act, fra i più infuocati e divertenti in circolazione.

Il viaggio di Francesco nel mondo blues è iniziato nel 2007 con Blues Journey ed ora a distanza di 12 anni ecco il suo incontro con il vero padre e pioniere del blues, Robert Johnson (1921-1938) di cui si dice esistano soltanto 29 brani, le basi del blues stesso. Francesco Piu però non si limita a rileggere il repertorio del noto bluesmen bensì ci trasporta idealmente nel mediterraneo facendo incontrare le radici del blues del Mississippi con le sonorità della sua Sardegna e spingendosi sino ai suoni e agli echi che ci giungono dall’Africa. In Crossing, in cui appare evidente il suo illuminante lavoro di ricerca e azzeccate commistioni, egli utilizza oltre alla chitarra elettrica i tipici strumenti a corda di origine mediterranea, percussioni africane e orientali, strumenti inusuali ma efficaci come l’oud, la kora (suonata da Jally Tamba), il tenore bassu (suonato da Gavino Murgia), il djembè, la darbuka araba e lo yambù (suonati da Paolo Succu), le launeddas sarde (con Alessandro Quartu) e il calebasse (strumento a scuotimento ed una sorta di sonaglio di zucche essicate e svuotate) di Bruno Piccinnu. Il disco è impreziosito da alcuni ospiti: Antonello Salis (accordion e whistle) e Lino Muoio al mandolino in They’re Red Hot, Gino Marielli dei Tazenda (Hand drum), Bruno Piccinnu e Franziscu Pilu (pipiolu) dei Cordas Et Cannas. Francesco Piu è alla ricerca di suoni variopinti e peculiari, dove l’obiettivo è di integrare la strumentazione popolare in un linguaggio universale e dove la musica blues traghetta le profonde radici e tradizioni musicali sino ai nostri giorni.

Dicevamo un album Crossing in cui Francesco presenta 10 brani di Robert Johnson con una sua personale chiave di lettura. Il Delta Blues del Mississippi sbarca in Sardegna e già nell’iniziale Come On In My Kitchen s’incrociano folk, blues, musica etnica ed africana. Nel classico Me And The Devil appare la batteria elettronica e vari campionamenti così come in Hellbound On My Trail ci sono synth bass, shakers, campionamenti vari del dj Cris e la batteria elettronica di Francesco Ogana mentre Francesco Piu oltre a cantare nel brano (rigorosamente in inglese), suona il bouzouki, la chitarra elettrica e scandisce il tempo con le percussioni del tumbarinu de Gavoi (un paesino incantato della Barbagia di Ollolai nel centro della Sardegna ed in provincia di Nuoro). Bellissima la ballata From Four ‘Til Late dai suoni pallidi ed eterei con gli shakers e la batteria di Silvio Centamore con Francesco Piu al dobro e Jally Jamba alla kora. Stop Breaking Down per i rockettari più accaniti la ricordiamo nel doppio LP dei Rolling Stones Exile On Main Street del 1972 ma qui in una versione totalmente differente e più abrasiva. Crossroad Blues qui forse con echi chitarristici dell’extraterrestre Jimi Hendrix e per buona pace di Eric Clapton, rappresenta il famoso incrocio, dopo Robert Johnson vendette l’anima al diavolo, ma è l’incrocio di culture e tradizioni con un Francesco Piu indemoniato con tanto di feedback elettronico, oud e lap steel guitar.

In Crossing la contaminazione è evidente, palese ed il risultato è sorprendente per un artista pieno di fantasia ed inventiva e dove Francesco riesce a mediare ed amalgamare il rispetto per le tradizioni ed una audacia innovativa e moderna al passo con i tempi. La Love In Vain di Robert Johnson di cui si sono appropriati i Rolling Stones qui viene addolcita dalla fisarmonica e dai flauti di Antonello Salis (classe 1950), fisarmonicista e pianista di fama internazionale già con Los Sardos, i Nati Stanchi, Barritas, Salis’n Salis, i Cadmo, i P.A.F. con Paolo Fresu e nel gruppo Giornale Di Bordo con Gavino Murgia nonché collaboratore dal vivo e nei dischi con i più prestigiosi artisti di tutto il mondo. Un disco coraggioso ed innovativo al tempo stesso che può realizzare soltanto chi ha una perfetta dimestichezza, padronanza e conoscenza del blues e della musica tutta tonda.

