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04th Ott2013

Ufo – The Visitor

by Giancarlo Amitrano

Le sonorità di una band ormai consolidata restano alla fine ben impresse nelle menti e nei cuori degli aficionados: le melodie caratteristiche che essa evoca sono il loro marchio di fabbrica indelebile che può anche consegnarla alla leggenda. Nel caso dell’Astronave, il suo viaggio ci conduce dopo quasi 4 decadi di attività all’odierno The Visitor,che ben resta nella scia dei lavori precedenti. Con la defezione di Way al basso, il subentrante turnista Pichl dona egualmente spessore alle tracce, ad iniziare dall’opener, dove l’ascia di Moore resta fressa come non mai nella doppia veste acustica ed elettrica e su cui il drumming di Parker traccia indelebile i suoi tempi di battuta. Tutto questo mentre il buon singer va avanti per la sua strada con la timbrica roca e graffiante il giusto. On The Watefront è un bel brano molto mid nella tempistica, che disegna un intervallato groove specie nel refrain iniziale, dato che i movimenti della band sono molto rallentati. Le tastiere di Raymond sono in puro stile 70’s, quando le sonorità della band ancora insistevano nello spaziare tra ricerca sonora e produzione aggressiva. Con Hell Driver si sale di tono, sin dalle prime battute: la sei corde è gradevole nel condurre le danze, mentre la doppia cassa viene sapientemente percossa da Parker e docilmente seguita dal basso incandescente di Pichl, il tutto reso ancora più intenso dalla ennesima prestazione sugli scudi di Mogg che si trova a suo agio nel condurre le danze a menadito verso l’intenso solo di Moore. Complessa, la gestazione di Stop Breaking Down, in cui la sei corde sottolinea con enfasi gli accordi iniziali quasi ad avvitarsi su se stessa, mentre Mogg è più bluesy del solito, rendendo il brano gradevole nella sua articolazione e nell’esaltazione del ritornello. I buoni cori amplificano l’enfasi della traccia grazie anche all’eterea tastiera di Raymond.

Rock Ready parte con l’inconfondibile giro di acustica molto country in alcuni passaggi, mentre la sezione ritmica si rende degna di menzione con la sua svizzera precisione. Bridge molto stretto nell’offerta sonora, quasi a sottolineare la vena artistica mai sopita ed ancora in grado di insegnare alle nuove leve. In alcuni passaggi la vena compositiva pare risentire dell’età, in questo brano, ma la band si risolleva subito con Moore che trascina letteralmente il gruppo con le sue distorsioni ben congegnate e molto ammiccanti nel finale. Living Proof è molto intrigante nell’approccio, ci troviamo di fronte alla conduzione della linea di basso su cui si innesta con intelligenza la nota elettrica dell’axeman. Mogg continua a sfornare note su note su di un ottima base sonora molto coinvolgente e di facile ascolto sia pur nella complessità della sua elaborazione, davvero valida e che rende il brano tra i migliori dell’album. Notevole lungo tutta la traccia l’atmosfera molto tesa che tende a rendere bene l’intensità del brano, grazie anche al delicato supporto dei cori. Can’t Buy A Thrill è la migliore traccia del lavoro: la voce modulata di Mogg disegna egregiamente l’atmosfera quasi incandescente pur nella apparente tranquillità del brano. La doppia cassa qui svolge una funzione importante di raccordo tra i momenti quasi narrativi del brano e quelli in cui il combo viaggia con il pilota automatico. Il lavoro di Moore è superbo nel condurre il brano attraverso i detti momenti, con un relativo solo da brividi.

Forsaken la lasciamo passare come la ballad dovutaci dalla band: in quanto composta da Raymond, mette in risalto sonorità acustiche che non sfigurano nel contesto, avvalorate anzi dai cori molto partecipati che rendono la traccia originale, ove ancora possibile dopo 40 anni di carriera. Degnissima tuttavia la base sonora ed ancora una volta il quintetto sugli scudi, ammiccante il giusto. Ancora velleità hard con Villains & Thieves, grazie all’approccio molto deciso e diretto: singer in evidenza sulla strofa iniziale e tastiere in pieno delirio compositivo, in stile anche rockeggiante. Un brano che avrebbe fatto la fortuna di un certo Serpente Bianco, per le sue sonorità adattissime al cantato molto intenso e tuttavia sempre a proprio agio, con la sei corde che detta i tempi di ingresso al suo riffone, qui svisato come mai. A chiudere Stranger In Town, che idealmente segna il passaggio delle consegne ai posteri del marchio di fabbrica: Mogg, sempre ed ancora Mogg per la sua prestazione di spessore e grazie al vecchio Parker dalla battuta precisa, nonché al mai troppo apprezzato Moore che non fa rimpiangere chi lo ha preceduto. Grazie anche a Raymond, per il suo lavoro ispirato, tecnico ed altamente di valore compositivo, che anche in quest’ultima traccia risalta e risplende, come tutta la band…a testa altissima.

Autore: Ufo Titolo Album: The Visitor
Anno: 2009 Casa Discografica: SPV/Steamhammer
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Vinnie Moore – chitarra

Peter Pichl – basso

Andy Parker – batteria

Paul Raymond – tastiere,.chitarra

Martina Frank – cori su traccia 6 e 8

Olaf Senkbeil – cori su traccia 1,2,3, 4,

Melanie Newton – cori su traccia 2 e 8

Tracklist:

  1. Saving Me
  2. On The Waterfront
  3. Hell Driver
  4. Stop Breaking Down
  5. Rock Ready
  6. Living Proof
  7. Can’t Buy A Thrill
  8. Forsaken
  9. Villains & Thieves
  10. Stranger In Town
Category : Recensioni
Tags : Ufo
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27th Set2013

Ufo – The Monkey Puzzle

by Giancarlo Amitrano

Come l’Araba Fenice che risorge dalle proprie ceneri, anche la navicella britannica non cessa di stupire: dopo la ventata di gioventù apportata da Moore e Bonham, il leader maximo decide che la prosecuzione della sua avventura musicale non è ancora abbastanza pepata. Ed ecco il figliol prodigo Parker riaccomodarsi dietro le pelli a ricostituire quasi per intero la line up originale, qui alle prese con l’ennesimo album di varia interpretazione. Se l’ascia di Moore resta salda sulla tolda a dettare riff taglienti, come nella opener track, il sound ancora una volta si rinnova in una valida atmosfera tracciata anche dai tasti di Raymond. Con Heavenly Body le distorsioni dell’ascia si sviluppano attraverso tempi molto mid, sui quali la calda voce del singer assume tonalità quasi blueseggianti e la sezione ritmica rallenta a dovere i tempi di battuta, facendo assumere alla traccia una vena molto retrò. Ottimo l’intro di Raymond  per Some Other Guy, che si dipana con l’ausilio di una delicata linea di armonica ottimamente miscelata con le tastiere. Senza tregua, sia pur con la tempistica come detto molto rilassata, il brano scorre piacevolmente e Mogg detta da par suo i tempi di un ideale intrattenimento sonoro con gli amici. La bella acustica di Who’s Fooling Who dona il taglio intimista al brano come desiderato dal singer: le atmosfere dei tasti tratteggiano ancora una volta le solide radici settantiane (se ve ne fosse bisogno) di cui la band è fortunatamente imbevuta, grazie anche al bel refrain. Tornato in forma, Parker regge alla grande i tempi melodici ed aggressivi nella fase centrale, che si concretizza nel delicato arpeggio dell’axeman, qui in pieno stile guitar-hero.

