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02nd Dic2012

Municipal Waste – The Fatal Feast

by Marcello Zinno

Novità in casa Municipal Waste. A tre anni dalla pubblicazione di Massive Aggressive e a formazione praticamente stabile e ultracollaudata, arriva il nuovo lavoro in studio che rappresenta il salto di categoria per il quartetto. The Fatal Feast, concept incentrato sullo spazio da cui il sottotitolo Waste In Space, segna infatti l’uscita della band dal roster della Earache Records (etichetta comunque di gran nome nella scena estrema internazionale) a vantaggio della sicuramente più nota (e ingombrante) Nuclear Blast, un aspetto questo sicuramente non da sottovalutare nella maturazione della band. Di certo dai Municipal Waste non ci si aspetta nè sperimentazione nè miglioramenti circa le doti tecniche ma all’ascolto di questo quinto album in studio ci sembra di capire che l’azzardo non è più nelle vene creative dei Nostri. Il fatto che The Fatal Feast costituisca il capitolo discografico con la durata più elevata dell’intera discografia (39 minuti) è solo uno dei fattori che ci porta a questa conclusione: Repossession, il primo vero brano dell’album, suona come un b-side del precedente Massive Aggressive, e in generale i refrain che muovono le diciassette tracce sembrano eccessivamente simili con quanto prodotto in passato.

Sicuramente altri buoni brani che faranno scricchiolare le ossa del pubblico in un pogo forsennato sono state scritte (New Dead Masters, You’re Cut Off, su tutte) ma al tempo stesso alcuni passaggi pur molto veloci esprimono la stanchezza compositiva del combo (Unholy Abductor, Authority Complex) mentre altri un innegabile clone delle ultime produzioni (Idiot Chech, Jesus Freaks, 12 Step Program). Interessanti Standards And Practices che pur con il canonico sound introduce dei cambi di direzione nel bridge apprezzabili in pieno stile thrash, Death Tak che non punta su tempi al fulmicotone ma su qualcosa di diverso e Residential Disaster che risulta ben costruita a livello di songwriting. Cos’è quindi questo The Fatal Feast? In generale una buona uscita, soprattutto per i fan della band, ma sul fatto che la proposta musicale del quartetto resterà interessante anche in futuro abbiamo a questo punto qualche dubbio.

Autore: Municipal Waste Titolo Album: The Fatal Feast
Anno: 2012 Casa Discografica: Nuclear Blast
Genere musicale: Thrash-core Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://www.facethewaste.com
Membri band:

Tony Foresta – voce

Ryan Waste – chitarra

Philip “Landphil” Hall – basso, voce

Dave Witte – batteria

Tracklist:

  1. Waste In Space (Main Title)
  2. Repossession
  3. New Dead Masters
  4. Unholy Abductor
  5. Idiot Check
  6. Covered In Sick/The Barfer
  7. You’re Cut Off
  8. Authority Complex
  9. Standards And Practices
  10. Crushing Chest Wound
  11. The Monster With 21 Faces
  12. Jesus Freaks
  13. The Fatal Feast
  14. 12 Step Program
  15. Eviction Party
  16. Death Tax
  17. Residential Disaster
Category : Recensioni
Tags : Thrash metal
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19th Nov2012

Inverno – Inverno

by Rod

Tra le tante ed inquietanti fattezze che assume l’indomito mostro nero dell’heavy metal, quella del thrash è senza alcun dubbio la creatura che per potenza di fuoco ed immediatezza d’intenti, riesce a scatenare consensi unanimi tra la folta schiera della sua devota e sempre più accrescente milizia. Nonostante la matrice tipicamente statunitense, nel nostro Paese il thrash è degnamente rappresentato da band di assoluto livello come Extrema e Necrodeath, famosi soprattutto al di fuori dei nostri confini ovvero laddove il panorama metal è meno ostico e maggiormente propenso ad offrire alle band più contest e palcoscenici per mettersi in evidenza. Nonostante ciò, la scena nostrana si è sempre mostrata capace di cambiar pelle di continuo, rinnovandosi di anno in anno grazie a band interessanti imperversate sulle scene, come nel caso dei vicentini Inverno che con il loro lavoro omonimo, cercano di riportare in auge questo sottogenere del metal partito nei primi anni ‘80 dalla Bay Area di San Francisco e che fatto la fortuna di mostri sacri come Slayer, Anthrax, Megadeth e, principalmente, Metallica. È soprattutto la lezione impartita da James Hetfield e soci nei loro primi quattro album che sembra aver attecchito sui grugni di questi quattro ragazzi del nord-est che, a sprazzi e con i dovuti ossequi, ci ricordano l’acerba spregiudicatezza che avevano i Four Horsemen ai tempi di Kill’Em All.