Autore: Francesco Piu Titolo Album: Crossing
Anno: 2019 Casa Discografica: Appaloosa Records
Genere musicale: Rock Blues Voto: 9
Tipo: CD Sito web: www.francescopiu.com
Membri band:
Francesco Più – voce, chitarra, oud, calebasse, bouzouki, dobro, tumbarinu, lap steel guitar
Bruno Piccinnu – calebasse, djembè, daf, shakers, tar
Lino Muoio – mandolino
Antonello Salis – fisarmonica, whistle
Gavino Riva – basso, cori
Jally Tamba – kora
Giuseppe Loriga – batteria
Gavino Murgia – tenore bassu
Francesco Ogana – batteria, synth
Silvio Centamore – shakers, batteria
Alessandro Quartu – pipiolu, launeddas
Fabrizio Leoni – basso, contrabbasso
Dj Cris – scratches, samples
Stefano Romano – launeddas
Paolo Succu – tumbarinu de Gavoi
Denise Gueye – cori
Rita Casiddu – cori
Elisa Carta – cori
Franziscu Pilu – pipiolu
Gianfranco Marongiu – djembè
Tracklist:
1. Come On In My Kitchen
2. Me And The Devil
3. Stop Breaking Down
4. From Four ‘Til late
5. Stones In My Passway
6. They’re Red Hot
7. Crossroad Blues
8. Hellhound On My Trail
9. If I Had A Possession Over Judgement Day
10. Love In Vain
Category : Recensioni
Tags : Rock Blues
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03rd Nov2019

Vincenzo Grieco – Misleading Lights Of Town

by Marcello Zinno
Per chi si troverà per la prima volta tra le mani questo album il pensiero di trovarsi dinanzi all’ennesimo guitar hero di turno sarà sicuramente una tentazione evidente. Vincenzo Grieco è sicuramente un’ascia di tutto rispetto e le sue esibizioni alla sei corde sono note soprattutto per chi bazzica la scena romana, ma questo suo primo album solista è tutt’altro che un album per chitarristi, basta dire che compaiono sei cantanti diversi. L’opener accende subito la miccia affondando le mani nell’hard’n’heavy di scuola Whitesnake/Dio con un pezzo al fulmicotone, ma il metal non è il fulcro di questo album. Se avete apprezzato questo pezzo vi consigliamo l’esercizio della titletrack, più tendente all’AOR, ma con la stessa magia dei brani di quell’epoca. Fascinoso lo stile, pulitissima e azzeccata la produzione: Misleading Lights Of Town è un album che pulsa energia decenni addietro ma che si vanta di suoni e scelte che si fanno strada anche ai giorni nostri.

Le radici di Grieco sono evidenti: Dizzy Heights omaggia Jimi Hendrix (artista che Vincenzo omaggia con una tribute band), That Brand New Perfect Tune è un’esaltazione del rock blues con tanto di fiati al seguito che impreziosiscono il pezzo. Ma il range musicale è ancora più ampio, con la strumentale An American In Rome (On For Brent), un esercizio di country’n’roll tecnico e veloce che potrà essere fonte di studio per chitarristi alle prese con la pratica e gli esercizi per le dita, o ancora la ballad 1995, molto ispirata ai pezzi lenti ottantiani ma senza finire per imitarne troppo la resa finale.

Vincenzo Grieco, contornato da ottimi musicisti, dà alla luce un album davvero interessante, che spazia tra generi musicali differenti. Una musica stilosa a cui si potrebbe muovere solo una critica: il chitarrista avrebbe tutti gli strumenti per poter aggiungere del suo e rendere il songwriting più originale e personale, se infatti questo album è anche un omaggio ai generi che furono dal prossimo possiamo attenderci qualcosa che possa incuriosire anche gli ascoltatori più giovani.

Autore: Vincenzo Grieco Titolo Album: Misleading Lights Of Town
Anno: 2019 Casa Discografica: Red Cat Inst Fringe
Genere musicale: Rock Blues, Hard’N’Heavy Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.vincenzogrieco.it
Membri band:
Vincenzo Grieco – chitarra, voce in Crazy Funny Lovely Whiskey Nights
Marco Polizzi – basso
Piero Pierantossi – batteria
Emanuele Casali – piano, tastiere

Special guest:
Giulio Giancristofaro – basso, voce in traccia 3
Alessandro Accarsi – batteria in traccia 3
Andrea De Luca – voce in traccia 5, 10 e cori in traccia 8
Giorgio Lorito – voce in traccia 1 e 7
Sara Facciolo – voce in traccia 2, 8, cori in traccia 5
Claudio Maffei – voce in traccia 4
Damiano Borgi – voce in traccia 9
Elena Maritano – cori in traccia 5
Tracklist:
1. Crashing Waves
2. Don’t Lay Your Love To Waste
3. Dizzy Heights
4. 1995
5. That Brand New Perfect Tune
6. An American In Rome (On For Brent)
7. Misleading Lights Of Town
8. Crazy Funny Lovely Whiskey Nights
9. Lord Of The World
10. The Bear, The Smart One, The Dandy And The Rockstar
Category : Recensioni
Tags : Rock Blues
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19th Set2019

