Intervista ai Neshamà

R.G.: Ciao Carlo, ti chiedo di presentarci i Neshamà. Parlaci del perché è nata questa band e cosa avevate in mente di comunicare.
N.: I Neshamà sono un power trio, difficile da definire a livello musicale, ultimamente ci presentiamo come una band dark prog rock. Siamo un trio, basso, batteria e chitarra, io suono la chitarra e canto. Il progetto nasce con ‘urgenza di esprimere concetti essenzialmente spirituali, il nostro motto è “tutto è uno” che è un motto esoterico e che riassume il senso dei Neshamà; noi approfondiamo tutte le dottrine sacre e vogliamo dimostrare il fatto che tutte le dottrine sacre trattano lo stesso argomento anche se con parole diverse in base al periodo storico, alle persone a cui si propongono.
R.G.: Un’ambizione forte…
N.: Diciamo che è velleitaria…c’è un motto indiano che diceva “tira la freccia, tirala verso il cielo, sicuramente non arriverà al cielo ma almeno supererà il cespuglio”. Me lo ricordo da quando ero piccolino e mi è rimasto in testa. E questa è l’idea, il nostro cammino.
R.G.: Sì, già ascoltando l’album, “Animante”, questo arriva. Chiaramente arriva molto di più in sede live, noi abbiamo potuto sperimentare, però la vena spirituale è molto evidente anche già solo ascoltando i brani. Questa è una caratteristica che vi distingue dalle altre band, come mai sentite questa necessità di usare la musica per trasmettere messaggi di spiritualità.
N.: La musica è un veicolo, è un veicolo emozionale principe. La musica è condivisione perché alla fine l’emozionalità porta a creare empatia tra persone e condividere. Lo scopo della spiritualità è la condivisione, l’unione e la relazione tra le persone, come dicono i pellerossa, infatti noi bruciamo la salvia sacra sul palco apposta per richiamare anche questi spiriti. A me sembrava naturalissimo legare la musica e la spiritualità.
R.G.: Va detto che non tutte le spiritualità o le religioni sono condivisione. Vi sono alcune fedi che sono vissute in maniera molto individuale. Tu dici che tutte le dottrine bene o male hanno un messaggio univoco ma come si incontra questo con il fatto che vi sono delle religioni molto individualiste ed altre protese alla condivisione?
N.: Ma in realtà l’eremita è la persona che più in assoluto a livello spirituale si dedica agli altri. È una persona che si isola dal mondo secondo l’esoterismo è colui che investe tutte le proprie energie per il mondo, perché per assurdo più sei vicino ad una persona e più ti vai a scontrare con dei meccanismi come le abitudini, i preconcetti, che ci portano a non comunicare. Quindi l’eremita si stacca da tutto per trovare la sorgente e si relaziona con il mondo senza nessuna barriera. È un compito difficile e profondo, l’asceta per assurdo è il massimo della relazione, può sembrare un controsenso ma è così. Non è un discorso di relazione tra persone, ma di energia.
R.G.: Però in quel caso, l’eremita in realtà ha come obiettivo quello di trascendere il sé, non come persona fisica ma come spirito. Quindi l’obiettivo è comunque legato a se stesso.
N.: Le nostre idee, i nostri pensieri non sono nostri. Già il linguaggio non è nostro, non lo abbiamo creato noi, è la parola che è il pensiero. Quindi se la parola non l’abbiamo creata noi, il pensiero non è il mio ma di qualcun altro. L’essere umano è come un’antenna, le persone ricevono in base al livello di vibrazione che scegliamo di adottare e percepiamo certe cose. Quindi più ti “alzi” e più percepisci certe cose. Si parlava prima dell’intervista di coincidenze, la coincidenza non esiste perché è un collegamento extra ordinario, più ti alzi ad un livello vibrazionale più vai a connetterti a qualcosa di più universale. L’asceta è colui che arriva a vibrare ad un livello molto elevato e si collega alla sorgente, alla origine e a tutto ciò che c’è dietro di noi. Io sono arrivato anche a rivalutare il cristianesimo che fin da fanciullo ho rinnegato, perché anche il cristianesimo si fonda su dei principi molto elevati; le suore di clausura lavorano nella loro idea proprio nella direzione dell’evoluzione della spiritualità intesa come spirito comune, cioè per gli altri.