Premesse lusinghiere a parte, Inverno si presenta come un album di pregevole fattura, sia dal punto di vista estetico (bellissimo il booklet, caratterizzato da una soluzione fumettistico-futurista che richiama l’immaginario delle copertine dei dischi metal anni ’80) che dal lato prettamente inerente la sostanza. Ben registrato e ben suonato, la band nel suo primo lavoro mette a fuoco le storture del mondo moderno filtrate attraverso la metafora della guerra, una costante, quella dell’immaginario distruttivo, destinato a ripetersi nel corso dell’ascolto delle tracce contenute. Apre le danze la strumentale Prelude To The Bomb che in certi passaggi ricorda un po’ To Live Is To Die dei Metallica, una sorta di lenta ed inquietante discesa agli inferi a cui segue la guerrafondaia Tsar Bomb, una potente overture di tutto rispetto che viaggia spedita a velocità impressionante tra fucilate di bicordo e mitragliate di doppio pedale. Terrorizer, Beer, Religious Explosion e Chemical Death rappresentano le viscere più bollenti del disco: puzzano, distruggono, ma soprattutto trasudano di quella cattiveria elettrificata di cui è composto il sound thrash, qui marcatamente impresso a fuoco tra le feroci linee sonore dei brani. Pray è una spietata critica religiosa che, in perfetto andamento simbiotico con il groove del resto dell’album, conserva i suoi assi alla fine, contraddistinguendosi sia per l’ottimo solo che fa cucire la coda del pezzo che per la diabolica risata in finale che va ad omaggiare quella di Master Of Puppets dei Metallica (ebbene si, ancora loro!): classe e goduria per le nostre orecchie.

War ha tutti gli elementi sonori di Territory dei Sepultura dei fratelli Cavalera, dalla tematica che anima il testo, alle parti vocali, alle soluzioni strumentali del combo: senza dubbio uno dei migliori pezzi dell’intero cd. Chiude il full lenght Lager che con i suoi quasi 5 (godibili) minuti di durata, si palesa come uno dei brani strumentalmente più articolati del disco, per varietà di soluzioni, cambi di tempo ed energia sprigionata, un monito che sembra presagire all’espressione più matura della formazione vicentina. Inverno è senza dubbio un album che merita di essere ascoltato e soprattutto sostenuto, un lavoro che premia una band capace di proporre un sound accattivante in perfetta linea con quello dei mostri sacri della old school del thrash, a cui i ragazzi sembrano rispettosamente ispirarsi senza però mai perdere di vista la meta verso cui rabbia, talento e fame (o sete, fate vobis) li stanno lentamente proiettando.

Autore: Inverno Titolo Album: Inverno
Anno: 2012 Casa Discografica: Punishment 18
Genere musicale: Thrash Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://it.myspace.com/invernometal
Membri band:

Frigo Riccardo – chitarra, voce

Pier Paolo Pojer – chitarra, voce

Marco Burrometo – basso

Davide Cupani – batteria

 

Tracklist:

  1. Prelude To The Bomb
  2. Tsar Bomb
  3. Pray
  4. Terrorizer
  5. Beer
  6. Chemical Death
  7. War
  8. Religious Explosion
  9. Lager
Category : Recensioni
Tags : Thrash metal
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07th Nov2012

Ultra Violence – Wildcrash

by Giancarlo Amitrano

Vietato ai deboli di cuore, ai cardiopatici ed affetti da patologie varie: questa, la posologia da offrire per l’ascolto del terremoto sonoro propostoci dal combo torinese di cui oggi ci occupiamo. Di relativa fresca formazione, gli Ultra Violence sono un uppercut allo stomaco, degno del Mike Tyson nel pieno della sua potenza. Sound estremo, spinto alle sonorità più dure del pentagramma, che viene fuori alla grande con questo EP d’esordio, in cui il quartetto esplode come una mina antiuomo del Vietnam. Thrash di classe, ben dosato e clamorosamente ben arrangiato nei suoi passaggi musicali. Influenze di varia natura si leggono tra le tracce di questo minidisco di debutto, che tuttavia conserva una sua originalità nella trasposizione dei brani, davvero ben congegnati. Sin dalla title-track, la potenza dei ragazzini terribili sfonda letteralmente ogni tipo di cassa acustica, con le tematiche tipiche del thrash epocale, con sezione ritmica dannatamente veloce, asce che stridono e fanno sanguinare le orecchie, mentre il lavoro di Castiglia è notevole anche nel legare i momenti di stacco tra il refrain e gli assoli delle sei corde. Con Infernal Trip è la grancassa il protagonista, mentre l’entrata in scena delle asce è addirittura “delicata” nel preparare la strada al riff centrale, non prima di avere però creato ad arte un non breve momento di ritmica, cui segue l’assolo classico. Naturalmente nulla di nuovo sotto il sole o di innovativo, tuttavia l’energia profusa a piene mani dai quattro è degna di considerazione, in quanto rimembranze dei primi Metallica (Whiplash, per intenderci)  non fanno gridare al plagio, stante l’originalità della proposta sonora. Da menzionare la prestazione del singer, che si erge ad assoluto protagonista del brano, specie nella fase centrale che raggiunge vette pressocchè perfette nella combinazione finale delle sei corde, che delicatamente diradano con la giusta distorsione.