Mr. Deadly One BAD Man – Breakdown

by Marcello Zinno
Definire un vero e proprio album l’esordio di Daniele in arte Mr. Deadly One BAD Man, sarebbe un po’ eccessivo, non intendiamo dargli una connotazione dispregiativa ma è una costatazione quasi oggettiva. Con la sua durata (25 minuti) e la sua produzione molto lo-fi e l’esecuzione in presa diretta (scelte crediamo volute) Breakdown si avvicina più ad una demo utile per presentare questo nuovo progetto che non come un full-lenght vero e proprio. Ma Daniele non è un musicista alle prime armi, nonostante si sia fatto conoscere come batterista dei Gentlemens mentre qui si cimenta come musicista a tutto tondo e cantante, e probabilmente la sua intenzione è proprio quella di rendere questo Breakdown sporco, ruvido, dannatamente blues. E questo lo fa, ci mancherebbe: ciò che arriva in pieno volto, oltre la chitarra e la grancassa, è una ventata di polvere che ci fa strizzare gli occhi e ci ostacola la vista, così da immaginarci il contesto in cui queste tracce sono nate. Per il resto il blues è il buon vecchio blues che ascoltiamo da tanti decenni, solo che qui a inventarlo e suonarlo è solo un musicista (anche questa non una grande novità).

Pezzi come Not Good Mate e Out Night sono echi della scena blues storica, poi si acquista un po’ di ritmica e giunge Love Me che ricorda i Rolling Stones, salvo poi con l’ultima accarezzare il folk blues. Ma quanti progetti di rock blues conosciamo in Italia e anche all’estero? Quanta cura dei suoni c’è in produzioni recenti, anche in generi che vestono i panni del vintage (brit rock ad esempio) e anche in formazioni che provengono dal sottobosto emergente? Ecco, e se ciò non bastasse allora ci sono sempre i grandi del passato che, come degli evergreen, stanno bene ovunque, anche perché loro lo inventarono uno stile. Per questo non troviamo tanti motivi per consigliare questo album. Torniamo ad ascoltare i The Cyborgs.

Autore: Mr. Deadly One BAD Man Titolo Album: Breakdown
Anno: 2 Casa Discografica: Skronk Records, Dead Music Roma
Genere musicale: Rock Blues Voto: 4
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/mrdeadlyonebadman
Membri band:
Daniele – voce, chitarra
Tracklist:
1. Your Breakfast
2. Dreams
3. Not Good Mate
4. Our Night
5. Go Away
6. Love Me
7. Three Teeth
8. My End
Category : Recensioni
Tags : Rock Blues
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06th Set2019

Alice Tambourine Lover – Down Below

by Marcello Zinno
Alice Tambourine Lover, un duo project i cui membri calcano da diversi anni la scena rock tricolore. Noi li conoscemmo con questo progetto ai tempi di Star Rovers, di cui avevamo parlato a questa pagina, e oggi ce li troviamo con qualche ruga in più (speriamo di no) ma sotto la medesima etichetta di allora (questo è certo) ad elargire un sound che è tanto immortale nella loro mente quanto nella musica in generale. Parliamo di psych blues, per far capire le due fondamentali radici del progetto, con un abito che sa di folk americano per il quale ai tempi scomodammo Janis Joplin e P.J. Harvey quali influenze principali e va constatato che è ancora così. Il loro segreto sta nell’orgia a tre che sono in grado di creare: quell’invischiamento di corpi che prende forma con l’amalgama di chitarra, tamburo e voce e che non solo crea uno stile particolare ma lo rende riconoscibile ad ogni traccia. Poi ci sono gli effetti che chiaramente in un costrutto così essenziale inspessiscono le idee della band e tramutano uno stile quasi magro in qualcosa pieno di sfumature. Le costruzioni presentano poche variazioni: ogni singola traccia si poggia su un pattern, su un motivo, che non solo è portante ma che si ripete per tutto il suo corso e sul quale il duo cerca di apportare degli inserti e trasportare l’ascoltatore verso una dimensione poco definibile. Questo è il patto che dovete sottoscrivere per entrare nel loro mondo, se siete alla ricerca di sperimentazione e cambi di atmosfere non sarà sufficiente nemmeno tutta la psichedelia di Down Below a farvi piacere la loro musica.