Black And Blue è la distorsione sonora al servizio della tecnica. Molto ispirato Mogg prende per mano il gruppo e lascia trasparire finalmente la vena compositiva del quintetto, che si concretizza in una bella jam improvvisata di metà brano: gli interventi della sei corde sono sempre ben mirati e non lasciano adito ad incomprensioni di sorta, il quintetto è ancora saldo. L’approccio di Drink Too Much è morbido come non mai: la slide di Moore si dipana ottimamente nella doppia funzione di accompagnamento elettrico nelle fasi più aggressive del brano. Il basso di Way accentua maggiormente quanto sinora prodotto dalla band nel suo insieme. Non limitandosi al solo fine a sé stesso, Moore offre un buon caleidoscopio di note, che vanno dal ritmato al suggestivo. Ancora una scala ed un arpeggio per World Cruise, in cui il brano pare prendere quasi una venatura country con la voce molto old west; il successivo incupirsi del sound rende la traccia un ideale singolo, stanti le basi molto orecchiabili ed al tempo stesso molto incisive, con Moore ancora sugli scudi per la sua precisa metrica strumentale. Down By The River: ancora un brano degno di menzione grazie alla superba prova del leader, assolutamente dimentico della carta d’identità ormai risalente, con una metrica vocale pressocchè perfetta e con la band pronta a seguire senza fiatare le sue evoluzioni canore. Una altrettanto intensa performance dell’axeman rende la traccia tra le migliori.

Una semiballad, Good Bye You, ne ricalca le caratteristiche in pieno, con i tempi volutamente rallentati e con la band intenta a dipingere atmosfere molto rilassate su cui porgere strofe e ritornello molto intensi e sentiti. Senza che l’economia del brano ne risenta, viene messo in scena un piccolo gioiello compositivo, grazie alle cui atmosfere il livello tecnico dell’album schizza in alto di molto. La penultima traccia, Rolling Man, vede il drumming intensissimo del figliol prodigo Parker a dettare i tempi di un brano molto deciso e spedito: le svisate di Moore sono dosate al momento giusto per consentire al combo di offrire ancora una volta una prestazione degnissima e senza dubbio meritevole di ricordo dell’ennesimo brano di spessore, qual è anche l’ultimo segmento dell’album: Kingston Town si dipana con la semiacustica della sei corde che si accompagna alla sempreverde e mutevole ugola del singer. L’elettrificazione della chitarra viene resa saggiamente necessaria nei punti cardine della traccia, precisa e puntuale negli stacchi e nel momento della sua messa in evidenza dal solo breve ed intenso, che tuttavia resta bene impresso anche alla fine dell’ennesimo viaggio dell’Astronave.

Autore: Ufo Titolo Album: The Monkey Puzzle
Anno: 2006 Casa Discografica: SPV/Steamhammer
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Vinnie Moore – chitarra

Paul Raymond – tastiere, chitarra ritmica

Pete Way – basso

Andy Parker – batteria

Martina   Frank – cori su Down By The River

Tracklist:

  1. Hard Being Me
  2. Heavenly Body
  3. Some Other Guy
  4. Who’s Fooling Who
  5. Black And Blue
  6. Drink Too Much
  7. World Cruise
  8. Down By The River
  9. Good Bye You
  10. Rolling Man
  11. Kingston Town
Category : Recensioni
Tags : Ufo
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20th Set2013

Ufo – You Are Here

by Giancarlo Amitrano

Alla fine del proprio percorso musicale, una band di solito si volta indietro a riflettere su quanto prodotto onde ricavarne eventuali nuovi spunti e stimoli. Molte band non ne hanno trovati e si sono incartate: questo non è avvenuto per l’Astronave che dopo oltre tre decadi trova nuovo slancio per ripartire, ricompattandosi con 3/5 del combo storico (Mogg,Way e Raymond) cui si uniscono altri due nomi (ed un cognome) pesantissimi. Con il genio di Vinnie Moore all’ascia e la potenza “ereditaria” di Jason Bonham alle pelli, You Are Here è servito. Dodici tracce di energia pura ed ancora cariche di elettricità. When Daylight Goes To Town serve subito il destro: riff solido e deciso su cui la voce di Mogg torna a ruggire da par suo grazie alla immediatamente affiatata sezione ritmica. Gli interventi dell’axeman si propongono maggiormente con fraseggi ben ritmati, invece che prodursi subito nei solos, in seguito distribuiti a piene mani. La scarica delle percussioni introduce Black Cold Coffee, già più sostenuto nell’impostazione e nelle sonorità: il refrain è semplice ma diretto grazie al basso devastante di Way che amplifica di molto le note qui molto distorte e tuttavia ben orecchiabili, grazie anche alla sapiente svisata finale dell’ascia. Con The Wild One si torna ad un approccio più classico del brano: il riffing solido e tecnicamente ineccepibile di Moore permette a Mogg di giostrare con disinvoltura nell’esposizione delle strofe, mentre un buon gioco di pedali e rullanti amplifica le battute del drumming, già riconoscibile come marchio di famiglia nel suo incedere, il tutto mentre il buon Moore ci delizia con un interludio acustico di rara intensità e coinvolgimento.

Give It Up è la classica hit da 4 minuti in cui si snoda tutto il campionario della classicità degli anni ‘80: le tonalità sono molto accentuate, il cantato è di conseguenza aggressivo il giusto, mentre i nuovi arrivati pompano a iosa note da iniettare nell’economia del pezzo. Ottimo l’intro di Call Me, su cui il work chitarristico diviene molto insinuante nel suo raggiungere le note con facilità. Senza far sfoggio di tecnicismi fini a se stessi, il nostro axeman dipinge un tapping molto delicato e di facile ascolto, mentre Mogg continua ad essere il leone di sempre, con gorgheggi e note rilasciate quasi tra i denti, per meglio comprenderne la portata che qui viene potenziata dai buoni cori. La riflessione di Slipping Away è dovuta all’approccio molto soft che la band propone: molto rilassata e nella esposizione dei testi e nella proposizione delle musiche, qui davvero serene. La semiacustica, tratto portante del brano, dona quel quid in più alla traccia grazie alla voce quasi sognante del singer, assecondato in pieno dalla band che stavolta rema senza preoccupazioni. Si passa quindi alla drammatizzazione delle atmosfere con The Spark That Is Us, dove alla band interessa principalmente coinvolgerci nella sua ricerca di intimismo, qui molto accentuato. Ne risente anche il lavoro vocale che appare molto preso dal fornire un’immagine molto “impegnata”, quando anche nella produzione del refrain centrale sarebbe forse occorso uno stacco che conducesse il brano verso una conclusione più serrata ed in antitesi al suo svolgimento.