Frustration Of Soul è certamente il brano migliore: matrici anche hardcore fanno capolino nei numerosi cambi di tempo, quasi a dettare un ipotetico battere di tempo volutamene accelerato, stoppato e ripreso con potenza se possibile anche maggiore. L’ugola del singer viene messa davvero a dura prova, per contrastare con l’intermezzo centrale del basso a tratteggiare la nuova esplosione sonora che di lì a breve puntualmente si materializza. Lo spelling maledetto del vocalist si rimette in marcia su di un sottofondo deviato delle sei corde che qui paiono suonare le note al contrario, con tanto di tapping per gradire. Un’ultima mazzata vocale di Castiglia, prima di troncare in modo drammatico il brano. Ancora energia allo stato puro con Inhuman Slaves: il drumming risalta potente con la doppia cassa, la voce energica si staglia sul tappeto sonoro che generosamente il combo profonde. Il basso martellante si sovrappone, senza inficiare, al duetto continuato fra le asce, che sono rivolte a preparare la volata finale al canto “spostato” ed in preda a pieno trip da pogo. Un sagace cambio di tempo a metà brano funge da apripista allo scoppio della violenza inaudita ed infernale della batteria, che su due semplici ma durissime note consente ancora uno sfrenato screaming al vocalist, spalleggiato da chitarre ormai impazzite nella loro velocità supersonica.

Herpes chiude alla grande, un brano “bonecrusher” che non lascia feriti sul campo. L’esaltazione vocale del singer è ai massimi livelli, il drumming potentissimo non conosce ostacoli, mentre ritmica e solista si studiano prudenti (per così dire) a vicenda, in attesa di piazzare la loro zampata mortifera come il titolo del brano. Un brano che improvvisamente appare e scompare nella sua potenza sonora, mentre sino all’ultima nota il lavoro vocale è una spanna sopra le righe, nel senso energico e positivo del termine. Per un lavoro che auspichiamo avrà degno seguito in un full-lenght in cui ancora meglio possa risaltare il bagaglio notevole di potenzialità ancora da esprinere da parte del quartetto torinese.

Autore: Ultra Violence Titolo Album: Wildcrash
Anno: 2012 Casa Discografica: Punishment 18 Records
Genere musicale: Thrash Metal Voto: 7
Tipo: EP Sito web: http://www.myspace.com/ultraviolencemetal
Membri band:

Loris Castiglia – voce, chitarra

Andrea Vacchiotti – chitarra

Roberto Dimasi – basso

Simone Verre – batteria

Tracklist:

  1. Wildcrash
  2. Infernal Trip
  3. Frustration Of Soul
  4. Inhuman Slaves
  5. Herpes
Category : Recensioni
Tags : Thrash metal
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28th Set2012

Testament – The Dark Roots Of Earth

by Gianluca Scala

Mettetevi in ginocchio e pregate coi vostri capi chinati…i Testament sono tornati! A quattro anni di distanza dal precedente album The Formation Of Damnation è tornata più potente e fiera che mai una delle band più rappresentative del thrash metal su scala mondiale. Una band che sembrava dovesse addirittura scansare dal trono dei migliori i Metallica ad inizio della loro carriera, ma che a causa del declino accorso a questo genere musicale all’inizio degli anni ’90, a delle decisioni stilistiche indotte dalle case discografiche nel corso degli anni e a tanta incoerenza in generale che li spinse quasi allo scioglimento, l’impresa storica non riuscì. E sarebbe stata una perdita enorme per il mondo metal dato che i Testament con i loro primi 4-5 album erano riusciti ad uscire dall’anonimato underground musicale diventando i mostri sacri che oggi sono. E questo nuovo lavoro non fa altro che portare avanti il discorso iniziato nel lontano 1983, quando si chiamavano ancora Legacy (che poi diventerà il titolo del loro primo album) suonando brani veloci e potenti farciti di quel rifferama che ti toglie la pelle di dosso e ti percuote il corpo. Già dal primo e superbo brano scelto anche come primo singolo Rise Up avrete modo di assaporare tutta la cattiveria e la potenza che sprigionano dai loro strumenti, con la voce del grande (in tutti i sensi) Chuck Billy che sputa rabbia in ogni singola parola cantata. Il disco contiene nove tracce e segnala anche il ritorno in formazione del batterista Gene Hoglan (apparso già su Demonic del 1997) che durante la lavorazione di questo album ha sostituito Paul Bostaph che nel frattempo aveva lasciato la band.