Intensa Follow, un brano che ammalia al primo ascolto mentre Rubber Land è il passaggio più country blues dell’album; il loro stile è per luoghi intimi che rendono perfettamente idea della loro musica rispetto a concerti o palchi giganti. Molto bello l’artwork dell’album, forse a qualcuno suggerirà generi lontani da quelli proposti da questo elegante duo, ma dal punto di vista puramente grafico a noi affascina.

Autore: Alice Tambourine Lover Titolo Album: Down Below
Anno: 2019 Casa Discografica: Go Down Records
Genere musicale: Rock Blues, Psichedelia, Folk Voto: 6,5
Tipo: LP Sito web: https://www.facebook.com/alicetabourinelover
Membri band:
Alice Albertazzi – voce, chitarra, cembalo da piede, percussioni
Gianfranco Romanelli – dobro, chitarra, armonica

Special guest:
Dandy Brown – voce in Dance Away
Sergio Altamura – chitarra in Train
Andrea Albertazzi – armonica in Rubber Land
Tracklist:
1. Down Below
2. Dance Away
3. Blow Away
4. Follow
5. Into The Maze
6. Rubber Land
7. Train
8. Surround You
Category : Recensioni
Tags : Rock Blues
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04th Mag2019

Velvetfish – Cocotropus Roseus

by Marcello Zinno
Arriva dalla Svizzera questo giovane quintetto che dà alla luce un EP intenso, fatto di sonorità settantiane ma che restano legate ad una matrice blues e quasi psichedelica. L’opener infatti mette in scena ritmi lenti che fanno immaginare tanto fumo sul palco e luci basse nel pub, mentre già dalla successiva Impossible la carica rock aumenta, non tanto in termini di ritmica ma di pathos, inoltre c’è un ottimo lavoro sulle linee vocali, sia la lead singer che con la sua timbrica “esce fuori” molto bene sia per la seconda voce (maschile) che accompagna egregiamente nel chorus; nell’intermezzo la singer Krystal sembra vestire altri panni, quasi soul, davvero attraenti. Ottimi gli assoli, non ci si stanca mai di sentirli e sono collocati al momento giusto, come una band di una certa maturità è in grado di fare. Bellissime le chitarre di Dark Motions che creano livelli su livelli, un brano che sembra eseguito da tanti musicisti e nel quale forse avremo preferito solo un basso più presente (a livello sonoro più che compositivo) ma in cui tutto gira a dovere.

Cocotropus Roseus è davvero un EP profondo ed affascinante, sembra di ascoltare un album finito e davvero molto curato, invece i ragazzi ci propongono un assaggio della loro musica, 18 minuti di rock d’autore, elegante e sapiente, uno stile quello dei Velvetfish che si fa ascoltare con molto disimpegno pur non risultando pop ma che allo stesso tempo cela ingredienti tutt’altro che banali. Bravissimi, è proprio su queste sfumature che i ragazzi possono migliorare ancora di più e regalarci, in futuro, qualcosa di unico. Per il momento assolutamente promossi.

Autore: Velvetfish Titolo Album: Cocotropus Roseus
Anno: 2019 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Rock Blues, Rock Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: https://www.facebook.com/velvetfishmusic/
Membri band:
Krystal – voce
Dude – chitarra
Nick – chitarra
Simon – basso, voce
Gab – batteria
Tracklist:
1. Help
2. Impossible
3. Dark Motions
4. Uncatchable
Category : Recensioni
Tags : Rock Blues
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26th Apr2019

Rainbow Bridge – Lama

by Maurizio Trentin
I Rainbow Bridge nascono nel 2006, una band che vede nell’esperienza del percorso creativo e musicale di Jimi Hendrix l’unica via in cui poter fondare la propria avventura. Il trio è composto da, Giuseppe JimiRay Pazzolla chitarra e voce, Fabio Chiarazzo chitarra e basso, Paolo Ormas batteria. Conseguenza?! Esprimono questa poderosa energia nei live, dove oltre a riprodurre il repertorio “hendrixiano“ rivedono anche pezzi dei personaggi basilari vicini alla scena musicale anni 60/70. Partecipano a numerosi festival tra cui il micidiale Jimi Hendrix Festival di Bologna. La mia curiosità è assetata e la scaravento nella loro nuova ed ultima produzione Lama. Uscito nel settembre 2018, offre una opportunità diversa di ascolto ed i sei brani che ne danno vita, sono creazioni e composizioni proprie. Un’ottima occasione per conoscere il frutto di queste esperienze passate ed in un certo senso, guardare negli occhi più profondi la vera “anima” dei Rainbow Bridge.