L’approccio molto ammiccante di Sympathy ci fa comprendere che la traccia sarà quasi un viaggio nell’incanto: grazie alle tastiere di Raymond, il sound diviene terreno ideale per le esibizioni molto “ottantiane” del singer, che coglie al balzo la direzione molto venata di riflessioni intimiste. Analogo solco pare seguire Mr.Freeze che tuttavia si distingue dalla setlist per una vena dinamica che la melodia della acustica non attenua. Anzi, con il bridge centrale, il brano diviene via via ben consistente nella sua offerta sonora, grazie anche alla magia che anche in questo frangente Moore riesce a sfornare con il probabile miglior solo dell’album. Il top lo troviamo alla decima traccia: Jelloman ci dona una performance stellare di Mogg in primis, cui non pare vero di deliziare la platea su di una linea melodica molto sentita e tuttavia non priva di una certa originalità compositiva. Il refrain è coinvolgente il giusto ed ancora note su note si accumulano per la gestione di un altro brano da menzionare. Ancora una trama acustica ad introdurci Baby Blue: la vena tecnica di Vinnie Moore pare essere presente da tempo nell’economia della band, grazie anche al sapiente lavoro di Tommy Newton alla consolle, che non manca di infarcire la traccia di effetti romantici, ma di impatto sonoro garantito. La seconda fase del brano ripercorre i tratti somatici della band, qui nuovamente risoluti ed aggressivi, ma memori di quanto sinora seminato, il tutto senza mancare di menzione al solido lavoro di Bonzo jr, sin qui ottimamente svolto (ovviamente).

Degna conclusione con Swallow, ideale metro di paragone tra i vari stili che all’interno del brano si susseguono: abbiamo la semiacustica concettualmente seguita dall’ispessirsi del sound, cui segue ancora il momento riflessivo e di ispirazione prettamente tecnica, che si nota particolarmente nel gioco dell’ascia, riflessiva ed a briglia sciolta al tempo stesso, per donarci il solo finale ben scandito e marcato in ogni suo passaggio. Miglior (ennesimo) come back la band non poteva donarci.

Autore: Ufo Titolo Album: You Are Here
Anno: 2004 Casa Discografica: Spv/Steamhammer
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Vinnie Moore – chitarra

Pete Way –   basso

Jason Bonham – batteria

Paul Raymond – tastiere

Tracklist:

  1. Daylight Goes To Town
  2. Black Cold Coffee
  3. The Wild One
  4. Give It Up
  5. Call Me
  6. Slipping Away
  7. The Spark That Is Us
  8. Sympathy
  9. Mr.Freeze
  10. Jelloman
  11. Baby Blue
  12. Swallow
Category : Recensioni
Tags : Ufo
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13th Set2013

Ufo – Sharks

by Giancarlo Amitrano

Ci avviciniamo a grandi passi verso la fine del viaggio dell’Astronave. Oltre 3 decadi di classe dispensata a pieni amplificatori, costellate dalle beghe che ogni famiglia (musicale) che si rispetti ha dovuto sopportare. Giunta al canto del cigno, la collaborazione con il talentuoso axeman teutone sforna l’odierno prodotto che non risulta affatto privo di spunti degni di menzione. Sin dalla prima traccia, troviamo i componenti tutti piacevolmente ispirati, specialmente la superba sezione ritmica Way/Dunbar ottimamente registrata e compagna di merende nel porgere il “la” alla sei corde con un solo breve ed intensissimo. La produzione affidata ancora al “re Mida” Mike Varney dona maggior lustro e pulizia ai brani, come ad esempio Quicksilver Rider, che si basa su di un solido giro di basso ed un ottimo lavoro di rullanti ripetuti. Inconfondibile, il marchio di fabbrica di Mogg che in questa occasione ci fa apprezzare la sua capacità di tenere le note leggermente allungate. L’intimismo iniziale di Serenity lascia ben presto il passo alla distorsione dell’ascia; pur distribuendosi su di una linea sonora abbastanza semplice, il mid-tempo su cui si articola il brano è degno di interesse. Molto aggressivo l’approccio dato alla traccia e di conseguenza anche il cantato diviene molto incisivo specie nel bridge centrale, incentrato sul gioco della sei corde. Ottimo l’intro di Deadman Walking, in cui gli strumenti sono perfettamente sincronizzati su una linea di battuta molto incisiva del drumming, quasi psichedelica la fase centrale, con i buoni cori di Jesse Bradman e Luis Maldonado. Shadow Dancer si pregia del buon lavoro alle tastiere del guest star Kevin Carlson, che consente al brano di caratterizzarsi per i toni volutamente prog in alcuni passaggi. Il ritornello viene declamato ad abbondanza, coinvolgendo ancora i tasti nella creazione di atmosfere roventi, ma dosate al punto giusto di cottura, senza che il riffone risulti fuori posto.

Ancora Way sugli scudi: l’intro di Someone’s Gonna Have To Pay è al fulmicotone nella gestione della 4 corde che risulta devastante negli arpeggi e molto saggia nel cedere il passo a Schenker nella fase di accompagnamento al singer, qui molto istrionico. Un sapiente lavoro di tom e crash del drumming mette in risalto la potenza di cui ancora il combo è ampiamente in possesso, dopo trenta e passa anni. Il solo del guitar hero è qui diversamente strutturato, in una combinazione di distorsioni e note trattenute il giusto, mentre la sezione ritmica incalza da par suo senza requie per congedarsi ancora grazie all’assolo qui magistrale del biondo tedescone. Sea Of Faith è per noi il top dell’album: messo in chiaro ancora una volta il notevole bagaglio tecnico, la traccia vede una varietà di stili concentrata in 6 minuti, dando la possibilità al gruppo di sbizzarrirsi a piacimento. In primis la sei corde, che meravigliosamente su di un apparente elementare giro di accordi dipinge invece una melodia che resta stampata e che ci si augura di ascoltare dal vivo. Traccia diretta e variegata nella composizione e nella esecuzione, senza risparmio e con l’ennesimo solo al vetriolo del mai troppo benedetto Schenker jr. Con Fighting Man la band si concede un attimo di respiro, riproponendoci nuovamente le sonorità (sempre a noi care) dei primi lavori, quelli in cui per intenderci la voce di Mogg appariva fresca di bucato, la sezione ritmica marciava con precisione svizzera e naturalmente l’eroe dietro l’ascia si scatena al momento opportuno, grazie anche alla cortese apparizione ai filling del produttore stesso Mike Varney ad impreziosire la traccia. Tutto questo avviene nel brano in questione: possiamo restare ancora folgorati dalla maestria di Sua Maestà Michael Schenker nel proporci un sublime tapping ancora oggi? Si, possiamo!