Tutte le tracce sono formidabili, senza cali di tensione e suonate in maniera divina. I due chitarristi storici sfornano assoli e ritmiche eccezionali creando con la sezione ritmica un muro sonoro invalicabile, senza sbavature sonore al limite della perfezione. Il loro stile nel corso degli anni ha mutato forma trasformandosi di continuo, ma senza mai uscire dai ranghi di quella potenza e di quella melodia che nonostante tutto non è mai mancata e che è riuscita sempre a creare il tessuto sonoro che tutti abbiamo potuto apprezzare album dopo album. Tante le canzoni degne di menzione, come Native Blood, True American Hate, la stessa title track che è anche il brano più epico presente su questo lavoro, o Man Kills Mankind che è semplicemente divina. Throne Of Thorns comincia con un leggero arpeggio che sfocia in un ritmo cadenzato che riporta direttamente ai primi lavori pubblicati dai Testament, sempre ben interpretato dal gigante singer, uno dei migliori nel suo genere.

Segnaliamo la presenza di tre succulente e bellissime cover presenti solo nella versione deluxe edition dell’album: qui la band si é sbizzarrita nella scelta dei brani da riproporre dato che si sono presi la briga di suonare Dragon Attack dei Queen, Powerslave degli Iron Maiden e addirittura un vecchio classico degli Scorpions come Animal Magnetism, delle vere chicche per collezionisti! Una piccola parentesi va senz’altro dedicata anche alla bellissima copertina del disco, piccola opera d’arte dal tocco malefico e che ben illustra il concept del disco. Basta, non aggiungiamo altro, vi consigliamo vivamente l’acquisto di questa nuova gemma che i Testament ci hanno regalato adesso, nel ventunesimo secolo della nostra era.

Autore: Testament Titolo Album: The Dark Roots Of Earth
Anno: 2012 Casa Discografica: Nuclear Blast
Genere musicale: Thrash Metal Voto: 8,5
Tipo: CD Sito web: http://www.testamentlegions.com
Membri band:

Chuck Billy – voce

Eric Peterson – chitarra

Alek Skolnic – chitarra

Greg Christian – basso

Gene Hoglan – batteria

Tracklist:

  1. Rise Up
  2. Native Blood
  3. Dark Roots Of Earth
  4. True American Hate
  5. A Day In The Death
  6. Cold Embrace
  7. Man Kills Mankind
  8. Throne Of Thorns
  9. Last Stand For Indipendence
  10. Dragon Attack (Queen Cover)
  11. Animal Magnetism (Scorpions Cover)
  12. Powerslave; (Iron Maiden Cover)
  13. Throne Of Thorns (Extended Version)
Category : Recensioni
Tags : Thrash metal
2 Comm
22nd Set2012

Overkill – The Electric Age

by Gianluca Scala

Lo stavamo aspettando ed alla fine a marzo di quest’ anno l’attesa è terminata: The Electric Age ossia il sedicesimo album studio degli Overkill, veterani del thrash metal americano ha fatto irruzione nei negozi di dischi di tutto il mondo. E le nostre aspettative sono state più che superate visto che questo è l’ennesimo capolavoro che questi cinque metal heads americani mettono in pasto ai propri fan che non rimarranno per niente delusi dalla ferocia metallica che si innalza dai solchi di queste dieci canzoni. Dieci mazzate sonore che dalle prime note di Come And Get It fino alla conclusiva Goodnight vi faranno letteralmente impazzire di metal-gioia. La doppia cassa più il rullante impazzito, la voce stridula e grintosa di Bobby “Blitz” Ellsworth ed il basso ultra presente di D.D. Verni faranno diventare il vostro cervello una poltiglia senza corteccia celebrale in men che non si dica. Il primo brano infatti è solo il primo colpo in canna che vi spareranno in testa questi maniaci del thrash, canzone capace di farvi pogare seduta stante e condita nel mezzo con quel coretto epico che la innalza ad uno degli highlights dell’album. Electric Rattlesnake continua sulla stessa linea retta senza uscire di strada a velocità supersonica, gli assoli di chitarra e le ritmiche fanno il buono ed il cattivo tempo di tutto il brano sempre col basso di Verni in evidenza; euforia  pura, e siamo solo al secondo brano.

Con la successiva Wish You Were Dead finirete per gridare a squarcia gola tutta la rabbia che avete in corpo con un urlo liberatorio, altro brano molto old school che ci riporta indietro agli anni ’80, dato che per gli Overkill il tempo si è fermato musicalmente parlando a quella decade. Altro assolo che sembra una rasoiata con intorno la band che suona a pieno regime, anche questo brano è da annoverare trai i migliori del lotto. Chi conosce bene questa band sa benissimo che l’onestà e la coerenza nel suonare questo genere hanno fatto degli Overkill uno dei gruppi metal più amati, come solo poche altre band hanno saputo fare in tutti questi anni in fatto di credibilità e, scusate se mi ripeto, di coerenza nella propria proposta musicale, il tutto seguendo sempre il proprio istinto e senza farsi condizionare dalle label discografiche o dalle mode passeggere (che purtroppo esistono anche in seno al nostro amato genere). Invece loro sono stati capaci di infischiarsene di tutto suonando sempre del buon thrash metal, sempre a testa alta: non c’è nulla lasciato al caso nella loro proposta musicale.