Con il tono del primo suono grezzo ed elettrico della chitarra, JimyRay mi permette di aprire quella porta all’interno della mia mente, in un viaggio che sicuramente mi risveglierà in dimensioni dove riattiveranno sensazioni remote o sperdute. Il timbro crudo, acido, ma corposo della chitarra, mi permette di mettere a fuoco alcune immagini ed ambienti a dir poco familiari. Mi ritrovo in un vecchio scantinato di un edificio popolare, in un’area urbana proletaria ed operaia. Ciò che più mi colpisce è il quotidiano ed attraverso una finestra stretta osservo con stupore il viavai di persone dall’abbigliamento ormai passato. Il passaggio di alcune automobili ed in particolare una vecchia filovia a conduzione elettrica, dalle sue antenne ben pronunciate, che scivolano nelle due corsie di grandi cavi elettrici, scorrendo in un preciso itinerario o guida, come in un inverosimile tracciato di un vecchio gioco di modellismo. Non so come, ma la potenza della musica può rendere concreto tutto e la conferma arriva dalle note di JimiRay. Un rock blues tirato, denso dal suono inconfondibile degli anni 70 e già mi guardo attorno ed osservo la stanza o meglio lo scantinato. Le pareti sono foderate di ritagli di riviste, poster e manifesti, che esprimo ogni verità ed in particolare confermano che questo viaggio non è un sogno. L’idolo che più risalta è un mito del rock, Jimi Hendrix ogni sua posa ogni avvenimento è immortalato in ogni singolo spazio che la parete vecchia e trascurata offre. Non è comunque un unico tema ed emergono altri miti del rock’n’roll, riconosco i Cream, Rolling Stones, Who, Dylan ed i Beatles.

Non vi è dubbio che tutta questa enorme esposizione di energia, ha come linguaggio comune, la realtà del genio Jimi. Osservo con attenzione la strumentazione che interrompe da questo viaggio di immagini, due vecchi amplificatori ed una batteria inconfondibile da una grancassa in madreperla unica, che solo negli anni 70 potevano realizzare da cui spicca dalla pelle centrale il logo psichedelico: Rainbow Bridge. Non sono solo oltre al trio, vi sono altri personaggi o amici della band, che seduti o stravaccati su grandi tappeti orientaleggianti e naturalmente fumo e sigarette a volontà, birra ed alcol, completano a pieno la situazione di questa giornata di prove. Lama, irrompe il suo timbro è un rock blues arcigno, uno strumentale che presenta a pieno i Rainbow. Gli assoli di chitarra improvvisati e lunghi, calcano a pieno la voglia di viaggiare. The Storm Is Over, conferma le intenzioni della band e l’energia del primo brano ha una sua efficacia, accompagnata dalla voce di JimiRay, che esprime una tonalità molto limpida vicina allo stile british, tipico ed inconfondibile. Day After Day è una ballata rock dalle atmosfere semplici ed aeree, la voce è ben inserita in questo contesto, ma viene arricchita dalle inconfondibili note della chitarra che ne richiamano il mito. Works risalta il timbro legnoso della batteria. Qui l’energia apre ad un passaggio di un classico rock blues al primo hard. Tutto è grezzo e semplice, la voce ne rimane imprigionata e la chitarra è arricchita dai tipici effetti ricamati ed unici per quel tempo. La conferma della forza arriva con Spit Jam. Uno strumentale massiccio dai tipici standard 70, implacabili ma in un certo senso fedeli al tempo. No More I’ll Be Back, per me il brano più interessante. Lo slide e la voce che sussurra in una tipica atmosfera blues rock dal sapore southern ti scaraventa in tipici ambienti aridi ed assolati che distinguono le immense pianure desertiche del West America, ma nello stesso tempo ti riporta alla radice del Mississippi Blues. Una contaminazione che comunque ti accompagna in salendo ad una composizione dalle atmosfere acide ed elettriche ed il rock prevale e si insedia. Gli assoli sono ben marcati ed interminabili, giocano con i ritmi legnosi e compatti della batteria e del basso che entrambi rimangono fedeli ed un certo modo servili alla predominanza della chitarra.