R.G.: Torniamo al concetto che dicevi tu prima del “tutto è uno” indipendentemente dal tipo di religione. Puoi spiegarcelo maggiormente, anche magari per qualcuno che è lontano da queste tematiche?
N.: Bella domanda, cioè spiegarla non in termini spirituali. Tra due persone estranee è il limite, adesso c’è la cultura molto sportiva del “supera i tuoi limiti”, anche molto capitalista, del vincere, della competizione…”no limits” secondo me è un po’ una cagata perché non devi superare i limiti per diventare il superuomo di Nietzsche, ma è disinnescare i propri limiti. Se tu disinneschi un tuo limite, che è un confine, tu vai oltre e scopri cose nuove ciò che prima era estraneo da te ora diventa confidenziale, è empatia; più vado avanti in questa direzione, più abbatto confini e più mi convinco che le persone sono simili. Io sono convinto che se vai in quella direzione ti rendi conto che l’unica soluzione per il benessere è l’empatia, la condivisione.
R.G.: Un’altra cosa che ci incuriosiva era approfondire questo concetto del “tutto è uno”: come si differenzia tra la visione puramente occidentale del nostro credo e quella orientale?
N.: Il messaggio è lo stesso. Tu pensa agli indiani, secondo cui si crede al dahara, che è un puntino piccolissimo che all’interno del tuo cuore riesce ad entrare in una porticina microscopica che ti ricorda un po’ l’idea della cruna del lago, se ci pensi. Quella roba lì vale universalmente, come la tua anima che si può collegare con tutti. Lo stesso Cristo cercava di riunire il più possibile le persone…
R.G.: Be’ per certi versi anche dividere. Lui non portava un messaggio semplice, piuttosto un messaggio che avrebbe diviso. La parola che Lui ha portato non era sempre una parola di unione, a volte la parola creava dei nemici.
N.: Quello è fondamentale, distruggere per far spazio, l’unione non viene mai in pace e amore, infatti il nostro brani XI è anche distruzione, perché per creare prima dei fare spazio, quindi prima devi distruggere ed è fondamentale. Io lo trovo ad esempio nell’Islam che parla di guerra santa; Guénon, un grande studioso dell’Islam parla di “piccola guerra santa” che è quella che combatti fuori poi c’è la “grande guerra santa” che è quella che combatti contro te stesso. Comunque è sempre una guerra per arrivare a pulirti e poi…Cristo diceva tornate ad essere bambini, non diceva i bambini verranno a me, quindi vuol dire che tu devi fare il tuo percorso, poi devi distruggere tutto quello che hai fatto.
R.G.: In realtà questo è un messaggio anche orientale.
N.: Sì esatto, identico.
R.G.: Tu scrivi e canti “Tutto quello che so non lo so, ho tutti i vizi di Dio, ogni virtù uccide l’io, capire è morire“. Puoi spiegarci questo passaggio?
N.: Be’ le mie influenze sono socratiche, e questo mi sembra abbastanza palese, poi c’è molto di Jung in questa canzone. Ho voluto lanciare questa provocazione, “ho tutti i vizi di Dio”, perché noi vediamo i vizi come negazione e le virtù come positivo, ho fatto questo gioco…immagina Brama, che sarebbe la divinità massima, di lui non puoi dire nulla puoi solo negare Brama, tutte le negazioni sono Brama, sembra una follia. Questo serve semplicemente a scombussolare la razionalità, perché è fondamentale ingannare la nostra razionalità.