Qualcuno potrà anche dire o pensare che non si può suonare all’infinito sempre le stesse cose, ma in fondo il buon vecchio thrash è sempre stato questo, con testi anti comformisti che trattano di guerra, morte e distruzione, con le ritmiche e gli assoli sparati a mille all’ora e di tanto in tanto rallentando il ritmo senza scadere nel convenzionale, suonando sempre potenti e fieri. The Electric Age è tutto questo ed anche di più, c’è tutto quello che ci si può aspettare da un disco degli Overkill, o meglio dire solo quello che vogliamo che gli Overkill suonino da qui fino a quando esisteranno, il vero thrash vecchia scuola.

Autore: Overkill Titolo Album: The Electric Age
Anno: 2012 Casa Discografica: Nuclear Blast
Genere musicale: Thrash Metal Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.wreckingcrew.com
Membri band:

Bobby “Blitz” Ellsworth – voce

Dave Linsk – chitarra

Derek Tailer – chitarra

D.D.Verni – basso

Ron Lipnicki – batteria

Tracklist:

  1. Come And Get It
  2. Electric Rattlesnake
  3. Wish You Were Dead
  4. Black Daze
  5. Save Yourself
  6. Drop The Hammer Down
  7. 21St Century Man
  8. Old Wounds, New Scars
  9. All Over But The Shouting
  10. Goodnight
Category : Recensioni
Tags : Thrash metal
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16th Set2012

Municipal Waste – Massive Aggressive

by Marcello Zinno

Festaioli almeno quanto i Tankard (con i quali si differenziano anche per il diverso concept sostituendo la birra ai rifiuti urbani da cui il moniker), thrash-core fino al midollo e convinti fino alla morte, i Municipal Waste si presentano alla fine del 2009 con un nuovo album dalle intenzioni chiare e limpide. Nonostante siano nati da una manciata di anni, i Nostri vantano già un degno seguito in giro per i cinque continenti e le loro uscite sono sempre segno di grande maestria e soprattutto di enorme coerenza, una dote questa purtroppo non sempre riscontrabile in band più longeve. Il riffing stavolta è diventato, se possibile, ancora più chirurgico: se prima, ai tempi degli esordi, i MW figuravano su un treno ad altissima velocità sparato all’impazzata privo di controllo, adesso i quattro hanno preso ancora più padronanza delle proprie doti, l’elemento compositivo ha assunto sempre più una forma e le tracce (nei limiti del genere) riescono ad avere una vita a sé stante all’interno dell’album. Degno erede di The Art Of Partying con cui va a braccetto (e talvolta anche troppo) anche per la natura thrash cruda ed irreversibile (ma chi si aspettava qualcosa di diverso?!), in questo lavoro si avverte quanto la band stia crescendo soprattutto in perizia tecnica e quanta convinzione riponga nel proprio genere.

Per descrivere la velocità con cui i pezzi bombardano i nostri timpani basta citare la durata totale dell’album, 28 minuti, ben al di sopra di quella del lavoro d’esordio (17 minuti per 16 tracce) ma comunque inferiore al record massimo della loro discografia che ha visto toccare i 32 minuti con il precedente full-lenght. Ciononostante l’ascolto è più regolare e si riesce a tirare un respiro tra un brano e l’altro. Resta il fatto che ascoltare il ritornello di Masked By Delirium, il bridge cadenzato di slayeriana memoria di Mech-Cannibal, il ritornello urlato di Wolves Of Chernobyl che insieme alla stessa parte di Wrong Answer ricorda quello seppur spezzato di Sadistic Magician, tutto questo insomma offre un effetto orgasmico, soprattutto per chi vive a forza di pane e thrash americano. Voce a parte merita Relentless Threat che dopo un basso audace presenta delle raffiche di note incredibili e nel bel mezzo una varietà in parte inattesa per il combo, il tutto impareggiabile in quanto a tecnica. La chitarra è in primo piano insieme alla voce di Tony Foresta ma non va tralasciato il precisissimo lavoro del bassista nonché l’inimitabile drummer che non fa sentire minimamente la mancanza dei suoi predecessori. Copione di varietà che si ripete anche per la conclusiva Acid Sentence, davvero da scoprire, mentre Upside Down Church suona molto Biohazard pur senza cedere, e la potenza truculenta di Shredded Offering (altra gemma per gli amanti della sei corde) è lì a ricordarcelo.

C’è poco da connettere, poco da realizzare, l’uragano Municipal Waste è ancora in grado di attaccare e di tirarci tutti dentro. Per non parlare della loro furia live.