Perfect View è l’ideale linea di confine del disco: pur avviandosi alla conclusione, rappresenta una traccia complessa nel suo insieme a causa del pathos distribuito a piene mani dal combo. Occorre dire che la collaborazione data dalle tastiere ha rinvigorito notevolmente ogni singola traccia, mentre i due capibanda continuano a deliziare la platea con giri vorticosi di note e l’ennesimo assolo da sballo, che si riconoscerebbe tra mille. Il penultimo brano non concede sconti: Crossing Over va dritto al sodo, con la grancassa qui pestata con sagacia dal lupo di mare Dunbar, cui evidentemente l’apprendistato fatto (tra i molti altri) con il Serpente Bianco ha conferito anche quella leggera venatura jazzata in alcuni passaggi. Qui Schenker si tiene leggermente, ma non troppo, sotto le righe, preferendo un solido lavoro di costruzione delle melodie chitarristiche, piuttosto che saltare direttamente al solo, che comunque ci viene  proposto in maniera meno accentuata, ma sempre elegante. Si chiude in bellezza con il minuto di Hawaii, la cui chitarra molto esotica ci fa assaporare in pochi secondi le delizie di mari non molto lontani. Siamo ancora lontani dal chiudere il sipario, pur se si avvicina a passi moderati.

Autore: Ufo Titolo Album: Sharks
Anno: 2002 Casa Discografica: Shrapnel
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Michael Schenker – chitarra

Pete Way – basso

Aynsley Dunbar – batteria

Mike Varney – chitarra su traccia 8

Tracklist:

  1. Outlaw Man
  2. Quicksilver Rider
  3. Serenity
  4. Deadman Walking
  5. Shadow Dancer
  6. Someone’s Gonne Have To Pay
  7. Sea Of Faith
  8. Fighting Man
  9. Perfect View
  10. Crossing Over
  11. Hawaii
Category : Recensioni
Tags : Ufo
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06th Set2013

Ufo – Covenant

by Giancarlo Amitrano

Lemme lemme, siamo arrivati nel ventesimo secolo, al trentesimo anno di carriera, la band giunge al 15° lavoro in studio, alla media perfetta di due all’anno, magari senza volerlo. Considerando le traversie attraverso le quali la band è passata, si tratta certo di un bel curriculum, valutando anche tutte le epoche musicali che via via si sono susseguite. Dopo il tour di supporto a Walk On Water, la band si disgrega per l’ennesima volta e specialmente Mogg e Way si dedicano ad una effimera carriera solista, sfociata in un paio di trascurabili lavori, sulla falsariga del marchio di casa madre. Riformata per 3/4 la line-up originale, con il valido supporto del turnista di lusso Dunbar alle pelli, il combo sfodera un nuovo lavoro perfettamente in linea con il nuovo millennio. Eppure, il suono risulta ancora piacevolmente coinvolgente e fresco, sia nelle composizioni che nelle esecuzioni: con Love Is Forever la slide iniziale è già sintomo di eccellenza. Diradando subito nella solida elettrificazione del sound, la band si mette in marcia attorno ai suoi mentori, che decidono di deliziarci ancora, Mogg in primis, con prestazioni da urlo. Piacevole sorpresa il lavoro alle pelli che permette a Mogg di scandire bene ogni nota, mentre la sei corde tiene alla grande il passo nella doppia veste acustica/elettrica. Unraveled è una solida calcata in puro ‘80’s style: il drumming cadenzato dona al brano quell’aura di mistero che la voce di Mogg contribuisce ad ammantare di tecnica vocale. Anche il solido del buon Michael è breve ma intensissimo, dritto allo scopo di stupire ancora. Ill buon lavoro di Dunbar ad introdurre Miss The Lights, che si rivela essere un buon brano oscillante tra easy e quasi FM, senza che suoni blasfemo, il tutto grazia anche ai sapienti cori di Jesse Bardman, altro turnista di lusso.

Ogni brano è caratterizzato dalle prime battute della grancassa, e nemmeno Midnight Train fa eccezione: in questa occasione, tuttavia, si deve notare come il drumming non sia purtroppo aderente alle tematiche della band; provenendo da una educazione quasi “jazzata”, il buon Dunbar non ricalca fedelmente quanto ci si aspetterebbe dal drummer degli Ufo in persona. Le note sono più marcate, quasi accentuando il gioco dei pedali che non sempre si sposa, cosa che invece si verificava anni addietro con le collaborazioni al Serpente Bianco del buon Coverdale, non dimenticando comunque l’ennesimo solo da brividi del nostro Eroe per eccellenza. Il refrain blueseggiante che fa da spina dorsale a Fool’s Gold ci accompagna ancora una volta nella tecnica che qui si scatena anche su linee leggermente attenuate ma non per questo meno intense. Mogg ancora sugli scudi e band al completo che non risente per nulla della mancanza delle tastiere di Paul Raymond, orami emigrato verso altri lidi e pur presente sulla deluxe edition del disco. In The Middle Of Madness mantiene elevato il valore del lavoro, con cori ancora in evidenza e sezione ritmica ben congegnata nei momenti di intenso lirismo vocale, che prosegue in Smell Of Money, già dall’intro molto aggressiva, e che si dipana attraverso linee sonore molto complesse sulle quali Mogg riesce a dosare l’ugola molto ispirata. Slide saggiamente dosata che lascia al momento giusto il campo alla sei corde classica, mai limitata al compitino.