R.G.: Quindi nel discorso dei vizi è come se dicessi due negazioni che diventano un’affermazione…
N.: Sì, poi infatti dico “capire è morire” che è tratto proprio da Jung, lui alla fine era uno psicanalista che ha scritto un libro molto ambiguo, un po’ eretico, e in questo libro spara massime esoteriche che trascendono la spiritualità. Quindi in realtà arriverai a capire quanto morirai, questo è il primo senso. L’idea è che tutti pensiamo di morire, questa è una cosa che penso da tempo ma che forse non ho mai detto: secondo me la gente non muore ma si spegne pian piano o si spegne di colpo ma non muore. Morire è qualcosa di molto più nobile. Morire vuol dire chiudere un cerchio e io ho paura di spegnermi prima di morire, io devo morire. Perché chiudo il cerchio e questo si collega anche a Socrate e alla filosofia antica che era molto legata alla spiritualità degli orientali che hanno mantenuto. Noi l’abbiamo persa, noi la filosofia la studiamo ad un livello teorico e infatti si contraddicevano i filosofi di una volta perché erano degli esercizi spirituali che servivano ad aprire la mente, quindi a distruggere alcuni concetti, ed era il procediamo che era importante, non le massime.
R.G.: Questo però era un approccio filosofico più greco, più basato su meccanismi matematici, mentre invece la filosofia orientale è sempre stata meno legata alle logiche e più alla spiritualità.
N.: L’esercizio più pieno della filosofia tu sai che era esercitarsi alla morte, si doveva comunque arrivare a delle massime ma che contenevano tutto un mondo dietro. Le massime erano un simbolo, erano tue quando richiamavano tutto il lavoro che avevi fatto tu a livello iniziatico. Perché in realtà la filosofia orientale che sembra più sempliciotta è molto più complicata della nostra sotto certi aspetti perché hanno tantissime divinità, loro sono molto più celebrali, però la differenza è che noi siamo molto legati alla logica, i greci hanno sempre un esercizio mentale, mentre loro lavorano anche a livello fisico. Nel momento in cui concepiscono i chakra, cominciano ad usare l’energia del corpo e la mente non è più sovrana, iniziano a lavorare con gli stadi extra ordinari utilizzando il corpo. Se tu ci pensi tutte le tribù e le religioni un tempo si basavano sulle droghe, le droghe in fondo erano lo stordimento della razionalità affinché qualcosa che c’era dietro si rivelasse.
R.G.: Diciamo che erano un facilitatore per raggiungere dei concetti a cui la logica non ti permetteva di arrivare.
N.: Sì, diciamo per viverli. A me piace la meditazione, medito, ma l’idea è che quando arrivi a vivere una certa cosa è una figata. L’estasi arriva proprio quando arrivi a vivere una certa cosa. Gli orientali invece, anche usavano le droghe, ma lavoravano molto con il corpo e con il respiro perché è con il respiro che si può fare tutto, è questo il gioco. Ma è difficile arrivare a questi risultati per cui a volte serve una scorciatoia.
R.G.: Infatti la maggior parte delle sedute che vengono praticate per vivere delle esperienze legate alle proprie vite precedenti sono attivate da appositi esercizi di respirazione.
N.: Sì, è verissimo.
R.G.: Tu parli del Gesù che verrà e dici che sarà donna. Perché lo vedi come una donna?
N.: La nostra società si basa su un’idea capitalistica, l’uomo è il simbolo del costruire, del fare. Costruire significa che prendi una cosa, la distruggi e la trasformi in qualche altra cosa e questo creare in maniera materiale si basa sulla distruzione. Parte la competizione e tutto ciò che è negativo adesso. In questo momento invece l’idea deve essere conservativa, protettiva. Io non parlo di donna intesa come sesso femminile ma come energia femminile.
R.G.: L’energia femminile la vedi quindi come qualcosa protesa al conservare?