Autore: Municipal Waste Titolo Album: Massive Aggressive
Anno: 2009 Casa Discografica: Earache Records
Genere musicale: Thrash-core Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.facethewaste.com
Membri band:

Tony Foresta – voce

Ryan Waste – chitarra

Philip “Landphil” Hall – basso, voce

Dave Witte – batteria

Tracklist:

  1. Masked By Delirium
  2. Mech-Cannibal
  3. Divine Blasphemer
  4. Massive Aggressive
  5. Wolves Of Chernobyl
  6. Relentless Threat
  7. The Wrath Of The Severed Head
  8. Upside Down Church
  9. Shredded Offering
  10. Media Skeptic
  11. Horny For Blood
  12. Wrong Answer
  13. Acid Sentence
Category : Recensioni
Tags : Thrash metal
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09th Set2012

Municipal Waste – The Art Of Partying

by Marcello Zinno

La tradizione per alcuni è cosa molto importante e questo ce lo insegna non solo la storia ma anche la musica. Alcuni artisti infatti fanno della coerenza il proprio asso nella manica, quel fattore che non può mancare nella propria proposta musicale e che alimenta sempre di più la fede dei propri fan, pur se compresi in una cerchia ristretta. Chi sceglie questo percorso mostra di avere le idee chiare ed una consapevolezza forte di quello che fa: tra questi sicuramente non possono non essere annoverati i Municipal Waste. Nonostante il cambio di line-up e di casa discografica che aveva caratterizzato il precedente lavoro, Hazardous Mutation, erano riusciti solo due anni prima a dare forma a delle ottime idee e differenziarsi ulteriormente con originalità e tecnica. Adesso è tempo per The Art Of Partying che punta ancora più le luci sull’animo spassoso e divertente (ma mai demenziale) dei quattro musicisti e che si preannuncia tale fin dalla prima traccia, Pre-Game, con 40 secondi di thrash sparato all’impazzata. L’album scorre con meno variabilità rispetto al precedente lavoro, la stessa title-track pur se decisa e compatta risulta un pò troppo retrograda considerando i primi due album, ma la domanda resta pur sempre la stessa: come fanno i MW ad imprigionare così tante parti (strofe/ritornelli/bridge) e così tanti riff musicalmente esplosivi in meno di due minuti per brano? La risposta può rifarsi all’esperienza del combo o alla sua perizia tecnica, fatto sta che continuano imperterriti con questi tempi al fulmicotone con tanto di testi sputati in faccia compresi nel prezzo.

Un lavoro più brutale, più deciso e meno arzigogolato, il che per certi versi si allontana da quanto ci saremo aspettati dai MW del 2007; brani con una ricetta standard che procedono incalzanti e seppur per nulla  indolore (A.D.D.) potrebbero sembrare una maturazione al contrario, un nuovo Waste Em All ma con un sound ben maturo a svantaggio delle influenze di altre band che caratterizzavano l’esordio. L’intro di The Inebriator fa sognare una nuova verve di creatività ma il thrash-core è di nuovo all’agguato, e riprende a correre dietro una preda che non si raggiungerà mai. Un po’ più variegata Beer Pressure, debitrice dello storico maiden-sound, anche se il capolavoro prende il nome di Sadistic Magician che riesce a sprigionare un coro nel ritornello davvero spiazzante ma mai sbalorditivo come il suo riffing fulmineo e corposo. Anche con Open Your Mind la qualità acquista punti, grazie ai tempi un pò più stoppati a metà brano che fanno tirare un respiro, copione che si ripete con Radioactive Force, mentre la successiva Septic Detonation riprende le redini del thrash nudo e crudo.

Un piccolo passo indietro rispetto a quanto i Municipal Waste ci avevano abituati ma sicuramente un piatto succulento per chi vive di thrash-core.

Autore: Municipal Waste Titolo Album: The Art Of Partying
Anno: 2007 Casa Discografica: Earache Records
Genere musicale: Thrash-core Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: http://www.facethewaste.com
Membri band:

Tony Foresta – voce

Ryan Waste – chitarra, voce

Philip “Landphil” Hall – basso, voce

Dave Witte – batteria

Tracklist:

  1. Pre-Game
  2. The Art Of Partying
  3. Headbanger Face Rip
  4. Mental Shock
  5. A.D.D. (Attention Deficit Destroyer)
  6. The Inebriator
  7. Lunch Hall Food Brawl
  8. Beer Pressure
  9. Chemically Altered
  10. Sadistic Magician
  11. Open Your Mind
  12. Radioactive Force
  13. Septic Detonation
  14. Rigorous Vengeance
  15. Born To Party
Category : Recensioni
Tags : Thrash metal
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02nd Set2012