Way protagonista assoluto di Rise Again, per la precisione certosina con cui segue le evoluzioni dell’axeman, creando assieme agli immancabili cori un brano tra i migliori dell’album. La battuta della grancassa è precisa e puntuale ed ancora Mogg, con una esecuzione molto sentita, avvalorano la proposta sonora. Serenade non è un inno alla guerra, stanti i suoi toni molto rilassati e sui quali il singer può dosare i tempi di entrata ed anche quelli di uscita dal brano. Atmosfera quasi sognante nella fase centrale, dove la voce si attenua in funzione di un complesso gioco della Flying, pronta all’ennesimo ed instancabile assolo da capogiro, pur molto morbido. Cowboy Joe ci riporta agli esordi dell’Astronave, con una linea sonora inizialmente quasi psichedelica, salvo confluire poi ben presto in una esplosione di note a ruota libera, dove la distorsione regna incontrastata sino alla fine del solo. Possiamo allora chiudere in bellezza con The World And His Dog, dove Mogg libera le ultime notevoli cartucce in suo possesso, riuscendo ancora a non farci dimenticare il suo timbro inconfondibile. Mentre ascia e sezione ritmica ancora pulsanti all’unisono si dirigono alla conclusione del viaggio con la sicurezza dei grandi, il definitivo (i tutti i sensi) solo di Schenker è il canto del cigno del controverso axeman tedesco, di cui fortunatamente fruisce l’ultimo brano.

Autore: Ufo Titolo Album: Covenant
Anno: 2000 Casa Discografica: Shrapnel
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Michael Schenker – chitarra

Pete Way – basso

Ainsley Dunbar– batteria

Tracklist:

  1. Love Is Forever
  2. Unraveled
  3. Miss The Lights
  4. Midnight Train
  5. Fool’s Gold
  6. In The Middle Of Madness
  7. The Smell Of Money
  8. Rise Again
  9. Serenade
  10. Cowboy Joe
  11. The World And His Dog
Category : Recensioni
Tags : Ufo
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30th Ago2013

Ufo – Walk On Water

by Giancarlo Amitrano

Ritorno al passato (ma anche al futuro): dopo diversi lustri di girovagare, la band britannica finalmente può godere del ritorno del figliol prodigo. Accomodatosi nuovamente dietro la sei corde, lo Schenker minore riporta le lancette a diversi anni addietro, quando le sonorità del gruppo erano fonte di ispirazione per i combi a venire. Forti anche della buona produzione di Ron Nevison, i cinque eroi richiamano anche il buon Raymond a supporto delle atmosfere ormai consolidate. Ecco così riassemblata la line-up classica, senza nulla togliere agli altri “mark” precedenti. Il suono ritorna magicamente coinvolgente ed aggressivo il giusto, per quello che all’epoca è stato uno dei come-back più attesi da fan e critica. Con la opener track, il marchio del Tedesco di Ferro è già inconfondibile, con i suoi assoli saggiamente distribuiti lungo l’arco del brano e pregni di rinnovata tecnica, ancora fresca e godibile nella distorsione delle note che solo egli riesce a dare. La mano di Raymond si sente, eccome, nell’intro di Venus: adattissima a creare l’ingresso in scena del doppio ruolo chitarristico di Schenker, che qui riesce a dosare alla grande l’alternanza di elettrica ed acustica, che da un lato preparano il terreno ai vocalizzi di Mogg, mentre dall’altro fanno in modo che il brano si snodi lungo sonorità ben definite. Le tastiere proseguono nella loro cadenza tempistica che ripropongono a metà brano l’atmosfera giusta per un solo da urlo dell’axeman, donando al pezzo l’aureola di top assoluto dell’album. Con Pushed To The Limit ritroviamo finalmente il marchio di fabbrica dell’Astronave: i tempi sincopati consentono al singer di destreggiarsi alla grande tra le note fluenti, accentuate dal solido lavoro della ritrovata sezione ritmica Way/Parker. Di precisione svizzera, il drumming tiene ottimamente il tempo di battuta, mentre il lavoro delle due asce riesce a concertare un buon tappeto sonoro. Nonostante la relativa durata del brano, esso scorre via una meraviglia senza interruzioni o cedimenti di sorta lungo l’arco dei canonici 3 minuti.

Stopped By A Bullet è una rivelazione: l’atmosfera creata da Raymond consente alla voce di interpretare alla grande un brano di velate sfumature mid, e nella strofa e nel bridge centrale. Acustica dosata al massimo ed interventi elettrici che sanno dove colpire: esattamente sulle note semialte raggiunte dal vocalist, miracolosamente ancora in forma su tutte le tonalità. Ritornello declamato con vena sottilmente istrionica, mentre la sei corde ancora stenta a contenersi, prima di prorompere in un solo che più distorto non si può. Resta nelle orecchie il refrain, ancora una volta magnificamente interpretato in una sorta di crescendo lirico su cui la sei corde dipinge a piacimento i sani momenti di tapping, pur se accennati e saggiamente distribuiti nella parte finale del brano. Mentre con Darker Days le tonalità divengono leggermente più rilassate, grazie al sapiente uso del cantato molto “morbido” di Mogg. Venature quasi prog si rinvengono in alcuni brevissimi passaggi del pezzo, grazie al lavoro dei tasti molto accentuato, che consente al drummer di lavorare molto di grancassa. La mano del padrone della Flying si sente alla grande a metà brano: più aggressivo nell’approccio, il solo svaria a 360° quasi incurante della linea sonora tracciata dal pezzo, ancora tra i migliori grazie all’assolo quasi infinito ed inarrestabile che lo conduce alla fine. Ammiccante l’approccio di Running On Empty: la voce di Mogg, inconfondibile nel suo gorgheggio su di un particolare tipo di note, mette tutti d’accordo nella gestione del brano che si palesa subito molto aggressivo e di sicuro impatto nel lavoro centrale della band, una band a proprio agio che si consente intermezzi acustici grazie a Raymond, ma che non tralascia di certo il solo mortifero che impreziosisca il brano.

Knock, Knock prosegue sulla falsariga di quanto sin qui proposto: traccia asciutta, su cui ben innestare il lavoro all’unisono del singer e della sezione ritmica, salvo poi lasciare il posto al biondo teutone, che diventa padrone con la sua scarica tecnicamente impeccabile che si manifesta virulenta a metà del brano. Le note sono volutamente allungate per creare ad arte l’effetto distorto del suono, ben in sintonia comunque con l’economia del pezzo. Dreaming Of Summer si articola bene lungo i suoi 7 minuti di durata: ad un approccio molto tenue della fase iniziale segue un momento di leggero appesantimento dei toni, mentre la voce scorre via dritta come un pilone. A fagiolo casca in questo frangente il lavoro di Raymond, che qui consente all’axeman di giostrare a piacimento tra le varie proposte stilistiche proprio grazie al supporto acustico da lui offerto. A chiudere due versioni “moderne” di classici leggendari del gruppo: Doctor Doctor e Lights Out, su cui non occorre aggiungere (ovviamente) altro salvo ascoltare ancora performance mostruose di Schenker su ambo i brani, pur rivisitati e corretti. La strada è allora nuovamente tracciata per il futuro.