Un ipnotico viaggio sonoro terminato velocemente con lo spegnimento degli amplificatori, un lieve smarrimento ed osservo dalla finestra il paesaggio urbano e tutto è cambiato, le abitazioni, lo scantinato e la mobilità quotidiana mi rappresenta ora il presente. Tra le mani ho la copertina del CD dei Rainbow Bridge, tuttavia ho un lieve torcicollo forse questa condizione visionaria nel passato, mi ha lasciato questo lieve dolore. Un album piacevole per chi ama le sonorità anni 70, forse ricordare quegli anni riportando anche le timbriche e gli stili, hanno certamente una sua funzionalità, ma ritengo che in quei periodi le motivazioni per creare musica erano certamente diversi rispetto ad ora. La struttura sociale era completamente opposta all’attuale e di conseguenza anche gli obiettivi del rock avevano un suo perché. Credo che le attuali generazioni debbano piuttosto scontrarsi con il proprio presente, prendendo ciò che di buono è stato tramandato come mezzo di crescita per affrontare nuovi ed ulteriori obiettivi e traguardi. Pertanto, il mio parere ascoltando Lama, possa invece diventare il primo tassello che permetta ai Rainbow Bridge di liberarsi da ogni vincolo per poi sperimentare orizzonti meravigliosi che la musica ti può offrire, quello che coraggiosamente il genio di Jimi ha affrontato ed affronterebbe oggi.

Un doveroso appunto all’aspetto grafico. L’illustrazione presenta due condizioni visionarie opposte tra loro. Il logo dei Rainbow Bridge (Lord Pezza), è stato creato nello stile psichedelico, richiamando appunto gli anni fine 60/70. Nello stesso momento lo sfondo panoramico riprende invece, un paesaggio digitalizzato. Credo che queste due diverse condizioni spaziali, rispecchiano fedelmente il percorso musicale che i R.B. vogliono esprimere e quindi anche la condizione estetica raggiunge il suo effettivo scopo.

Autore: Rainbow Bridge Titolo Album: Lama
Anno: 2018 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Rock Blues Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: https://www.facebook.com/rainbowbridgemusic
Membri band:
Giuseppe JimiRay Piazzolla – chitarra, voce
Fabio Chiarazzo – chitarra, basso
Paolo Ormas – batteria
Tracklist:
1. Lama
2. The Storm Is Over
3. Day After Day
4. Words
5. Spit Jam
6. No More I’ll Be Back
Category : Recensioni
Tags : Rock Blues
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04th Apr2019

Elli De Mon – Songs Of Mercy And Desire

by Aldo Pedron
Elli De Mon, di Vicenza, è stata definita “one woman band” oppure la “garage blues one girl band”. Agli esordi come chitarrista debutta nel garage blues degli Almandino Quite Deluxe poi vira verso il pop con i LE-LI (con almeno tre album del 2008, 2010 e 2011 rispettivamente) ed infine una nuova carriera da solista. Insomma colei che fa quasi tutto da sola: compositrice, cantante e polistrumentista di particolare rilievo. Il suo nome d’arte è una storpiatura del suo reale, Elisa De Munari. Ci ha voluto giocare sopra riallacciandosi all’immaginario del blues, da sempre legato al diavolo e ironicamente anche a quello dei cartoni animati: la temibile Crudelia De Mon! giusto per sdrammatizzare un po’. Ancora ragazzina, facendo sacrifici compra una Fender bianca per imitare il suo idolo di allora, Jimi Hendrix. Cercando di tornare alle sue origini, si trova a fare tutto da sola, alla Fred Mc Dowell. Un altro dei suoi altri miti sono la Jon Spencer Blues Explosion di cui ha avuto l’onore di aprire alcuni concerti nel loro ultimo tour italiano.

Con il blues di Elli De Mon si viaggia verso la riscoperta di se stessi in un vero cammino interiore. Al suo attivo ricordiamo un CD dal titolo Corpoc del 2014 in cui la cantante vicentina esplorava a modo suo rock’n’roll, blues e garage mentre nel 2017 Blues Tapes: The Indian Sessions ci riconduceva ad un percorso musicale differente e decisamente più psichedelico, blues ed etnico. Songs Of Mercy And Desire invece, è una prova discografica più matura, di materia pregiata, ricca di spunti complessi e sperimentali. 11 brani di cui una sola cover, Grinnin’ Your Face in cui Elli ha stravolto un pezzo di Son House che è sempre stato la sua influenza principale ed un personaggio e bluesman per cui lei ha sempre nutrito una forte ammirazione. Un terzo disco autobiografico con un blues decisamente rimodernato con l’iniziale Louise con tanto di lapsteel guitar e la successiva Let Them Out in cui esce tutta la sua grinta. Riverside invece, è una semplice ballata di ampio respiro con una voce vellutata.