Municipal Waste – Hazardous Mutation

by Marcello Zinno

Tornano i Municipal Waste dopo un esordio al fulmicotone che aveva presentato al mondo il loro thrash-core sparato all’impazzata. Un minuto di media a traccia era un ottimo biglietto da visita. E secondo la stessa filosofia compositiva, dopo due anni di attesa, la band dà alla luce altri 26 minuti di note genuine inserite all’interno di una bomba al napalm (nome non proprio a caso) e fatta esplodere in mezzo ad un bastimento di immondizia. La cornice è completamente nuova: ingresso di una sezione ritmica completamente rinnovata, fondata indistruttibilmente sui pilastri Tony Foresta e Ryan Waste, ma soprattutto il passaggio ad una casa discografica degna di nota, la Earache, che garantisce loro la giusta esposizione. Il quadro invece resta invariato: i MW fanno sì che l’evoluzione non abbia effetti sul proprio operato sfornando altre 15 “classic tracks”, brani che mostrano quanto i quattro siano in forma tecnica smagliante ma che al tempo stressano l’impostazione ormai conosciuta del loro sound.

Subito dopo la stupefacente opener Intro/Deathripper incentrata su diversi riffing incessanti e la cantabile e variegata Unleash The Bastards, il viaggio attraverso la “pericolosa mutazione” raggiunge uno stadio di costante ed incessante qualità nella quale ogni membro riesce ad esprimersi al meglio. La costanza suddetta però è interrotta dal doppio tempo di Guilty Of Being Tight, probabilmente la traccia più complessa del lavoro, e dalla pazzia lanciata a 300 km/h di Set To Destruct che con il suo approccio musicale pone le basi per l’evoluzione del sound MW (ascoltare Massive Aggressive per credere). Impossibile non citare Nailed Casket che gronda thrash da tutti i pori con una necessità di essere a tutti i costi più veloce (ma rispetto a cosa?!), solo raramente inframmezzata da bridge fondamentali per prendere respiro, il tutto ancora più bello all’arrivo di Bang Over che ancora una volta consacra l’amalgama inscindibile della sezione ritmica. Molto più canoniche invece Abusement Park, Mind Eraser e Terror Shark e per questo meno piacevoli.

In sostanza ascoltare le canzoni dei Municipal Waste significa assorbire tanto, pensare di assistere ad uno show di ore mentre intuire solo sul finire che la lancetta dei minuti non ha compiuto nemmeno mezzo giro completo dell’orologio. In altri termini è come prendere uno show metal lunghissimo ed accartocciarlo su se stesso a mo’ di auto in demolizione: questo è il punto di forza dei Municipal Waste.

Autore: Municipal Waste Titolo Album: Hazardous Mutation
Anno: 2005 Casa Discografica: Earache Records
Genere musicale: Thrash-core Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.facethewaste.com
Membri band:

Tony Foresta – voce

Ryan Waste – chitarra, voce

Philip “Landphil” Hall – basso, voce

Dave Witte – batteria

Tracklist:

  1. Intro/Deathripper
  2. Unleash The Bastards
  3. The Thing
  4. Blood Drive
  5. Accelerated Vision
  6. Guilty Of Being Tight
  7. Set to Destruct
  8. Hazardous Mutation
  9. Nailed Casket
  10. Abusement Park
  11. Black Ice
  12. Mind Eraser
  13. Terror Shark
  14. The Thrashin’ Of The Christ
  15. Bangover
Category : Recensioni
Tags : Thrash metal
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26th Ago2012

Municipal Waste – Waste ‘Em All

by Marcello Zinno

Municipal Waste = Thrashcore. Questa è una delle equazioni su cui si potrebbe scommettere un bel gruzzoletto sicuri che negli anni non ci siano rischi di correzione. E siccome thrashcore = estremo e veloce, possiamo affermare secondo la proprietà transitiva che i Municipal Waste sono una band estrema e veloce. Fin qui tutto quadra, ma il gusto della scoperta dei MW nasce quando ci si addentra nella loro storia cercando di individuare il lavoro più estremo di tutti, un qualcosa che seppur non ai massimi livelli per innovazione si sia distinto grazie ad un’attitudine singolare ed audace, uno di quei lavori che diviene indelebile segno del sound della band. La risposta è Waste ‘Em All primo full-lenght dei Nostri, partorito dopo un EP omonimo e due split album.

L’album inizialmente non è esente da critiche riguardo l’originalità: non solo dal titolo ma anche dall’opener Executioner sono riconoscibili i primi sintomi che i Metallica hanno prodotto sull’adolescenza degli autori di queste sedici tracce e la stessa Mutants Of War sgorga thrash slayeriano da tutti i pori, ma l’obiettivo degli americani è ben più sagace: velocità allo stato puro, unica arma a disposizione rappresentata egregiamente in copertina, musica spietata e diretta, per pochi, solo per quelli che riescono a digerire i pensieri senza fronzoli, pensieri sputati in faccia lasciando poca possibilità di replica; niente bridge, zero arrangiamenti, assoli e arpeggi lasciati a casa, nessun passaggio d’atmosfera nemmeno a ricoprirli d’oro e la durata totale di soli 17 minuti che rappresenta già di per sé un indicatore delle intenzioni della band.