Autore: Ufo Titolo Album: Walk On Water
Anno: 1995 Casa Discografica: Chrysalis
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Michael Schenker – chitarra

Pete Way – basso

Andy Parker – batteria

Paul Raymond – chitarre, tastiere

Tracklist:

  1. A Self Made Man
  2. Venus
  3. Pushed To The Limit
  4. Stopped By A Bullet
  5. Darker Days
  6. Running On Empty
  7. Knock, Knock
  8. Dreaming Of Summer
  9. Doctor Doctor
  10. Lights Out
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Ufo
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23rd Ago2013

Ufo – High Stakes & Dangerous Men

by Giancarlo Amitrano

Il buio oltre la siepe: dopo anni di “indecenza” musicale, giunge finalmente il momento della riscossa per il combo britannico, capitanato dall’immarcescibile singer. Riassemblata la band con sapienti innesti di qualità, Mogg sforna un album che inaugura come meglio non avrebbe potuto gli anni ‘90. L’innesto del funambolico Archer alla sei corde, reduce da vari successi personali con i suoi progetti (Stampede in primis), rende la band nuovamente attualissima nelle sonorità e valida nella proposta artistica. Anche con la piena collaborazione compositiva dell’axeman, il disco di cui oggi ci occupiamo risulta davvero di notevole coinvolgimento e solido nell’approccio strumentale. L’intro di Borderline è caratterizzato da una buona slide guitar che consente al pezzo di dipanarsi come un quasi mid tempo che tuttavia si evolve presto in un sound molto aggressivo e foriero sin dalle prime battute di un solo davvero notevole. La valida sezione ritmica di Primed For Time risente di buoni cambi di marcia su cui Mogg può destreggiarsi da par suo con la scelta di scale vocali molto sentite. Il gioco di rullanti dona pienezza al brano, che inizia ad essere riempito anche delle sonorità tastieristiche di sua maestà Don Airey, già leggenda Rainbow e tanto altro. Un grandioso assolo di Archer mette le cose in chiaro, riconciliandoci con la band e ringraziandola del ritorno sulle scene. She’s The One si aggiunge alle perle del disco: la base su cui si articola viene condotta alla grande dal singer che vede accanto a sé tutta la band pronta a sostenerlo, anche con i cori. Validamente Edwards tiene le redini del gioco con un solido pestaggio della grancassa la quale, se in alcuni frangenti riesce ad attenuare l’energia del pezzo, in altri si scatena nella giusta potenza, in concomitanza con l’ennesimo solo incantato dell’ex compagno di merende dell’indimenticabile Phil Lynott nel duo grand slam.

Il giro della sei corde di Ain’t Life Sweet è coinvolgente nei migliori canoni rock’n’roll: ci piace rimarcare questa caratteristica che ci spazza i dubbi circa la mancata evoluzione stilistica del gruppo, qui invece padrone della scena con tempi che avrebbero fatto la gioia di un famoso quintetto australiano (di certo da chi legge intuito). Anche una semiacustica, ad accompagnarci lungo la scaletta: Don’t Want To Lose You approccia come una ballad, salvo poi progredire verso toni molto rilassati grazie al lavoro coristico. Sezione ritmica e voci fuori campo rendono il pezzo quasi colonna sonora da saloon. Burnin’Fire si dipana veloce, molto veloce grazie alla sezione ritmica ancora sugli scudi: il carisma di Mogg fa il resto, con le atmosfere che divengono ben presto roventi e che nello snodarsi dei canonici 3-minuti-3 ci donano ancora una perla di prestazione. Giungiamo senza meno al top dell’album: quante volte in questi decenni abbiamo rimembrato il refrain di Running Up The Highway senza provare lo stesso identico soffio di energia? Gradevole e tonico, il cantato dipinge al completo tutto il bridge; il solido drumming e la traccia della sei corde completano l’opera per il migliore brano del disco, grazie anche alle diverse tonalità di assolo di Archer, dal pizzicato al tapping classico, davvero invidiabile. Con Back Door Man la band si rende anche protagonista di un clamoroso blues che assolutamente non risulta fuori luogo nel contesto. La voce roca e morbida dello “stagionato” singer non perde un’oncia di energia nemmeno in questo ambito, rafforzando anzi la fiducia nelle performance di uno dei più validi vocalist del genere e di un inspiegabilmente sottovalutato axeman.

Ancora livelli di eccellenza con One Of Those Nights, per l’ennesima eccellente prestazione del singer e della band intera, qui alla stregua di fornaio che di buon mattino produce cornetti caldi graditissimi all’uditorio. Ritornello fresco e bridge coinvolgentissimo ci emozionano come da anni non accadeva e inoltre il pezzo ci resta ben stampato in mente per la sua freschezza compositiva, ancora oggi attuale nei live-act della band. La complessità di Revolution viene resa sin dall’intro: il gran gioco di pedali e rullanti di Edwards articola il brano con la grazia di un carro armato e spiana la strada alle strofe infuocate del capobanda. Presentisssima la sei corde tratteggia un tappeto sonoro davvero notevole per intensità e tecnica esecutiva: i crash sapientemente dosati donano anche quella vena di drammatizzazione scenica che il solo di Archer può solo impreziosire. Love Deadly Love origina dal sapiente tocco di Airey, che qui ci mette tutto il suo con il suo arpeggio, mentre il lavoro del singer è qui dannatamente hard come nelle migliori famiglie. Gorgheggi ben dosati, ancora rullanti in evidenza e sezione ritmica in bella mostra: questi gli ingredienti del brano che ad oggi viene clamorosamente rivalutato in tutto il contesto dell’album, oramai avviato verso livelli di eccellenza, resi saldi dalla degna chiusura: Let The Good Times Roll scivola via come un solido esercizio di stile, dove il quintetto sciorina ancora senza sosta note incandescenti ed ancora fruibili con intensità sonora non indifferente. Cori ancora vivaci (e ci piace ricordarli nelle voci di Terry Reid e Stevie Vann) rendono il brano l’ideale congedo dell’album, degnissimo “come back” di una band sempre cara ai nostri cuori, mentre le ultime note infuocate di un supremo Archer si accomiatano da noi ancora in estasi per il disco.