N.: Sì perché è l’energia passiva mentre l’energia maschile è quella attiva, esotericamente parlando. Poi nella materialità è diverso. Quindi l’energia femminile frenerà la smania attiva…noi siamo un missile che siamo arrivati in alto ma alla fine continui a spingere ma ad un punto dovremo iniziare a scendere; in questa discesa se lasciamo le redini all’energia maschile, cadiamo e non scendiamo mentre l’energia femminile conserva e protegge lungo la discesa. L’energia femminile ci rende anche più empatici, mentre l’energia maschile è incentrata sulla competizione.
R.G.: Be’ anche molte donne puntano alla competizione (risate generali ndr)…ma capisco cosa vuoi dire, parli di energia non di sesso. Un uomo può usare energia femminile e viceversa.
N.: Sì infatti l’emancipazione femminile le sta portando paradossalmente ad usare l’energia maschile. Questo è peggio perché quando la donna è spinta ad usare la sua energia maschile, contro la sua natura, diventa un mostro se ci pensi, diventa il grottesco dell’uomo. Come il transessuale che vuole essere donna, diventa una donna per eccesso, diventa eccessiva.
R.G.: Ok, adesso passiamo a parlare di musica. Parliamo delle esperienze che avete vissuto come band. È mai capitato che qualche altra band o qualcuno che lavora nella musica vi abbia un po’, come dire, bullizzati o sottovalutati per i temi che trattate?
N.: Di primo acchitto quando ti presenti alle band rimangono sempre un po’ straniti, però in realtà è il clima che si viene a creare. Abbiamo avuto sempre ottimi rapporti, gente che ci apprezza a livello umano e gente che capisce anche il nostro messaggio, ostacoli non ne ho mai avuti. Da dietro so che qualcuno ha detto qualcosa, io nei live arrivo vestito da prete e quindi qualcuno abbastanza bigotto ha detto qualcosa. Anni fa suonavamo al Legend e un ragazzo, secondo me un po’ bigotto, ha detto che non dovevo permettermi di vestirmi da prete…mi voleva menare anche se me l’hanno raccontato dopo.
R.G.: Avevi dato un brutto esempio da prete.
N.: Sì (risate generali ndr). Comunque va detto che non passiamo inosservati. O ci sono gli esaltati metallari che si esaltano ma travisano l’idea, o altri che capiscono l’idea e con loro si instaura un dialogo. Ci sono poi quelli che si divertono a livello goliardico e non interessa approfondire.
R.G.: Quindi il messaggio arriva.
N.: Sì arriva. I miei compagni di band all’inizio erano un po’ terrorizzati, mi dicevano “Carlo non puoi fare queste cose…rischiamo grosso…”. Anche perché noi solitamente distribuiamo le ostie, ripercorriamo il rito della comunione come rito della condivisione…ma quando lo abbiamo ripetuto un po’ di volte e abbiamo visto che andava e che funzionava allora si sono convinti. Poi dipende come lo fai, io lo faccio in maniera giocosa non in maniera seriosa. Una volta ad un concerto dopo che avevo spiegato diverse idee che sono alla base della nostra musica uno ha urlato “Dio Cane” ma alla fine ci abbiamo riso, io ho detto ben venga, noi accogliamo tutte le religioni, se il tuo Dio è un cane ben venga il tuo Dio Cane.
R.G.: Ma lì non è cane nell’accezione animale…
N.: Certo (risate ndr).
R.G.: Ma non potevi dire altro, altrimenti ti beccavi un secondo urlo con un altro animale, tipo il porco…
N.: Eh sì (altre risate ndr).
R.G.: Ma a livello musicale tu hai presentato la band come un progetto dark prog rock, ma quali sono le radici che hanno formato te e i musicisti della band? Perché noi abbiamo sentito alcune partiture progressive ma dire che siete una band progressive rock potrebbe essere fuorviante.