Per apprezzare qualcosa di non eccessivamente veloce (definire “lento” sarebbe un eufemismo) bisogna attendere la quinta traccia, Drunk As Shit, che comunque non oltrepassa il minuto di durata, mentre un buon esercizio di alternanza tra ritmi grind-core e cadenze thrash spaccacollo è dato da Substitute Creature. A parte piccole differenze, l’emblema di questo album potrebbe essere individuato in I Want To Kill The President con i suoi diciassette secondi, brano che non vuol farsi prendere sul serio e non vuole restate nella storia per i suoi valori di fondo, tuttavia non intende nemmeno rappresentare con superficialità uno sfogo infantile ma sottendere delle idee di critica (politica?!) ben mimetizzate tra le poche parole scelte. Questa è la filosofia targata MW band che non a caso sposa il concept dei rifiuti urbani come proprio segno distintivo. Niente è lasciato al caso.

Autore: Municipal Waste Titolo Album: Waste ‘Em All
Anno: 2003 Casa Discografica: Six Weeks
Genere musicale: Thrash-core Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.facethewaste.com
Membri band:

Tony Foresta – voce

Ryan Waste – chitarra

Andy Harris – basso

Brandon Ferrel – batteria

Tracklist:

  1. Executioner (Intro)
  2. Sweet Attack
  3. Mutants of War
  4. Knife Fight
  5. Drunk as Shit
  6. Death Prank
  7. Substitute Creature
  8. Waste ‘Em All
  9. Toxic Revolution
  10. I Want to Kill the President
  11. Thrash?! Don’t Mind If I Do
  12. Dropped Out
  13. Blood Hunger
  14. Jock Pit
  15. The Mountain Wizard
  16. Untitled (Hidden Track)
Category : Recensioni
Tags : Thrash metal
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01st Ago2012

Kaosmos – Kaosmos

by Gianluca Scala

I Kaosmos sono una di quelle band da tenere d’occhio. Abbiamo la fortuna di avere sotto mano il loro primo EP e si è rivelato essere un prodotto valido sotto diversi aspetti prettamente musicali. Questi cinque ragazzi milanesi stanno dimostrando anche in sede live, suonando tantissimo in giro per locali, che il thrash metal è un genere che non è mai giunto al tramonto, anzi. I cinque brani che compongono questo loro EP dimostrano proprio l’esatto contrario, delle vere frustate metal ben assestate e soprattutto ben suonate che ti entrano nelle membra e che non mollano; tutti i brani sono anche ben caratterizzati dalla voce del singer Gabriele Vianello che con quel timbro vocale molto pulito si avvicina molto allo stile di Joey Belladonna degli Anthrax. Potenti e precisi in ogni passaggio, i Kaosmos prendono in mano gli insegnamenti dei grandi maestri del genere e sciorinano dei cambi di tempo sincopatici conditi da ritmiche ed assoli di chitarra magistrale, Andrea Rasi e Daniele Nobile ci regalano delle performance alle chitarre incredibili, basti ascoltare l’intro di My Angel per rendersi conto delle capacità tecniche che possiedono questi due chitarristi che durante il brano si scambiano arpeggi e fraseggi che sconfinano nel più classico heavy metal grondante Iron Maiden o Queensryche…brano grandioso.

Le prime due tracce contengono nei chorus un effetto vocale in growling che poco si accosta al resto del contesto musicale suonato, almeno noi lo abbiamo trovato lievemente fuori luogo, vista la cattiveria già presente nell’esecuzione dei brani stessi. L’ultimo brano Rage è il migliore dell’intero lotto, ben suonato, che spinge in un pogo spontaneo, e che sotto il palco farà sicuramente smuovere la testa ad un sacco di gente durante i loro concerti. Anche qui si sente il fantasma degli Anthrax negli arrangiamenti, un brano che non preme sull’acceleratore ma che gioca molto con le ritmiche e che ci ha fatto fin dal primo ascolto un ottima impressione. Non c’è che dire, i  Kaosmos stanno percorrendo la strada giusta e speriamo che concerto dopo concerto riescano a raggiungere un numero di persone sempre più numeroso per fare conoscere la propria musica. Niente male davvero.

Autore: Kaosmos Titolo Album: Kaosmos
Anno: 2012 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Thrash Metal Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: www.myspace.com/kaosmos
Membri band:

Gabriele Vianello – voce

Andrea Rasi – chitarra

Daniele Nobile – chitarra

Michele Rao – basso

Paolo Guarda – batteria

Tracklist:

  1. Believe In Your Feelings
  2. Walking In The Rain
  3. Once Were Warriors
  4. My Angel
  5. Rage
Category : Recensioni
Tags : Thrash metal
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