Autore: Ufo Titolo Album: High Stakes & Dangerous Men
Anno: 1992 Casa Discografica: Razor/ Griffin
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Laurence Archer – chitarra

Pete Way – basso

Clive Edwards – batteria

Don Airey – tastiere

Tracklist:

  1. Borderline
  2. Primed For Time
  3. She’s The One
  4. Ain’t Life Sweet
  5. Don’t Want To Lose You
  6. Burnin’Fire
  7. Running Up The Highway
  8. Back Door Man
  9. One Of Those Nights
  10. Revolution
  11. Love Deadly Love
  12. Let The Good Times Roll
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Ufo
0 Comm
16th Ago2013

Ufo – Ain’t Misbehavin’

by Giancarlo Amitrano

Il punto ancor più basso della band, se possibile, è giunto: dopo anni di traversie compositive e tecniche, il gruppo riesce a sfornare come canto del cigno della sua prima fase di vita un EP che fa gridare vendetta, per quello che avrebbe potuto ancora essere. Oramai allo sbando totale, incapace Mogg di tenere le redini del combo, la defezione definitiva di Raymond dà il colpo di grazia alla carriera dei britannici, che ben poco hanno da offrire. Le sette tracce del minidisco non fanno altro che confermare quanto necessariamente premesso: la carenza di idee nei testi e nelle esecuzioni, non lascia adito a dubbi di sorta: la chiusura di baracca e burattini è addirittura doverosa, per evitare di essere catalogati anzitempo fra le cariatidi del rock. Ci sono alcuni buoni momenti nell’EP in cui si intravedono gli antichi fasti della band, quale ad esempio Another Saturday Night, in cui il quartetto riesce ancora ad esprimersi su linee decenti di tocco ed esecuzione. O anche Rock Boyz, Rock, in cui il brano offre ancora qualche sapiente ruggito dei quattro, impegnati in una buona esecuzione di sano rock classico. Ma anche altri in cui si ben comprende che è meglio accomodarsi altrove: Hunger In TheNight su tutte si “caratterizza”, per così dire, per il sound oramai appiattito e che non consente nemmeno al volenteroso leader di esprimere le tonalità classiche del suo cantato. Le difficoltà, anche economiche, in cui la band si dibatte la obbligano addirittura al rilascio dell’EP dopo ben due anni dalla sua realizzazione, avvenuta subito dopo il termine del tour promozionale a Misdemeanor del 1986 costringendola anche a dover ricorrere a due differenti label, in Europa ed in Usa, rispettivamente la Fm Revolver e la Metal Blade.

Nel complesso l’EP può essere ricordato come il punto di non ritorno del gruppo. Non certo titolo di merito, tuttavia sintomo della coerenza mostrata dal singer, toccando con mano lo sprofondo in cui ormai versa ed è costretto a dibattersi, reputa alla fine doveroso imporre lo split alla sua creatura. Dopo circa 20 anni di onorata ed articolata carriera, giunge il momento di calare il sipario su una delle band più seminali dell’epoca, costretta anch’essa a fare i conti con l’inaridimento tecnico-compositivo: dispiace dirlo, ma la realtà riflette il pensiero di cui evidentemente si sono resi consapevoli gli stessi musicisti. Restando tuttavia fedeli alle proprie convinzioni, che anche in questo EP cercano di trasmettere, sia pure con tutte le difficoltà del caso e la situazione drammatica in cui si trovano ad operare. Occorrerà solo restare a guardare, in attesa di un eventuale risorgere dalle proprie ceneri.

Autore: Ufo Titolo Album: Ain’t Misbehavin’
Anno: 1988 Casa Discografica: Fm Revolver, Metal Blade
Genere musicale: Hard Rock Voto: 5
Tipo: EP Sito web: http://ww.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Atomik Tommy – chitarra

Paul Gray – basso

Jim Simpson– batteria

Tracklist:

  1. Between A Rock And A Hard Place

  2. Another Saturday Night

  3. At War With The World

  4. Hunger In The Night

  5. Easy Money

  6. Rock Boyz, Rock
  7. Lonely Cities

Category : Recensioni
Tags : Ufo
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09th Ago2013

Ufo – Misdemeanor

by Giancarlo Amitrano

Al dodicesimo lavoro in studio, il disastro è servito: dopo l’ennesimo flop, la band si scioglie come neve al sole, con i vari componenti che si disperdono nei meandri del rock allora imperanti. Mogg in primis non sta con le mani in mano e, mentore il leggendario produttore della Shraphnel Mike Varney, recluta ed assembla un nuova combo. Con l’axeman Atomik Tommy (scuderia Varney), si uniscono alla band il bassista Paul Gray, già alle dipendenze del gruppo nei tour precedenti, nonché il redivivo Raymond, con l’aggiunta del drummer Robbie France, che dura però ben poco, venendo prontamente rimpiazzato dall’ex Magnum Jim Simpson alle pelli. Il risultato è l’odierno lavoro, che in pochi si affretteranno ad apprezzare, stazionando infatti molto a lungo nei bassifondi delle allora chart europee. Nonostante il buon lavoro all’ascia della new entry, le tracce risultano subito di scarso impatto, magari tecnicamente valide e tuttavia prive del groove che faticosamente la band aveva riguadagnato dopo la dipartita di Michael Schenker. Sono pochi, i momenti degni di menzione all’interno dell’album: This Time si fa notare per la bella prestazione vocale di Mogg e per un volenteroso lavoro della sei corde, ma la sezione ritmica risulta scialba e scadente anche a causa di una produzione non proprio all’altezza. One Heart si articola su di una solida base chitarristica, mentre le tastiere di Raymond in questo frangente ruggiscono come ai bei tempi ed il bridge scorre via senza fronzoli, ispirando un intenso solo della sei corde. Con Night Run i tempi si dilatano per consentire al singer di allungare a dovere le note e permettere al drumming di Simpson di essere sempre presente sulla strofa. Non convince il gioco corale di metà brano, che infiacchisce il pezzo nonostante una solida base di tasti che disegna un’atmosfera quasi spaziale, come ai bei tempi.

Clima quasi gotico con l’intro di The Only Ones a dettare tempi magici con la voce inconfondibile del singer, che impreziosisce quella che è la classica ballad della band. Molto rilassate le prestazioni degli artisti che seguono una linea ben determinata nelle melodie e nelle battute, ancora una volta rallentate e consone all’ambiente creato. Meanstreets ringhia a dovere nella fase iniziale, salvo poi perdersi gradualmente in un sound che pare avvolgersi su sé stesso a causa ancora una volta della strumentazione probabilmente accordata su toni più bassi dalla produzione. Impalpabile in questo frangente la prestazione del singer, qui deludente e molto elementare nella gestione del pezzo, che pure avrebbe buoni momenti di tecnica. Con Name Of Love, il quintetto tenta di rialzare la cresta, ma dobbiamo purtroppo notare che il risultato non cambia: c’è un buon giro di basso, ma le tempistiche ed i vari legati che si succedono all’interno del brano non convincono affatto. Sarà la produzione, sarà lo sfiaccamento che affligge il quintetto, ma il sunto finale risulta ancora noioso e di difficile digestione, per chi era abituato a capolavori non tanto lontani nel tempo. Blue e Dream The Dream seguono la stessa falsariga: una buona prestazione di Mogg, che riscatta i precedenti passaggi a vuoto, coadiuvato dalla ritmica della sei corde e dal gioco armonioso a suo modo delle tastiere. Su questi clichè si articolano ambo i brani, che a volte rasentano momenti quasi “pomp” per la smaccata sovraesposizione delle tastiere di Raymond.