Un’artista che accinge a due mani dal blues del Delta del Mississippi e ne restituisce una versione attualissima, forse anche influenzata dalle origini pasubiane vicino alle montagne dove vive nelle valli del Pasubio. Un disco variegato che sorprende per l’uso del sitar che riporta verso suoni e ritmi indiani come in Chambal River, un fiume tributario del Yamura River lungo 960 chilometri e nella parte nord e centrale dell’India oppure Storm dal sapore decisamente country. Chiude la riflessiva Tony in cui si narra “è arrivato il diavolo ed ha la tua faccia e ha il tuo nome”.

Autore: Elli De Mon Titolo Album: Songs Of Mercy And Desire
Anno: 2019 Casa Discografica: Otis Recordings, Pitshark Records, Ammonia Records
Genere musicale: Rock Blues Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/ellidemon.onegirlband/
Membri band:
Elli De Mon – voce, chitarra, lapsteel guitar, organo, batteria

Special guest:
Phill Reynolds – voce nel brano Tony
Matt Bordin – sax in Tony e Wade The Water, flauto in Wade The Water, armonica in Grinnin’ In Your Face e lapsteel guitar in Riverside
Tracklist:
1. Louise
2. Let Them Out
3. Riverside
4. Elegy
5. Chambal River
6. Wade The Water (traditional)
7. Grinnin’ In Your Face (Son House)
8. Storm
9. Granpa
10. Flow
11. Tony
Category : Recensioni
Tags : Rock Blues
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21st Mar2019

Bonifacio Madeyes – Zero Over Zero

by Maurizio Trentin
Zero Over Zero, un concetto matematico che include in sé molte considerazioni, ma nello stesso momento indica qualche cosa che porta ad una condizione infinita come al suo opposto, quindi anche ad una nozione indefinita. Non ho certo sbattuto la testa da qualche parte e sicuramente non sono appena stato dimesso da una degenza in ambito psichiatrico, ma per ciò che riguarda il terreno musicale questo quesito matematico è l’essenza dell’ultimo album di Bonifacio Madeyes (Paolo Bonifacio). Ligure, insegna fisica e matematica presso l’American School di Milano. Non vi è dubbio che questa grande passione per la discipline scientifiche influiscano attraverso il suo percorso musicale affiancandole e creando di conseguenza un vero percorso di esperienza o vissuto. I viaggi sono comunque stati i leganti che gli hanno permesso di realizzare questa sua esperienza “scientifica-sonora”: Canada, Brasile, Francia, Scozia, Inghilterra. Le radici stilistiche assimilate provengono dalla psichedelia al blues ed al prog rock, ed in quest’album si sentono. Naturalmente, Bonifacio non è da solo con le sue chitarre e voce, ma con lui completano questo interessante album, Marco Giannetti al flauto traverso, Timo Orlandi al basso, Stefano Bertolotti alla batteria e percussioni, più numerose collaborazioni che ne influiscono strumentalmente la riuscita di quest’ottimo album.

La parola viaggio e gli stili musicali che dalla biografia emergono, mi permettono di interpretare la recensione analogamente in un atteggiamento decisamente visionario. Ragweed Dog, L’inizio strumentale è aereo psichedelico ma pian piano il ritmo si fonde con un rock deciso e ben marcato. L’ambrosia è il cibo degli Dei e l’immortalità è la sua conseguenza, un ottimo indizio che la band ci offre è Has Anyone Seen My Baby , raccoglie in sé tutto un percorso stilistico incredibile. Il viaggio psichedelico dove il flauto emerge creando sonorità di altri tempi si fonde con la chitarra dal suono limpido e pulito. La voce di Bonifacio tende ad una tono più rock blues sempre in crescendo per arrivare poi in un finale quasi hard rock. In Black Blood la mente viaggia e mi trovo subito in territori tipicamente americani, il blues ed il rock sono l’ossatura di questo brano. L’armonica di Marco Pandolfi si innesta egregiamente con il flauto di Marco Giannetti. Hold Back – OQZ, la maestria e la magia dell’esecuzione strumentale ha la sua massima efficacia, con un percorso dalle sonorità e stili difformi. L’aria strumentale prog ti trascina e ti accompagna in un interessantissimo innesto al blues rock, l’armonica di Riccardo Grosso e la sua tonalità diventa prodigiosa ed il flauto apre ad altre dimensioni.