N.: Musicalmente è un gran casino. Sì non siamo assolutamente una band progressive rock, noi veniamo dal metal, il metal c’è, ma siamo prog anche perché ci piacciono i tempi dispari, ci piace spezzare le misure. Io ho studiato chitarra classica e principalmente ascolto musica classica, quindi risulta difficile dirti i generi che più ci influenzano tutti…per me Bach, Vivaldi sono i capisaldi del mio passato a livello emozionale anche se sono un chitarrista elettrico. Il batterista della band è mio fratello, siamo cresciuti insieme, il bassista viene da un passato punk…da ragazzini abbiamo avuto anche una band pop rock.
R.G.: Noi solitamente quando recensiamo un album cerchiamo sempre di coglierne la chiave di lettura; io personalmente cerco di fare anche un ulteriore esercizio per capire o ipotizzare una possibile evoluzione stilistica o concettuale della band, a volte ci becco altre volte no. Nel vostro caso è molto più difficile anche per la sostanza del messaggio di cui siete portatori. La domanda è se l’evoluzione del vostro progetto artistico sia anche legata all’evoluzione spirituale di cui voi state facendo esperienza e non solo all’evoluzione di voi come musicisti.
N.: Sì, il messaggio sarà comunque lo stesso anche in futuro. L’autenticità è importante, al di là delle cazzate per fare successo o non successo, alla fine io sono autentico, io dico quello che faccio, è il vestito che volente o nolente mi si addice. Poi sicuramente si possono usare parole più efficaci, quello potrebbe essere un punto di arrivo, essere più universali, più semplici ma profondi. E’ un ulteriore passo.
R.G.: Be’ il messaggio di base vostro è già universale.
N.: Sì però riuscire ad essere in termini di comunicazione più diretti…essere più universale. Questo è un obiettivo. E poi anche essere più teatrali. Noi abbiamo già collaborato con artisti, giocolieri…l’idea è spingerci molto di più verso la teatralità per riuscire ad essere…
R.G.: …diciamo unire una parte più visuale al vostro modo musicale di esprimervi?
N.: Sì, noi cerchiamo di mettere dei rituali in scena ma riuscire ad inserirli sempre di più, rituali che sono collegati all’energia, questo è un obiettivo.
R.G.: Ecco sul rituale io volevo chiederti di spiegarci il concetto da voi citato di “concerto-messa”.
N.: E’ proprio questo, secondo noi le canzoni sono i salmi, ci sono le omelie che sono certe cose che diciamo tra un brano e l’altro, dei messaggi, e poi ci sono dei rituali che sono dei gesti semplici che richiamo certe cose.
R.G.: Questi aspetti, secondo te, non potrebbero essere limitativi nel momento in cui tu pensi ad un album successivo? Cioè, il vostro album è un concept album che in versione live rappresenta una messa, un altro album futuro dovrebbe essere una messa diversa?!
N.: Tu pensa a quante maniere possono essere usate per esprimere lo stesso concetto. Yahweh aveva 72 nomi!! Il bello è quello, poi al di là della forma il concetto resta lo stesso. E’ una sfida, sicuramente.
R.G.: Avete già pensato quindi al nuovo album e al messaggio “nuovo”?
N.: Abbiamo già parecchi brani nuovi che hanno delle venature un po’ più…non commerciali…abbiamo smussato certe ruvidità. In passato l’urgenza di dire era poco filtrata, troppo ruvida, mentre adesso stiamo cercando di essere, appunto, più universali, per entrare con più dolcezza.
R.G.: E sarà sempre un concept album?
N.: Chissà quali di questi brani…poi anche l’idea dell’album…magari ci verrà in mente qualcosa di diverso…sarebbe bellissimo collaborare con qualcuno nel teatro che sposa le medesime intenzioni nostre. Le idee sono relative, ma alla fine le intenzioni possono unire.
R.G.: Bene dai, ti ringrazio Carlo per la disponibilità e la chiacchierata davvero molto interessante.
N.: Grazie a te!