Quasi epica l’intro di Heaven’s Gate, con l’organo a far da padrone sempre al servizio del vocalist. La costante linea sonora consente finalmente un colpo di reni alla band che qui si ricompatta nell’esecuzione del probabile miglior brano del disco, sempre tuttavia dominato da sonorità molto soft e di difficile sbocco in tematiche più consistenti. Si chiude il sipario con Wreckless, in cui la vena quasi blueseggiante rende ancora giustizia al singer, che non meritava di incidere un disco così scadente, pur mettendoci tutto il suo. Ma l’assemblaggio di tante personalità tra loro diverse non poteva sortire esiti differenti, prescindendo dalle future ed imminenti defezioni che continueranno a susseguirsi nella band, convincendo così il leader ad intraprendere l’unica strada possibile allo stato…

Autore: Ufo Titolo Album: Misdemeanor
Anno: 1985 Casa Discografica: Chrysalis
Genere musicale: Hard Rock Voto: 5
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Atomik Tommy – chitarra

Paul Gray – basso

Jim Simpson – batteria

Paul Raymond – tastiere, chitarra

Tracklist:

  1. This Time
  2. One Heart
  3. Night Run
  4. The Only Ones
  5. Meanstreets
  6. Name Of Love
  7. Blue
  8. Dream The Dream
  9. Heaven’s Gate
  10. Wreckless
Category : Recensioni
Tags : Ufo
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02nd Ago2013

Ufo – Making Contact

by Giancarlo Amitrano

Dopo il disastroso tour di supporto a Mechanix, il quintetto britannico si trova a dover fronteggiare non solo la prima ondata della NWOBHM, ma soprattutto le avvisaglie dei rovesci che si abbattono su di esso, in primis il doloroso abbandono di Pete Way, ormai desideroso di intraprendere nuovi percorsi artistici quale quello con l’ex Motörhead “Fast” Eddie Clarke. Le parti della quattro corde vengono quindi suddivise tra il generoso axeman e lo stesso Carter, ormai factotum imprescindibile della band, di cui diviene anche il principale compositore. Il risultato di tutto ciò e che il sound ovviamente ne risenta in maniera pesante, non tanto dal punto di vista dei testi ma specialmente da quello interpretativo: i brani divengono molto aggressivi, quasi a voler minimizzare la perdita dell’originario bassista ed a rimodularne le linee sonore. Come nella opener track, la proposta musicale è davvero potente, quasi a ruota libera e sulla quale il singer si ingegna degnamente a modellare la timbrica su tempi più veloci. Diesel In The Dust si articola sui tempi molto mid della sezione ritmica, mentre il cantato stavolta rallenta il giusto per consentire a Chapman di architettare la sua linea molto precisa, che vede il suo apice nella fase centrale con un solido assolo, inframezzato dalle atmosfere sempre magiche dei tasti di Carter. Una “semi” ballad ci viene proposta con A Fool For Love, in cui i cori la fanno da padrone e le linee sonore si articolano principalmente grazie alle tastiere molto intense, quasi a fungere da seconda ascia, queste ultime sono ben presenti lungo tutto il brano, senza eccedere nelle battute. Atmosfere quasi schenkeriane (forse nostalgie di gruppo?) in You And Me, dove primeggia ancora il lavoro sapiente dei tasti, protagonisti assoluti, e la buona tempistica del delicato drumming, in un con l’intenso solo di Chapman, che contribuiscono a rendere la voce di Mogg molto ovattata e indulgente in alcuni tratti al sound spaziale degli esordi della band, qui all’apice per quanto concerne l’odierno lavoro.

Un giro quasi impazzito della sei corde prepara l’intro potente di When It’s Time To Rock che sembra non volersi staccare dal riverbero dell’ascia, scatenata fin da subito in un infuocato trascinare il gruppo sulle note molto intense del brano, tra i migliori dell’album grazie ancora al buon coro che dona maggiore incisività al pezzo. Altro giro, altra corsa molto decisa: con The Way The Wild Wind Blows la band si imbarca in una interpretazione molto AOR in alcuni passaggi, sia pur ben delimitati. Ancora Mogg sugli scudi, che di potenza si tira addosso tutto il peso del brano; a sovvenirlo, tuttavia, ci pensa ben presto il buon Chapman a sfoderare un solo molto valido e tecnicamente egregio. L’organo maestoso di Carter introduce Call My Name su cui la voce del singer diviene quasi mistica in alcuni fraseggi molto sentiti e resi ancora più potenti dal lavoro ben congegnato delle tastiere ancora epigoni del pezzo. Senza discostarsi dall’originaria linea vocale, il brano si dipana attraverso una solida alternanza dei vari assoli di tasti ed ascia, ben combinati tra essi. All Over You ci ricorda nell’incedere un sound molto “profondo porpora”, che avrebbe inorgoglito il suo Man In Black (indovinate di chi parliamo?), grazie alla timbrica molto coinvolgente della voce quasi declamante e agli strumenti molto validi nell’interpretazione tecnicamente impeccabile.

Ancora una ballad con No Getaway, a stemperare i suoni sinora infuocati il giusto: un voluto rallentamento della tempistica consente al brano di svolgersi attraverso un bel caleidoscopio di acrobazie melodiche. Quasi reggae nel bridge centrale, il brano si avvia alla fase finale grazie all’ottimo lavoro di Mogg che continua ad intrattenere con la sua voce roca, ma sempre pulita e precisa. A chiudere, Push, It’s Love, in cui la quattro corde la fa da padrona, disegnando un tappeto ritmico adeguatamente seguito dal frontman: nel dettare i tempi del brano, decide a suo piacimento di spaziare tra tonalità più aggressive della prima parte del brano ad altre più da “poseur” della fase centrale, onde consentire a Chapman di sparare le ultime cartucce infuocate. All’interno di un lavoro che, con il senno di poi, funge da spartiacque per tutto ciò che di qui a poco avverrà a prescindere dalla volontà della band.

Autore: Ufo Titolo Album: Making Contact
Anno: 1983 Casa Discografica: Chrysalis
Genere musicale: Hard Rock Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://ww.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Paul Chapman – chitarra, basso

Neil Carter – tastiere, basso, chitarre, cori

Andy Parker – batteria

Tracklist:

  1. Blinded By A Lie
  2. Diesel In The Dust
  3. A Fool For Love
  4. You And Me
  5. When It’s Time To Rock
  6. The Way The Wild Wind Blows
  7. Call My Name
  8. All Over You
  9. No Getaway
  10. Push,It’s Love
Category : Recensioni
Tags : Ufo
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