Another Life è per me il brano di punta dell’album. L’impronta iniziale è R&B, il ritmo è più coinvolgente e la batteria di Marco Giannetti introduce ad un viaggio stilistico che tecnicamente assume una tendenza psichedelica, l’eco è più marcato ed il blues finalizzato dall’armonica di Riccardo Grosso crea di fatto un interessante innesto musicale pregiato. Very Natural e Don’t Give Up On Me confermano la natura del rock blues che riesce ad amalgamarsi in ulteriori percorsi stilistici, per poi introdurti in Fell On The Ground – Love Depression. In questo brano la tromba di Timo Orlandi completa l’opera viaggiante trascinandoti in sprazzi di assolo jazz molto interessanti. Water, stranamente il titolo indica probabilmente l’elemento primario della vita, ma le sonorità sono molto aere e progressive, facendo emergere la radice “floydiana”. Un rifacimento dedicato a Bob Dylan o a Hendrix, All Along The Watchtower, dove l’ossatura rock blues è progressiva e le parti strumentali sono perfette. Salvation, si radica in un intreccio tra il post-rock ed il prog ed infine gli ultimi due brani Night Song e Zero Over Zero, hanno la caratteristica di una costruzione comune che sottolinea l’atmosfera semi-acustica dove appunto la voce di Madeyes ne risalta le sue doti maggiori.

Questo ottimo album ha in sé una grande forza ed energia, che Bonifacio Madeyes ha magistralmente voluto esprimere attraverso il “Viaggio Stilistico”. Questa difficile formula, riesce a mettere in sintonia le differenti tendenze, evitando così d’incappare in un classico calderone di generi, mirati solamente ad innalzare l’individualità. Una particolare attenzione anche alla grafica dell’album. Serena Viola presenta l’insieme cromatico attraverso il gioco e la potenzialità del grigio in due semplici tonalità, creando di fatto il fondo per far emergere l’attenzione sugli elementi base del bianco e del nero. La geometria ed in particolare modo il “cerchio” è l’elemento che simmetricamente costruisce l’illustrazione, “cerchio” che concettualmente può convertirsi anche in uno zero.

Autore: Bonifacio Madeyes Titolo Album: Zero Over Zero
Anno: 2019 Casa Discografica: UltraSoundRecords
Genere musicale: Progressive Rock, Rock Blues Voto: 8
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/bonifaciomadeyes/
Membri band:
Bonifacio Madeyes – voce, chitarra, programming
Marco Giannetti – flauto traverso
Timo Orlandi – basso
Stefano Bertolotti – batteria, percussioni

Special guest:
Andrea Paganetto – tromba
Marco Pandolfi – armonica
Riccardo Grosso – armonica
Anna Bazueva – voce, flauti addizionali
Alberto Manuzzi – hammond
Margaux Bricler – voce
Tracklist:
1. Ragweed Dog
2. Has Anyone Seen My Bay
3. Black Blood
4. Hold Back – OQZ
5. Another Lie
6. Very Natural 6/ Don’t Give Up On Me
7. Fell On The Ground – Love Depression
8. Water
9. All Along The Watchtower
10. Salvation II
11. Night Song
12. Zero Over Zero
Category : Recensioni
Tags : Rock Blues
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25th Feb2019

Madison Spencer – Magma

by Marcello Zinno
I Madison Spencer tornano, dopo il debut album Zirconia di cui avevamo parlato a questa pagina. Tornano con un EP breve ma non sintetico, conciso ma non veloce. Il loro stile è indubbiamente molto orientato ai suoni e alle composizioni americane, il loro rock è da camera: anche in questo Magma è ben presente un animo elettrico ma la ritmica e l’andamento complessivo delle tracce è pacato, da ascolto in cuffia. Buoni i suoni, i brani si lasciano cantare e trovano posto facilmente nelle playlist di rock melodico (soprattutto per chi ama il rock degli anni 90, un po’ grunge e un po’ alternative). Da segnalare Burning World che ricorda i vecchi Foo Fighters, nei passaggi meno irruenti, ma anche Transparent, un brano che sfiora l’electro rock e che dà energia a questo EP. Se amate i suoni più irruenti partite da questa traccia. Il blues e quel rock polveroso che avevamo trovato in Zirconia affiorano in Lost, ultimo brano acustico di questa uscita che vi consigliamo di ascoltare a casa, sognando di cavalcare un bicilindrico lungo la Route 66.

Autore: Madison Spencer Titolo Album: Magma
Anno: 2018 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Rock, Grunge, Rock Blues Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: https://www.facebook.com/MadisonSpencerband/
Membri band:
Marco Fersini – voce, chitarra
Filippo Longo – batteria
Mauro Varratta – chitarra
Carlo Cazzato – basso
Tracklist:
1. Magma
2. Safe And Sound
3. Burning World
4. Transparent
5. Lost (unplugged)
Category : Recensioni
Tags : Rock Blues
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