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17th Giu2020

The Sound – All Fall Down

by Simone Rossetti
Se la vita avesse un senso probabilmente non saremmo qui a parlare di musica (né a farla), capita per alcuni che questa “assenza” diventi di un peso insopportabile al punto da preferire di darci un taglio netto. Adrian Borland apparteneva a questi ultimi ma nel suo caso anche il destino vi ha messo del suo contribuendo alla drammatica chiusura di un cerchio. Con i suoi The Sound ci ha lasciato un testamento che non è solo musicale ma anche, e soprattutto, personale: una “ricerca” che si fa tangibile e disperata nel suo alternarsi a sporadici momenti di ambita e semplice serenità, ma ci sono ferite che anziché cicatrizzarsi nello scorrere del tempo dilaniano ancora di più la carne e la psiche, le stesse che porteranno Borland verso un abisso interiore dal quale se ne può uscire in un solo modo, giustificabile o meno, comprensibile o meno. Resta questa musica, questi testi, una serie di grandi album praticamente ignorati dal pubblico ed anche questo avrà un peso non indifferente su una fragilità umana latente. Abbiamo scelto questo album, ma questo o un altro non avrebbe fatto alcuna differenza, non c’è un album migliore o peggiore, ciascuno a modo suo sono un tassello di un mosaico interiore più grande destinato ad andare in pezzi. Perchè dunque scegliere questo All Fall Down, i The Sound avevano alle spalle già due bellissimi album (Jeopardy e From The Lions Mouth) che dimostravano tutta la loro classe e le loro possibilità ma purtroppo senza alcun riscontro di vendite, si accasarono quindi con la major WEA la quale, “annusata” l’occasione di farci un bel po’ di soldi, iniziò a fare pressioni sul gruppo al fine di ottenere un suono e brani da “scalaclassifica”, ma il gioco non funzionò (o almeno solo in minimissima parte) e le cose finirono per andare in tutt’altro modo, tanto che al momento della pubblicazione alla WEA tentarono addirittura di boicottarlo disconoscendolo come proprio. Qquesto probabilmente incise per la prima volta, in una qualche misura, sulle condizioni emotivamente fragili di Borland.

Un album difficile quindi, ostico, chiuso su se stesso, dalle coordinate non ben chiare, agganciato ad un passato che sta sfuggendo di mano (siamo nel 1982, un periodo di transizione tra post-punk, new wave e facili derive pop) e un futuro del tutto indefinito, l’album resta in questa specie di bolla che non ne vuole sapere di scoppiare, non si capisce se questo sia un limite o una reale richiesta di protezione, fatto sta che dopo questo album e scaricati dalla WEA i The Sound proseguiranno per qualche anno per la loro strada, questo finché sarà possibile, poi arriverà anche il momento di porre la parola fine, ancora qualche anno e sarà lo stesso Adrian Borland a scrivere di sua mano quella parola. Ecco perché abbiamo scelto questo All Fall Down, “(quando) tutto cade giù”, perché mantiene intatta la sua intrinseca fragilità e bellezza, perchè a suo modo non è un album doloroso da ascoltare, anzi, è grande musica suonata da grandi musicisti (oltre a Borland voce e chitarra troviamo Graham Gree al basso ed effetti, Max Mayers alle tastiere e Mike Dudley alla batteria e percussioni ,zona South London).

E già dalla titletrack si intuisce che qualcosa non va rispetto ai “buoni” propositi della WEA, testo criptico, ma nemmeno tanto, di un Inghilterra sociale in fase di smantellamento (Margaret Thatcher?), suono cupo, metallico, ossessivo; Party Of The Mind è “leggera” e frizzante, perfetta per un piovoso pomeriggio estivo, un po’ meno il testo, “A room without light,a room with lights thats blind,these ideas i invite to the party of my mind“. Monument è invece delicata come una carezza del mattino, finalmente non c’è tensione ma solo quella ritrovata fugace pace; In Suspence torna su toni più introspettivi, darkwave, poi si apre in un buon refrain tutto da cantare. Where The Love Is è romantica ma allo stesso tempo nuda come potrebbe esserlo un pezzo dei Joy Division, ritmica scarna, chitarra tagliente, un amore lontano; Song And Dance, “when you’re lonely,when you’re happy,you should sing” declama Borlan in uno sconfinamento dai contorni più rock, ma non basterà. Calling The New Tune è piacevole e lieve con il suo refrain facilmente “orecchiabile” ma nel suo scorrere malinconico e desolante ci lascia con un retrogusto di amarezza; Red Paint è un salto dentro ai Joy Division, per ritmica, armoniche, pathos, ma già più avanti, anche dallo stesso presente che stavano vivendo. Glass And Smoke fredda e dissonante, resta sospesa fra distorsioni e suoni metallici, un pezzo difficile ma intenso; We Could Go Far chiude l’album, una ballad crepuscolare, morbida e sontuosa, termina con la voce di un Borland ormai disilluso “We could go far,we could go far”, non sarà così.

Non male quindi per un album che almeno nelle intenzioni della casa discografica doveva avere ambizioni da alta classifica, se non fosse per il latente dolore che si porterà dietro si potrebbe anche pensare ad una vera e propria rivendicazione della propria arte, forse la chiave di lettura sta tutta qui, e tanto basta a goderne della sua intrinseca, eterea bellezza. (in ricordo di Adrian Borland)

Autore: The Sound Titolo Album: All Fall Down
Anno: 1982 Casa Discografica: WEA
Genere musicale: Post-Punk Voto: 8,5
Tipo: LP Sito web: https://en.wikipedia.org/wiki/The_Sound_(band)
Membri band:
Adrian Borland – voce, chitarra
Graham Green – basso, chitarra, effetti, drum machine
Max Mayers – tastiere
Mick Dudley – batteria, percussioni
Tracklist:
1. All Fall Down
2. Party Of The Mind
3. Monument
4. In Suspense
5. Where The Love Is
6. Song And Dance
7. Calling The New Tune
8. Red Paint
9. Glass And Smoke
10. We Could Go Far
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Post-punk
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